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Anticolonialismo

Conoscere le narcomafie e combatterle territorio per territorio

  • Autore: riflessioni ispirate da Rocco Chinnici, nel quarantesimo del suo martirio e nel trentesimo della Strage di Via dei Georgofili - Palermo-Firenze, 25 maggio 2023

Il trentesimo anniversario della strage di Via dei Georgofili, avvenuta a Firenze nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993, ci dà l’occasione per ricordare tutte le vittime dello stragismo mafioso.

Quest’anno ricorrono anche i quarant’anni dell’assassinio del magistrato Rocco Chinnici, ucciso nel tragico attentato di Palermo del 29 luglio 1983. Saranno le sue parole il cuore di questa riflessione, perché egli fu lungimirante non solo come organizzatore della repressione, ma anche profondo come indagatore della natura della contemporanea criminalità organizzata in mafie e cosche.

Il dott. Rocco Chinnici era un limpido funzionario di una magistratura centrale. Era privo di cultura autonomista, ma aveva ben compreso che l’enorme potere delle narcomafie aveva potuto accumularsi all’interno dello stato italiano unitario, del mercato comune europeo, di quelli che erano già allora ai suoi tempi, in molti settori, mercati mondiali aperti.

Anche le narcomafie, come tutti i fenomeni della modernità, risentono dei fattori di scala: lasciandole operare su spazi più ampi, esse non crescono solo quantitativamente, ma cambiano qualitativamente e accrescono geometricamente la propria pericolosità.

Il potere delle narcomafie non è una fatale condanna biblica. Non è fondato sul mero familismo amorale di alcune popolazioni arretrate, sulla mancanza di senso civico o su un qualche malcostume che affliggerebbe una comunità piuttosto che un’altra. Non si combatte con un generico moralismo. Esso è fondato su rapporti di forza economici, sociali, politici e geopolitici, che la nostra tradizione anticolonialista e anticentralista, più di altre, può incrinare. Noi commemoriamo, ma intendiamo soprattutto lottare.

Gli stralci del magistero del dott. Rocco Chinnici che pubblichiamo e commentiamo sono tratti da una sua ben nota Relazione al Consiglio superiore della magistratura (CSM) del 3 luglio 1978, che è disponibile integralmente presso il sito del Consiglio stesso e anche in altre fonti come l'interessante Progetto San Francesco. Ci rifaremo anche a un altro importante documento, intitolato “La mafia oggi e sua collocazione nel più vasto fenomeno della criminalità organizzata”, scritto dallo stesso Rocco Chinnici e dal suo collega Saverio Mannino, presentato a un incontro del CSM del 4-5-6 giugno 1982, pubblicato in un supplemento alla rassegna “Il CSM” del maggio-giugno 1982, e anch’esso messo a disposizione dal Progetto San Francesco.

La pubblicazione dei testi del dott. Chinnici non ha pretese filologiche. Eventuali errori o imprecisioni nella trascrizione sono esclusivamente responsabilità dei coordinatori del nostro Forum 2043.

LA MAFIA: ASPETTI STORICI E SOCIOLOGICI E SUA EVOLUZIONE COME FENOMENO CRIMINOSO

di Rocco Chinnici – 3 luglio 1978

PREMESSA

Per chi voglia condurre un discorso serio sulla mafia, un discorso che miri a comprendere e a far comprendere il fenomeno quale è stato nel passato e quale è oggi, a penetrarne le implicazioni di ordine sociale, economico, criminale, é necessario andare indietro nel tempo per stabilire l’epoca in cui esso incomincia a manifestarsi, le cause e le condizioni che ne consentirono e favorirono lo sviluppo.

Sulla mafia si è detto e scritto molto da italiani e stranieri a partire dalla fine del secolo scorso, quando, dopo l'unificazione del Regno d'Italia, il fenomeno, a causa della sua incidenza nella vita socio-economica e politica di buona parte dell'Isola, assunse dimensioni gravi ed allarmanti. Sono del 1876 "Le inchieste in Sicilia" di Leopoldo Franchetti e di Sidney Sonnino, e quelle della "Giunta Parlamentare". Si tentò, fin da allora, di studiare il fenomeno mafioso, di colpirlo nelle manifestazioni criminali; si compirono indagini e ricerche sia da parte di privati, cultori di studi storici ed etnologici, che dei pubblici poteri; si tentò di dare una spiegazione ed un volto alla misteriosa organizzazione che, indubbiamente, esercitava notevole influenza sulle strutture della societa isolana dell'epoca. E' stato, però, dopo la seconda guerra mondiale - durante il ventennio, sulla mafia, ove si eccettuino il libro di Cesare Mori "Con la mafia ai ferri corti", e gli accenni che ebbe a far Mussolini in qualche suo discorso, si scrisse poco in quanto il regime ritenne di avere definitivamente debellato il fenomeno - che si è avuto, sul fenomeno mafioso, un vero e proprio ritorno degli studiosi, che hanno condotto ricerche, pervenendo, a volte, a risultati apprezzabili; il rinnovato interesse per una migliore e più realistica visione del fenomeno, si spiega col fatto che la mafia, dopo la caduta del fascismo e la ripresa democratica, ha avuto la possibilita di riorganizzare le proprie fila, di potenziare la propria organizzazione, di esercitare un ruolo - specie nei primi anni del dopoguerra - non secondario se non addirittura da protagonista nella vita di alcune provincie dell'Isola. Il non siciliano, che ascolta, potra stupirsi di, questa affermazione o potrà ritenerla esagerata.

Noi diciamo che la mafia, tra il luglio 1943 e gli anni '60, con la costituzione del movimento separatista di Andrea Finocchiaro Aprile prima, e annidandosi, nelle forme più svariate, subito dopo, nei partiti politici di centro destra che ebbero il governo dell'Isola dopo il raggiungimento dell’autonomia, esercitò, nelle provincie della Sicilia Occidentale un dominio, contrastato soltanto dalle forze politiche progressiste. E' questa, storia recente, forse non sufficientemente conosciuta dalle nuove leve dei giovani siciliani ed ancor meno da quelli del resto d'Italia; una accurata indagine sul periodo storico, soprarichiamato, cosa che cercheremo di fare più avanti, servirà a chiarire l’influenza della mafia nella vita dell'Isola e il perché dei mali che hanno afflitto le quattro provincie della Sicilia Occidentale e che continuano a pesare e ad incidere negativamente sullo sviluppo socio-economico e culturale delle stesse.

Nota di contesto: Il dott. Chinnici, in questo passaggio e anche in un altro che leggeremo più avanti, ci appare sbrigativo nel suo giudizio sul sicilianismo e sulle correnti autonomiste. Il che non ci deve meravigliare, per una persona della sua generazione, della sua cultura e del suo status professionale. Non è dai magistrati del secolo scorso che ci si deve aspettare adesione a progetti di decentralismo. Va anche compreso che questo documento è del 1978, quando le narcomafie non hanno ancora iniziato a sterminare coloro che stanno tentando di avviare delle riforme del sistema politico siciliano (e italiano): Michele Reina (ucciso il 9 marzo 1979 – scrive su di lui Wikipedia: il primo politico di rilievo ucciso da Cosa Nostra dai lontani tempi di Emanuele Notarbartolo, ex sindaco di Palermo ed ex direttore generale del Banco di Sicilia, nel 1893); Piersanti Mattarella (ucciso il 6 gennaio 1980); Pio La Torre (30 aprile 1982); Carlo Alberto dalla Chiesa (3 settembre 1982).

ORIGINE E SIGNIFICATO DELLE ESPRESSIONI "MAFIA E MAFIOSO"

Ogni studioso del fenomeno mafioso che si rispetti, non può non incominciare a parlare della mafia, se non partendo dalla ricerca etimologica. Noi riteniamo che l’indagine sia puramente esercitativa, convinti come siamo che la mafia é una realta viva ed operante sul tessuto sociale della Sicilia Occidentale, con un'organizzazione e collegamenti concreti, con analoghe organizzazioni operanti altrove, nel territorio nazionale, negli U.S.A., nel Canada e, per lo meno in passato, anche nella Francia Sud-Occidentale. Tuttavia, per completezza, anche noi risaliremo alle origini ed al significato della parola mafia. Si ritiene che il termine mafia sia di derivazione araba e stia a significare, forza e coraggio; protezione; secondo tale teoria si tratterebbe di una parola composta dalla radice tematica "mu" che significa forza e dal verbo “afa" che significa proteggere; sarebbe stato usato per la prima volta all'epoca dei Vespri Siciliani (1282) per indicare gruppi di cittadini coraggiosi che avrebbero preso concrete iniziative per proteggere il popolo dai soprusi dei francesi e che avrebbero avuto un ruolo determinante, sulla espulsione degli stessi dall’Isola.

La parola mafia avrebbe assunto significato di "associazione" di “organizzazione fuori-legge" nel 1863 quando, per la prima volta a Palermo, andò di scena il lavoro di Giuseppe Rizzoto e di Mosca dal titolo "I mafiusi della Vicaria" nel quale si portavano a conoscenza del pubblico "le attivita svolte, in base ad un particolare tipo rudimentale di ordinamento giuridico a sé stante, da un gruppo di delinquenti associati al nuovo carcere di Palermo Ucciardone"; secondo alcuni, però, il termine "Mafioso" nel significato di “associato" sarebbe stato usato, per la prima volta, attorno al 1860, dai patrioti di Marsala i quali tenevano le loro segrete riunioni, prima dello sbarco dei Mille, nelle "mafie", cave di tufo, una volta coltivate e sfruttate, e poi abbandonate.

Quest'ultima tesi appare suggestiva, perché, forse per la prima volta, allora, alla parola mafia venne,attribuito il significato di associazione, organizzazione, avente carattere di segretezza, di mistero; si vollero, cosi assimilare i mafiosi, agli affiliati a quella setta misteriosa soprannominata "Beati Paoli" che avrebbe operato nel capoluogo dell'Isola ai tempi del dominio spagnolo per opporsi alle angherie e alle ingiustizie dei dominatori. I mafiosi, cosi, sarebbero stati uomini coraggiosi, forti, giusti, che avrebbero agito per finalità sociali, per il raggiungimento di un assetto civile ordinato nel quale, al popolo o "popolino", come è chiamata in Sicilia la classe dei non abbienti e del sottoproletario, sarebbero stati rispamiati i soprusi e le prepotenze dei nobili, dei ricchi, dell’alto clero, di latifondisti etc.. Quanto testè esposto potrebbe avere fondamento se si considera che non pochi mafiosi, in un primo tempo, accolsero Garibaldi come liberatore ed assertore di un nuovo ordine sociale e se ancora, oggi, il mafioso si ritiene, ed è considerato in determinati ambienti, "uomo d’ordine" ed "uomo d’onore",

La tesi di coloro che vorrebbero attribuire alla parola mafia il significato di forza, prestanza fisica, bellezza argomentando il fatto che in qualche rione popolare di Palermo per attribuire qualità eccellenti ai propri familiari e alle proprie cose si usa il termine “mafiuso", sembra del tutto fantasiosa; a meno che non voglia ammettersi che il termine venga usato, in simili casi, non nel significato originario bensi in quello translato.

Rimandando, per un approfondimento della questione, ai numerosi autori che di essa si sono ampliamente occupati, a giudicare dal significato che il termine “mafioso" assunse verso la fine del secolo scorso, riteniamo attendibile la tesi di coloro i quali ritengono la parola mafia di origine araba col significato di associazione di uomini con finalità di protezione dei poveri e degli umili; siffatta tesi si concilia, da un punto di vista contenutistico, con quella di coloro i quali, partendo dalla considerazione che nelle cave abbandonate di Marsala si davano convegno segreto i patrioti, attribuiscono alla parola il valore di organizzazione segreta, accentuando l'aspetto della segretezza. Diciamo, anzi, che le due tesi si integrano. Il connotato particolare della segretezza, - in proposito mi piace riportare, in gergo, due delle espressioni usate dai mafiosi alla fine del secolo che bene indicano il modo di pensare mafioso: "Nun fari Sangiuvanni cu li sbirri, nun dari cunfirenza a li mugghieri (non stringere rapporti di companatico con appartenenti alla polizia, non fare confidenze alla moglie)" "le troffi hannu l’occhi, li mura hannu l’aricchi (i cespugli hanno gli occhi e le mura hanno le orecchie)", assieme a quello del mutuo soccorso, della solidarietà attiva fra gli associati, costituisce la nota principale che caratterizza e qualifica la associazione nei primi tempi del suo apparire.

Nota di contesto: attenzione, qui il dott. Chinnici ha appena terminato di spiegare che ciò che di mafioso si trova nella storia e nella cultura popolare antica è in fondo parte dell’eterna lotta degli umili contro i potenti, ma ciò che era in antico non corrisponde assolutamente alla realtà di oggi, come si capirà andando più avanti nella lettura.

MAFIA - COMPORTAMENTO O ASSOCIAZIONE CRIMINOSA?

A nostro modo di. vedere, per meglio comprendere il fenomeno mafioso, è necessario che l'esame su di esso sia condotto con riferimento a tre distinti periodi. Un primo che va dalla Unificazione del Regno d'Italia all’avvento del fascismo, un secondo dal 1922 al 1943, un terzo dal 1943, cioè dalla fine della guerra in Sicilia, ai nostri giorni.

(...)

...come si può parlare di inesistenza della mafia come associazione se si sono avuti casi, oltre che da noi anche negli U.S.A., nei quali la Polizia ha sorpreso capimafia riuniti in convegno per prendere decisioni che investono interessi di tutta l'organizzazione?

E ancora, se la mafia non fosse associazione con strutture e gerarchie proprie, con proprie norme che regolano la vita interna, quale spiegazione si potrebbe dare alla serie interminabile di omicidi e di gravissime altri reati contro il patrimonio che per modalita di esecuzione e per il fatto che gli autori rimangono ignoti o impuniti denunciano la chiara matrice mafiosa? Come spiegare le lotte spietate, con diecine e diecine di morti, tra gruppi di mafiosi in contrasto tra loro? Non riteniamo di dire cose nuove sulla mafia. La nostra venticinquennale esperienza giudiziaria nel corso della quale ci siamo occupati di numerosi e talvolta gravi processi contro imputati di associazione a delinquere di tipo mafioso, ci autorizza ad affermare che non è né modo di sentire atavico né modo di comportamento tipico dei siciliani. In Sicilia non esiste una popolazione con lo spirito tipico del mafioso; non esiste una particolare realtà etnica e climatologica che abbia potuto determinare o favorire la insorgenza del fenomeno (enfasi nostra, ndr). Nelle provincie siciliane nelle quali tale fenomeno esiste, si riscontra, sì, un atteggiamento mafioso, ma è atteggiamento tipico e caratteristico di chi è affiliato alla mafia; non esiste nelle stesse provincie un comportamento mafioso generalizzato. Se per comportamento intendiamo un modo diffuso, naturale, quasi inconsapevole di agire nella società, laddove per atteggiamento, scelta volontaria ed individuale di azione nella societa stessa, considerato che la mafia esiste soltanto nella Sicilia Occidentale, che il numero dei mafiosi è piuttosto ristretto, parlare di mafia come "modo di essere o di comportarsi dei siciliani" è grave errore; errore frutto di superficialità e, a volte, di disinformazione.

Nota: E' importantissimo questo passaggio perché il dott. Rocco Chinnici dimostra di aver chiari gli errori dei pregiudizi etnicisti e culturalisti, dietro i quali si nascondono alcune delle peggiori trappole di autogiustificazione dello sfruttamento e dello spopolamento di tutti i territori marginali, sottoposti a processi di colonialismo.Mafiosi non si nasceribadisce in conclusione di questo paragrafo il dott. Chinnici.

(...)

LA MAFIA DAL 1860 ALL'AVVENTO DEL FASCISMO

Riprendendo le fila del nostro discorso, prima di occuparci della mafia del periodo che va dall'unificazione del Regno d'Italia alla prima guerra mondiale e all'avvento del fascismo, dobbiamo, brevemente, ma necessariamente, premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell'unificazione, non era mai esistita in Sicilia.

Qualche studioso ritiene di poter ritrovare dei precedenti ad essa riferibili, nei cosiddetti "familiares" al servizio del tribunale dell’inquisizione che godevano di particolari privilegi, primo e più importante fra tutti quello del Foro privilegiato. In concreto i "familiares" «baroni, gente de casato e persone da lui dipendenti» vivevano fuori dallo stato del quale non accettavano, né riconoscevano, l’autorità; avevano una loro giustizia e una loro amministrazione. Dubitiamo che sul piano storico possa, fondatamente, parlarsi di un collegamento tra la mafia e, anzitutto, non costituivano costoro setta segreta, Inoltre, dal tempo dell'inquisizione al 1860, di tempo ne era trascorso; si erano verificati, anche nel nostro paese, avvenimenti che avevano determinato mutamenti nelle strutture della societa. L'unificazione era stata preceduta da moti e fermenti rivoluzionari ai quali la Sicilia non era rimasta indifferente. Per noi l’associazione criminosa e criminogena denominata "mafia", con le caratteristiche peculiari che man mano saranno messe in evidenza, nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno d'Italia; nasce come struttura portante dell'economia agraria dell'epoca, come forza occulta che contrasta il potere dello stato che - se pure largamente rappresentato dalla classe conservatrice - con la sinistra laica e liberale, incomincia, anche sotto la spinta delle masse e del sottoproletariato, a propugnare riforme in diversi settori della vita socio-politica ed economica.

E' fuori dubbio, comunque, che il periodo in esame rivesta, per lo studioso, una importanza notevole. Cadute le vecchie strutture politiche, e amministrative dei diversi piccoli stati nei quali l’Italia era divisa; con l'espropriazione dei beni ecclesiastici, con il timido avvio alle costruzioni di opere pubbliche, con i moti di ribellione del 1866, con l’inizio dell'industrialiazzazione si determina nel nostro stato un clima di incertezza, di instabilità, di contrasti, soprattutto di contrasti.

Il meridione è afflitto dal brigantaggio (fenomeno che ha poco o nulla in comune con la mafia) alimentato, specie in Calabria e nelle Puglie, dalla reazione che spera in un ritorno al passato. Sono gli anni della miseria più nera, gli anni in cui le genti del sud incominciano ad emigrare in massa nei paesi delle due Americhe; in Sicilia, malgrado l’emigrazione imponente, non c’è pane per chi rimane. Il contadino, l'eterno sfruttato, lavora dall’alba al tramonto per un salario che consente di nutrirsi soltanto di pane e cipolla e la sera, di un piatto di legumi per quattordici ore al giorno, sia che zappi la vigna, che mieta il grano, stremato dalla fatica e dalla malaria, dice, in un canto popolare, oggi scomparso, che a causa del lavoro massacrante "li rini si li manciano li cani"; non possiede nulla, soltanto i pantaloni e la camicia e la "bussaca" indumenti nei quali, a seguito dei rattoppi, della stoffa originaria rimane ben poco.

La terra, ed il bestiame, sono del barone o del cavaiiere, cosi come la stamberga costruita con “pietra, e taio (fango)" e col pavimento in terra battuta, composta di unico vano, senza l’ombra di quelli che oggi noi chiamiamo servizi, nella quale.vive con la moglie ed i figli…

(...)

Miseria ed analfabetismo regnano anche nella città. Le industrie, che già nel nord Italia cominciano a nascere e a cambiare il volto della societa, nel meridione e nell'Isola appaiono come una chimera; si vive con i proventi dell’artigianato, del piccolo commercio, e nelle borgate, di agricoltura. In questa società, cosi depressa, cosi inumana, cosa fa la mafia, cosa fanno i mafiosi? La mafia, in questo periodo, assume nella vita della Sicilia Occidentale, un ruolo ben preciso; diventa incontrastata dominatrice delle campagne; protegge ed è protetta dai baroni e dai cavalieri, i quali, sono i proprietari di quasi tutte le terre coltivate e dei pascoli. Prende parte attiva alla vita politica ed amministrativa…

(…)

E’ in questa fase iniziale dello Stato unitario che la mafia assume la caratteristica di associazione criminosa e criminoggena. Il primo illecito che essa commette è quello di costituirsi in potere in contrasto con quello statale. Quale associazione segreta, al servizio della grande proprietà, non tollera fatti nuovi che possano turbare il dominio dei latifondisti. Se il contadino e l'affittuario reclamano condizioni più umane e più giuste, risponde col fucile caricato a lupara ma ha anche interessi propri da tutelare. Il mafioso di spicco è spesso gabellato (gestore per contodel grande proprietario, ndr), che cede a mezzadria o in subaffitto il fondo del barone. L’equilibrio cosi estaurato che gli procura ricchezza e prestigio, non può né deve essere turbato; chi osa paga con la vita. In questo momento storico la mafia incomincia ad interessare lo studioso - sociologo o criminologo - e lo stato, perché è proprio tra gli anni '70 e '80 (dell’Ottocento, ndr) che essa si afferma come associazione con incidenza notevole nel tessuto sociale di buona parte dell'Isola. Legata, come abbiamo visto, ai ricchi proprietari terrieri e ai signori, dei quali tutela gli interessi, diventa indispensabile strumento di costoro anche in occasione delle elezioni politiche e amministrative e se in taluni centri non si raggiungono determinati equilibri si verificano, allora, all'interno di essa delle spaccature: conseguono danneggiamenti di viti e di alberi da frutta e non di rado omicidi; nelle elezioni comunali impone candidati propri; gli eletti saranno gli amministratiri del comune.

Abbiamo detto che il mafioso, in questo periodo storico, è il vero padrone della terra. Sorgono, sul finire del secolo, le prime cooperative di lavoratori della terra; nascono i fasci di rinnovamento per il riscatto dei contadini, per una più giusta e più umana condizione di vita.

Il mafioso, sulle prime, appare indeciso; qualcuno, ma sempre per libidine di potere e solo per poco tempo, aderisce ai fasci di rinnovamento. Subito, però, prevale la vocazione conservatrice e reazionaria. Entra in azione il fucile a canne mozze, caricato a lupara: cadono così sotto i colpi dell’arma terribile, che diventerà poi simbolo della mafia, decine e decine di contadini che, affamati di terra e di giustizia, hanno il torto di organizzarsi, per affermare, al cospetto di una classe privilegiata e di uno stato che di essa è espressione, il diritto ad una maggiore giustizia sociale. I fasci hanno ‘breve durata. Mafia e potere centrale riescono a soffocare, laddove sono sorti, i movimenti di ribellione. La pace, quella voluta dalla classe privilegiata, ritorna nelle campagne.

(...)

Nota: Qui il dott. Chinnici ci descrive in modo vivace quanto accade in tutti i territori che si ritrovano sotto una dominazione alta, lontana, estranea. Le elite dominanti vengonorapidamente cooptateall’interno del nuovo potere politico. Sotto di loro un ceto di ascari violenti tiene a bada gli umili. Attenzione, però, si sta parlandoancoradi squadracce che assumono il controllo di porzioni di territori rurali e periferici. Non si sta ancora parlando della mafia contemporanea.

LA MAFIA DURANTE IL VENTENNIO FASCISTA

Il regime fascista, fondato sulla violenza, non poteva tollerare la mafia; due galli nel pollaio della Sicilia Occidentale non potevano stare. E non rimasero a lungo.

(...)

Nota: in questo paragrafo il dott. Chinnici riassume come le mafie partecipino prima alla repressione dei moti sociali dopo la tragedia della Grande guerra, poi si posizionino, come tutti i ceti dominanti, a sostegno del fascismo. Infine, con l’arrivo in Sicilia del prefetto Mori, il regime si sbarazza della manovalanza mafiosa, con i metodi spicci dello stato di polizia fascista. E’ una vittoria effimera, ovviamente, perché tutti i privilegiati conservano le loro posizioni, sostituendo la violenza mafiosa con quella fascista. Questo non toglie che un certo numero di persone della mafia si rifiuti di aderire al regime.

Mori é stato definito "il prefetto di ferro". - annota non senza amarezza il dott. Chinnici in questo paragrafo - Senza volere togliere meriti a nessuno, riteniamo che qualsiasi funzionario di P.S. o ufficiale dei C.C. con quei poteri, con quei mezzi, con quei sistemi e nel clima di terrore che seguì alle prime retate, avrebbe raggiunto gli stessi risultati del Mori. Non possiamo andare oltre senza dare una risposta a quanti potrebbero chiederci se, prima o dopo le retate, ci furono mafiosi che aderirono al fascismo. Premesso che la mafia, come associazione, non ha mai fatto scelte politiche definitive, essa, necessariamente, sta dalla parte di chi detiene il potere.

(...)

LA MAFIA DOPO LA CADUTA DEL FASCISMO

Arriviamo al luglio 1943. Le truppe alleate incominciano l’occupazione del territorio nazionale partendo dalla Sicilia dove sbarcano, dopo terrificanti attacchi aerei e navali. In poco tempo tutta l'Isola é "liberata". L’AMGOT (Allied Military Government of Occupied Territories,ndr), nei comuni della Sicilia occidentale, pone a capo delle amministrazioni mafiosi rientrati da poco dal confino o loro familiari che diventano campioni dell'anti-fascismo. Andrea Finocchiaro Aprile, che per tutto il ventennio nessuno aveva visto in Sicilia, essendo egli rimasto nella capitale ove esercitava la libera professione forense, agita la bandiera giallo rossa del separatismo. La mafia delle quattro provincie della Sicilia occidentale, o gran parte di essa, è con lui; crede nelle sue affermazioni e nelle sue promesse.

Nota: In questo passaggio il dott. Chinnici, come abbiamo detto molto distante dalla parabola del sicilianismo, parla di ciò che resta della manovalanza mafiosa che era stata anch’essa perseguitata dal fascismo e di quella mafia che aveva cooperato con gli Alleati. A questo punto della storia siciliana, questo è la mafia, non quella che sarà dopo.

Nelle file del separatismo occidentale militano i familiari del bandito Giuliano; questi autodenominatosi colonnello dell 'EVIS (Esercito Volontario per l'Indipendenza Siciliana) si schiera assieme ai componenti la banda accanto a quel pugno di giovani idealisti che nulla hanno a che fare con la mafia e col banditismo e che cadranno, poi, in conflitto con le forze dell'ordine o finiranno in galera. Lentamente incominciano ad organizzarsi i partiti politici che oggi chiamiamo dell'arco costituzionale; previa autorizzazione dell'AMGOT ogni partito incomincia a pubblicare il proprio giornale. Noi, allora diciottenni, scopriamo un mondo fino allora sconosciuto: ci avevano detto che bisognava “credere obbedire combattere", ci avevano insegnato che il duce aveva sempre ragione. Per la prima volta ci fu dato di scoprire la libertà e provammo lo stesso stupore di Ciaula quando vide la luna. La satira pungente del "Becco giallo", gli attacchi anche sul piano personale che uomini politici di primo piano si muovevano reciprocamente nei giornali di partito, rimasero a lungo impressi nella nostra memoria.

E’ il grande momento della mafia (ritorna l’ordine sociale garantito dallo stato, ci permettiamo di commentare, ndr). Ritorna nei feudi e nei giardini estromettendo con la forza gli affittuari e i mezzadri. Qualcuno tenta di resistere, ma viene inesorabilmente eliminato. Non esercita vendetta nei confronti degli ex fascisti che pure avevano avuto un ruolo non secondario nelle "retate" del prefetto Mori; in alcuni centri del Palermitano, nei giorni che seguirono l'ingresso delle truppe alleate, si limita a spingere al saccheggio delle dimore degli ex gerarchi la folla; non ricordiamo casi di ex podesta o segretari del partito uccisi dai mafiosi dopo la liberazione dell’Isola; forse - ma la notizia dovrebbe essere controllata - un caso si ebbe in un comune del trapanese.

(...)

Incomincia, tra difficoltà di ogni genere, l'opera di ricostruzione. Come è noto, durante il periodo bellico, le distruzioni:maggiori si ebbero sulle città; è qui che si profilano possibilità di grossi guadagni. La mafia lo intuisce. Non abbandona ancora le:campagne dove, contrastando le lotte dei contadini, organizzate e guidate da esponenti politici di primissimo piano, riesce a mantenere il predominio; si prepara, però, ad inserirsi nelle citta. Elezioni regionali del 1947, affermazione del "Blocco del Popolo", che raggruppa partiti laici e di sinistra. La mafia ha compreso che il movimento separatista ha perduto la sua battaglia (del resto nessun siciliano aveva mai pensato al successo di un movimento i cui aderenti predicavano odio "contro i tiranni italici" ed aggredivano che non era con loro). Voluta dalla Democrazia Cristiana e dai partiti laici era nata frattanto la Regione.

E’ il momento storico più-importante della mafia che entra nelle file di quasi tutti i partiti che hanno rappresentanti al parlamento regionale.

(...)

Nota: In queste righe si comprende che il dott. Chinnici aveva i suoi pregiudizi contro il regionalismo, anche quello più moderato, ma questo non toglie nulla allo spessore delle sue riflessioni sulla criminalità organizzata. Più avanti rievoca come la mafia contribuisca alla liquidazione del bandito Giuliano e chiosa:La leggenda che vuole i mafiosi uomini rispettosi dell'ordine costituito trova conferma.

Incomincia, intanto, la ricostruzione del paese. Palermo, capoluogo dell'Isola, sede del parlamento e del governo regionale, subì negli anni della guerra bombardamenti a tappeto che distrussero tutta la zona portuale e cagionarono danni notevoli in quasi tutti i quartieri.

Si arriva agli anni cinquanta. Il potere della mafia si é manifestato, come abbiamo visto, fino a quegli anni, nelle campagne. Rizzotto, Miraglia, sono nomi di sindacalisti caduti assieme a decine di contadini sotto i colpi della mafia, che vede, come nel passato, nelle lotte dei sindacalisti e dei partiti che li sostengono, un attacco alle proprie istituzioni. La fame di terra dei contadini rimane come sempre inappagata. La riforma agraria, che nelle previsioni del legislatore avrebbe [qui nel testo c’è una lacuna, ndr] consentiranno mai ai contadini di poter trarre da essi i mezzi di vita; quelli rimasti ai grossi proprietari terrieri o al mafioso di spicco, essendo i migliori sotto ogni aspetto, diventano aziende agricole modello sulle quali la presenza del mafioso é ancora oggi attiva.

Nelle città incomincia - disordinata e caotica - la ricostruzione e l’espansione edilizia. La mafia delle città e delle borgate comprende che ha dinanzi a sé nuove e inesauribili fonti di ricchezza; su questa fase - ci avviamo agli anni sessanta - la sua azione si svolge in diverse direzioni: commercio e mediazione delle aree fabbricabili, interventi presso le amministrazioni e gli uffici per la concessione delle licenze e degli appalti, imposizioni di tangenti agli imprenditori, gestione diretta di imprese di costruzione. Cosi come era avvenuto per le campagne, nessun ostacolo essa incontra nella sua attività; ha raggiunto attraverso il ruolo svolto nelle elezioni amministrative regionali e politiche, tali risultati che può accedere presso tutti gli uffici pubblici e ottenere tutto quello che chiede. Del resto non sono pochi i pubblici dipendenti ad essa legati per rapporti di parentela o di interessi. Cosi, con costruzioni sorte senza licenza o con licenza, che violano apertamente gli strumenti edilizi, vengono messi "a sacco" Palermo e i vicini comuni. Incominciano, in questo periodo di tempo, a Palermo, a delinearsi ed esplodere i contrasti fra due gruppi di mafia che fino agli anni sessanta avevano avuto modo di rafforzare le loro sfere di influenza. Sono i gruppi Greco e Torretta di Palermo che hanno trasferito i loro centri di interessi dagli agrumeti alle aree edificabili. Fallita la opera di mediazione e di pacificazione di mafiosi di prestigio, è il momento degli omicidi, delle stragi, delle terribili vendette. I morti per le vie di Palermo e nelle vicine borgate si contano a decine. Si sviluppano contrasti per il dominio nella zona dei Cantieri Navali e dei Mercati Ortofrutticoli. Strage di Ciaculli. Si reclama l’intervento dello Stato. La mafia ha cambiato volto, Fino agli anni sessanta essa ha avuto nelle quattro provincie della Sicilia occidentale due precisi obiettivi: 1) l’arricchimento, con qualsiasi mezzo, degli associati; 2) il mantenimento, nelle campagne, di strutture che potessero consentirle il controllo sulla economia agraria, ai danni dei contadini a vantaggio del latifondista, ma, sopratutto, proprio. Fino agli anni sessanta, in conecreto, essa fu un potere che agì in modo rilevante nella societa agricola in contrapposizione a quello statale. Ciò sulla scia di una tradizione che voleva la mafia “elemento di ordine”.

A partire dal 1960 le aumentate fonti di arricchimento - sempre e comunque illecite - i collegamenti con le analoghe organizzazioni di oltre oceano, fanno di essa un’associazione criminosa di tipo gangsteristico.

(...)

Nota: Stavolta è arrivata davvero, spiega il dott. Chinnici, una “nuova mafia”.

...la mafia siciliana, dopo gli anni sessanta, sullo esempio di quella americana oltre ad allargare la sfera delle attivita illecite, ispirandosi ad essa, compie una penetrazione più incisiva nell’apparato e nelle amministrazioni pubbliche. E’ questa una azione necessaria se si considera che essa oramai, come copertura delle attività delinquenziali, altre ne svolge. che hanno il crisma apparente della legalità. Appalti per costruzione di opere pubbliche vengono quasi sempre aggiudicati ad imprenditori mafiosi o ad imprese che corrispondono alla mafia tangenti consistenti. Le imprese del Nord, quelle locali che non vogliono sottostare al ricatto, subiscono gravi atti intimidatori cui seguono dannggiamenti.

Il rapporto mafia - pubblica amministrazione assume aspetti emblematici ed inquietanti. Enti pubblici sono permeati dal potere mafioso; le opere pubbliche costano al contribuente molto più di quanto dovrebbero. Laddove il potere mafioso non riesce a penetrare con i metodi tradizionali - clientelari o.violenti – riesce a volte corrompendo. "Cosa Nostra" fa scuola.

(…)

La mafia con le caratteristiche nuove che abbiamo visto sposta il campo di azione nelle zone della Italia industrializzata. Sequestri di persona che rendono miliardi. Collegamenti con la "ndrangheta" calabrese, cosi come anni prima, per ragioni di contrabbando, c'erano stati con la camorra napoletana. E’ la nuova mafia, spregiudicata, spietata, assetata di potenza e di ricchezza, che non conosce più confini alle proprie azioni e non riconosce vecchi canoni e vecchi schemi. La lotta per il predominio pur continuando a permanere nel capoluogo dell'Isola si sposta anche nel Nord. A Milano cadono sotto i colpi delle micidiali "Colt Cobra", che sembra l'arma corta preferita dai giovani della nuova mafia, mafiosi di "rispetto". Continua ai giorni d’oggi nella carenza ed insufficienza dello Stato, l’azione pluridirezionale della mafia. I morti, nella Sicilia occidentale, si.contano a diecine e diecine. All'assemblea regionale, così come in passato, forze politiche tradizionalmente democratiche che da sempre combattono le associazione mafiose, hanno, in questi giorni, chiesto al Governo centrale di dare attuazione ai rimedi ed ai suggerimenti proposti dalla Commissione Antimefia. Il delicato momento politico ci induce a ritenere che il fenomeno mafioso non sarà affrontato con l'adozione di quelle misure – non soltanto restrittive – che da anni si invocano. E la Sicilia occidentale continua a rimanere vittima di situazioni che suonano offesa alla civiltà.

Nota: Qui si chiude la relazione del 1978 e già è chiaro che le mafie sono diventate concentrazioni di potere che si dilatano quanto si dilatano gli stati e i mercati. Passiamo ad ascoltare alcune delle considerazioni dalla relazione Chinnici-Mannino del 1983.

LA MAFIA OGGI E SUA COLLOCAZIONE NEL PIÙ VASTO FENOMENO DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

di Rocco Chinnici e Saverio Mannino – giugno 1983

PREMESSA

(…)

Le forme associative ricordate hanno in comune lo scopo di arricchimenti personali con mezzi illeciti (di regola rispondenti al fine, ma non esclusivi dello stesso omicidio) per cui assumono una metodologia di tipo parassitario, che si esprime nella tendenza all’infiltrazione nell’ambiente sociale e nelle istituzioni dello Stato per distorcerne l’azione dai fini pubblici a loro proprio vantaggio.

Questo elemento è certamente presente anche nella camora (…) come gli avvenimenti odierni (caso Cirillo) dimostrano con l’inquietante costatazione e dei contatti fra camorra e terrorismo e della compromissione dei pubblici poteri nell’utilizzazione dell’azione intermediatrice della camorra per trattare col terrorismo.

(…)

LA MAFIA SICILIANA

(…)

Nota: Il documento ricorda come si fosse rintuzzata la violenza mafiosa, con azioni di repressione e iniziative politiche e sociali, nel primo dopoguerra, ma poi la mafia torna a dilagare quando diventa narcomafia. Il proibizionismo è un terreno scivoloso, di grande arricchimento e corruzione. La narcomafia fa un salto di qualità.

...Già agli inizi e a metà degli anni sessanta (…) la mafia pur continuando a gestire il contrabbando di tabacchi lavorati esteri, a controllare il mercato delle aree edificabili e delle acque per uso irriguo, a ricattare commercianti, imprenditori, agricoltori, pur facendo avvertire pesantemente la sua presenza nella vita politica ed amministrativa attraverso collegamenti con il potere, aveva iniziato una attività nuova, il commercio di cocaina, eroina e di altri stupefacenti.

(…)

…I processi (…) provano, in modo inequivocabile, che esistono strettissimi legami tra le organizzazioni mafiose delle tre regioni: dimostrano, anche, che tali organizzazioni, nella produzione e nel commercio dell’eroina, sono in rapporti con le organizzazioni internazionali, segnatamente con le famiglie mafiose d’origine siculo-calabrese-napoletana, destinatarie dell’eroina prodotta in Sicilia e in Calabria ed operanti negli USA e nel Canadà.

(…)

Nota: Il documento descrive un potere economico che però non ha affatto rinunciato a condizionare fortemente la politica e gli organi dello stato (o meglio degli stati).

L’omicidio del Presidente della Regione Piersanti Mattarella, caduto nel tentativo generoso di dare un volto nuovo alle pubbliche istituzioni e nel momento in cui, predisponendo le necessarie riforme, stava per passare [d]alla enunciazione di linee programmatiche dirette ad estromettere mafia e sistemi mafiosi dai gangli vitali della Regione, alla realizzazione delle stesse, costituisce la drammatica riprova della validità della tesi… (…) …la mafia, oggi come nel passato, non può mantenere posizioni di rilievo… se, forte della potenza economico-finanziaria raggiunta, allenta i vincoli che la legano al potere.

(…)

...oggi le associazioni mafiose (camorra e ‘ndrangheta comprese) hanno assunto un ruolo assai importante anche nell’ambito della criminalità organizzata internazionale… (…) “La multinazionale della droga” non è espressione giornalistica, né è priva di significato.

Nota: Continuano poi con riflessioni sulla globalizzazione di questo potere, con la sua capacità di inquinare la vita non solo finanziaria ma anche politica, fin negli Stati Uniti e in Sudamerica.

(…)

La lotta alla mafia deve partire dagli aspetti morfologici del fenomeno: contro l’infiltrazione mafiosa è necessario l’avvio di un processo di disinquinamento seguendo i principi di una bonifica sociale… (…)...la mafia non recluta solo nelle carceri, ma dovunque si ponga ai giovani la scelta fra l’emarginazione e il prestigio, il ruolo sociale, il denaro facile, la carriera ed il successo – pur con gli enormi rischi connessi – del mafioso.

Nota: Pur entro i limiti della loro posizione come amministratori di giustizia, gli autori proseguono facendo cenno alla necessità di riforme contro il notabilito elettorale, gli abusi di posizione dominante nei media e nel finanziamento della politica, l’infiltrazione mafiosa nei corpi e nei poteri dello stato, i subappalti, le esternalizzazioni, le confische degli arricchimenti improvvisi e potenzialmente illeciti. Tutte battaglie che ad oggi restano incompiute e che devono essere che al centro dell’azione politica di noi decentralisti, che siamo ostili a tutte le concentrazioni di potere politico ed economico. Concentrazioni che sono, intrinsecamente, congeniali e funzionali al continuo riformarsi di centrali di potere mafioso.

Vorremmo chiudere sommessamente, ma non senza durezza: noi decentralisti dobbiamo fare ciò che le persone che hanno una mentalità centralista, sicuritaria, autoritaria, non riusciranno mai a fare. Tocca a noi aprire nei nostri territori un’approfondita riflessione su quanto le narcomafie e gli stati centralisti e autoritari si compenetrano, s’inquinano e, in definitiva, si rafforzano a vicenda, aprendo dibattiti seri sui proibizionismi (su ciò che è permesso a tutti e ciò che invece è permesso solo ai criminali). Tocca a noi impedire che i beni comuni, in particolare ambiente, cultura, alimentazione, salute, siano messi sul mercato, perché nella globalizzazione qualcuno che ha abbastanza fondi – legali o illegali – per impadronirsene e controllarli, purtroppo, si troverà sempre. Tocca a noi impedire che il potere politico si concentri in così poche mani, che sia sufficiente la corruzione di un solo vertice o di un solo ufficio, per condurre in rovina interi territori.

L’immenso dolore delle vittime di mafia potrà trovare consolazione solo in seno alla Provvidenza, ma il qui e l’ora della giustizia, se vogliamo onorare Piersanti Mattarella, Pio La Torre, Rocco Chinnici e tutti gli altri martiri delle narcomafie in tutto il mondo, fanno parte del nostro compito autonomista.

* * *

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Cresce nell'esagono l'aspirazione all'autogoverno dei territori

Anche in Francia, l'esagono, lo stato modello di ogni centralismo giacobino e napoleonico, ci sono aspirazioni al decentramento, all'autonomia, al pieno autogoverno delle colonie interne e dei territori d'oltremare.

Nell'Assemblea  nazionale appena rieletta queste istanze saranno rappresentate dal gruppo "Libertés Indépendants Outre-mer et Territoires" (LIOT), composto da 16 deputati (un numero destinato a crescere).

Non meraviglia la collaborazione fra anticolonialisti e moderati esponenti del regionalismo, per chi conosce la storia e la cultura politica francese.

Nella storia del socialismo liberale e moderato francese spicca l'esperienza della « deuxième gauche » di Michel Rocard e del rapporto del 1966 "Décoloniser la province : la vie régionale en France", erede di una tradizione che qualcuno si spinge a ricollegare fino al pensiero girondino nel periodo rivoluzionario.

Fra i moderati nessuno può dimenticare che lo stesso generale Charles De Gaulle tentò la regionalizzazione della Repubblica, per liberarla dalle catene del centralismo burocratico.

Più recentemente, la rete dei decentralisti e localisti francesi, la federazione Régions et Peuples Solidaires ha saputo allargare la propria capacità di dialogo politico e collaborazione sia fra i politici locali delle province, che fra gli ecologisti, che fra i nuovi movimenti civici.

Ricordiamo anche che gli eletti del gruppo LIOT sono tutti eletti in collegi uninominali, quindi sono persone fortemente radicate nei loro territori, esperte, provate e stimate.

Qui alcuni articoli di approfondimento di questa originale e felice esperienza di collaborazione fra decentralisti di diversa origine, storia, cultura:

https://france3-regions.francetvinfo.fr/corse/assemblee-nationale-creation-du-groupe-libertes-independants-outre-mer-et-territoires-2572132.html

https://fr.wikipedia.org/wiki/Groupe_Libert%C3%A9s,_ind%C3%A9pendants,_outre-mer_et_territoires

 

 

Dalla parte della Corsica

Autonomie e Ambiente sta dalla parte del popolo còrso, che deve avanzare nel proprio cammino verso il pieno autogoverno della sua terra, la Corsica.

Esprimiamo solidarietà a tutte le vittime, passate e presenti, del centralismo dello stato francese. Il colonialismo interno deve finire, in Francia come ovunque. La persecuzione politico-giudiziaria di chi lotta per il proprio autogoverno deve terminare. L'esistenza stessa di prigionieri politici, per non parlare del loro maltrattamento, è una vergogna da cancellare.

Siamo affranti per i tragici fatti che hanno ridotto in fin di vita Yvan Colonna.

Vogliamo condividere il cauto ottimismo del leader di Femu a Corsica e presidente della istituzione di autogoverno, Gilles Simeoni, che ha dichiarato che siamo di fronte a un momento storico, ma che occorre fermezza. Il rischio che da Parigi arrivino solo parole da parte di un presidente screditato in cerca della sua rielezione, è grande.

Insieme alle forze sorelle di tutta Europa seguiamo con partecipazione l'evolversi della situazione politica in Corsica:

https://e-f-a.org/2022/03/03/assassination-attempt-colonna-corsican/

https://www.federation-rps.org/

https://www.femuacorsica.corsica/fr/

 

 

La controstoria di don Milani, contro militarismo, colonialismo e retoriche patriottarde

  • Autore: lettura di don Lorenzo Milani, nel centenario della nascita - Barbiana del Mugello, 27 maggio 2023

Ha rovesciato i potenti dai troni, Ha innalzato gli umili;(Luca 1,52)

Per onorare il centenario della nascita di don Lorenzo Milani (27 maggio 1923-2023), rileggiamo la sua “controstoria” dello stato italiano, estratta dalla sua lettera del 1965 ai cappellani militari toscani, in difesa degli obiettori di coscienza, in polemica con ogni forma di militarismo, colonialismo, imperialismo.

(…)

L'obiezione in questi 100 anni di storia l'han conosciuta troppo poco. L'obbedienza, per disgrazia loro e del mondo, l'han conosciuta anche troppo.

Scorriamo insieme la storia. Volta volta ci direte da che parte era la Patria, da che parte bisognava sparare, quando occorreva obbedire e quando occorreva obiettare.

1860. Un esercito di napoletani, imbottiti dell'idea di Patria, tentò di buttare a mare un pugno di briganti che assaliva la sua Patria. Fra quei briganti c'erano diversi ufficiali napoletani disertori della loro Patria. Per l'appunto furono i briganti a vincere. Ora ognuno di loro ha in qualche piazza d'Italia un monumento come eroe della Patria.

A 100 anni di distanza la storia si ripete: l'Europa è alle porte.

La Costituzione è pronta a riceverla: "L'Italia consente alle limitazioni di sovranità necessarie...". I nostri figli rideranno del vostro concetto di Patria, così come tutti ridiamo della Patria Borbonica. I nostri nipoti rideranno dell'Europa. Le divise dei soldati e dei cappellani militari le vedranno solo nei musei.

La guerra seguente, 1866, fu un'altra aggressione. Anzi c'era stato un accordo con il popolo più attaccabrighe e guerrafondaio del mondo per aggredire l'Austria insieme.

Furono aggressioni certo le guerre (1867-1870) contro i Romani i quali non amavano molto la loro secolare Patria, tant'è vero che non la difesero. Ma non amavano molto neanche la loro nuova Patria che li stava aggredendo, tant'è vero che non insorsero per facilitarle la vittoria. Il Gregorovius spiega nel suo diario: "L'insurrezione annunciata per oggi, è stata rinviata a causa della pioggia".

Nel 1898 il Re "Buono" onorò della Gran Croce Militare il generale Bava Beccaris per i suoi meriti in una guerra che è bene ricordare. L'avversario era una folla di mendicanti che aspettavano la minestra davanti a un convento a Milano. Il Generale li prese a colpi di cannone e di mortaio solo perché i ricchi (allora come oggi) esigevano il privilegio di non pagare tasse. Volevano sostituire la tassa sulla polenta con qualcosa di peggio per i poveri e di meglio per loro. Ebbero quel che volevano. I morti furono 80, i feriti innumerevoli. Fra i soldati non ci fu né un ferito né un obiettore. Finito il servizio militare tornarono a casa a mangiar polenta. Poca perché era rincarata.

Eppure gli ufficiali seguitarono a farli gridare "Savoia" anche quando li portarono a aggredire due volte (1896 e 1935) un popolo pacifico e lontano che certo non minacciava i confini della nostra Patria. Era l'unico popolo nero che non fosse ancora appestato dalla peste del colonialismo europeo.

Quando si battono bianchi e neri siete coi bianchi? Non vi basta di imporci la Patria Italia? Volete imporci anche la Patria Razza Bianca? Siete di quei preti che leggono la Nazione? Stateci attenti perché quel giornale considera la vita d'un bianco più che quella di 100 neri. Avete visto come ha messo in risalto l'uccisione di 60 bianchi nel Congo, dimenticando di descrivere la contemporanea immane strage di neri e di cercarne i mandanti qui in Europa?

Idem per la guerra di Libia.

Poi siamo al '14. L'Italia aggredì l'Austria con cui questa volta era alleata.

Battisti era un Patriota o un disertore? È un piccolo particolare che va chiarito se volete parlare di Patria. Avete detto ai vostri ragazzi che quella guerra si poteva evitare? Che Giolitti aveva la certezza di poter ottenere gratis quello che poi fu ottenuto con 600.000 morti?

Che la stragrande maggioranza della Camera era con lui (450 su 508)? Era dunque la Patria che chiamava alle armi? E se anche chiamava, non chiamava forse a una "inutile strage"? (l'espressione non è d'un vile obiettore di coscienza ma d'un Papa canonizzato).

Era nel '22 che bisognava difendere la Patria aggredita. Ma l'esercito non la difese. Stette a aspettare gli ordini che non vennero. Se i suoi preti l'avessero educato a guidarsi con la Coscienza invece che con l'Obbedienza "cieca, pronta, assoluta" quanti mali sarebbero stati evitati alla Patria e al mondo (50.000.000 di morti). Così la Patria andò in mano a un pugno di criminali che violò ogni legge umana e divina e riempiendosi la bocca della parola Patria, condusse la Patria allo sfacelo. In quei tragici anni quei sacerdoti che non avevano in mente e sulla bocca che la parola sacra "Patria", quelli che di quella parola non avevano mai voluto approfondire il significato, quelli che parlavano come parlate voi, fecero un male immenso proprio alla Patria (e, sia detto incidentalmente, disonorarono anche la Chiesa).

Nel '36 50.000 soldati italiani si trovarono imbarcati verso una nuova infame aggressione: Avevano avuto la cartolina di precetto per andar "volontari" a aggredire l'infelice popolo spagnolo.

Erano corsi in aiuto d'un generale traditore della sua Patria, ribelle al suo legittimo governo e al popolo suo sovrano. Coll'aiuto italiano e al prezzo d'un milione e mezzo di morti riuscì a ottenere quello che volevano i ricchi: blocco dei salari e non dei prezzi, abolizione dello sciopero, del sindacato, dei partiti, d'ogni libertà civile e religiosa.

Ancor oggi, in sfida al resto del mondo, quel generale ribelle imprigiona, tortura, uccide (anzi garrota) chiunque sia reo d'aver difeso allora la Patria o di tentare di salvarla oggi. Senza l'obbedienza dei "volontari" italiani tutto questo non sarebbe successo.

Se in quei tristi giorni non ci fossero stati degli italiani anche dall'altra parte, non potremmo alzar gli occhi davanti a uno spagnolo. Per l'appunto questi ultimi erano italiani ribelli e esuli dalla loro Patria. Gente che aveva obiettato.

Avete detto ai vostri soldati cosa devono fare se gli capita un generale tipo Franco? Gli avete detto che agli ufficiali disobbedienti al popolo loro sovrano non si deve obbedire?

Poi dal '39 in là fu una frana: i soldati italiani aggredirono una dopo l'altra altre sei Patrie che non avevano certo attentato alla loro (Albania, Francia, Grecia, Egitto, Jugoslavia, Russia).

Era una guerra che aveva per l'Italia due fronti. L'uno contro il sistema democratico. L'altro contro il sistema socialista. Erano e sono per ora i due sistemi politici più nobili che l'umanità si sia data.

L'uno rappresenta il più alto tentativo dell'umanità di dare, anche su questa terra, libertà e dignità umana ai poveri.

L'altro il più alto tentativo dell'umanità di dare, anche su questa terra, giustizia e eguaglianza ai poveri.

Non vi affannate a rispondere accusando l'uno o l'altro sistema dei loro vistosi difetti e errori. Sappiamo che son cose umane. Dite piuttosto cosa c'era di qua dal fronte. Senza dubbio il peggior sistema politico che oppressori senza scrupoli abbiano mai potuto escogitare. Negazione d'ogni valore morale, di ogni libertà se non per i ricchi e per i malvagi. Negazione d'ogni giustizia e d'ogni religione. Propaganda dell'odio e sterminio d'innocenti. Fra gli altri lo sterminio degli ebrei (la Patria del Signore dispersa nel mondo e sofferente).

Che c'entrava la Patria con tutto questo? e che significato possono più avere le Patrie in guerra da che l'ultima guerra è stata un confronto di ideologie e non di patrie?

Ma in questi cento anni di storia italiana c'è stata anche una guerra "giusta" (se guerra giusta esiste). L'unica che non fosse offesa delle altrui Patrie, ma difesa della nostra: la guerra partigiana.

Da un lato c'erano dei civili, dall'altra dei militari. Da un lato soldati che avevano obbedito, dall'altra soldati che avevano obiettato.

Quali dei due contendenti erano, secondo voi, i "ribelli", quali i "regolari"?

È una nozione che urge chiarire quando si parla di Patria. Nel Congo p. es. quali sono i "ribelli"?

Poi per grazia di Dio la nostra Patria perse l'ingiusta guerra che aveva scatenato. Le Patrie aggredite dalla nostra Patria riuscirono a ricacciare i nostri soldati.

Certo dobbiamo rispettarli. Erano infelici contadini o operai trasformati in aggressori dall'obbedienza militare. Quell'obbedienza militare che voi cappellani esaltate senza nemmeno un "distinguo" che vi riallacci alla parola di San Pietro: "Si deve obbedire agli uomini o a Dio?". E intanto ingiuriate alcuni pochi coraggiosi che son finiti in carcere per fare come ha fatto San Pietro.

In molti paesi civili (in questo più civili del nostro) la legge li onora permettendo loro di servir la Patria in altra maniera. Chiedono di sacrificarsi per la Patria più degli altri, non meno. Non è colpa loro se in Italia non hanno altra scelta che di servirla oziando in prigione.

Del resto anche in Italia c'è una legge che riconosce un'obiezione di coscienza. È proprio quel Concordato che voi volevate celebrare. Il suo terzo articolo consacra la fondamentale obiezione di coscienza dei Vescovi e dei Preti.

In quanto agli altri obiettori, la Chiesa non si è ancora pronunziata né contro di loro né contro di voi. La sentenza umana che li ha condannati dice solo che hanno disobbedito alla legge degli uomini, non che son vili. Chi vi autorizza a rincarare la dose? E poi a chiamarli vili non vi viene in mente che non s'è mai sentito dire che la viltà sia patrimonio di pochi, l'eroismo patrimonio dei più?

Aspettate a insultarli. Domani forse scoprirete che sono dei profeti. Certo il luogo dei profeti è la prigione, ma non è bello star dalla parte di chi ce li tiene.

Se ci dite che avete scelto la missione di cappellani per assistere feriti e moribondi, possiamo rispettare la vostra idea. Perfino Gandhi da giovane l'ha fatto. Più maturo condannò duramente questo suo errore giovanile. Avete letto la sua vita?

Ma se ci dite che il rifiuto di difendere se stesso e i suoi secondo l'esempio e il comandamento del Signore è "estraneo al comandamento cristiano dell'amore" allora non sapete di che Spirito siete! che lingua parlate? come potremo intendervi se usate le parole senza pesarle? se non volete onorare la sofferenza degli obiettori, almeno tacete!

Auspichiamo dunque tutto il contrario di quel che voi auspicate: Auspichiamo che abbia termine finalmente ogni discriminazione e ogni divisione di Patria di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise che morendo si son sacrificati per i sacri ideali di Giustizia, Libertà, Verità.

Rispettiamo la sofferenza e la morte, ma davanti ai giovani che ci guardano non facciamo pericolose confusioni fra il bene e il male, fra la verità e l'errore, fra la morte di un aggressore e quella della sua vittima.

Se volete diciamo: preghiamo per quegli infelici che, avvelenati senza loro colpa da una propaganda d'odio, si son sacrificati per il solo malinteso ideale di Patria calpestando senza avvedersene ogni altro nobile ideale umano.

Don Lorenzo Milani

* * *

Testo estratto dalla pubblicazione “L' obbedienza non è più una virtù”Documenti del processo a don Lorenzo Milani

Prima edizione: Firenze, Libreria editrice fiorentina, 1965. Nel 1994 uscì l'edizione a cura del giornalista viterbese Carlo Galeotti per i tipi di Nuovi Equilibri/Stampa Alternativa di Viterbo, da cui è stato estratto un testo elettronico integralmente disponibile in rete con la licenza specificata al seguente indirizzo: http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

 Altra fonte: https://www.famigliacristiana.it/articolo/l-obbedienza-non-e-piu-una-virtu-il-testo-di-don-lorenzo-milani.aspx

 Altre informazioni: https://it.wikipedia.org/wiki/L%27obbedienza_non_%C3%A8_pi%C3%B9_una_virt%C3%B9

 

Questo formidabile scritto ci rivela un don Milani gigantesco, connesso con le più avanzate forme di critica sociale e politica del suo tempo. Scrive Gabriele Arosio (su Riforma.it) che don Milani ha condiviso con altri grandi del secolo XX la convinzione che si possa cambiare il mondo cominciando da una delle periferie della grande storia: Danilo Dolci, prima a Trappeto e poi a Partinico; Franco Basaglia, prima a Gorizia e poi a Trieste; Adriano Olivetti a Ivrea; Tullio Vinay, pastore valdese, che scelse Riesi per la sua agape evangelica. Che poi è la storia vissuta da molti pionieri del nostro civismo ambientalista e territorialista: cominciare a cambiare il mondo cominciando dal proprio posto, in una comunità circoscritta e unita da una originale cultura vernacolare, con un senso del limite che esalta la nostra condizione umana, nell'intimità di una terra che possiamo conoscere e servire davvero nella breve parabola della nostra vita. Tornando a don Milani, basta visitare Barbiana e vedere com'era la sua scuola, leggere le carte geografiche, frugare nella sua biblioteca e fra i supporti didattici che utilizzava per i ragazzi, per capire quanto quest'uomo fosse avanti rispetto ai suoi tempi. Alessandro Mazzerelli, pioniere di solidarismo locale e autonomismo toscano, nelle sue memorie racconta di un pensiero audace che gli fu consegnato da don Milani, l'auspicio, cioè, che tutte le grandi potenze scomparissero e che al loro posto il mondo si popolasse di “ventimila sammarini” (“Ho seguito don Lorenzo Milani profeta della terza via”, Rimini : Il cerchio, 2007, pag. 31). Questo ricordo di don Lorenzo Milani assume un significato cruciale anche nel recente romanzo di fantapolitica confederalista di Mauro Vaiani (“Cosmonauta Francesco”, Firenze : Porto Seguro, 2022).

 

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Lettura pubblica integrale delle PAROLE VIVE della Carta di Chivasso - Seminario online

  • Autore: Gruppo di studio interterritoriale Forum 2043 - 11 marzo 2023
Ciò che i rappresentanti di queste valli hanno affermato,
vale per tutte le regioni italiane,
per i piccoli popoli che formano quel tutto
che è il popolo italiano
(Émile Chanoux, Federalismo e autonomie,
in P. MOMIGLIANO LEVI (a cura di), Écrits, Institut Historique de la Résistance en Vallée d'Aoste,
Aosta, 1994, p. 399, p. 422)

I contenuti del nostro seminario online dedicato alle parole vive della Carta di Chivasso, tenutosi ieri sabato 11 marzo 2023, sono pubblici e disponibili attraverso il prezioso archivio politico di Radio Radicale:

https://www.radioradicale.it/scheda/693128/parole-vive-per-le-autonomie-e-lambiente

Per un approfondimento delle conclusioni politico-culturali e una sinossi completa degli interventi:

https://www.autonomieeambiente.eu/news/117-parole-vive-per-le-autonomie-e-l-ambiente

Attraverso il nostro canale YouTube diffondiamo l'estratto della lettura pubblica integrale della Carta di Chivasso:

https://www.youtube.com/watch?v=wSLSjx0PJ0c

 

La Carta di Chivasso, dopo ottant'anni dal 19 dicembre 1943, ci definisce, ci unisce, ci aiuta a tramandare i nostri valori, ci sostiene nel nostro impegno per la Repubblica delle Autonomie personali, sociali, ambientali.

Aiutateci a diffonderla e a farla conoscere, attraverso le reti sociali:

https://twitter.com/rete_aea/status/1634869894306058240?s=20

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Onore a chi ha sconfitto la "nazione" e fondato la Repubblica delle Autonomie

  • Autore: Piero Gobetti e altre persone, madri e padri della Repubblica delle Autonomie - Udine-Firenze-Roma-Palermo, 23 aprile 2023

Siamo a ormai ottant'anni dalla Carta di Chivasso, a 78 anni dalla Liberazione, a settantacinque anni dalla Costituzione. Com'è possibile che la festa della Liberazione del 25 aprile sia ancora sentita come "divisiva"? Può esserlo solo per chi non ha mai accettato l'esito della storia: la "nazione", cioè lo stato centralista e autoritario fondato dai Savoia, denunciato dai resistenti autonomisti di Chivasso come strumento che la dittatura fascista si trovò pronto all'inizio della sua parabola, è stata sconfitta. Coloro che, con l'aiuto degli Alleati, si trovarono al potere dopo il 25 aprile 1945 chiusero quella parentesi storica e fondarono la Repubblica delle Autonomie. La frattura si era già allargata alla vigilia della Grande guerra, l' "Inutile Strage", a cui il Regno d'Italia aveva partecipato dal 1915 al 1918. Molte persone e comunità non volevano partecipare all'ecatombe, ripudiarono l'interventismo, denunciarono la gestione bellica e postbellica, rifiutarono la retorica diciannovista, tentarono di fermare la deriva centralista, autoritaria, colonialista, militarista e infine razzista dello stato sabaudo-fascista.

Nessuno di coloro che si attardi, ancora oggi, a credere che in fondo il fascismo sia stato una temporanea deviazione nella storia italiana, temiamo, potrà mai accettare fino in fondo la Liberazione, la Costituzione, la Repubblica delle Autonomie.

Il fascismo non è stata una malattia temporanea dell'Italia, che presto sarebbe passata, come sosteneva Benedetto Croce. Come comprese il giovane profeta Piero Gobetti, il fascismo non era un incidente, ma invece l'autobiografia di quella "nazione".

Le incomprensioni, le incapacità, l'ignoranza, i pregiudizi, le crisi della politica nel XXI secolo ci paiono tuttora responsabilità di chi si ostina a mantenersi attaccato al cordone ombelicale del corpo in decomposizione di quella "nazione".

L'abbiamo sconfitta, quella "nazione", il 25 aprile 1945 e pur se ancora oggi dobbiamo resistere a coloro che la vorrebbero riesumare, essa non tornerà più.

Per questo onoriamo alcune persone, madri e padri della Costituzione, che contribuirono a fondare e a dare forma e sostanza alla nuova Repubblica delle Autonomie, oltre che a una vera Europa dei popoli, dei territori, delle regioni, per la solidarietà internazionale e per la pace. Ne abbiamo scelte otto, che in calce a questo intervento ricorderemo, ma prima ascoltiamo la lucida e lungimirante denuncia del giovane Piero Gobetti.

Piero Gobetti contro il fascismo, autobiografia della "nazione"

Il fascismo vuole guarire gli Italiani dalla lotta politica, giungere a un puntoin cui, fatto l'appello nominale, tutti i cittadini abbiano dichiarato di credere nella patria, come se colprofessare delle convinzioni si esaurisse tutta la praxissociale.Insegnareacostorolasuperioritàdell'anarchiasulledottrine democratiche sarebbe un troppo lungo discorso, e poi, per certi elogi, nessunmigliore panegirista della pratica. L'attualismo, il garibaldinismo, il fascismosono espedienti attraverso cui l'inguaribile fiducia ottimistica dell'infanzia ama contemplare il mondo semplificato secondo le proprie misure.

Lanostrapolemicacontrogliitalianinonmuovedanessunaadesioneasuppostematuritàstraniere;dafiduciainatteggiamentiprotestantioliberisti. Il nostro antifascismo prima che un'ideologia, è un istinto.

Se il nuovo si può riportare utilmente a schemi e ad approssimazioni antichi,il nostro vorrebbe essere un pessimismo sul serio, un pessimismo da Vecchio Testamentosenzapalingenesi,nonilpessimismoletterariodeicristianidelusione di ottimisti.

La lotta tra serietà e dannunzianesimo è antica e senzarimedio.

Bisogna diffidare delle conversioni, e credere più allastoria che alprogresso, concepire il nostro lavoro come un esercizio spirituale, che ha la suanecessità in sé, non nel suo divulgarsi. C'è un valore incrollabile al mondo:l'intransigenza e noi ne saremmo, per un certo senso, in questo momento, i disperati sacerdoti.

Temiamo che pochi siano così coraggiosamente radicali da sospettare checonquestemetafisichecisipossaincontrarenelproblemapolitico.Malanostraingenuitàèpiùespertaditalunecorruzionieincerteteorieautobiografiche ha giàsottinteso un insolente realismo obbiettivo.

Noi vediamo diffondersi con preoccupazione una paura dell'imprevisto cheseguiteremo ad indicare come provinciale per non ricorrere a più allarmanti definizioni.Madicertidifettisostanzialiancheinunpopolo"nipote"diMachiavelli non sapremmo capacitarci, se venisse l'ora dei conti.Il fascismo inItaliaèun'indicazionediinfanziaperchésegnailtrionfodellafacilità,dellafiducia,dell'entusiasmo.Sipuòragionaredelministero Mussolinicomediunfattod'ordinariaamministrazione.

Mailfascismoèstato qualcosa di più; è stato l'autobiografia della nazione.

Una nazione che crede alla collaborazione delle classi, che rinuncia per pigrizia alla lottapolitica,dovrebbeessereguardataeguidataconqualcheprecauzione. Confessiamodiaveresperatochelalottatrafascistiesocial-comunistidovessecontinuaresenzaposa:epensammonelsettembredel1920e pubblicammo nel febbraio del 1922La Rivoluzione Liberalecon fiducia verso la lottapoliticacheattraversotantecorruzioni,corrottaessastessa,tuttaviasorgeva. In Italia c'era della gente che si faceva ammazzare per un'idea, perun interesse, per una malattia di retorica! Ma già scorgevamo i segni dellastanchezza, i sospiri alla pace. E' difficile capire che la vita è tragica, che ilsuicidio è più una pratica quotidiana che una misura di eccezione.

In Italianoncisonoproletarieborghesi:cisonosoltantoclassimedie.Losapevamo:esenonloavessimosaputoceloavrebbeinsegnatoGiolitti. Mussolini non è dunque nulla di nuovo: macon Mussolini ci si offre la provasperimentaledell'unanimità,cisiattestal'inesistenzadiminoranze eroiche, la fine provvisoria delle eresie. Certe ore di ebbrezza valgono perconfessionielapalingenesifascistacihaattestatoinesorabilmentel'impudenza della nostra impotenza.

A un popolo di dannunziani non si puòchiedere spirito di sacrificio.

Noi pensiamo anche a ciò che non si vede: ma seci si attenesse a quello che si vede bisognerebbe confessare che la guerra èstata invano. Privi di interessi reali, distinti, necessari gli Italiani chiedono unadisciplina e uno Stato forte. Ma è difficile pensare Cesare senza Pompeo, Romaforte senza guerra civile. Si può credere all'utilità dei tutori e giustificare Giolittie Nitti, ma i padroni servono soltanto per farci ripensare a "La Congiura deiPazzi"ossia ci riportano a costumi politici sorpassati.

Né Mussolini né Vittorio Emanuele hanno virtù di padroni, ma gli Italiani hanno bene animo dischiavi.

E'doloroso dover pensare con nostalgia all'illuminismo libertario e allecongiure. Eppure, siamo sinceri fino in fondo, c'è chi ha atteso ansiosamenteche venissero le persecuzioni personali perché dalle sofferenze rinascesse unospirito, perché nel sacrificio dei suoi sacerdoti questo popolo riconoscesse sestesso. C'è stato in noi, nel nostro opporsi fermo, qualcosa di donchisciottesco.Ma ci si sentiva pure una disperata religiosità. Non possiamo illuderci di aversalvatola lotta politica:ne abbiamocustoditoilsimboloe bisogna sperare(ahimè, con quanto scetticismo) che i tiranni siano tiranni, che la reazione sia reazione,checisiachiavràilcoraggiodilevarelaghigliottina,chesimantengano le posizioni sino in fondo. Si può valorizzare il regime; si puòcercarediottenernetuttiifrutti:chiediamolefrustateperchéqualcunosisvegli, chiediamo il boia perché si possa veder chiaro. Mussolini può essere uneccellenteIgnaziodiLoyola;dovec'èunDeMaistrechesappiadareunadottrina, un'intransigenza alla sua spada?

 

Fonti e approfondimenti:

https://www.centrogobetti.it/

https://www.eticapa.it/eticapa/piero-gobetti-fascismo-come-autobiografia-della-nazione/?cn-reloaded=1

https://www.labottegadelbarbieri.org/il-fascismo-come-autobiografia-della-nazione/

https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/19/fascismo-autobiografia-di-nazione/534779/

https://diversotoscana.blogspot.com/2022/10/la-luce-di-gobetti-dirada-la-nebbia.html

Onore alle madri e ai padri della Repubblica delle Autonomie personali, sociali, territoriali

Nessuna giornata, più del 25 aprile, è opportuna per onorare figure come queste otto che ricordiamo qui di seguito, diverse per provenienza territoriale e sociale, per convinzioni spirituali e culturali, per fortune personali e politiche. Esse non furono, a ben vedere, particolarmente vincenti (e quindi oggi non sono nemmeno così conosciute), ma da esse il nostro moderno decentralismo trae ispirazione e legittimazione. Per ciascuna di loro indichiamo il link Wikipedia, per indirizzare al necessario approfondimento coloro che vogliano davvero conoscerne lo spessore umano, culturale e politico. Eccole, in ordine alfabetico:

1) Giulio Bordon (Nus, 26 maggio 1888 – 4 aprile 1965) è stato deputato all'Assemblea Costituente, eletto per il Fronte Democratico Progressista Repubblicano in rappresentanza della Valle d’Aosta, protagonista dell’autonomia della Valle (https://it.wikipedia.org/wiki/Giulio_Bordon).

2) Piero Calamandrei (Firenze, 21 aprile 1889 – Firenze, 27 settembre 1956) è stato un politico, giurista e avvocato italiano, nonché uno dei fondatori del Partito d'Azione Nel 1945 fu nominato membro della Consulta Nazionale in rappresentanza del Partito d'Azione e successivamente venne eletto all'Assemblea Costituente. Volle sempre essere l’avvocato della Resistenza e della Costituzione e del suo essere toscano (suo l’aforisma “Toscana dolce patria nostra”) fece sempre una leva per promuovere europeismo, solidarietà internazionale, pace e giustizia come valori universali (https://it.wikipedia.org/wiki/Piero_Calamandrei).

3) Tristano Codignola (Assisi, 23 ottobre 1913 – Bologna, 12 dicembre 1981) è stato un politico, editore e giornalista italiano. Fu deputato all'Assemblea Costituente ed esponente sempre autonomo, ribelle, libertario, autonomista del socialismo italiano (https://it.wikipedia.org/wiki/Tristano_Codignola).

4) Maria De Unterrichter Jervolino (Ossana, 20 agosto 1902 – Roma, 27 dicembre 1975) è stata una pedagogista e una politica italiana della Democrazia Cristiana. Nel 1946 fu eletta all'Assemblea Costituente, una delle sole 21 donne elette su un totale di 556 rappresentanti, a giusto titolo definite le nostre “Madri costituenti”. Dal 1947 al 1975 è stata anche presidente dell'Opera Nazionale Montessori. Trasferitasi a Napoli, si è impegnata per le autonomie e l’emancipazione delle donne, delle famiglie, delle comunità scolastiche, dei territori (https://it.wikipedia.org/wiki/Maria_De_Unterrichter_Jervolino).

5) Andrea Finocchiaro Aprile (Lercara Friddi, 26 giugno 1878 – Palermo, 15 gennaio 1964) è stato un politico italiano, leader del Movimento per l'Indipendenza della Sicilia (MIS). Nel giugno 1946 fu eletto deputato all'Assemblea Costituente. S’impegnò per un MIS autonomo dalle sinistre, dalle destre e dalle forze politiche centraliste. Nel maggio 1947 fu eletto deputato all'Assemblea regionale siciliana (https://it.wikipedia.org/wiki/Andrea_Finocchiaro_Aprile).

6) Emilio Lussu (Armungia, 4 dicembre 1890 – Roma, 5 marzo 1975) è stato uno scrittore, militare e politico italiano, eletto più volte al Parlamento e ministro, fondatore del Partito Sardo d'Azione e del movimento Giustizia e Libertà. Dopo la liberazione di Roma, Lussu realizzò l'affiliazione del ricostituito Partito Sardo d'Azione nel Partito d’Azione (PdA). Nel 1945, Lussu fu Ministro dell'assistenza postbellica nel primo governo di unità nazionale dell'Italia libera, quello presieduto per breve tempo dall'azionista Ferruccio Parri e nel successivo governo del democristiano Alcide De Gasperi, come ministro senza portafoglio per i rapporti con la Consulta. Alle elezioni del 2 giugno 1946 per la Costituente, Lussu si presentò e fu eletto a Cagliari, nella lista della componente sarda del partito (https://it.wikipedia.org/wiki/Emilio_Lussu).

7) Aldo Spallicci (Santa Croce di Bertinoro, 22 novembre 1886 – Premilcuore, 14 marzo 1973) è stato un medico, poeta e politico italiano, nonché cultore e promotore dell'identità e delle tradizioni popolari della Romagna. Aldo Spallicci è stato uno dei maggiori esponenti del Partito repubblicano in Romagna. Il 2 giugno 1946 fu eletto deputato all'Assemblea Costituente per il PRI nel XIII Collegio (Bologna-Ferrara-Forlì-Ravenna). Collaborò soprattutto alla stesura del punto 5 dei Principi fondamentali, sulle autonomie locali e sul decentramento amministrativo (https://it.wikipedia.org/wiki/Aldo_Spallicci).

8) Tiziano Tessitori (Sedegliano, 13 gennaio 1895 – Udine, 19 aprile 1973) è stato un politico italiano, ministro e sottosegretario di vari governi. Il 29 luglio 1945 fonda l'Associazione per l'autonomia friulana. In ottobre accetta l'invito a iscriversi alla DC per la quale è eletto deputato alla Costituente. Il presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi gli affida l'incarico di illustrare per primo, alla Camera, la posizione regionalista della DC nella stesura della Costituzione. L'11 gennaio 1947 nasce il Comitato per l'autonomia regionale e il 19, all'assemblea fondativa del Movimento popolare friulano per l'autonomia regionale, appena fondato da Gianfranco D'Aronco, Chino Ermacora e Pier Paolo Pasolini, che si tiene al cinema Puccini di Udine, Tessitori tiene il suo comizio più noto sulla Regione friulana. Il 27 giugno 1947, con l'emendamento Tessitori, la Costituente approva lo statuto speciale per la Regione Friuli-Venezia Giulia. Tutte le forze politiche friulane sono contrarie: temono che la specialità esponga al pericolo di rivendicazioni slave. Con Tessitori si schiera soltanto il Movimento di D'Aronco. Il 22 luglio 1947 Tessitori subisce un attentato. Un ordigno è installato all'ingresso della propria casa, la deflagrazione per fortuna non ha conseguenze. (https://it.wikipedia.org/wiki/Tiziano_Tessitori).

 

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Siciliani Liberi membro EFA

Da ieri, 15 ottobre 2021, il Movimento Si­ci­lia­ni Li­be­ri è diventato mem­bro ef­fet­ti­vo dell'Alleanza Libera Europea, ALE (Eu­ro­pean Free Al­lian­ce, EFA). Così ha deciso all'unanimità l'assemblea generale riunita a Bruxelles.

Alfonso Nobile (conosciuto anche amichevolmente come Alessandro), delegato del movimento siciliano, ha raccontato la storia giovane ma promettente di questo movimento per l'autogoverno della Sicilia, che ha radici profonde nell'indipendentismo anticolonialista dell'isola. Siciliani Liberi di­vie­ne il 49° mem­bro della famiglia politica europea che accoglie le istanze delle nazioni senza stato, gli autonomismi, i decentralismi e i localismi d'Europa.

Nobile ha voluto ringraziare anche tutta la presidenza di Autonomie e Ambiente, in particolare il presidente Roberto Visentin (Patto per l'Autonomia) e il vicepresidente segretario Mauro Vaiani (Comitato Libertà Toscana), per l'impegno che hanno profuso per il raggiungimento di questo traguardo.

Siciliani Liberi, oltre a essere già parte fondamentale del progetto di Autonomie e Ambiente per fermare il centralismo e l'autoritarismo nella Repubblica Italiana, diventa ora decisivo nell'impegno comune di tutta la famiglia EFA per fermare la deriva tecnocratica dell'Unione Europea e rafforzare la solidarietà internazionale tra i popoli e i territori.

I Siciliani Liberi, e le forze sorelle di Autonomie e Ambiente insieme a loro, sottolineano che questo importante passo avviene in coincidenza con il giorno - questo 15 ottobre 2021 - in cui è iniziata la resistenza nonviolenta di milioni di cittadini contro la sinistra deriva dello stato di emergenza e dell'imposizione discriminatoria del #GreenPass nello stato italiano.

Link al vi­deo con la pre­sen­ta­zio­ne di SL e la vo­ta­zio­ne una­ni­me del­l’As­sem­blea:

https://fb.watch/8F99vg7K8L/

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