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Civismo

Autonomie e Ambiente in tutti i territori - Incontro con la segreteria

A seguito del notevole interesse riscosso dal contributo di OraToscana al Forum 2043 sulla dignità e i poteri del consigliere comunale, Mauro Vaiani, membro della segreteria interterritoriale, ha accettato di commentarlo, affrontando anche altri temi d'attualità, nella nostra resistenza al centralismo autoritario e, nell'attualità politica, al presidenzialismo. La sintesi della conversazione, rivolta a tutti gli amministratori locali civici, ambientalisti, autonomisti, è una occasione per uno sguardo d'insieme sulla rete Autonomie e Ambiente. La sorellanza è uno strumento politico ed anche elettorale (per combattere le leggi elettorali ingiuste, che impediscono alle comunità di eleggere i loro leader locali). Sotto la guida del Patto per l'Autonomia, vogliamo incidere, non in solitudine ma insieme ad altre forze civiche, ambientaliste, localiste, riformiste, sul futuro della Repubblica delle Autonomie e, ancora di più, per una nuova Europa delle autonomie personali, sociali, territoriali, a partire dalle elezioni europee del maggio 2024. Undici minuti di ascolto.

 

Per contattare la rete Autonomie e Ambiente: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

 

Che sia un autunno di dialogo e di speranza

Basta con gli urlatori, che poi troppo spesso diventano picchiatori e traditori.

Si deve aprire una stagione di tregua, dialogo, ritorno al ragionamento e alla collaborazione politica fra diversità e fra diversi.

Autonomie e Ambiente dà voce a un bisogno che non esitiamo a chiamare di riconciliazione, resistendo al bombardamento mediatico di immagini e parole di odio e velenosa polarizzazione:

  • voce ai cittadini che vogliono firmare per abolire leggi ingiuste come il Rosatellum (cliccare qui e qui);
  • voce alle persone candidate civiche e indipendenti, che vogliono collaborare fra di loro per il bene comune, anche se corrono in liste diverse, nelle regionali;
  • voce ai paesi, ai piccoli comuni, alle periferie, che vogliono unirsi per assicurare a una popolazione che invecchia servizi pubblici universali di qualità, a partire dalla sanità;
  • voce alle piccole imprese, ai piccoli negozi, agli artigiani, ai coltivatori diretti, alle piccole associazioni e realtà diffuse di volontariato, che costituiscono la trama essenziale delle nostre comunità:
  • voce agli esperti e ai leader che si espongono per il cessate il fuoco su tutti i fronti, non perché ci si debba rassegnare al terrorismo o alle ingiustizie geopolitiche, ma proprio l'opposto: è dopo il cessate il fuoco che si pongono le basi del cambiamento, che potranno finalmente cadere, grazie alla forza nonviolenta della partecipazione e del voto, i mostri e i tiranni che hanno scatenato terrore e guerra.

Siamo la voce delle autonomie e dei civismi di tutti i territori, che non solo vogliono resistere al centralismo, ma pretendono più responsabilità, più poteri, più risorse, perché i problemi sono spesso globali, ma ogni territorio ha il diritto-dovere di trovare le proprie soluzioni concrete, che sono sempre locali, secondo principi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza (art. 118 della Costituzione).

Buona firma a tutti i cittadini sul portale delle iniziative popolari.

Buon voto alle persone della Valle d'Aosta e delle Marche.

Ritrovare il sorriso è possibile, anche nella vita pubblica interna e internazionale!

Buon autunno a tutti.

Aosta - Ancona, 21 settembre 2025 - a cura della segreteria interterritoriale

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Per i pochi che non la riconoscono, precisiamo che l'immagine a corredo del post è "il ragazzo che sorride" (the smiling boy), il simbolo della Rivoluzione di velluto (the Velvet Revolution) di Praga e Bratislava del 1989, promossa dal Forum Civico di Vàclav Havel e dal movimento "Pubblico contro la violenza" di Alexander Dubček.

 

Civismo toscano autonomo: appuntamento per sabato 28 giugno 2025

Il prossimo appuntamento del nuovo civismo autonomo toscano, raccolto nel coordinamento L'Altra Toscana, è a Firenze per sabato 28 giugno 2025, alle ore 9.30 presso l'Hotel Florence Metropole in Via del Cavallaccio 36 a Firenze.

Sarà presentato il manifesto della nuova rete, con gli interventi di Giovanni Bellosi (Scandicci Civica), Claudio Lucii (Vivi Poggibonsi), Mauro Vaiani (Ora Toscana - Civici di Prato per le autonomie), Renzo Luchi (Cittadini per Fiesole), Francesco Carbini (Liste Civiche Sangiovannesi).

Ci saranno i saluti di Anna Trassi (sindaca civica di Lamporecchio), David Saisi (sindaco civico di Gallicano), Alessandro Polcri (sindaco civico di Anghiari e presidente della provincia di Arezzo). 

Coordinano il dibattito Anna Ravoni (già sindaca di Fiesole) e Federico D'Anniballe (Cambiamo Ponsacco).

Conclude il sindaco di Viareggio, Giorgio del Ghingaro, garante del coordinamento.

 

Colloquio con Pierluigi Piccini sulle speranze di un civismo che è qui per restare

Pierluigi Piccini, sindaco di Siena alla fine del XX secolo e da vent'anni mentore del civismo di Siena e oltre, a colloquio con Mauro Vaiani, vicepresidente segretario di Autonomie e Ambiente e garante di OraToscana. Il colloquio rilancia valoci civici, competenza amministrativa, sussidiarietà, democrazia, amore per gli altri e per i propri territori, sacrificio e candore dell'impegno politico, autonomia personale, sociale, territoriale. Questo colloquio fra Pierluigi Piccini e Mauro Vaiani è dedicato alle nuove generazione di leader territoriali.

E’ stato possibile grazie all’amicizia fra Per Siena, OraToscana, Autonomie e Ambiente, EFA.

Pierluigi Piccini era già intervenuto sul Forum 2043 di Autonomie e Ambiente:Il civismo che è qui per restare

Per conoscere il movimento Per Siena:https://www.persiena.it/

Il blog di Pierluigi Piccini, una vera miniera di cultura politica, civismo, filosofia e arte:https://pierluigipiccini.it/

Per conoscere OraToscana, forza sorella di Autonomie e Ambiente ed EFA in Toscana:https://www.biancorosso.me/

Per conoscere la rete Autonomie e Ambiente, partner di EFA nella Repubblica Italiana:https://www.autonomieeambiente.eu

Grazie a Renzo Giannini DJ (Youtube: Il Lampone -   / @il_lampone  ) per la collaborazione.

I contenuti del canale di Autonomie e Ambiente sono liberamente utilizzabili e ridistribuibili secondo i termini della licenza CC BY-SA. Registrazione realizzata il 18 giugno 2025 e pubblicata il 21 giugno 2025.

 

Congratulazioni al prof. De Toni nuovo sindaco di Udine

Congratulazioni vivissime al prof. Alberto Felice De Toni, che ha vinto il ballottaggio ed è da ieri il nuovo sindaco di Udine. La sua candidatura civica è stata fortemente voluta dal Patto per l'Autonomia Friuli-Venezia Giulia. La lista civica De Toni Sindaco, con il sostegno del nostro mondo autonomista, civico, ambientalista, ha raggiunto al primo turno il 12%. Al ballottaggio De Toni ha avuto l'appoggio di un campo di forze di sinistra, centro e indipendenti ancora più ampio di quelle che lo sostenevano al primo turno.

Al prof. De Toni sono giunte congratulazioni da tutta la sorellanza di Autonomie e Ambiente e dai responsabili di EFA, la nostra famiglia politica europea.

Per approfondire:

https://twitter.com/lorenalacalleA/status/1648014887962943497?s=20

https://www.facebook.com/AutonomieeAmbienteUfficiale/posts/pfbid02QmutvXGvb7CNWETEtXFMqbhuzzjV667r84umA2LXH7kGq1dtah8hv19K5Yy3xvUEl

 

Congresso di Lombardia Civica a Vigevano

Domenica 26 maggio 2024 a Vigevano, alle 10, al Castello Sforzesco nella sala del Duca, si riunisce il primo congresso di Lombardia Civica - Alleanza per il territorio e il federalismo. L'assemblea sarà presieduta da Giuseppe Oliviero, presidente, e da Enrico Chiapparoli, segretario. Sarà presente il vicepresidente europeo degli autonomisti di EFA e presidente della rete Autonomie e Ambiente, Roberto Visentin.

E' gradita una registrazione alla mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. .

Lombardia Civica è associata ad Autonomie e Ambiente ed è fra le principali protagoniste nel suo territorio del risveglio di un civismo naturalmente autonomista, indipendente dalle piramidi nazionali, votato al buongoverno delle comunità locali.

Saranno presenti i candidati delle liste civiche già confederate in Lombardia Civica (nella grafica sotto).

2024 05 13 liste lombardia civica

Milano, 22 maggio 2024 - a cura della segreteria interterritoriale

Dieci giorni contro il ventennio dei nominati

Si aggiungono nuove iniziative dal basso contro le leggi elettorali ingiuste;

https://www.votolibeguale.it/

Sono sulla piattaforma pubblica, gratuita, accessibile, in grado di proteggere la privacy dei cittadini che la usano. 

Sono promosse da cittadini civici, indipendenti, coraggiosi (che conosciamo personalmente e che stimiamo).

Solo che restano pochi giorni, dieci da oggi! Entro il 30 settembre questa iniziativa dovrà terminare (mentre altre andranno avanti, ovviamente).

Migliaia di persone sanno che, ormai da un ventennio, i cittadini non eleggono più i loro parlamentari. Camera e Senato sono piene di "nominati". Persino giornalisti e politici importanti hanno ammesso in pubblico che questo scandolo delle leggi elettorali ingiuste deve finire.

Il silenzio assordante che ha soffocato iniziative come quella dell'anno scorso contro il Rosatellum del Comitato Besostri, può essere aggirato solo da un passaparola esponenziale.

L'orrendo Rosatellum in qualche modo dovrà essere cambiato, perché è insostenibile, contrario alle norme europee e soprattutto incostituzionale.

Chi sa come stanno le cose con il Rosatellum, firmerà per far sentire un po' di pressione popolare! 

Il Rosatellum deve essere cancellato. Coraggio!

 

Milano, 20 settembre 2025 - a cura della segreteria interterritoriale

 

Documentazione video conferenza stampa EFA-AeA a Milano (16 maggio 2024)

Fare rete in Sardegna e ben oltre

 

Olbia 20 novembre 2021

 

Gentilissimi e gentilissime partecipanti al convegno indetto dall’Assemblea Natzionale Sarda (ANS),

 

in occasione dell’incontro con la presidente dell’Assemblea Nacional Catalana (ANC), Elisenda Paluzie, vi scrivo, impossibilitata a presenziare, in qualità di osservatrice ALE-EFA e delegata di Autonomie e Ambiente.

Vi trasmetto i saluti e gli auguri di buon lavoro della presidente ALE-EFA Lorena Lopez De La Calle e del presidente di Autonomie e Ambiente Roberto Visentin, oltre ai miei personali.

La storia della Catalogna, come territorio autonomo che aspira e quindi lotta per il pieno autogoverno in una Europa confederale, è esemplare e dovrebbe essere d’ispirazione per la Regione Autonoma della Sardegna e per tutti gli altri territori della Repubblica Italiana che aspirano all’autodeterminazione.

La repressione anti-catalana deve essere approfondita e ben compresa da tutti noi. Noncisi può nascondere che tale repressione sia sostenuta in molti modi, espliciti o sotterranei, dalle forze del centralismo sia in Italia che in Europa.

La Repubblica Italiana e l’Unione Europea, come dimostrato una volta di più dall’uso del mandato di cattura europeo come armapoliticaimpropria contro gli esuli catalani, sono percorse da pulsioni autoritarie e centraliste, ma la nostra ammirazione per il percorso deiCatalani non deve fermarsi alla valutazione dei risultati da loro ottenuti, tralasciando l’analisi del metodo seguito per ottenerli.

È necessario capire le fasi del percorso, composto di dialogo, unità di intenti, piccole e grandi strategie e che ha portato la Catalogna a sfiorare il Sogno indipendentista.

Lo loro capacità di crescere, rinnovarsi, fare rete con le forze civiche, ambientaliste, territoriali e locali, spiega molti dei loro risultati.

Alla luce di questo oggi,anchein questa assemblea si possono gettare le basi per un nuovo percorso, che vada verso la maturità dell’autodeterminismo sardo,il qualedeve passare necessariamente dalla celebrazione delle altrui vittorie alla programmazione delle proprie,che sianovittorie a breve, a media, o a lunga scadenza.

La pluralità delle forze che aspirano all’autogoverno della Sardegna è una ricchezza che va incanalata nella capacità di fare squadra, rammentando che il nostro unico avversario storico è il centralismo.

Infine l’auspicio è che il mondo autodeterminista sardo volga lo sguardo anche a quei territori della penisola italiana che soffrono degli stessi mali della nostra terra, che aspirano a forme più o menoavanzatedi autogoverno, che come noi detengono un patrimonio culturale e linguistico oramai a rischio.

Non è da sottovalutareche un lavoro politico comune, tra forze delle diverse nazioni e territori,ci consentirebbe di esercitare maggiori pressioni sulla Repubblica Italiana,anche per una riscrittura della Costituzione in terminipiù avanzati nella direzione dell’autogoverno dei suoi popoli e territori.

Lo statuto della nostra regione è oramai obsoleto,dopo esser stato in gran parte tradito,mentre lo stato italiano sta riguadagnando terrenoin ogni materia.

Sono convinta che sia necessario ristabilire i termini dei rapporti fra stato e regione e sono altresì convinta che non si possa aspirare all’indipendenza se non si è capaci di praticare l’autonomia.

Con l’augurio di un proficuo lavoro vi saluto e vi abbraccio.

Silvia Lidia Fancello

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Friuli paese antico e nuovo d'Europa

  • Autore: Clape di culture Patrie dal Friûl - 17 marzo 2023

La storia del Friuli è stata condizionata dalla sua posizione, all’intersezione tra il punto più settentrionale del Mediterraneo e la porta d’ingresso da Oriente alla penisola italiana. In corrispondenza di tale crocevia sono fiorite le tre grandi città portuali che hanno segnato la storia del Friuli: Aquileia, Trieste e la vicina Venezia.

La formazione del Friuli come entità storico-politico-culturale si può far risalire all’epoca longobarda (sec. VI-VIII). A Occidente il confine del Friuli lungo la valle del Piave e il corso del Livenza si è stabilizzato da secoli, mentre ad Oriente vi sono sempre state più incertezze, a causa della non coincidenza tra confini geografici, etnici, socio-economici e politico-militari.

Sulla formazione della lingua friulanavi sono teorie diverse. Secondo quella più tradizionale, essa sarebbe il risultato dell’influenza del sostrato celtico sul latino qui portato dai coloni romani, e quindi avrebbe oltre duemila anni; mentre, secondo altre, essa si sarebbe formata mille anni più tardi, nel contesto di relativo isolamento dal resto d’Italia della realtà politica autonoma del Principato patriarcale di Aquileia.

L’identità e le istituzioni friulano sopravvissero in parte anche sotto la dominazione veneziana, iniziata nel 1420. La grandissima maggioranza della popolazione ha continuato a il friulano, ed esistono anche fin dal XIV secolo documenti letterari scritti in tale lingua, anche se, come è avvenuto per molte altre nazioni, è solo nell’Ottocento che si avvia una robusta tradizione letteraria e la lingua diviene la base principale dell’identità territoriale.

Dopo le tragedie delle guerre mondiali e del regime fascista, nella nuova Repubblica si avviano i movimenti per il riconoscimento dei Friulani come comunità con pieno diritto all’autonomia politico-amministrativa e alla tutela della propria lingua.

Quest’istanza è divenuta più impellente a partire dagli anni ’70 e ha trovato una debole accoglienza da parte delle istituzioni solo alla fine dello scorso secolo.

La lingua è certamente uno dei fondamenti dell’identità friulana, ma si deve anche ribadire che per secoli il senso di appartenenza al Friuli ha avuto un carattere piuttosto politico-territoriale che linguistico. L’identità collettiva è un fenomeno complesso, multidimensionale. Accanto alla lingua, al territorio, all’organizzazione politica, giocano anche fattori più latamente culturali: costumi, riti, tradizioni, senso della storia e del destino comune, coscienza e volontà.

È ancora vivo, e prevalente in certi ambienti, un ‘idealtipo’ di friulano elaborato nel corso dell’Ottocento, che ha avuto nell’ ‘ideologia’ della Società Filologica Friulana la sua codificazione: il tipo (o stereotipo) del friulano «salt, onest, lavoradôr», essenzialmente modellato sulla figura archetipa del felix agricola, del ‘buon contadino’, con in più un’enfasi sul ruolo di queste terre di bastione della civiltà romana contro il mondo tedesco e slavo che preme dai confini.

Dall’ampia produzione letteraria, ideologica e saggistica sul carattere dei Friulani, fiorita in quest’ultimo secolo, ad opera sia dei Friulani stessi che di osservatori esterni, sembra di poter inferire un modello a cinque dimensioni. Il popolo friulano si caratterizzerebbe quindi per essere:

1. un popolo contadino, e quindi attaccato alla terra, vicino alla natura; organizzato in salde strutture familiari e in piccole comunità di paese; laborioso, ma anche dotato di capacità imprenditoriali; tradizionalista e fedele alla parola data;

2. un popolo cristiano, e quindi credente, inserito nella grande tradizione cattolica, dotato delle virtù della semplicità, dell’umiltà, dell’austerità, della capacità di sopportare con pazienza e fermezza le prove della vita;

3. un popolo nordico, quindi forte, grave, lento, taciturno, disciplinato, con senso dell’organizzazione e della collettività, ma con un sottofondo di tristezza esistenziale che trova conforto, oltre che nella laboriosità, anche nel vino, ed espressione nel canto corale;

4. un popolo di frontiera, collocato in una posizione esposta a rischi, temprato da una lunghissima storia di invasioni, saccheggi e battaglie; ma anche con la possibilità di aprirsi e relazionarsi positivamente con i vicini di altre culture, di mescolarsi con essi, di accoglierli ed esserne accolto;

5. un popolo migrante, perché nella modernità lo squilibrio tra popolazione e risorse costringe una quota di persone ad allontanarsi dalla patria, per cercare lavoro e sopravvivenza in altri paesi.

Nel dolore della partenza si rafforza l’amore, e nei disagi della lontananza si consolida un’immagine idealizzata del proprio paese. Nelle comunità di arrivo si ricreano ifogolârs e si mantengono la lingua e le tradizioni.

Tuttavia è da sottolineare che questo modello riflette, prevalentemente, una realtà storico-sociale abbastanza circoscritta: quella del Friuli grosso modo tra il 1870 e il 1970.

Ben poco possiamo dire della realtà più antica, medievale, perché la documentazione storico-archeologica sulla vita del popolo minuto è scarsissima, quasi inesistente. Le masse contadine sono ‘senza storia’, per definizione.

L’immagine dei Friulani che invece ci viene comunicata dalla documentazione storica dell’Evo moderno (secc. XV-XIX) è invece abbastanza diversa da quella tardo ottocentesca: il popolo friulano (cioè, in grandissima parte, i contadini) ci viene descritto spesso come riottoso, violento, neghittoso, indisciplinato. È certo l’immagine che ne hanno i padroni e i tutori dell’ordine, tendenti a enfatizzare questi aspetti negativi (lo stereotipo del villain, cioè del ‘cattivo’) più che quelli di segno opposto. Ma vi sono anche molte prove inoppugnabili di questo lato del carattere friulano di qualche secolo fa: storie di liti, banditismo, delitti, tumulti e insurrezioni. Per tutte, basti menzionare la «crudel zobia grassa» del 1511, la più violenta, prolungata ed estesa rivolta contadina dell’Italia rinascimentale.

Ovviamente queste speculazioni identitarie riflettono ormai assai poco il Friuli degli ultimi decenni, quello del dopo terremoto del 1976: un territorio altamente sviluppato, ricco, secolarizzato e mediatizzato. Un Friuli dove le masse di contadini non esistono più, sostituite da un 5% di moderni imprenditori agricoli; dove le campagne sono cosparse di insediamenti industriali; dove la maggioranza degli attivi è impiegata nel terziario, più o meno avanzato; dove resta l’emigrazione dei giovani laureati e dove è in corso l’immigrazione di gente proveniente da una settantina di paesi di tutto il mondo.

L’autonomismo in Friuli presenta caratteristiche originali, rispetto ad altri territori che erano, prima dell’unificazione, veri e propri stati, o almeno unità amministrative separate. Il problema friulano è stato quello di lottare per vedersi riconoscere una entità istituzionale e rappresentativa propria, senza farsi diluire in realtà amministrative o istituzionali eterogenee, ove comunque i centri di decisione erano e sono collocati all’esterno della realtà friulana, con la conseguenza che il proprio futuro è stato costantemente messo in discussione o comunque compromesso da logiche di potere politico, economico e culturale esterne e spesso contrapposte agli interessi friulani.

Mentre altrove, come in Trentino, in Val d’Aosta, in Alto Adige, in Catalogna, in Baviera, le realtà istituzionali sono state, da un certo punto in poi, saldamente controllate dalle rispettive comunità, da secoli il Friuli è stato inserito in ambiti territoriali eterogenei dove comunque i centri di decisione erano collocati al suo esterno: a Venezia per secoli, poi nell’era degli stati moderni nelle rispettive capitali, infine nella nuova Repubblica in una regione dotata sì di autonomia speciale ma il cui baricentro politico è Trieste.

L’autonomismo friulano ha dovuto pertanto muoversi verso la ricostruzione di una realtà istituzionale friulana, dotata di strumenti funzionali alla sua sopravvivenza come patrie.

Certamente sono importanti le azioni dirette ad elevare i gradi di autonomia della Regione Friuli Venezia Giulia, sorta ad opera dell’impegno delle rappresentanze parlamentari del Friuli in seno alla Costituente, che poi è stato stravolto dall’esigenza di attribuire un ruolo all’allora Territorio libero di Trieste, ma ancora più importanti sono le iniziative e le politiche dirette alla crescita autonoma del Friuli come entità dalle caratteristiche originali.

Il percorso cui l’autonomismo friulano ha dato contributi importanti passa attraverso numerose tappe di cui tre sono fondamentali: la costituzione della Università di Udine come autonomo centro di formazione e di ricerca, risultato di un lungo processo storico condotto avanti con tenacia dalla comunità e dalle istituzioni friulane; il riconoscimento della lingua friulana da parte dello stato italiano con la legge 482/1999, con il quale il friulano è passato da uno stato indefinito di parlata locale, il cui carattere di lingua era riconosciuto solo a livello scientifico, al rango di lingua degna di forme importanti di sostegno e di tutela, alla pari delle comunità linguistiche che hanno alle loro spalle uno stato sovrano (la tedesca, la francese, la slovena, l’albanese, la greca); infine la costituzione della Comunità delle Province Friulane, a cura delle Province di Pordenone e di Udine, che potrebbe trasformarsi in un potente strumento di crescita della comunità friulana.

Questi risultati sono il frutto di un lungo lavoro di animazione e di impegno politico portato avanti da personaggi importanti che hanno dato vita a organizzazioni e movimenti politici di notevole peso.

Si pensi alle prime iniziative lanciate da Achille Tellini negli anni Venti, alla costituzione nel secondo dopoguerra dell’Associazione per l’Autonomia Friulana di Tiziano Tessitori, al Movimento Popolare Friulano di Gianfranco d’Aronco (la cui costituzione in partito avrebbe potuto cambiare completamente il panorama politico del Friuli), al Movimento Friuli di Fausto Schiavi e di don Francesco Placereani, al Comitato per l’Università Friulana di Tarcisio Petracco, alla Lega Friuli dei primi anni. E questo elenco non è certamente esaustivo.

Da una di queste iniziative, nota come “I laboratori dell'autonomia”, che ha visto l'adesione di tanti sindaci, persone del mondo della cultura e della vita sociale friulana, è iniziato alla fine dello scorso decennio un processo di riappropriazione in termini contemporanei della necessità dell’autogoverno.

L’esito dei laboratori è stata la nascita del “Patto per l'autonomia” un partito territoriale che ha adottato un motto antico, quello pronunciato da Giuseppe Bugatto, deputato friulano al Parlamento di Vienna, il 25 ottobre 1918:

CHE NISSUN DISPONI DI NÔ, SENSA DI NÔ

(CHE NESSUNO DISPONGA DI NOI SENZA DI NOI)

Parole antiche, ma che il Patto ha fatto vivere in una organizzazione moderna, plurale, inclusiva, attenta alle differenze territoriali e culturali di quel microcosmo che è la regione Friuli – Venezia Giulia. Basti pensare che nel Patto sono in uso ben quattro lingue:

Patto per l'Autonomia (italiano)

Pat pe Autonomie (friulano)

Pakt Za Avtonomijo (sloveno)

Pakt für die Autonomie (tedesco delle comunità di Sauris, Timau e Val Canale, da Pontebba a Tarvisi)

Il Patto per l’Autonomia, che si era costituito come movimento politico pochi mesi prima, alle elezioni regionali del 2018 ha ottenuto il 4,09% dei consensi, corrispondenti a 23.696 voti, eleggendo come consiglieri regionali Massimo Moretuzzo e Giampaolo Bidoli.

Il resto è nella cronaca politica dell’ultimo lustro. Il friulano autonomista, civico e ambientalista Moretuzzo (classe 1976, un figlio del Friuli del dopo terremoto), dopo cinque anni di impegno come capogruppo nel parlamento regionale, è oggi candidato presidente, con il sostegno di gran parte del centrosinistra, alle elezioni regionali previste per il 2-3 aprile 2023. Il Patto per l’Autonomia, inoltre, è alla guida, con proprio personale politico esperto, della rete interterritoriale di Autonomie e Ambiente ed è rappresentato nel bureau della famiglia politica europea degli autonomisti e dei territorialisti, la Alleanza Libera Europea (ALE, meglio nota come European Free Alliance, EFA).

Le persone impegnate nel Patto a livello territoriale, statale ed europeo continuano a lavorare politicamente per assicurare un futuro al Friuli, perché sia uno dei paesi nuovi d’Europa e del mondo, in questo XXI secolo.

Udine, 17 marzo 2023

a cura della Clape di culture Patrie dal Friûl (associazione culturale Patria del Friuli) - https://www.lapatriedalfriul.org/

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Il civismo che è qui per restare

  • Autore: Pierluigi Piccini - Siena, 6 luglio 2023

Pierluigi Piccini è oggi uno degli intellettuali più impegnati, attraverso il suo blog e il suo impegno nell’associazione civica “Per Siena”, in quella che dobbiamo chiamare, senza paura di apparire enfatici, una primavera del civismo nella Repubblica italiana. Il civismo di Siena, anche nelle ultime elezioni amministrativedel 14-15 maggio 2023, ha dimostrato di essere una presenza determinante: quasi 3.000 persone personalmente impegnate come sostenitrici e candidate, sette liste civiche a sostegno della candidatura civica indipendente di Fabio Pacciani, un risultato al primo turno di oltre 6.000 voti (22,65%). Dopo vent’anni di lavoro politico e culturale, il civismo di Siena non è riassorbibile, né riducibile agli schemi semplicistici delle piramidi politiche nazionali e costituisce un punto di riferimento per coloro che credono, maperdavvero, in una Repubblica di autonomie personali, sociali, territoriali. Il presente contributosviluppa,con alcuni adattamenti al contesto del Forum 2043,le riflessionidi Pierluigi Piccini del 12 giugno 2023, intitolateCi siamo dimenticati che si può essere democratici ma di destra e populisti ma di sinistra”.

 

Marco Da Milano (l’11 giugno 2023) sul quotidiano “Domani” scrive che gli schieramenti – intende quelli generali che si propongono in tutta Italia e anche in Europa, che sarebbero la sinistra, la destra, il centro – starebbero tornando e che ci sarebbero quindi nuove occasioni per le leadership nazionali, quella della Schlein (ma anche per quella della Meloni).

Eppure, mentre starebbero tornando la sinistra, la destra, il centro, è anche vero che ci siamo dimenticati che si può essere democratici, ma di destra, e populisti, ma di sinistra.

Tornano gli schieramenti – forse - ma continua ad aumentare la percentuale di persone a cui la sostanza politica di questi schieramenti sfugge e che vogliono essere protagoniste di qualcosa di diverso, da esse stesse creato, territorio per territorio.

Siamo moltitudine di individui, che dovrebbero comprare occasionalmente prodotti preconfezionati e messi sul mercato elettorale, o siamo persone capaci ancora di cittadinanza attiva?

Il polo civico di Siena, che si è riproposto ancora una volta e con forza, è un fenomeno locale, che risente delle dimensioni e delle peculiarità del nostro contesto locale, eppure è anche parte di un fenomeno esteso, presente in tutta Italia e in realtà anche oltre.

Siamo stati un movimento di ricostruzione dal basso di una politica fondata sulla serietà, la competenza, la ricerca della mediazione fra interessi legittimi, la protezione dei beni comuni con un occhio particolarmente attento alle generazioni future.

Eppure siamo stati trattati con disprezzo dal PD, che ha considerato il civismo come un intruso, mentre loro incarnerebbero la politica vera, quella dei partiti. Il loro attacco è stato rivolto in una unica direzione, la nostra. Errore imperdonabile, perché un autentico problema del PD è esattamente la capacità di costruire alleanze con forze autonome e innovative, diverse e soprattutto realmente rappresentative, come appunto il nostro civismo.

Come abbiamo già scritto più volte il bipolarismo non paga, perché c’è sempre bisogno di forze intermedie che non si accontentino di slogan generali, proposte semplicistiche, contrapposizioni mediatiche. Forse intermedia che non sono sempre partitiche, ma sempre più spesso, come è accaduto a Siena, civiche.

Territori ed Europa, nazioni e globalizzazione, ceti medi impoveriti ed elite, diritti individuali e sociali, sono sono soltanto alcune delle antinomie in essere, per le quali non ci sono facili ricette. Non le hanno i conservatorismi, i sovranismi, i populismi. Non le ha la sinistra, il cui sguardo sulla società non è più complessivo, anche se vorrebbe ancora essere egemonico.

Il civismo, che è stato ed è sicuramente anche fluidità, moderazione e pragmatismo, sta maturando e consolidando una una base valoriale.

Stiamo tornando a fare politica a partire dal patrimonio della Costituzione (seguendo uno stimolo, fra tanti altri, come quello di Giuseppe Cotturri, sul fare cittadinanza attiva contro ogni forma di populismo).

I cittadini, con i loro movimenti civici, potrebbero cambiare molte cose, nella loro vita quotidiana, nelle loro amministrazioni locali, nei loro territori, se si riprendesse il cammino verso la piena attuazione, fra gli altri, dell’art. 118 della Costituzione:

Art. 118. Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

La direzione del cambiamento è già indicata nella Costituzione e in altri documenti che nel tempo si sono aggiunti per rispondere a bisogni fondamentali di fronte alla complessità della contemporaneità, come le convenzioni internazionali sui diritti politici e sociali, la Carta dei diritti fondamentali dei cittadini europei, le carte internazionali sui diritti del malato e di altre persone umane fragili, i moltissimi documenti che raccomandano la responsabilità sociale e ambientale delle imprese (i diritti e i doveri di “cittadinanza” dell’impresa). Il cambiamento ha già una direzione, che non è data in astratto, ma viene data da concrete battaglie di cittadinanza.

La Costituzione è anche il terreno d’incontro con le realtà civiche, ambientaliste, autonomiste di questo Forum 2043, che rileggono e rilanciano la Carta di Chivasso del 1943, perché ciò che allora gli antifascisti di montagna chiesero per le loro valli, “valeper tutte le regioni italiane, per i piccoli popoli che formano quel tutto che è il popolo italiano” (Émile Chanoux).

Questo è un terreno di lavoro, difficile ma affascinante, che potrebbe determinare, per chi lo condivide e lo fa proprio, anche nuove alleanze e un rilancio effettivo della democrazia partecipata. Su questo il civismo continuerà a lavorare, e non solo a livello locale, ritrovando radici, restituendo significato alle parole, ritrovando capacità di governo, senso del dovere civico, dedizione ai beni comuni e alla res publica

Pierluigi Piccini

(pubblicato il 6 luglio 2023)

 

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Il civismo che ha radici porterà frutto

Un intervento di Mauro Vaiani in dialogo con il prof. Pino Pisicchio, su quale civismo può veramente produrre innovazione e riforme nella Repubblica delle Autonomie e nell'Europa delle Regioni - (L'intervento è stato ripreso integralmente da Formiche.net : https://formiche.net/2025/08/il-civismo-non-si-esaurisce-con-le-liste-civetta-lintervento-di-vaiani/#content , ndr 9 agosto 2025)

 

Stimolato dall’intervento del prof. Pino Pisicchio, intitolato “Il trionfo delle liste civiche non ha nulla di civico” (apparso su Domani del 30/7/2025), vorrei ricordare come in tutta la Repubblica, nelle elezioni comunali e regionali, la presenza di liste civiche locali, nel senso lato di formazioni prive di simboli di partito, sia un fenomeno antico e consolidato, semplicemente incomprimibile, espressione del diritto-dovere costituzionale dei cittadini di attivarsi per scegliere i propri amministratori locali.

Questa presenza civica non è in crescita solo perché i partiti stessi promuovono liste civiche che in realtà sono liste civetta dietro le quali essi nascondono la propria impopolarità, quelle che il prof. Pisicchio chiama liste “ancillari” di uno dei due campi in cui si vorrebbe polarizzata la vita politica italiana.

Sta crescendo un civismo libero e autonomo, in gran parte indipendente se non in aperta polemica con le piramidi politiche del centrosinistra e del centrodestra. E’ questa è una buona notizia. Un civismo che, sia chiaro, se dalla crisi dei due poli rinascesse una piramide politica di “centro”, sarebbe indipendente anche da essa. Un civismo che sarebbe quanto meno ingeneroso liquidare come espressione di “potentati locali”.

Il civismo migliore è espresso da candidati liberi e autonomi che emergono e talvolta, almeno in ambiti territoriali ristretti, riescono a scardinare il bipolarismo, perché sono portatori di valori, culture, competenze e soluzioni ai problemi della propria comunità locale.

Poiché non esistono soluzioni “italiane” ai problemi dei tanti e diversi territori italiani, questo civismo locale è indispensabile.

I media ci bombardano con gli slogan agitati da pochi capi politici italiani, per uno dei quali dovremmo “tifare”, ma nessuno di questi slogan, da diversi decenni, produce buona politica per risolvere i problemi che si accumulano nelle periferie. Intendiamoci: di tifosi i capi politici italiani ne hanno ancora parecchi, ma ormai la rottura con questa politica italiana e i suoi slogan generici, per due cittadini su tre, è profonda e, al momento, appare irreversibile.

Il civismo di cui parliamo non è riportato dalla “piena” dell’antipolitica o del populismo. Ha radici culturali e politiche molto profonde: l’autonomismo antifascista ed europeista ispirato dalla Carta di Chivasso del 1943 (quello che i leghisti e i loro alleati hanno incredibilmente tradito); il fiume carsico, che potremmo chiamare “olivettiano”, dei civismi laici sempre in cerca di innovazione e bellezza, sensibili al richiamo della “campana” della humana civilitas, che risuona in ogni territorio; il socialismo autonomista di Giacomo Matteotti; la passione civile per le autonomie locale tipica del cristianesimo-sociale.

Il civismo che ha tali radici può generare nuove autonomie personali, sociali, territoriali, in Italia e in Europa, per noi e per le generazioni future.

Mi permetto di contraddire il prof. Pisicchio su un punto: con leggi elettorali più giuste, alcuni esponenti di questo civismo migliore potrebbero davvero riuscire a partecipare alla politica italiana ed europea, come indipendenti e come innovatori. Noi di Autonomie e Ambiente ci crediamo e per questo siamo in dialogo e al lavoro con altre reti del civismo, della solidarietà, del rilancio della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica.

Firenze, 31 luglio 2025

 

Mauro Vaiani Ph.D.
vicepresidente segretario di Autonomie e Ambiente

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https://www.autonomieeambiente.eu

 

Imola, 6-7 dicembre 2024: l'assemblea dei leader territoriali

Vi aspettiamo alla IV Assemblea generale di Autonomie e Ambiente i prossimi 6-7 dicembre 2024, a IMOLA, una delle città romagnole più cariche di storie e significati, per riflettere sull'Europa che vogliamo: l'Europa delle regioni, dei territori, dei popoli, della sussidiarietà, del decentramento, delle autonomie personali, sociali, territoriali.

Il nostro tema guida sarà: L'AUTONOMIA CURA (Autonomy cares).

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L'evento è organizzato dalla forza sorella attiva nel territorio, Rumâgna Unida. Sarà con noi Lorena López de Lacalle,presidente europea di EFA (European Free Alliance), insieme ad altri rappresentanti europei e italiani del civismo e del territorialismo contemporanei. A Imola, nei giorni 6 e 7 dicembre 2024, Autonomie e Ambiente (AeA), la sorellanza di forze territoriali che rappresenta in Italia la storica EFA (la famiglia politica europea dei territori in cerca di autogoverno), riunirà delegati dei territori, dirigenti politici, studiosi.

Rivendicheremo per le persone, le formazioni sociali, i territori un'autonomia differente, un'autonomia che cura: le crisi, le guerre, il terrorismo in Europa e nel mondo; la povertà e le malattie; gli anziani e i bambini; l'emarginazione e l'oppressione dei diversamente abili e delle differenze; il degrado urbano e il consumo di suolo nelle città, l'abbandono e lo spopolamento delle aree interne; vecchie e nuove forme di inquinamento (comprese quelle invisibili); l’ambiente e il pianeta nell'interesse delle generazioni future; il conformismo dei media; l’erosione della democrazia; l’incompetenza e l’autoritarismo di vecchi e nuovi centralisti.

La scena mediatica è occupata dai ciarlatani dell' "autonomia differenziata", da rigurgiti neonazionalisti, dagli aspiranti podestà d'Italia, napoleoni d'Europa, tiranni della globalizzazione. Intanto tutto declina, degrada, talvolta scivola verso la catastrofe: dalla sicurezza internazionale ai servizi pubblici del più piccolo dei nostri comuni. Dobbiamo reagire contro ogni inutile e pericolosa concentrazione di ricchezze e di potere. Il centralismo è contrario ai nostri più profondi valori umani e cristiani, liberali e sociali, che promuoviamo con fermezza sin dai tempi della Resistenza e della Carta di Chivasso (e in realtà da molto tempo prima!).

Dobbiamo riprenderci, comune per comune, territorio per territorio, il potere di cambiare le cose, tornando all'applicazione piena dei principi di sussidiarietà, che sono sanciti dagli statuti regionali e locali, dalla Costituzione e dai trattati europei.

Ne parleremo insieme, in vista di azioni politiche ed elettorali comuni, con leader civici e territoriali autonomi dal conformismo e dal bipolarismo coatto.

Ulteriori informazioni

I lavori si svolgeranno all'Hotel Donatello di Imola

2024 12 06 07 hotel donatello

Saranno così articolati:

  • Venerdì 6 dicembre 2024 dalle 15 alle 19 circa: ascolto di alcuni ospiti politici e istituzionali, esperti e attivisti amici delle autonomie, oltre che di rappresentanti di movimenti amici, alleati o in dialogo con AeA e con EFA
  • Venerdì 6 dicembre 2024 alle ore 20 circa: cena sociale di autofinanziamento
  • Sabato 7 dicembre 2024 dalle 9 alle 13 circa: dibattito politico fra i rappresentanti delle forze territoriali, i delegati di AeA ed EFA, oltre che dei rispettivi movimenti giovanili

Per restare informati è necessario iscriversi alla newsletter di AeA: https://www.autonomieeambiente.eu

I lavori della IV Assemblea generale saranno pubblici e si svolgeranno in lingua italiana.

Ufficio stampa:

Alberto Mazzotti - 338 8556129 - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Prenotazione obbligatoria:

Per partecipare alla IV Assemblea è necessario iscriversi scrivendo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

 

L'ambientalismo che è qui per farci vivere

  • Autore: Giannozzo Pucci, Edward Goldsmith e altri - Firenze, 2 agosto 2023 (Earth Overshoot Day)

Il Forum 2043,in occasione della terribile ricorrenza del 2 agosto, l'Earth Overshoot Day,ospitala recensione di “Il clima cambia”,il primo fascicolo italiano della prestigiosa rivista “Ecologist”. Fu pubblicato nel 2004 dalla Libreria Editrice Fiorentina, grazie all’impegno di Giannozzo Pucci, lo storico leader verde fiorentino. E’ stato ristampato quest’estate del 2023, integralmente. Il fascicolo contiene interventi dello stesso Giannozzo Pucci e diEdward Goldsmith,di cui condivideremo qui alcuni estratti, oltre a quelli diFred Pearce, George Marshall, Bill McKibben, Peter Bunyard, Luca Mercalli, Bruno Petriccione, Giampiero Maracchi, Giovanni Menduni, Franco Colombo, Marco Gustin, Maurizio Pallante, Mario Palazzetti, Terence Ward, Craig Dreman, Mycle Schneider e altri.

La ripubblicazione di articoli risalenti a vent’anni orsono non èstatauna operazione nostalgia. E’ il riconoscimento della lungimiranza del lavoro di Ecologist, oltrechè dell’importanza e dell’attualità del tema del cambiamento climatico, che è profondamente e drammaticamenteintrecciatocon la nostra capacità di porre fine, al più presto, alla distruzione della sottile ecosfera abitabile del pianeta, nell’interesse di tutti i viventi e delle generazioni future.

Tra gli articoli presenti in questa ristampa e ancora attuali, troviamo: “La visione dell’Ecologist”;“Il rifiuto e la psicologia dell’apatia climatica”; “Quanto conta l’Amazzonia nel clima del pianeta”; “Profughi ambientali”; “Gli ultimi 10.000 anni: dai ghiacciai ai mandorli”; “Segnali e conseguenze nel territorio toscano”; “Nucleare ed effetto serra”; “Combattere il riscaldamento del globo casa per casa”.

Prima degli estratti dagli scritti di Pucci e Goldsmith, dobbiamo fornire alcuni caveat all’attivista civico, ambientalista, territorialista che frequenta il Forum 2043 e intende risintonizzarsi conla Carta di Chivasso e con80 anni di storia delle lotte per le autonomie personali, sociali, territoriali.

Primo: quello sul clima e sulla sua alterazione anche a causa della nostra troppo grande e troppo pesante impronta sul pianeta (nostra di noioltre sette miliardi di esseri umani e della nostra civiltà tecnologica globale) èun dibattito scientifico difficile e dannatamente serio. Dobbiamo mantenerci ben distinti e distanti sia dal negazionismo dei ciarlatani che non vogliono cambiare nulla degli attuali assetti economici e sociali, sia dal dogmatismo semplicistico e conformista di coloro che credono che esistano già soluzioni e ricette, ovviamente uguali per tutti e dappertutto, che non resti quindi altro da discutere, ma solo da obbedire a ciò che ci viene imposto con toni e modalità emergenziali (magari proprio da multinazionali e poteri forti, che sono ovviamente capaci di condizionare pesantemente la vita politica e le comunicazioni di massa).Purtroppo no, non esistono ancora soluzioni definitive alla crisi ambientale e ai rischi dell’innalzamento, anche lieve, delle temperature medie terrestri. Ogni territorio, ogni comunità locale, ogni leader locale con responsabilità di governo, tutti si devono impegnare per individuare ed adottare quanto prima, misureoriginali e localidi riduzione del danno che stiamo facendo all’ambiente, di mitigazione delle conseguenze più drammatiche della situazione, di adattamento a ciò che, inevitabilmente, anche se smettessimo oggi d’inquinare, è già cambiato.No, non ci salveremo comprando tutti automobili elettriche, per essere brutali. No, il trasporto aereo non può continuare così. No, i trasporti marittimi – crociere comprese – non possono andare avanti come oggi.

Secondo: noi attivisti civici, ambientalisti, territorialisti, siamo ben coscienti deiproblemi gestionali e comunicativi dell’IPCC (https://www.ipcc.ch/, Intergovernmental Panel on Climate Change). E’ un organismo intergovernativo e nessuno, meglio di noi autonomisti e decentralisti, conoscei limiti intrinseci diquesto tipo di tecnocrazie internazionali. Siamo anchebencoscienti delle critiche che si fanno, da molte parti, alle periodiche conferenze internazionali per la protezione dell’ambiente (la prossima sarà la COP 28, negli Emirati, https://www.cop28.com/en/), che spesso appaiono grandi circhi mediatici. Ci sono anche delle discussioni scientifiche, come quelle che vengono dagli scienziati cosiddetti “anticatastrofisti”: Alberto Crescenti, Franco Battaglia, Mario Giaccio, Enrico Miccadei, Giuliano Panza, Alberto Prestininzi, Franco Prodi, Nicola Scafetta (il loro appello può essere letto qui).Una delle loro critiche si fondasull’interpretazione di fatti cheproprio qui nei territori della Repubblica italianasonostoricamente e scientificamente ben conosciuti, comeil “periodo caldo medioevale” (Optimum climatico medioevale) fra il 1000 e il 1300, in cui sarebbe stato caldo quanto e più di oggi. Se l’alternanza, non influenzata da attività umane inquinanti. di periodi freddi e caldi è un fatto, sia chiaro chenessuno dei citati scienziati “scettici” propone di lasciare che la nostra economia globale vada avanti come oggi!Avremo avuto caldo anche nel Medioevo, ma a quel tempo sul pianeta viveva mezzo miliardo scarso di persone, senza concentrazioni insostenibili di ricchezza e potere, senza la capacità distruttiva dellaguerra e dell’oppressionepolitica moderne, senzaarsenali capaci di distruggere il mondo decine di volte,senzaun’economiaindustrialedi rapina e distruzione di risorse non rinnovabili,senzauna cementificazione e una urbanizzazioneselvagge, senzaun ritmo di estinzioni di specie viventi che fa scrivere gli studiosi di “sesta estinzione di massa” nella storia della Terra,senzal’attuale terrificanteinvasione di plastiche e altre sostanze non biodegradabili,che riducono il pianeta a una discarica della nostra follia.Ogni paragonetra le sofferenze che gli esseri umani provocano e soffrono oggi e ogni altro periodo storico pre-industriale, sarebbe semplicemente fallace, ai limiti della dissonanza cognitiva. Quindi, come gli stessi scienziati scettici sostengono, ci resta il dovere di smettere di distruggere la nostra Terra e di porre in atto tutti i cambiamenti necessari al fine di poter lasciare alle generazioni future un pianeta abitabile.

Terzo:i media vanno a caccia di clic, cercano pubblico con narrazioni apocalittiche, alimentano – su ordine dei potenti della Terra – opposte tifoserie in modo che i cittadini si dividano invece che unirsi per cambiare le cose,oppure siano ridotti alla sudditanza a provvedimenti emergenziali, come sempre accade nel centralismo autoritario.Non partecipiamo,quindi, al gioco di chi grida più forte “La fine è vicina”,alimentando ecoansie, estremismi, atteggiamenti millenaristici.Invitiamo,soprattutto i giovani, a esercitare il loro senso critico e a prepararsi a essere dei buoni amministratori locali e attivisti politici, invece che accontentarsi di scioperi salta scuola, raduni lacrimosi, prediche generiche, gesti simbolici (speriamo non più vandalici). La crisi ambientale che stiamo vivendo non può essere risolta con facili moralismi, con il coinvolgimento emotivo, con il pressappochismo, con le operazioni di maquillage o di marketing (spesso abilmente orchestratee quasi mai disinteressate). Occorronoinvece studio, lavoro, impegno politico ed elettorale, coraggio e audacia, capacità e volontà di candidarsi alle elezioni (le poche ancora parzialmente democratiche che qua e là ci sono), ben sapendo che in mille si deve provare e che ben pochi poi saranno eletti e, ancora più difficile, eletti capaci di cambiare le cose.

Quarto (e ultimo per ora):se le ipotesi sui cicli di attività solareanalizzati e spiegati da Valentina Zharkovarisultassero verificati, il mondo potrebbe conoscere una svolta verso il freddo particolarmente severa all’incirca nelperiodo 2030-2050(qui una riflessione divulgativa ma ben scritta sull’ipotesi).Nessuno strumentalizzi questa ipotesi per frenare sulla necessariafine della schiavitù dal fossile o dal fissile. Perché se il caldo fa paura alle nostre città inabitabili e alla nostra agricoltura viziata dalla chimica, nessuno creda che un periodo più frescosi rivelerà menodrammatico.La situazione è già compromessa e dobbiamo rendere la vita umana più sostenibile e più giusta, senza se e senza ma,qui e ora.Una casa ben costruita è più vivibile sia che arrivino eccessi di caldo che di freddo. Una campagna ben coltivata e saggiamente diversificata può produrre cibo buono in ogni stagione.Nella migliore delle ipotesi, speriamo che abbia ragione lo scienziato bolognese Teodoro Georgiadis, che ha sostenuto che un eventuale raffreddamento a metà del XXI secolo, non comporterebbe meno sofferenze, ma forse ci darebbe più tempo per porre fine all’attuale civiltà distruttiva che, letteralmente, “ci fa mangiare petrolio”,come ci disse autorevolmente Luca Pardi,alla II assemblea generale di Autonomie e Ambiente.

Verso un pensiero laico eppure religioso e comunque fraterno
(di Giannozzo Pucci)

L’Ecologist, pur essendo laico, crede nella libertà per tutti di professare apertamente la propria fede nella comune identità di appartenenti e custodi della Terra. Questa appartenenza, davanti alla crisi ecologica in atto, può anche ispirare il superamento dei conflitti religiosi con una sfida etica alla fraternità e alla venerazione della terra. Mai l’umanità è rimasta ferma, il bisogno di tornare alla purezza originale ci ha sempre tenuti in movimento, ma un miglioramento delle condizioni di vita nel rispetto della creazione è altra cosa da un progresso sostitutivo di ogni natura e fede che ha prodotto miseria da una parte e degrado per ingiusta ricchezza dall’altra.

L’Italia, negli anni 1950 e ‘60, poteva prendere un’altra strada rispetto a quella del consumismo e dello spreco che adesso la caratterizza e che ha devastato l’unità delle famiglie, la salute pubblica, le campagne, le città, i mestieri tradizionali di custodia della Terra e di trasformazione dei suoi prodotti. Ma oggi, se saprà cambiare strada prima di altri, impegnandosi in quella autonomia alimentare ed energetica che è stata tabù per così tanto tempo, potrà svolgere il suo specifico compito storico di mediatrice fra i popoli.

Un’economia che distrugge la natura e produce miseria non ha nulla a che vedere con la civiltà, anche se viaggia in auto sportive e aerei supersonici, ma è pura barbarie.

L’uomo moderno, anche con l’automobile, continua ad avere due gambe come l’uomo di sempre e in questo mai cambierà; l’invito a riconsiderare il passato ha lo scopo di migliorare la civiltà, rifondandola su realtà umane perenni che riducano le ingiustizie e facciano emergere un compito storico degno dei sacrifici di questa e delle prossime generazioni. Tale compito consiste nel trasformare la società occidentale da cancro della terra a custode della moltiplicazione delle forme di vita.

Questo compito straordinario, eticamente radicato, è parte non secondaria di ogni religiosità. L’incoerenza italiana tra proclami ecologici e pratiche di vita devastanti è una regressione spirituale e civile che può e deve essere superata.

Certo questo primo libro (il fascicolo italiano dell’Ecologist del 2004, ripubblicato nel 2023, ndr) contiene molte profezie di sventura, del resto non fu la profezia di sventura di Giona a convertire la città di Ninive?

Come nutrire il mondo, anche se non farà più caldo
(di Edward Goldsmith)

(…) Gli agricoltori stanno perdendo la battaglia (per colpa della chimica industriale, ndr), gli organismi dannosi sopravvivono all’assalto chimico, gli agricoltori no. Un numero sempre crescente di loro abbandona la terra e la situazione in futuro peggiorerà molto. Oggi assistiamo all’introduzione forzata di colture geneticamente modificate da parte delle organizzazioni internazionali colluse con i governi nazionali, resa possibile dall’influenza sempre più forte delle multinazionali biotecnologiche. Le colture geneticamente modificate, diversamente da quanto ci viene detto, non aumentano i raccolti. Per di più hanno bisogno di maggiori investimenti, compresi più acqua e più diserbanti, il cui consumo avrebbero dovuto ridurre notevolmente (…).

Un altro motivo per cui la moderna agricoltura industriale ha fatto il suo tempo, anche senza il problema del cambiamento climatico, è la sua eccessiva vulnerabilità e dipendenza dall’aumento dei prezzi del petrolio, e ancor più dai periodi di carenza di questo combustibile (...).

Questo non succede con le varietà tradizionali, alcune delle quali sono così produttive che, in alcune parti dell’India, i coltivatori stanno ritornando ad usarle (…).

In ogni caso, non c’è nulla di meno sostenibile dell’agricoltura industriale irrigua. La quantità d’acqua usata per l’irrigazione raddoppia ogni 20 anni e attualmente assorbe quasi il 70% di tutta l’acqua utilizzata nel mondo, una situazione che non può andare avanti ancora molto, che ci sia o meno il cambiamento climatico. Quasi senza eccezione, l’agricoltura industriale, specialmente nelle aree tropicali, provoca subsidenza e salinizzazione dei terreni (…).

Quali caratteristiche deve avere un sistema agricolo che risponda ai nostri bisogni? Innanzitutto, deve essere altamente locale. Il cibo, invece di essere prodotto per l’esportazione, come i contadini sono costretti a fare dal Fondo Monetario Internazionale e ora dalla World Trade Organisation (Organizzazione mondiale del commercio), deve innanzitutto rispondere ai bisogni locali.

Un primo motivo è che i trasporti in generale assorbono un ottavo dei consumi mondiali di petrolio e gran parte di questi è costituito dal trasporto di alimenti (umani e animali, ndr) (…).

La localizzazione del cibo è necessaria anche senza il problema del cambiamento climatico perché è soltanto producendo cibo localmente che i poveri, in particolare nel Terzo mondo, possono avervi accesso. Infatti, una delle maggiori cause di malnutrizione e di fame nei paesi poveri è la mancanza di terra per la produzione di cibo per uso locale. Tra il 50% e l’80% di terreno agricolo nei paesi del Terzo mondo produce per l’esportazione (…).

In un sistema agricolo locale, in gran parte autosufficiente, costituito soprattutto di piccole aziende agricole, vengono usate molte colture diverse e molte varietà di piante in ciascuna coltura come hanno sempre fatto gli agricoltori tradizionali (…).

Come scrive James Scott, un’autorità nel campo dell’agricoltura contadina, “la tradizione locale di usare un’ampia varietà di sementi, tecniche e periodi di semina è stata formata in secoli di tentativi per arrivare a produrre i raccolti più stabili e affidabili possibile in date circostanze”. Di solito, un coltivatore cerca di evitare l’errore “che lo potrebbe rovinare, piuttosto che tentare una caccia grossa ma rischiosa”, e questo in gran parte lo ottiene coltivando molte colture diverse e varietà di piante scelte con cura, la cui combinazione esatta egli è in grado di adattare, quando necessario, ad eventuali modifiche ambientali.

Dato che, col cambiamento climatico, nessuno sa prima quali colture e varietà saranno in grado di sopravvivere alle ondate di calore, alle inondazioni, ai periodi di siccità e all’invasione di insetti esotici, è più importante che mai che gli agricoltori siano in grado di coltivare un’ampia e ben scelta varietà di colture tradizionali (...).

Ogni scelta che aiuta a rendere i nostri metodi agricoli più simili a quelli naturali usati dagli agricoltori tradizionale è un moltiplicatore di soluzioni. Potrebbe valer la pena considerare tutta la serie di problemi nati con l’uso dei fertilizzanti artificiali. Sostituendoli, come suggerito prima, con quelli naturali, potremmo risolvere un gran numero di problemi importanti, ben oltre il fatto di ridurre drasticamente il contributo delle attività agricole alla destabilizzazione del clima mondiale (…).

...il fertilizzante non aumenta il peso a secco, ma semplicemente aggiunge più acqua al raccolto. Di conseguenza, l’uso di fertilizzanti artificiali rende le piante molto più vulnerabili a infestazioni di funghi e ne incrementa le perdite dopo il raccolto. Per evitare questo, vengono regolarmente utilizzati pesticidi ancor più velenosi durante l’immagazzinamento.

Questi studi indicano che i tanto esaltati benefici offerti dall’uso dei fertilizzanti chimici e diserbanti sono in gran parte illusori. Il che non sorprende visto che queste sostanze chimiche non sono state diffuse per fornire alla gente cibo a basso costo, abbondante e sano. Furono inizialmente ideate come esplosivi (TNT)… (…).

 2023 2004 ristampa Ecologist il clima cambia 180 456

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Firenze, 2 agosto 2023
Earth Overshoot Day
Il giorno di ogni anno in cui s’inizia a vivere a spese delle generazioni future

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L'imbroglio dell'elezione mediatica del capo

Nel nostro secolare impegno per le autonomie personali, sociali e territoriali, abbiamo sempre resistito a tutte le forme di concentrazione di potere. Continueremo quindi a metterci di traverso agli aspiranti "podestà" d'Italia e "napoleone" d'Europa.

L'elezione diretta di simili capi non è democrazia, ma mediacrazia. Le concentrazioni di potere informativo e, oggi, informatico, decidono non solo quello che i cittadini possono apprezzare, ma anche quello che devono disprezzare. In contesti così ampi nessun rapporto politico e culturale - quindi umano - è possibile fra elettori ed eletti, quindi alle comunità e ai leader locali non resta altro che la scelta di quello che appare come il meno peggio fra due candidati imposti dall'alto e da altrove. Ai cittadini non viene dato più potere, ma solo la possibilità di dividersi in due opposti conformismi. A causa di leggi elettorali ingiuste, che assicurano ai vincenti di occupare le assemblee con i loro "nominati", le istituzioni sono inaccessibili alle voci critiche, ai pensieri divergenti, agli indipendenti, a chi non è fedele ai capi.

I pericoli delle democrazie plebiscitarie e i guai combinati dai capi eletti da folle manipolate dai media sono già storicamente noti e ben chiari a chi ha ancora un po' di senso critico, cultura politica, senso civico.

Nel mondo contemporaneo, in cui stanno crollando i livelli di educazione e libera informazione, dove dilaga l'analfabetismo di ritorno e stanno precipitando persino le più semplici capacità di attenzione e concentrazione, i guasti possono solo ingigantirsi.

Questo disastro riguarda anche l'elezione diretta di capi a livello più basso. Anche le competizioni per governatore di regione, presidente di provincia, sindaco di una grande città, rischiano di essere ridotte a travestimenti della democrazia. I candidati hanno delle possibilità solo se sono già al potere, oppure sono già famosi grazie al potere dei media. I finalisti sono scelti dalle piramidi politiche principali. I confronti sono solo televisivi. I dibattiti sono ridotti alla contrapposizione di slogan semplicistici e fuorvianti. Gli elettori sono ridotti a tifosi passivi.

E' necessario l'emergere, dal basso, di candidati autonomisti, civici, liberi e indipendenti dal verticismo del bipolarismo mediatico. Ma anche sindaci e presidenti che si preparano a chiedere un nuovo mandato - spesso in polemica diretta con i loro stessi capi centralisti e autoritari - dovrebbero essere i primi a immaginare qualcosa di nuovo: godono di una relativa rendita di posizione e dovrebbero usarla per fermare l'erosione delle autonomie, che è anche erosione della democrazia.

In questo quadro desolante, c'è una speranza: coloro che credono nella religione civile delle autonomie, nei principi della sussidiarietà, nel civismo libero e autonomo dai vertici dei partiti centralisti, devono collegarsi, parlarsi, costruire proposte politiche e amministrative serie, competenti, lungimiranti.

Autonomie e Ambiente c'è.

 

Napoli - Firenze - Venezia, 17 gennaio 2025

A cura della presidenza di Autonomie e Ambiente

 

L'uso partigiano del potere d'indizione delle elezioni

Cinque regioni a statuto ordinario sono avviate verso le elezioni, a fine anno o all'inizio del 2026: Veneto, Campania, Puglia, Marche, Toscana. Era atteso un accordo fra le cinque giunte regionali uscenti e il ministero dell'interno, perché s'immaginava di vederle andare al voto in una unica tornata. Questa intesa non pare in vista e anzi si assiste, da parte di alcuni presidenti uscenti, a uno sconcertante uso partigiano del loro potere d'indizione delle elezioni regionali.

Particolarmente imbarazzante l'atteggiamento di Eugenio Giani (uscente di centrosinistra in Toscana) e di Francesco Acquaroli (uscente di centrodestra nelle Marche), perché essi intendono ricandidarsi. Hanno dichiarato di voler indire le elezioni in tutta fretta entro ottobre, con la conseguenza che candidature civiche, indipendenti, nuove, che volessero sfidare le due piramidi politiche del centrosinistra e del centrodestra sarebbero costrette a raccogliere le firme in pieno agosto.

Qui una presa di posizione degli amici di OraToscana contro questo balletto sempre più strumentale sulle date delle elezioni.

Riceviamo e pubblichiamo integralmente un comunicato di denuncia di queste manovre antidemocratiche, da parte dei civismi toscani riuniti in L'Altra Toscana, rete di cui è garante il sindaco di Viareggio Giorgio Del Ghingaro.

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IL BALLETTO DELLE DATE PER LE REGIONALI È UNO SCHIAFFO ALLA DEMOCRAZIA

Il balletto stucchevole sulle date delle prossime elezioni regionali in Toscana, con il presidente Giani che continua a lanciare ipotesi e proclami senza alcuna ufficialità, è ormai diventato uno spettacolo indecoroso, un insulto alla partecipazione democratica.

A oggi non esiste ancora una data certa, non ci sono candidati ufficiali, solo proclami a orologeria dettati da logiche di potere, non da senso istituzionale.

Da settimane assistiamo a un valzer di date ipotetiche, dichiarazioni ambigue e silenzi strategici: non c’è ancora, nessun calendario trasparente, nessun elenco di candidati: l’intero processo elettorale appare più come una manovra di palazzo che un percorso democratico trasparente.

Ma c’è di più, e di peggio.

Se davvero si andrà al voto a ottobre, come ventilato, si configura una vera e propria violazione dello spirito democratico: i soggetti politici che non sono rappresentati in Consiglio regionale oggi — e che quindi devono raccogliere le firme per presentare le proprie liste — si troveranno con tempi strettissimi per farlo, nel cuore dell’estate, quando la partecipazione popolare è naturalmente più difficile.

Un ostacolo non casuale, ma scientificamente progettato per tagliare fuori ogni voce scomoda o alternativa.

Non è la prima volta che accade: già in passato, in Toscana e in altre regioni, il sistema di raccolta firme è stato usato come barriera più che come garanzia. Nel 2010 diverse liste furono escluse dalla competizione regionale proprio per cavilli legati alla tempistica e alla validazione delle sottoscrizioni. L’Associazione Luca Coscioni da anni denuncia l’impossibilità per nuovi soggetti politici di partecipare ad armi pari, e nel 2022 ha chiesto senza successo la digitalizzazione delle firme, oggi ampiamente praticabile ma ancora ignorata dal legislatore.

Anche in occasioni recenti, come le elezioni europee del 2024, l’Italia è finita nel mirino delle istituzioni europee per aver modificato le regole elettorali a pochi mesi dal voto, imponendo una raccolta firme onerosa e opaca, in violazione dei più elementari principi democratici.

Si parla tanto di mancata partecipazione della gente alla vita pubblica e di astensionismo e poi si fa di tutto per allontanare ancor di più i cittadini e comprimere le forme di democrazia.

È un ostacolo pratico che diventa un ostacolo politico. Si impedisce, nei fatti, la partecipazione di nuove forze, si ostacola il pluralismo, si chiude la porta in faccia a chi vuole rappresentare un’altra idea di Toscana.

Quando la burocrazia diventa arma politica, la democrazia è sotto assedio. Quello che sta accadendo in Toscana è grave: non è solo negligenza, è una manovra consapevole per piegare le regole all’interesse di pochi. Si impedisce la nascita di alternative, si soffoca il pluralismo, si chiude la porta al cambiamento.

L’Altra Toscana c’è, e ci sarà. Chiediamo chiarezza, subito. Chiediamo tempi certi e accessibili per tutti. Chiediamo che non si giochi sulla pelle della democrazia.

La Toscana merita molto di più di questo teatrino. E merita, come è stato in altri momenti della sua storia, trasparenza, equità e rispetto delle regole comuni.

 

Giorgio Del Ghingaro

Sindaco di Viareggio e garante del coordinamento civico L’Altra Toscana

 

Viareggio, 4 luglio 2025

 

La controstoria di don Milani, contro militarismo, colonialismo e retoriche patriottarde

  • Autore: lettura di don Lorenzo Milani, nel centenario della nascita - Barbiana del Mugello, 27 maggio 2023

Ha rovesciato i potenti dai troni, Ha innalzato gli umili;(Luca 1,52)

Per onorare il centenario della nascita di don Lorenzo Milani (27 maggio 1923-2023), rileggiamo la sua “controstoria” dello stato italiano, estratta dalla sua lettera del 1965 ai cappellani militari toscani, in difesa degli obiettori di coscienza, in polemica con ogni forma di militarismo, colonialismo, imperialismo.

(…)

L'obiezione in questi 100 anni di storia l'han conosciuta troppo poco. L'obbedienza, per disgrazia loro e del mondo, l'han conosciuta anche troppo.

Scorriamo insieme la storia. Volta volta ci direte da che parte era la Patria, da che parte bisognava sparare, quando occorreva obbedire e quando occorreva obiettare.

1860. Un esercito di napoletani, imbottiti dell'idea di Patria, tentò di buttare a mare un pugno di briganti che assaliva la sua Patria. Fra quei briganti c'erano diversi ufficiali napoletani disertori della loro Patria. Per l'appunto furono i briganti a vincere. Ora ognuno di loro ha in qualche piazza d'Italia un monumento come eroe della Patria.

A 100 anni di distanza la storia si ripete: l'Europa è alle porte.

La Costituzione è pronta a riceverla: "L'Italia consente alle limitazioni di sovranità necessarie...". I nostri figli rideranno del vostro concetto di Patria, così come tutti ridiamo della Patria Borbonica. I nostri nipoti rideranno dell'Europa. Le divise dei soldati e dei cappellani militari le vedranno solo nei musei.

La guerra seguente, 1866, fu un'altra aggressione. Anzi c'era stato un accordo con il popolo più attaccabrighe e guerrafondaio del mondo per aggredire l'Austria insieme.

Furono aggressioni certo le guerre (1867-1870) contro i Romani i quali non amavano molto la loro secolare Patria, tant'è vero che non la difesero. Ma non amavano molto neanche la loro nuova Patria che li stava aggredendo, tant'è vero che non insorsero per facilitarle la vittoria. Il Gregorovius spiega nel suo diario: "L'insurrezione annunciata per oggi, è stata rinviata a causa della pioggia".

Nel 1898 il Re "Buono" onorò della Gran Croce Militare il generale Bava Beccaris per i suoi meriti in una guerra che è bene ricordare. L'avversario era una folla di mendicanti che aspettavano la minestra davanti a un convento a Milano. Il Generale li prese a colpi di cannone e di mortaio solo perché i ricchi (allora come oggi) esigevano il privilegio di non pagare tasse. Volevano sostituire la tassa sulla polenta con qualcosa di peggio per i poveri e di meglio per loro. Ebbero quel che volevano. I morti furono 80, i feriti innumerevoli. Fra i soldati non ci fu né un ferito né un obiettore. Finito il servizio militare tornarono a casa a mangiar polenta. Poca perché era rincarata.

Eppure gli ufficiali seguitarono a farli gridare "Savoia" anche quando li portarono a aggredire due volte (1896 e 1935) un popolo pacifico e lontano che certo non minacciava i confini della nostra Patria. Era l'unico popolo nero che non fosse ancora appestato dalla peste del colonialismo europeo.

Quando si battono bianchi e neri siete coi bianchi? Non vi basta di imporci la Patria Italia? Volete imporci anche la Patria Razza Bianca? Siete di quei preti che leggono la Nazione? Stateci attenti perché quel giornale considera la vita d'un bianco più che quella di 100 neri. Avete visto come ha messo in risalto l'uccisione di 60 bianchi nel Congo, dimenticando di descrivere la contemporanea immane strage di neri e di cercarne i mandanti qui in Europa?

Idem per la guerra di Libia.

Poi siamo al '14. L'Italia aggredì l'Austria con cui questa volta era alleata.

Battisti era un Patriota o un disertore? È un piccolo particolare che va chiarito se volete parlare di Patria. Avete detto ai vostri ragazzi che quella guerra si poteva evitare? Che Giolitti aveva la certezza di poter ottenere gratis quello che poi fu ottenuto con 600.000 morti?

Che la stragrande maggioranza della Camera era con lui (450 su 508)? Era dunque la Patria che chiamava alle armi? E se anche chiamava, non chiamava forse a una "inutile strage"? (l'espressione non è d'un vile obiettore di coscienza ma d'un Papa canonizzato).

Era nel '22 che bisognava difendere la Patria aggredita. Ma l'esercito non la difese. Stette a aspettare gli ordini che non vennero. Se i suoi preti l'avessero educato a guidarsi con la Coscienza invece che con l'Obbedienza "cieca, pronta, assoluta" quanti mali sarebbero stati evitati alla Patria e al mondo (50.000.000 di morti). Così la Patria andò in mano a un pugno di criminali che violò ogni legge umana e divina e riempiendosi la bocca della parola Patria, condusse la Patria allo sfacelo. In quei tragici anni quei sacerdoti che non avevano in mente e sulla bocca che la parola sacra "Patria", quelli che di quella parola non avevano mai voluto approfondire il significato, quelli che parlavano come parlate voi, fecero un male immenso proprio alla Patria (e, sia detto incidentalmente, disonorarono anche la Chiesa).

Nel '36 50.000 soldati italiani si trovarono imbarcati verso una nuova infame aggressione: Avevano avuto la cartolina di precetto per andar "volontari" a aggredire l'infelice popolo spagnolo.

Erano corsi in aiuto d'un generale traditore della sua Patria, ribelle al suo legittimo governo e al popolo suo sovrano. Coll'aiuto italiano e al prezzo d'un milione e mezzo di morti riuscì a ottenere quello che volevano i ricchi: blocco dei salari e non dei prezzi, abolizione dello sciopero, del sindacato, dei partiti, d'ogni libertà civile e religiosa.

Ancor oggi, in sfida al resto del mondo, quel generale ribelle imprigiona, tortura, uccide (anzi garrota) chiunque sia reo d'aver difeso allora la Patria o di tentare di salvarla oggi. Senza l'obbedienza dei "volontari" italiani tutto questo non sarebbe successo.

Se in quei tristi giorni non ci fossero stati degli italiani anche dall'altra parte, non potremmo alzar gli occhi davanti a uno spagnolo. Per l'appunto questi ultimi erano italiani ribelli e esuli dalla loro Patria. Gente che aveva obiettato.

Avete detto ai vostri soldati cosa devono fare se gli capita un generale tipo Franco? Gli avete detto che agli ufficiali disobbedienti al popolo loro sovrano non si deve obbedire?

Poi dal '39 in là fu una frana: i soldati italiani aggredirono una dopo l'altra altre sei Patrie che non avevano certo attentato alla loro (Albania, Francia, Grecia, Egitto, Jugoslavia, Russia).

Era una guerra che aveva per l'Italia due fronti. L'uno contro il sistema democratico. L'altro contro il sistema socialista. Erano e sono per ora i due sistemi politici più nobili che l'umanità si sia data.

L'uno rappresenta il più alto tentativo dell'umanità di dare, anche su questa terra, libertà e dignità umana ai poveri.

L'altro il più alto tentativo dell'umanità di dare, anche su questa terra, giustizia e eguaglianza ai poveri.

Non vi affannate a rispondere accusando l'uno o l'altro sistema dei loro vistosi difetti e errori. Sappiamo che son cose umane. Dite piuttosto cosa c'era di qua dal fronte. Senza dubbio il peggior sistema politico che oppressori senza scrupoli abbiano mai potuto escogitare. Negazione d'ogni valore morale, di ogni libertà se non per i ricchi e per i malvagi. Negazione d'ogni giustizia e d'ogni religione. Propaganda dell'odio e sterminio d'innocenti. Fra gli altri lo sterminio degli ebrei (la Patria del Signore dispersa nel mondo e sofferente).

Che c'entrava la Patria con tutto questo? e che significato possono più avere le Patrie in guerra da che l'ultima guerra è stata un confronto di ideologie e non di patrie?

Ma in questi cento anni di storia italiana c'è stata anche una guerra "giusta" (se guerra giusta esiste). L'unica che non fosse offesa delle altrui Patrie, ma difesa della nostra: la guerra partigiana.

Da un lato c'erano dei civili, dall'altra dei militari. Da un lato soldati che avevano obbedito, dall'altra soldati che avevano obiettato.

Quali dei due contendenti erano, secondo voi, i "ribelli", quali i "regolari"?

È una nozione che urge chiarire quando si parla di Patria. Nel Congo p. es. quali sono i "ribelli"?

Poi per grazia di Dio la nostra Patria perse l'ingiusta guerra che aveva scatenato. Le Patrie aggredite dalla nostra Patria riuscirono a ricacciare i nostri soldati.

Certo dobbiamo rispettarli. Erano infelici contadini o operai trasformati in aggressori dall'obbedienza militare. Quell'obbedienza militare che voi cappellani esaltate senza nemmeno un "distinguo" che vi riallacci alla parola di San Pietro: "Si deve obbedire agli uomini o a Dio?". E intanto ingiuriate alcuni pochi coraggiosi che son finiti in carcere per fare come ha fatto San Pietro.

In molti paesi civili (in questo più civili del nostro) la legge li onora permettendo loro di servir la Patria in altra maniera. Chiedono di sacrificarsi per la Patria più degli altri, non meno. Non è colpa loro se in Italia non hanno altra scelta che di servirla oziando in prigione.

Del resto anche in Italia c'è una legge che riconosce un'obiezione di coscienza. È proprio quel Concordato che voi volevate celebrare. Il suo terzo articolo consacra la fondamentale obiezione di coscienza dei Vescovi e dei Preti.

In quanto agli altri obiettori, la Chiesa non si è ancora pronunziata né contro di loro né contro di voi. La sentenza umana che li ha condannati dice solo che hanno disobbedito alla legge degli uomini, non che son vili. Chi vi autorizza a rincarare la dose? E poi a chiamarli vili non vi viene in mente che non s'è mai sentito dire che la viltà sia patrimonio di pochi, l'eroismo patrimonio dei più?

Aspettate a insultarli. Domani forse scoprirete che sono dei profeti. Certo il luogo dei profeti è la prigione, ma non è bello star dalla parte di chi ce li tiene.

Se ci dite che avete scelto la missione di cappellani per assistere feriti e moribondi, possiamo rispettare la vostra idea. Perfino Gandhi da giovane l'ha fatto. Più maturo condannò duramente questo suo errore giovanile. Avete letto la sua vita?

Ma se ci dite che il rifiuto di difendere se stesso e i suoi secondo l'esempio e il comandamento del Signore è "estraneo al comandamento cristiano dell'amore" allora non sapete di che Spirito siete! che lingua parlate? come potremo intendervi se usate le parole senza pesarle? se non volete onorare la sofferenza degli obiettori, almeno tacete!

Auspichiamo dunque tutto il contrario di quel che voi auspicate: Auspichiamo che abbia termine finalmente ogni discriminazione e ogni divisione di Patria di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise che morendo si son sacrificati per i sacri ideali di Giustizia, Libertà, Verità.

Rispettiamo la sofferenza e la morte, ma davanti ai giovani che ci guardano non facciamo pericolose confusioni fra il bene e il male, fra la verità e l'errore, fra la morte di un aggressore e quella della sua vittima.

Se volete diciamo: preghiamo per quegli infelici che, avvelenati senza loro colpa da una propaganda d'odio, si son sacrificati per il solo malinteso ideale di Patria calpestando senza avvedersene ogni altro nobile ideale umano.

Don Lorenzo Milani

* * *

Testo estratto dalla pubblicazione “L' obbedienza non è più una virtù”Documenti del processo a don Lorenzo Milani

Prima edizione: Firenze, Libreria editrice fiorentina, 1965. Nel 1994 uscì l'edizione a cura del giornalista viterbese Carlo Galeotti per i tipi di Nuovi Equilibri/Stampa Alternativa di Viterbo, da cui è stato estratto un testo elettronico integralmente disponibile in rete con la licenza specificata al seguente indirizzo: http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

 Altra fonte: https://www.famigliacristiana.it/articolo/l-obbedienza-non-e-piu-una-virtu-il-testo-di-don-lorenzo-milani.aspx

 Altre informazioni: https://it.wikipedia.org/wiki/L%27obbedienza_non_%C3%A8_pi%C3%B9_una_virt%C3%B9

 

Questo formidabile scritto ci rivela un don Milani gigantesco, connesso con le più avanzate forme di critica sociale e politica del suo tempo. Scrive Gabriele Arosio (su Riforma.it) che don Milani ha condiviso con altri grandi del secolo XX la convinzione che si possa cambiare il mondo cominciando da una delle periferie della grande storia: Danilo Dolci, prima a Trappeto e poi a Partinico; Franco Basaglia, prima a Gorizia e poi a Trieste; Adriano Olivetti a Ivrea; Tullio Vinay, pastore valdese, che scelse Riesi per la sua agape evangelica. Che poi è la storia vissuta da molti pionieri del nostro civismo ambientalista e territorialista: cominciare a cambiare il mondo cominciando dal proprio posto, in una comunità circoscritta e unita da una originale cultura vernacolare, con un senso del limite che esalta la nostra condizione umana, nell'intimità di una terra che possiamo conoscere e servire davvero nella breve parabola della nostra vita. Tornando a don Milani, basta visitare Barbiana e vedere com'era la sua scuola, leggere le carte geografiche, frugare nella sua biblioteca e fra i supporti didattici che utilizzava per i ragazzi, per capire quanto quest'uomo fosse avanti rispetto ai suoi tempi. Alessandro Mazzerelli, pioniere di solidarismo locale e autonomismo toscano, nelle sue memorie racconta di un pensiero audace che gli fu consegnato da don Milani, l'auspicio, cioè, che tutte le grandi potenze scomparissero e che al loro posto il mondo si popolasse di “ventimila sammarini” (“Ho seguito don Lorenzo Milani profeta della terza via”, Rimini : Il cerchio, 2007, pag. 31). Questo ricordo di don Lorenzo Milani assume un significato cruciale anche nel recente romanzo di fantapolitica confederalista di Mauro Vaiani (“Cosmonauta Francesco”, Firenze : Porto Seguro, 2022).

 

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La necessaria alternativa al neonazionalismo, a vecchi e nuovi centralismi, ai traditori della sussidiarietà

Il discorso della presidente Giorgia Meloni al Meeting di Rimini lo scorso 27 agosto 2025 è stato rivelatore. L'aspirante podestà d'Italia ha espresso, in modo pacato ma inequivocabile, la sua cultura politica centralista, venendo peraltro lungamente applaudita da una platea che ha evidentemente smarrito il suo antico attaccamento ai principi umani e cristiani della sussidiarietà.

Ha parlato dell'Italia come "nazione", oscurando sfacciatamente la verità storica che il nazionalismo italiano è stato la nostra rovina. Ciò che abbiamo ricostruito, dopo il disastro, è una Repubblica di autonomie, dove si è cercato, nonostante le contraddizioni e i guasti della modernità e della globalizzazione, di proteggere le diversità locali, regionali, culturali, linguistiche, che sono una esigenza insopprimibile di una vita veramente umana.

Secondo la presidente, l'Italia-nazione sta rioccupando il suo posto a fianco delle altre nazioni, ma quali sarebbero queste altre nazioni? Gli stati "mononazionali" sono una eccezione (spesso sinistra). I nostri vicini europei e mediterranei che prosperano sono ordinamenti che rispettano le autonomie e le diversità. Quelli dove si praticano forme di neonazionalismo e centralismo sono tutti in declino, a rischio di involuzioni autoritarie, quando non già sprofondati nella violenza, nel terrorismo, nella guerra.

La presidente Meloni ha rivendicato l'intervento del centralismo per rimediare alla crisi di alcuni territori, come Caivano, ma con questo argomento ha sfidato il buon senso e la sua - temporanea - fortuna politica. Quante Caivano possono essere emancipate dalla povertà e dalla violenza dall'intervento diretto di un governo centralista? Una, forse. Alcune, forse ma improbabile. E tutte le altre migliaia di periferie che stanno degradando, che si stanno impoverendo e spopolando, in cui sono a rischio interi patrimoni culturali e ambientali? Il centralismo non ne conosce neppure il numero, figuriamoci i problemi.

L'annuncio di alcune misure "nazionali", come un "piano casa" (un sempreverde propagandistico), sono stati particolarmente imbarazzanti. Non esistono soluzioni "italiane" per i problemi dei nostri diversi territori, dove si spazia dall'eccesso di cementificazione e speculazione, all'estremo opposto di abbandono, incuria, isolamento e spopolamento. Il declino non potrà mai essere fermato, senza sussidiarietà e responsabilità. Non è sorprendente, peraltro, come tutti questi neonazionalisti italiani (non solo quelli di Fratelli d'Italia, sia chiaro) siano tutti così ciechi e miopi rispetto all'esigenza di tutelare le nostre economie locali.

Dobbiamo smontare questo neonazionalismo centralista italiano, perché mette in discussione l'autonoma e originale azione politica dei leader locali per promuovere una vita veramente a misura di persona umana per le generazioni future, una vita radicata in comunità locali - di nascita o di elezione - coese e solidali, rispettose del proprio patrimonio culturale e del proprio ambiente naturale.

Nonostante il coro conformista della maggior parte dei media, nessun centralismo, nessun neonazionalismo, nessuna concentrazione di potere e di ricchezza stanno migliorando la vita quotidiana degli esseri umani. Anzi, nonostante tutta la retorica "green", la stanno mettendo sempre più in pericolo, distruggendo gli ecosistemi locali e minacciando il creato con i loro ecomostri e i loro arsenali pieni di armi di distruzione di massa. Tutte le grandi potenze - ma anche molte medie e piccole - sono autocrazie dove le persone, le famiglie, le piccole imprese, i coltivatori diretti, gli artigiani, le comunità locali, sono semplicemente stordite dalla propaganda, impoverite, oppresse.

Le nostre vecchie democrazie europee non fanno eccezione, visto che cresce come un cancro la concentrazione del potere nelle mani di pochi leader, tecnocrati e magnati.

Non dubitiamo che la presidente Meloni sarà abile, prudente e moderata, ma non facciamoci illusioni. Alla fine della sua stagione politica, cittadini e comunità si ritroveranno tutti meno autonomi e più dipendenti dallo stato.

Lavoriamo quindi, tutti noi che crediamo nell'autonomia delle persone e dei territori, a contribuire a una svolta politica. E' una sfida ineludibile, che riguarda non solo le personalità indipendenti e autonome dal bipolarismo "all'italiana", ma anche molti di coloro che stanno al momento partecipando a esperienze politiche e amministrative insieme al centrodestra e al centrosinistra. E' un cantiere in cui c'è bisogno di tanto lavoro da parte di tanti, superando gli attuali steccati.

L'Italia e l'Europa sono fatte di autonomie e non possiamo lasciare che i neonazionalisti, i centralisti, i tecnocrati le distruggano, perché dopo il passaggio di questi barbari del nostro essere autonomi, e quindi veramente italiani ed europei, non resterebbe più niente.

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Prato, mercoledì 3 settembre 2025, San Gregorio Magno - a cura della segreteria interterritoriale

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La cartina riprodotta a fianco del post è una famosa mappa dei territori italiana realizzata dal grande cartografo inglese John Cary nel 1799, dove sono descritte le diversità italiane com'erano prima della Rivoluzione francese e delle invasioni napoleoniche. Quila fonte su Wikipedia. Qui una versione a più alta definizione.

 

La società dei piccoli per le piccole società

Un invito di OraToscana, in collaborazione con la segreteria interterritoriale e la presidenza, a tutti i dirigenti delle forze sorelle, agli associati, agli associandi, ai partecipanti ai lavori del Forum 2043, ai membri dei gruppi di lavoro - quello per le elezioni europee e quello per la Sanità Pubblica e Prossima:

Vigilia di San Francesco, martedì 3 ottobre 2023, ore 21

OraToscana, in occasione del suo II anniversario (la rete civica fu fondata il 4 ottobre 2021), in collaborazione con il Patto Autonomie e Ambiente, organizza un amichevole momento di condivisione online sul tema

La società dei piccoliper le piccole società

Ascoltiamoci gli uni con gli altri, la sera di vigilia della festa di San Francesco d'Assisi, con libertà e spontaneità, dandoci la possibilità di far risuonare ciò che ci sta a cuore e ciò che stiamo organizzando per riprenderci il posto che ci spetta nel futuro di questo stato italiano e dell'Unione Europea, per la Repubblica delle Autonomie personali, sociali, territoriali, per l'Europa dei Popoli, per la pace e per l'integrità del creato, fedeli alla Carta di Chivasso.

Noi non siamosolodalla parte dei piccoli, noi siamo i piccoli:
bambini, anziani, malati, diversamente abili, persone e famiglie diverse, libere e responsabili; piccole imprese, piccoli commercianti, artigiani di bottega, coltivatori diretti; abitanti di piccoli comuni e paesini; membri di minoranze e piccoli popoli; orgogliosi cittadini di piccole patrie e matrie. Abbiamo formato una società di realtà politiche territoriali, non importa quanto piccole, per il buongoverno e per l’autogoverno delle nostre piccole società, per il bene comune qui e ora, ma soprattutto per lasciare i nostri paesi e la Madreterra abitabili per le generazioni future.

Il link all'adunanza online sarà distribuito attraverso il canale Telegram del Forum, i gruppi di lavoro, le stanze Whatsapp di collegamento.

Per maggiori informazioni:

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Le parole vive di Chivasso

Salvate nelle vostre agende l'invito a questo seminario pubblico, promosso dal Forum 2043, per sabato 11 marzo 2023, dalle ore 16 (attenzione, l'orario d'inizio è stato aggiornato):

PAROLE VIVE
PER LE AUTONOMIE E L'AMBIENTE

Lettura pubblica della Carta di Chivasso e testimonianze su ciò che essa tramanda ancora oggi di essenziale a chi vuole difendere l’acqua, la terra, la salute, le autonomie personali, sociali, territoriali, per le nostre comunità locali e per le generazioni future

Sarà con noi Massimo Moretuzzo (Patto per l’Autonomia Friuli – Venezia Giulia), insieme con attivisti e intellettuali del civismo, dell'ambientalismo, dell'autonomismo impegnati in ogni territorio per la Repubblica delle Autonomie.

Prenotazioni d’intervento sul canale Telegram del Forum 2043: https://t.me/Forum2043

Per restare aggiornati sull'evento:

https://www.facebook.com/events/502898198487883/

Informazioni: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

Con questa iniziativa, avviamo un percorso che ci accompagnerà tutto questo anno 2023, che è l'anno dell'80° anniversario della Carta di Chivasso del 19 dicembre 1943. Per arrivare preparati all'evento, segnaliamo alcuni video realizzati tre anni fa dalla webtivù della forza sorella Union Valdôtaine in occasione del 77° anniversario della Carta di Chivasso: