Un maestro occitano a Firenze
- Autore: Alessandro Michelucci - Firenze, 9 maggio 2023
Grazie ad Alessandro Michelucci, un giornalista fiorentino che si occupa da una vita di popoli minacciati, culture a rischio di cancellazione, minoranze oppresse, recuperiamo la memoria di Robert Lafont, un maestro della cultura occitana e un ispiratore di una "rivoluzione regionalista" che riguarda tutti i territori che vivono in stati troppo grandi e troppo centralisti. L'articolo di Michelucci riprende una sua pagina pubblicata sul numero 484 del 18 marzo 2023 di "Cultura Commestibile", rivista fiorentina di Maschietto Editore, in occasione del centenario della nascita di Lafont. E' un'altra occasione per rafforzare le radici del nostro impegno contro il centralismo, in Francia, in Italia, in tutti gli stati, che noi, come Lafont, vediamo come un vero e proprio colonialismo interno. Il nostro impegno per restituire autogoverno a tutti i territori, come sosteneva il maestro occitano, non si esaurisce in un impegno per la "decentralizzazione". Semmai, la nostra, è una rivoluzione decentralista ed è per noi il modo migliore per celebrare l'odierna giornata dell'Europa.
Firenze, 9 maggio 2023
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Robert Lafont, maestro occitano
Secondo uno stereotipo radicato, la Francia sarebbe la patria dei diritti umani, della democrazia e della libertà. A nulla vale ricordare che questa repubblica è nata mettendo al bando le lingue diverse dal francese e annettendo un'isola vicina (la Corsica). A nulla vale ricordare che ha combattuto sette anni per non perdere l'ultima colonia importante (l'Algeria) e che pratica tuttora un centralismo anacronistico negando i diritti delle sue numerose minoranze linguistiche (Alsaziani, Baschi, Bretoni, Catalani, Corsi, Fiamminghi e Occitani). Chi si ostina a vedere nella Francia un faro di libertà, quindi, dovrebbe ascoltare la voce delle figure politiche e intellettuali che hanno toccato con mano una realtà molto diversa dagli stereotipi suddetti. Uno dei più lucidi è stato Robert Lafont, nato a Nîmes il 16 marzo di cento anni fa e deceduto a Firenze nel 2009. Qui aveva vissuto a partire dal 1984, pur dividendosi fra il capoluogo toscano e Montpellier.
Lafont è stato il più importante intellettuale che la cultura occitana abbia espresso nella seconda parte del ventesimo secolo. Ma dato che oggi il termineoccitano può generare un equivoco, è necessario un chiarimento.L'Occitania ammnistrativa, nata con la la riforma territoriale del 2016, si estende per 72000 kmq e include alcune città di rilievo della Francia meridionale, fra le quali Montpellier, Nîmes e Tolosa. Questa coincide solo in parte conla regione storico-linguistica dell'Occitania, grande quasi il triplo, che rappresenta un caso emblematico di nazione senza stato.Per molti questa cultura è legata a qualche pallido ricordo scolastico: la lingua d'oc, i trovatori provenzali, lo sterminio dei Catari. Ma esistono anche tappe più vicine a noi: basti pensare a Frédéric Mistral (1830-1914), il poeta provenzale che nel 1904 ricevette il Premio Nobel per la letteratura.
In questa storia si inserisce a pieno titoloRobert Lafont, poeta e romanziere, drammaturgo e linguista, anticipatore dei movimenti no-global (quelli che in Francia vengono chiamatialtermondialistes), lucido critico del centralismo francese e paladino di una Francia federale.
Nel 1945 Lafont è fra i fondatori dell'Institut d'estudis Occitans (IEO), che dirige a più riprese negli anni successivi. L'anno successivo, insieme ad altri, fondaL'ase negre (Il mulo), la prima rivista occitanista del dopoguerra.Quello che bisogna sottolineare con forza, comunque, è che l'attenzione alle questioni regionali non ha niente a che fare col passatismo o col ripiegamento folklorico: per lui l'area occitana non deve essere "riserva etnografica e linguistica, ma una terra viva e pulsante", scrive nel 1955 sulla rivistaOc. Lafont rifiuta senza mezzi termini il micronazionalismo difeso da altri esponenti del variegato movimento occitano. Propone invece un socialismo originale, basato sull'autogestione e sul decentramento.
In opere di rilievo centrale, comeLa révolution régionaliste (1967),Sur la France (Gallimard, 1968) eDécoloniser en France (Gallimard, 1971), espone il concetto di colonialismo interno:
"Per noi questa espressione, non colonialismotout court, ma colonialismo interno, non è né un facile vessillo di rivolta, né un modo per attirare l'attenzione mediatica. È l'espressione più adatta che abbiamo trovato per definire una serie di processi economici di cui il sottosviluppo regionale è l'involucro visibile" (La révolution régionaliste).
Questa teoria influenza fortemente le lotte nazionalitarie che si stanno sviluppando in altre regioni europee, come la Bretagna, la Catalogna e la Scozia. Una tesi che verrà ripresa da altri studiosi, fra i quali il fiorentino Sergio Salvi (Le nazioni proibite. Guida a dieci colonie "interne" dell'Europa occidentale,Vallecchi, 1973).
Parallelamente Lafont prosegue il forte impegno in difesa della cultura occitana, attestato da libri comeClefs pour l'Occitanie (Seghers, 1971),Lettre ouverte aux français d'un occitan (Albin Michel, 1973) e La revendication occitane (Flammarion, 1974).
Negli stessi anni partecipa alle imponenti proteste contadine del Larzac, un'area rurale minacciata dall'ampliamento di una base militare, che si risolvono positivamente.
Passano quindi molti anni segnati dall'impegno accademico (insegna all'Università Paul-Valéry di Montpellier) e dalla scrittura, con opere che spaziano dal romanzo alla poesia, dal teatro alla linguistica. Ma la fiamma dell'impegno politico non si spenge mai. Infatti torna a manifestarsi nel 2003, quando Lafont partecipa attivamente al convegnoGardarem la terra. In quella occasione lo studioso legge il manifesto politico che lui stesso ha redatto. Il convegno si richiama apertamente ai moti popolari degli anni Settanta (la grande protesta del Larzac) e ne attualizza lo spirito.
La vita di Robert Lafont è stata un meraviglioso mosaico di esperienze politiche e culturali che si sono intrecciate fra loro con la massima coerenza. Lo studioso occitano è stato un uomo di grande cultura, ma non è mai rimasto chiuso in una torre d'avorio. Radicale ma mai velletario, ci lascia un'eredità ideale di enorme valore, secondo la quale la difesa della diversità culturale non potrà mai accettare che la vita venga ridotta a merce.
Alessandro Michelucci
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