Autonomia differenziata, specchietto per allodole

Autore: Gruppo di studio interterritoriale Forum 2043 - 4 febbraio 2023

Udine – Firenze - Palermo, 4 febbraio 2023

Autonomia differenziata, vent’anni dopo:
uno specchietto per ingannare, inaridire e disperdere
gli autonomisti nell’Italia di oggi

Le forze civiche, ambientaliste, autonomiste e territorialiste di Autonomia e Ambiente e che partecipano agli studi del Forum 2043 non si fanno attrarre da quello che consideriamo, oggi, un grande specchietto per le allodole, la c.d. “autonomia differenziata”.

E’ impossibile credere che una classe politica che da vent’anni non conclude nulla in materia di autonomia, proprio ora che sono al potere figure apertamente centraliste e presidenzialiste, possa fare qualcosa per le autonomie personali personali, sociali, territoriali, che essa non ha mai compreso né rispettato.

I nostri attivisti, eletti, intellettuali devono aiutarsi vicendevolmente a restare fuori dalla babele di assurdità (politicamente parlando veri e propri inganni), che vengono profuse sui media, sulle reti sociali e, purtroppo, anche nelle aule parlamentari (piene di nominati dai vertici dei partiti centralisti, che non si sa in cosa credono, ma che proprio per questo paiono capaci di tutto).

L’approvazione “preliminare” del disegno di legge Calderoli è una operazione propagandistica e anche di bassa qualità. Gli attivisti per l’autogoverno di Veneto, Lombardia, Emilia (collegati nella rete “22 ottobre” da ormai più di cinque anni, cioè dal giorno dei referendum veneto e lombardo del 22 ottobre 2017), come ha detto e scritto Paolo Franco, si sentono giustamente presi in giro.

Alcuni spunti per una riflessione critica:

1) la riforma costituzionale del 2001 del Titolo V fu fatta in fretta (dal Centrosinistra), è piena di difetti, è di difficilissima applicazione, ma fu approvata dal referendum popolare del 7 ottobre 2001, perché c’era allora – e crediamo ci sia ancora, in verità – un grande consenso popolare trasversale attorno all’idea che gli enti locali e le regioni abbiano più risorse e più poteri, per il bene delle rispettive comunità locali. Questo consenso popolare verso il grande ideale di una “Repubblica delle Autonomie”, all’interno di una grande confederazione europea, lo dobbiamo proteggere dalle forze centraliste che oggi governano e in particolare da certi loro leader privi di competenza e credibilità.

2) Il mondo, l’Europa e l’Italia sono molto cambiati in questi vent’anni. Sono cresciute sull’onda della digitalizzazione nuove grandi multinazionali globali. La produzione legislativa europea ha continuato a crescere a dismisura, investendo ogni materia. Il governo centrale italiano, con la scusa dell’austerità, delle varie emergenze, dell’Europa e della globalizzazione, ha represso le autonomie personali, sociali e territoriali. La metastasi delle norme e l’ipertrofia delle autorità centraliste soffoca sempre di più persone, imprese, famiglie, comunità locali, senza peraltro assicurare giustizia, sicurezza, spesso nemmeno protezione. Questa deriva centralista e autoritaria non ci spaventa, siamo qui per contrastarla, rinnovando la nostra adesione alla Carta di Chivasso del 19 dicembre 1943, ma di certo non ci illudiamo di poter lottare per riforme autonomiste come avremmo fatto non diciamo un ventennio, ma nemmeno un lustro fa. Occorrono molta più preparazione, molto più coraggio e soprattutto molta più umiltà, per cambiare veramente le cose per il bene dei nostri territori.

3) Come scrive con lucidità la nostra forza politica sorella Siciliani Liberi, discutere di nuove forme di autonomia implica innanzitutto il rispetto di tutte le autonomie esistenti (a partire da quelle delle cinque regioni a statuto speciale e poi tutte le altre). Implica l’attuazione piena degli Statuti in vigore e dell’art. 119 della Costituzione, che prevede, fra le altre cose, una perequazione fiscale a sostegno dei territori che sono stati impoveriti e spopolati dal colonialismo interno. Perequazione che è concetto sconosciuto non agli autonomisti, ma ai centralisti, a quelli che sono stati al potere ininterrottamente negli ultimi vent’anni (in veste di sinistra, tecnici, centro, movimentisti, populisti e destra).

4) La grande sfida politica che ci aspetta nei prossimi anni, non solo in Italia ma in Europa e nel mondo, è la territorializzazione delle imposte, a cominciare da quelle sul consumo. Si sta (quanto lentamente!) comprendendo che le multinazionali devono pagare tasse dove abitano i loro consumatori, non dove sono le loro sedi legali e fiscali. Allo stesso modo, anzi a maggior ragione, se un pugliese compra un prodotto piemontese, le imposte su questo consumo devono restare in Puglia! E’ incredibile come siano ancora così pochi, anche nel mondo autonomista, ad aver compreso questa la necessità di questo cruciale cambiamento.

5) E’ doveroso suonare la sveglia a tanti improvvisati “meridionalisti”, avvocati del Mezzogiorno, tardivi epigoni di “equità territoriale”, sé dicenti “difensori dell’uguaglianza dei cittadini”, aspiranti “sindaci d’Italia”. Si agitano come cassandre contro l’autonomia differenziata, vista come un cavallo di Troia per la “secessione dei ricchi”, la “fine dell’Italia”, la “rovina del Sud” e altre catastrofi, senza accorgersi di essere funzionali al centralismo autoritario (fuori dai denti: sono veri utili idioti del nazionalismo centralista al potere). Purtroppo per loro e per tutti noi, i disastri che essi paventano, sono mali che infuriano già da decenni e ancora oggi, nell’Italia centralista che essi difendono con una testardaggine degna di miglior causa. E’ il centralismo che distrugge e spopola i territori, a vantaggio di poche privilegiate capitali politiche ed economiche, se ne facciano una ragione. Le autonomie, al contrario, hanno fatto e farebbero ancora fiorire e arricchire i territori.

6) La promessa contenuta nella Costituzione (art. 116, terzo comma) di ulteriori forme di autonomia (su 23 materie elencate all'art. 117, vedi nota in calce) è minata da una ambiguità di fondo (sin dai tempi delle bozze Gentiloni, sia chiaro): essa instaura una autonomia graziosamente concessa dallo stato centrale a un territorio (o a due, o a tre, ovviamente in modo differenziato per ciascuno di essi). Queste autonomie asimmetriche ed eterogenee sarebbero intrinsecamente fragili e sempre sottoposte a una continua ed estenuante trattativa con lo stato centralista, come ben spiegato negli interventi della forza sorella OraToscana.

7) Infine – in cauda venenum - anche se (nel mondo dei sogni dei leghisti e dei “nordisti”) le ulteriori forme di autonomia previste dal Titolo V venissero un bel giorno concesse, esse potranno comunque essere sempre ritirate (sicuramente dopo dieci anni, c’è scritto nella furbastra bozza Calderoli). In barba al sacrosanto principio su cui l’Italia fu ricostruita dopo la tragedia della Seconda guerra e la barbarie nazifascista: lo stato non concede, ma riconosce le autonomie personali, sociali, territoriali. Ci sarebbe da chiedere, a coloro che sono andati al potere con le elezioni precipitate del 25 settembre 2022, se aderiscono davvero ai principi della Carta costituzionale...

L’autonomia differenziata è, politicamente parlando, un treno perso. Senza una svolta davvero autonomista, essa finirebbe per essere uno strumento divide et impera, dove il potere centrale manterrebbe sempre il coltello dalla parte del manico. I capi centralisti e nazionalisti si trovano certo a loro agio in questo imbroglio, ma i civici e i localisti che lottano in tutto il paese per il bene delle loro comunità ed economie locali, i decentralisti e i federalisti, gli autonomisti sparsi in tutte le province, invece, devono essere inquieti.

Si scuotano, prima di finire scuoiati.

 

Dal gruppo di studio interterritoriale del Forum 2043

 

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Nota sulle 23 materie che possono essere oggetto di “ulteriori forme di autonomia”, la c.d. “autonomia differenziata”:

L'art. 116 terzo comma della Costituzione italiana stabilisce che: "Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119".

Elenco delle materie ex art. 117 terzo comma:

01) rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni;

02) commercio con l'estero;

03) tutela e sicurezza del lavoro;

04) istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale;

05) professioni;

06) ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi;

07) tutela della salute;

08) alimentazione;

09) ordinamento sportivo;

10) protezione civile;

11) governo del territorio;

12) porti e aeroporti civili;

13) grandi reti di trasporto e di navigazione;

14) ordinamento della comunicazione;

15) produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia;

16) previdenza complementare e integrativa;

17) coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;

18) valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali;

19) casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale;

20) enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale

Le tre ulteriori materie ex art. 117 secondo comma:

l) l'organizzazione della giustizia di pace

n) norme generali sull'istruzione

s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali

Si veda, per un approfondimento: https://www.camera.it/temiap/documentazione/temi/pdf/1104705.pdf

 

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Per l’immagine di corredo di questo post siamo debitori del sito “Oltre il Ponte”:

https://www.oltreilponte.org/societa/7496/

 

Friuli paese antico e nuovo d'Europa

Autore: Clape di culture Patrie dal Friûl - 17 marzo 2023

La storia del Friuli è stata condizionata dalla sua posizione, all’intersezione tra il punto più settentrionale del Mediterraneo e la porta d’ingresso da Oriente alla penisola italiana. In corrispondenza di tale crocevia sono fiorite le tre grandi città portuali che hanno segnato la storia del Friuli: Aquileia, Trieste e la vicina Venezia.

La formazione del Friuli come entità storico-politico-culturale si può far risalire all’epoca longobarda (sec. VI-VIII). A Occidente il confine del Friuli lungo la valle del Piave e il corso del Livenza si è stabilizzato da secoli, mentre ad Oriente vi sono sempre state più incertezze, a causa della non coincidenza tra confini geografici, etnici, socio-economici e politico-militari.

Sulla formazione della lingua friulanavi sono teorie diverse. Secondo quella più tradizionale, essa sarebbe il risultato dell’influenza del sostrato celtico sul latino qui portato dai coloni romani, e quindi avrebbe oltre duemila anni; mentre, secondo altre, essa si sarebbe formata mille anni più tardi, nel contesto di relativo isolamento dal resto d’Italia della realtà politica autonoma del Principato patriarcale di Aquileia.

L’identità e le istituzioni friulano sopravvissero in parte anche sotto la dominazione veneziana, iniziata nel 1420. La grandissima maggioranza della popolazione ha continuato a il friulano, ed esistono anche fin dal XIV secolo documenti letterari scritti in tale lingua, anche se, come è avvenuto per molte altre nazioni, è solo nell’Ottocento che si avvia una robusta tradizione letteraria e la lingua diviene la base principale dell’identità territoriale.

Dopo le tragedie delle guerre mondiali e del regime fascista, nella nuova Repubblica si avviano i movimenti per il riconoscimento dei Friulani come comunità con pieno diritto all’autonomia politico-amministrativa e alla tutela della propria lingua.

Quest’istanza è divenuta più impellente a partire dagli anni ’70 e ha trovato una debole accoglienza da parte delle istituzioni solo alla fine dello scorso secolo.

La lingua è certamente uno dei fondamenti dell’identità friulana, ma si deve anche ribadire che per secoli il senso di appartenenza al Friuli ha avuto un carattere piuttosto politico-territoriale che linguistico. L’identità collettiva è un fenomeno complesso, multidimensionale. Accanto alla lingua, al territorio, all’organizzazione politica, giocano anche fattori più latamente culturali: costumi, riti, tradizioni, senso della storia e del destino comune, coscienza e volontà.

È ancora vivo, e prevalente in certi ambienti, un ‘idealtipo’ di friulano elaborato nel corso dell’Ottocento, che ha avuto nell’ ‘ideologia’ della Società Filologica Friulana la sua codificazione: il tipo (o stereotipo) del friulano «salt, onest, lavoradôr», essenzialmente modellato sulla figura archetipa del felix agricola, del ‘buon contadino’, con in più un’enfasi sul ruolo di queste terre di bastione della civiltà romana contro il mondo tedesco e slavo che preme dai confini.

Dall’ampia produzione letteraria, ideologica e saggistica sul carattere dei Friulani, fiorita in quest’ultimo secolo, ad opera sia dei Friulani stessi che di osservatori esterni, sembra di poter inferire un modello a cinque dimensioni. Il popolo friulano si caratterizzerebbe quindi per essere:

1. un popolo contadino, e quindi attaccato alla terra, vicino alla natura; organizzato in salde strutture familiari e in piccole comunità di paese; laborioso, ma anche dotato di capacità imprenditoriali; tradizionalista e fedele alla parola data;

2. un popolo cristiano, e quindi credente, inserito nella grande tradizione cattolica, dotato delle virtù della semplicità, dell’umiltà, dell’austerità, della capacità di sopportare con pazienza e fermezza le prove della vita;

3. un popolo nordico, quindi forte, grave, lento, taciturno, disciplinato, con senso dell’organizzazione e della collettività, ma con un sottofondo di tristezza esistenziale che trova conforto, oltre che nella laboriosità, anche nel vino, ed espressione nel canto corale;

4. un popolo di frontiera, collocato in una posizione esposta a rischi, temprato da una lunghissima storia di invasioni, saccheggi e battaglie; ma anche con la possibilità di aprirsi e relazionarsi positivamente con i vicini di altre culture, di mescolarsi con essi, di accoglierli ed esserne accolto;

5. un popolo migrante, perché nella modernità lo squilibrio tra popolazione e risorse costringe una quota di persone ad allontanarsi dalla patria, per cercare lavoro e sopravvivenza in altri paesi.

Nel dolore della partenza si rafforza l’amore, e nei disagi della lontananza si consolida un’immagine idealizzata del proprio paese. Nelle comunità di arrivo si ricreano ifogolârs e si mantengono la lingua e le tradizioni.

Tuttavia è da sottolineare che questo modello riflette, prevalentemente, una realtà storico-sociale abbastanza circoscritta: quella del Friuli grosso modo tra il 1870 e il 1970.

Ben poco possiamo dire della realtà più antica, medievale, perché la documentazione storico-archeologica sulla vita del popolo minuto è scarsissima, quasi inesistente. Le masse contadine sono ‘senza storia’, per definizione.

L’immagine dei Friulani che invece ci viene comunicata dalla documentazione storica dell’Evo moderno (secc. XV-XIX) è invece abbastanza diversa da quella tardo ottocentesca: il popolo friulano (cioè, in grandissima parte, i contadini) ci viene descritto spesso come riottoso, violento, neghittoso, indisciplinato. È certo l’immagine che ne hanno i padroni e i tutori dell’ordine, tendenti a enfatizzare questi aspetti negativi (lo stereotipo del villain, cioè del ‘cattivo’) più che quelli di segno opposto. Ma vi sono anche molte prove inoppugnabili di questo lato del carattere friulano di qualche secolo fa: storie di liti, banditismo, delitti, tumulti e insurrezioni. Per tutte, basti menzionare la «crudel zobia grassa» del 1511, la più violenta, prolungata ed estesa rivolta contadina dell’Italia rinascimentale.

Ovviamente queste speculazioni identitarie riflettono ormai assai poco il Friuli degli ultimi decenni, quello del dopo terremoto del 1976: un territorio altamente sviluppato, ricco, secolarizzato e mediatizzato. Un Friuli dove le masse di contadini non esistono più, sostituite da un 5% di moderni imprenditori agricoli; dove le campagne sono cosparse di insediamenti industriali; dove la maggioranza degli attivi è impiegata nel terziario, più o meno avanzato; dove resta l’emigrazione dei giovani laureati e dove è in corso l’immigrazione di gente proveniente da una settantina di paesi di tutto il mondo.

L’autonomismo in Friuli presenta caratteristiche originali, rispetto ad altri territori che erano, prima dell’unificazione, veri e propri stati, o almeno unità amministrative separate. Il problema friulano è stato quello di lottare per vedersi riconoscere una entità istituzionale e rappresentativa propria, senza farsi diluire in realtà amministrative o istituzionali eterogenee, ove comunque i centri di decisione erano e sono collocati all’esterno della realtà friulana, con la conseguenza che il proprio futuro è stato costantemente messo in discussione o comunque compromesso da logiche di potere politico, economico e culturale esterne e spesso contrapposte agli interessi friulani.

Mentre altrove, come in Trentino, in Val d’Aosta, in Alto Adige, in Catalogna, in Baviera, le realtà istituzionali sono state, da un certo punto in poi, saldamente controllate dalle rispettive comunità, da secoli il Friuli è stato inserito in ambiti territoriali eterogenei dove comunque i centri di decisione erano collocati al suo esterno: a Venezia per secoli, poi nell’era degli stati moderni nelle rispettive capitali, infine nella nuova Repubblica in una regione dotata sì di autonomia speciale ma il cui baricentro politico è Trieste.

L’autonomismo friulano ha dovuto pertanto muoversi verso la ricostruzione di una realtà istituzionale friulana, dotata di strumenti funzionali alla sua sopravvivenza come patrie.

Certamente sono importanti le azioni dirette ad elevare i gradi di autonomia della Regione Friuli Venezia Giulia, sorta ad opera dell’impegno delle rappresentanze parlamentari del Friuli in seno alla Costituente, che poi è stato stravolto dall’esigenza di attribuire un ruolo all’allora Territorio libero di Trieste, ma ancora più importanti sono le iniziative e le politiche dirette alla crescita autonoma del Friuli come entità dalle caratteristiche originali.

Il percorso cui l’autonomismo friulano ha dato contributi importanti passa attraverso numerose tappe di cui tre sono fondamentali: la costituzione della Università di Udine come autonomo centro di formazione e di ricerca, risultato di un lungo processo storico condotto avanti con tenacia dalla comunità e dalle istituzioni friulane; il riconoscimento della lingua friulana da parte dello stato italiano con la legge 482/1999, con il quale il friulano è passato da uno stato indefinito di parlata locale, il cui carattere di lingua era riconosciuto solo a livello scientifico, al rango di lingua degna di forme importanti di sostegno e di tutela, alla pari delle comunità linguistiche che hanno alle loro spalle uno stato sovrano (la tedesca, la francese, la slovena, l’albanese, la greca); infine la costituzione della Comunità delle Province Friulane, a cura delle Province di Pordenone e di Udine, che potrebbe trasformarsi in un potente strumento di crescita della comunità friulana.

Questi risultati sono il frutto di un lungo lavoro di animazione e di impegno politico portato avanti da personaggi importanti che hanno dato vita a organizzazioni e movimenti politici di notevole peso.

Si pensi alle prime iniziative lanciate da Achille Tellini negli anni Venti, alla costituzione nel secondo dopoguerra dell’Associazione per l’Autonomia Friulana di Tiziano Tessitori, al Movimento Popolare Friulano di Gianfranco d’Aronco (la cui costituzione in partito avrebbe potuto cambiare completamente il panorama politico del Friuli), al Movimento Friuli di Fausto Schiavi e di don Francesco Placereani, al Comitato per l’Università Friulana di Tarcisio Petracco, alla Lega Friuli dei primi anni. E questo elenco non è certamente esaustivo.

Da una di queste iniziative, nota come “I laboratori dell'autonomia”, che ha visto l'adesione di tanti sindaci, persone del mondo della cultura e della vita sociale friulana, è iniziato alla fine dello scorso decennio un processo di riappropriazione in termini contemporanei della necessità dell’autogoverno.

L’esito dei laboratori è stata la nascita del “Patto per l'autonomia” un partito territoriale che ha adottato un motto antico, quello pronunciato da Giuseppe Bugatto, deputato friulano al Parlamento di Vienna, il 25 ottobre 1918:

CHE NISSUN DISPONI DI NÔ, SENSA DI NÔ

(CHE NESSUNO DISPONGA DI NOI SENZA DI NOI)

Parole antiche, ma che il Patto ha fatto vivere in una organizzazione moderna, plurale, inclusiva, attenta alle differenze territoriali e culturali di quel microcosmo che è la regione Friuli – Venezia Giulia. Basti pensare che nel Patto sono in uso ben quattro lingue:

Patto per l'Autonomia (italiano)

Pat pe Autonomie (friulano)

Pakt Za Avtonomijo (sloveno)

Pakt für die Autonomie (tedesco delle comunità di Sauris, Timau e Val Canale, da Pontebba a Tarvisi)

Il Patto per l’Autonomia, che si era costituito come movimento politico pochi mesi prima, alle elezioni regionali del 2018 ha ottenuto il 4,09% dei consensi, corrispondenti a 23.696 voti, eleggendo come consiglieri regionali Massimo Moretuzzo e Giampaolo Bidoli.

Il resto è nella cronaca politica dell’ultimo lustro. Il friulano autonomista, civico e ambientalista Moretuzzo (classe 1976, un figlio del Friuli del dopo terremoto), dopo cinque anni di impegno come capogruppo nel parlamento regionale, è oggi candidato presidente, con il sostegno di gran parte del centrosinistra, alle elezioni regionali previste per il 2-3 aprile 2023. Il Patto per l’Autonomia, inoltre, è alla guida, con proprio personale politico esperto, della rete interterritoriale di Autonomie e Ambiente ed è rappresentato nel bureau della famiglia politica europea degli autonomisti e dei territorialisti, la Alleanza Libera Europea (ALE, meglio nota come European Free Alliance, EFA).

Le persone impegnate nel Patto a livello territoriale, statale ed europeo continuano a lavorare politicamente per assicurare un futuro al Friuli, perché sia uno dei paesi nuovi d’Europa e del mondo, in questo XXI secolo.

Udine, 17 marzo 2023

a cura della Clape di culture Patrie dal Friûl (associazione culturale Patria del Friuli) - https://www.lapatriedalfriul.org/

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I lavori del Forum 2043

Sono partiti i lavori del Forum 2043, l'iniziativa politico-culturale che Autonomie e Ambiente ha deciso di ospitare sul proprio sito, in una sezione apposita. Il progetto si propone di consegnare alle prossime generazioni i valori di una Repubblica delle Autonomie e di una Europa delle regioni, dei popoli e dei territori. Si vorrebbe arrivare a celebrare il centenario della Carta di Chivasso, il 19 dicembre 2043, avendo contribuito a costruire un moderno decentralismo, capace di mobilitare non solo gli storici autonomismi, ma una più vasta rete di movimenti civici, ambientalisti, localisti, impegnati per il buongoverno e l'autogoverno dei propri territori.

Sono già stati pubblicati contributi di intellettuali e attivisti come Gino Giammarino, Piercesare Moreni, Claudia Zuncheddu. Il coordinamento del Forum 2043 è affidato a Mauro Vaiani. Sono attesi contributi, prevalentemente dall'esterno della rete di Autonomie e Ambiente.

L'indice degli approfondimenti è disponibile a questo link: https://www.autonomieeambiente.eu/forum-2043 .

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I paesi nuovi che vogliamo

Autore: Contributo a cura di Gino Giammarino, Piercesare Moreni, Mauro Vaiani, Claudia Zuncheddu - 18 luglio 2022

Forum 2043
Versoi 100 annidellaCarta di Chivasso(19 dicembre 2043):
spunti, pensieri e azioni per costruire insiemei paesi nuovi in cui vogliamo vivere

Contributo Giammarino – Moreni – Vaiani – Zuncheddu

pubblicato il 18 luglio 2022

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Sommario

1 Il solco che circoscrive il campo decentralista

2 Lontani dal nazionalismo “italiano”

3 La nostra Europa e il nostro internazionalismo

 

1 Il solco che circoscrive il campo decentralista

1.1 Il nostro campo autonomista, o come forse sarebbe meglio definirci in questo XXI secolo, modernamente decentralista, è ampio e inclusivo, consentendo a persone e gruppi molto diversi di mettersi alla prova.

1.2 Vi abitano a pieno diritto, e sono anzi una delle novità più importanti del nostro tempo, una moltitudine di realtà civiche, ambientaliste, autonomiste innovative e popolari, guidate da leader locali che potrebbero essere definiti autonomisti amministrativi, perché aspirano a una catena di controllo più corta da parte degli elettori sui propri eletti, al fine di avere un maggior controllo sul futuro dei propri territori.

1.3 Resistono le realtà identitarie, per le quali l’appartenenza a un territorio, la lingua, le tradizioni, la storia sono ancora la spinta principale alla propria azione politica autonoma.

1.4 Ci sono ancora autonomisti più o meno esplicitamente “egoisti”: di fronte al centralismo dello stato italiano, della tecnocrazia europea, delle istituzioni della globalizzazione, essi rischiano di attardarsi a difendere idee e progetti del passato, il proprio orticello organizzativo, spesso subalterni a retoriche stantie sulla cosiddetta “competizione” tra territori (semplificazione fuorviante di un pensiero liberale classico pericolosamente reciso dal suo originale contesto geopolitico, storico, istituzionale); il segreto di Pulcinella di una moderna azione politica autonomista e decentralista è che nessun territorio “merita” o “è favorito” da un processo di autonomia serio e responsabile, a scapito degli altri, al contrario tutti i territori possono e quindi devono sperimentare la benedizione dell’autogoverno.

1.5 Ci sono persino gli orfani di partiti del secolo scorso, che trovano nella nostra posizione, da sempre naturalmente estranea ai bipolarismi dominanti e quindi spesso confusa con un malinteso “centrismo”, un luogo di pensiero e di azione; peraltro dobbiamo essere nitidi con molti sé-dicenti centristi: negli antichi partiti popolari le convinzioni autonomiste erano forti e benvenuto è il loro risveglio, ma nella nostra famiglia autonomista e decentralista non c’è posto per gli epigoni della partitocrazia centralista e delle loro rendite di posizione.

1.6 La sfida che lanciamo è niente di meno che quella di scomporre tutte le concentrazioni di potere, attraverso l’impegno politico-elettorale, la lotta nonviolenta nelle piazze e nei luoghi della vita associata, il lavoro politico-culturale per risvegliare le coscienze; a chi la accetta sono richieste qualità non comuni di competenza, senso di sacrificio, elasticità mentale, coraggio culturale, capacità di compromesso politico, adesione a una etica di responsabilità, più che di convinzione.

2 Lontani dal nazionalismo “italiano”

2.1 Avendo come fondamento la formidabile vocazione universale all’autodeterminazione, all’autogoverno di tutti dappertutto, a partire dai livelli più vicini al cittadino, sappiamo con chiarezza di non essere nazionalisti italiani.

2.2 Più in generale, per quanto si possa essere eurocritici, siamo distanti dal sé-dicente sovranismo dei vecchi stati europei; questa è una affermazione netta in un periodo in cui in tanti paiono giocare con le posizioni e le convinzioni, spesso mutevoli come le stagioni.

2.3 Il nazionalismo degli stati europei ha calpestato territori e popoli conquistati, annessi, spogliati della propria identità e delle proprie ricchezze; ha voluto omologare e non valorizzare le differenti storie, culture, lingue spesso con la violenza, quasi sempre con la menzogna.

2.4 La storia italiana, dal Regno alla Repubblica, è stata segnata da una lunga deriva nazionalista, centralista, autoritaria, che critichiamo radicalmente; a tale deriva imputiamo le dissonanze cognitive, le omissioni, le disonestà che ci tormentano sin dai libri delle scuole elementari e che, protratte negli studi superiori e nei media di stato, producono una narrazione “italiana” mai sincera, sempre omissiva ed omertosa dei fatti storici, quindi responsabile dell’attuale vergognosa situazione di ignoranza di massa.

2.5 Il nazionalismo italiano ci ha condotto a vivere in uno stato che ha praticato colonialismo interno e internazionale; si è gettato nella “Inutile strage” della Prima guerra mondiale contro la volontà dei suoi popoli e del suo parlamento; come notò amaramente Piero Gobetti, il fascismo è l’autobiografia di questa “nazione”.

2.6 Il nazionalismo italiano tenta oggi di riemergere accodandosi a chi, giustamente, si batte per il riappropriarsi di sovranità territoriale nei confronti di realtà sovranazionali elitarie e tecnocratiche (l’Unione Europea e non solo); di fronte a questo neonazionalismo è particolarmente necessario distinguere tra falsi amici e veri nemici delle comunità locali e territoriali e delle loro aspirazioni.

2.7 A questo proposito alcuni territori, come Catalogna, Scozia, Corsica, Sardegna, sono salutari pietre d’inciampo per narrazioni tendenziose: a parole molti si stanno rapidamente convertendo a giusti ideali di sovranità alimentare, energetica, economica e sociale, in nome di un ritrovato e necessario rispetto della diversità e della biodiversità, ma proprio da come ci si posiziona rispetto all’autogoverno di questi territori sapremo distinguere tra chi è con noi, dalla parte dei territori, o contro di noi, per fedeltà alle vecchie piramidi statali.

3 La nostra Europa e il nostro internazionalismo

3.1 Da quando l’essere umano è diventato industrialmente capace di genocidio ed ecocidio, poche concentrazioni di potere mondiale stanno distruggendo l’ambiente a ritmi insostenibili e, non contente di questo avvelenamento quotidiano, hanno accumulato la capacità di distruggere il pianeta decine di volte; questo potrebbe e dovrebbe spaventare e quindi bastare per spingere all’adesione di massa agli ideali dell’autonomismo e a un moderno e lungimirante decentralismo universale, che possa incrinare ovunque nel mondo tali insopportabili concentrazioni di potere e di ricchezze.

3.2 Se sovrapponessimo le cartine geografiche della storia recente degli stati moderni (quelli che hanno inventato la rigidità della sovranità e dei confini, oltre che il concetto di “integrità territoriale”, cose totalmente sconosciute all’umanità premoderna), ci accorgeremmo che la geografia degli stati moderni sia sempre cambiata; gli stati e i loro confini non sono né naturali, né durevoli, né tanto meno immutevoli, ma solo una mera fotografia di un momentaneo predominio sociale e politico.

3.3 Sarebbe più velleitario ritenere che i confini attuali debbano restare rigidi, piuttosto che prepararsi al nuovo che ci viene incontro: la semplice e radicale volontà di autogoverno di ciascuna persona non come individuo isolato, ma come membro di una comunità territoriale, prevista da studi sulla mobilitazione sociale come quelli di Karl Deutsch sin dagli anni Sessanta e in realtà anche da molto prima, da mille altre voci localiste, anticolonialiste, indipendentiste.

3.4 Le aspirazioni all’autogoverno non riguardano solo storiche piccole patrie e nazioni oppresse d’Europa, come Catalogna, Paesi Baschi, Scozia, Fiandre, Vallonia, Corsica, Sardegna; l’esigenza di scomporre gli stati così come li abbiamo conosciuti nel secolo XX è una esigenza universale, diffusa in tutto il pianeta; nel disegno di una nuova e diversa ricomposizione, diventa fondamentale il concetto del "rispetto” per tutte le identità, affinché non ve ne siano di dominanti o soccombenti, colonizzatrici e colonizzate, dando così garanzia di credibilità per il nostro impegno presente e futuro.

3.5 A chi ancora teme derive violente della disintegrazione geopolitica, ricordiamo che il paradigma del futuro sarà il consensuale distacco tra Cechia e Slovacchia e più in generale l’autoscioglimento dell’URSS e del Patto di Varsavia, avvenuti in modo incredibilmente pacifico; la violenza, piuttosto, è sempre stata scatenata dalla volontà egemonica delle capitali nei confronti delle proprie periferie(la Serbia contro il Kosovo, l’Etiopia contro il Tigrè, la Spagna contro la Catalogna, ma gli esempi potrebbero essere tanti e andrebbero approfonditi e compresi uno per uno); in ogni caso – lo scriviamo proprio mentre è in corso la terribile guerra fra la Federazione Russa e l’Ucraina – la guerra moderna stessa è drammaticamente inaccettabile per l’umanità globalizzata e insostenibile per la sopravvivenza del pianeta; quindi o poniamo fine a questi vecchi stati centralisti e autoritari, o finirà la nostra storia umana.

3.6 Non abbiamo alcuna necessità di legittimare l’uno o l’altro degli stati esistenti, o immaginati, o astrattamente ritenuti più giusti; il compito autonomista è far prevalere il primato della autodeterminazione delle persone e delle loro comunità; prima vengono le persone e le comunità che possono e vogliono autogovernarsi, poi eventualmente i confini; questo è un dato ineludibile di realtà, non una presa di posizione ideologica.

3.7 Non ripetiamo qui distinguo e valutazioni su ciò che è oggi la casa europea: è evidente che così com’è piace poco e molto dovremo lavorare per migliorarla; non vogliamo alcun “superstato” europeo, né vogliamo che un neocentralismo europeo sostituisca il centralismo italiano che combattiamo; tuttavia crediamo nella confederazione europea perché è in essa che i territori, anche le più piccole matrie, possono trovare albergo e prosperare.

3.8 Non ci sono consentiti sogni isolazionisti e non ci sono confini che possano reggere all’urto della globalizzazione; un futuro di minore esposizione agli eccessi della globalizzazione per ciascuna Heimat, sarà reso possibile da un maggior protagonismo dei nostri territori sulla scena europea, nella cooperazione e nella solidarietà internazionale, nell’impegno per la pace universale.

3.9 Le forze politiche territoriali, civiche, ambientaliste, autonomiste d’Europa, in particolare quelle raccolte nella famiglia politica della Alleanza Libera Europea, ALE (European Free Alliance, EFA), ma anche altre forze civiche e politiche, avranno il dovere, nei decenni a venire, di rapportarsi e cooperare strettamente con le forze decentraliste, e quindi antimilitariste e anticolonialiste, che sono presenti in ogni altra regione del mondo, anche dentro le cosiddette grandi potenze (USA, Cina, Federazione Russa e le altre); è giunto il tempo di pensare a una Decentralism International.

3.10 Se c’è un futuro per il mondo è nel moltiplicarsi di realtà confederali sul modello della Svizzera, non il pericoloso riproporsi dello scontro tra vecchie e nuove potenze nucleari; per dirla con Victor Hugo: «La Suisse, dans l'histoire, aura le dernier mot».

 

Contributo collettivo per l’avvio del Forum 2043, a cura di

Gino Giammarino (Napoli)

Piercesare Moreni (Trentino)

Mauro Vaiani (Toscana)

Claudia Zuncheddu (Sardegna)

 2022 07 18 collettivo Forum 2043

 

 

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Le parole vive di Chivasso

Salvate nelle vostre agende l'invito a questo seminario pubblico, promosso dal Forum 2043, per sabato 11 marzo 2023, dalle ore 16 (attenzione, l'orario d'inizio è stato aggiornato):

PAROLE VIVE
PER LE AUTONOMIE E L'AMBIENTE

Lettura pubblica della Carta di Chivasso e testimonianze su ciò che essa tramanda ancora oggi di essenziale a chi vuole difendere l’acqua, la terra, la salute, le autonomie personali, sociali, territoriali, per le nostre comunità locali e per le generazioni future

Sarà con noi Massimo Moretuzzo (Patto per l’Autonomia Friuli – Venezia Giulia), insieme con attivisti e intellettuali del civismo, dell'ambientalismo, dell'autonomismo impegnati in ogni territorio per la Repubblica delle Autonomie.

Prenotazioni d’intervento sul canale Telegram del Forum 2043: https://t.me/Forum2043

Per restare aggiornati sull'evento:

https://www.facebook.com/events/502898198487883/

Informazioni: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

Con questa iniziativa, avviamo un percorso che ci accompagnerà tutto questo anno 2023, che è l'anno dell'80° anniversario della Carta di Chivasso del 19 dicembre 1943. Per arrivare preparati all'evento, segnaliamo alcuni video realizzati tre anni fa dalla webtivù della forza sorella Union Valdôtaine in occasione del 77° anniversario della Carta di Chivasso:

 

 

 

Parole vive per le autonomie e l'ambiente - Tutti gli interventi e le conclusioni politiche

Sabato 11 marzo 2023 si è tenuto il seminario online organizzato dal Forum 2043, in collaborazione con Autonomie e Ambiente, sul tema "Parole vive per le autonomie e l'ambiente - Rilettura integrale della Carta di Chivasso". Siamo già entrati nell'ottantesimo anno da quando la Carta fu scritta, nel 1943, eppure le parole di Chivasso sono vive, giovani, profumano di primavera per la democrazia, le autonomie, l'ambiente, la pace,  la libertà. Sono ancora essenziali per coloro che credono nella Repubblica delle Autonomie, nell'Europa dei popoli, in un mondo liberato da autoritarismi, colonialismi e militarismi.

Com'era nelle intenzioni degli organizzatori, il seminario ha rafforzato tutti i movimenti civici, ambientalisti, storicamente autonomisti, modernamente decentralisti, che hanno partecipato. Essi hanno il compito di portare avanti la visione del partigiano e martire Émile Chanoux e promuovere gli ideali di autogoverno dei territori, sussidiarietà verticale e orizzontale, autonomie personali, sociali e territoriali, che sono incisi nella Costituzione italiana, grazie all’impegno di padri costituenti come Giulio Bordon, Piero Calamandrei, Tristano Codignola, Andrea Finocchiaro Aprile, Emilio Lussu, Aldo Spallicci, Tiziano Tessitori.

Le due sessioni, di un'ora ciascuna circa, sono state registrate e sono disponibili attraverso l'archivio politico multimediale di Radio Radicale:

https://www.radioradicale.it/scheda/693128/parole-vive-per-le-autonomie-e-lambiente

Sul canale YouTube di Autonomie e Ambiente è stata pubblicata, in estratto, la lettura pubblica integrale della Carta di Chivasso.

Come ha sintetizzato Roberto Visentin (presidenza Autonomie e Ambiente, AeA) nelle sue conclusioni, la Carta di Chivasso è ciò che ci unisce e ci definisce. I suoi valori ci sostengono e ci consentono di essere come acqua nel deserto della politica di questa incompiuta "Repubblica delle Autonomie". Le nostre sconfitte sono lezioni. Le nostre differenze sono attrezzi per affrontare e realizzare davvero, territorio per territorio, il grande cambiamento ambientale che ci aspetta.

Hanno partecipato, fra gli altri, Massimo Moretuzzo (nella foto), candidato alla presidenza del Friuli - Venezia Giulia alle elezioni dei prossimi 2-3 aprile 2023, esponente autonomista, civico, ambientalista del Patto per l'Autonomia, sostenuto da gran parte del centrosinistra. E' intervenuto anche Erik Lavevaz, già presidente della Valle d'Aosta, ed esponente dell'Union Valdôtaine, fortemente impegnato nel profondo rinnovamento in corso all'interno dello storico Mouvement e per la ricomposizione delle posizioni autonomiste, che devono riunirsi contro l'eterno ritorno del centralismo.

La rete di Autonomie e Ambiente (AeA) è una larga e inclusiva sorellanza di forze e gruppi politici territoriali attivi nelle varie regioni e province autonome della Repubblica Italiana. Con la collaborazione della famiglia politica europea degli autonomisti, l'Alleanza Libera Europea (ALE - European Free Alliance, EFA), si sta organizzando per la partecipazione alle elezioni europee del 2024.

Di seguito la sinossi completa dell'evento:

2022 07 06 repubblica delle autonomie ancora diversificata FORUM 2043 piccola

Sabato 11 marzo 2023 ore 16-18

Seminario pubblico

PAROLE VIVE

PER LE AUTONOMIE
E L'AMBIENTE

Evento organizzato dal Forum 2043
in collaborazione con Autonomie e Ambiente

Interventi

Parte prima ore 16-17

Mauro Vaiani (OraToscana – segreteria di Autonomie e Ambiente – coordinamento Forum 2043) - Apertura lavori

Eliana Esposito (Siciliani Liberi) – Canto dell’autogoverno

Mauro Vaiani – Introduzione

Sara Borchi e Stefano Fiaschi – Lettura integrale della Carta di Chivasso

Massimo Moretuzzo (Patto per l’Autonomia Friuli-Venezia Giulia)

Erik Lavevaz (Union Valdôtaine – già presidente della Valle d’Aosta)

Silvia Fancello "Lidia" (rappresentante EFA-ALE e referente AeA in Sardegna)

Alfonso Nobile, "Alessandro" (Siciliani Liberi)

Andrea Aquarone (autonomista ligure e animatore di "Che l'inse!")

Claudia Zuncheddu (Sardigna Libera, attivista per l'autogoverno e per la salute in Sardegna)

Parte seconda ore 17-18.00

Samuele Albonetti (Rumâgna Unida, già coordinatore del Movimento per l’Autonomia della Romagna)

Maria Luisa Stroppiana (Assemblada Occitana - Valadas)

Gino Giammarino (editore e attivista per l'autogoverno di Napoli e del Sud, Forum 2043)

Walter Pruner (autonomista trentino)

Silvia Fancello "Lidia" (rappresentante EFA-ALE e referente AeA in Sardegna)

Giovanna Casagrande (Sardegna Possibile)

Alfonso Nobile, "Alessandro" (Siciliani Liberi)

Milian Racca (Liberi Elettori Piemonte)

Roberto Visentin (vicepresidente europeo EFA-ALE, presidente AeA) – Conclusioni politiche

Mauro Vaiani – Saluti finali

A conclusione dell'evento si è lanciato un appello per le donne, la vita, la libertà di tutti, e per la pace, dappertutto, con l’ascolto della canzone Baraye di Shervin Hajipour nella versione remix di DJ Siavash (fonti: https://youtu.be/I0bEMX6Avp0 - https://djsia.com/)

Hanno mandato un messaggio perché non sono potute intervenire le persone amiche:

Alfredo Gatta (Pro Lombardia, vicepresidente di AeA)

Lucia Chessa (RossoMori - Sardegna)

Luana Farina Martinelli (Caminera Noa)

* * *

Per seguire gli sviluppi dell'evento è indispensabile iscriversi al canale Telegram del Forum 2043: https://t.me/Forum2043

Si ringrazia per la collaborazione tecnica e creativa: Renzo Giannini - Il Lampone - https://www.youtube.com/lorenxman

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Per l'autonomia della Romagna

Autore: Samuele Albonetti, autonomista romagnolo, membro del coordinamento del MAR - 16 febbraio 2023

La Romagna è una delle più antiche e meglio definite regioni della penisola italiana, ma nella Repubblica nata nel 1946 non ha ancora visto il riconoscimento della sua autonomia.

Si è formata oltre 1400 anni fa, al tramonto dell’Impero Romano. Mentre i Longobardi cominciarono ad occupare gran parte della penisola, una fra le poche entità che si opposero e con successo fu l'Esarcato di Ravenna, la cui area geografica corrisponde all’attuale Romagna.

Da quella lontana epoca storica fino ai giorni nostri la Romagna ha mantenuto proprie peculiarità culturali e sociali. E’ a tutti gli effetti un territorio riconoscibile come una regione storica d’Italia e d’Europa.

Allora, politicamente e amministrativamente, che è successo? Perché, fino ad oggi, non si è riconosciuta l’autonomia della Romagna?

Terminata la lunga dominazione pontificia, all'indomani dell'unità d'Italia, il nuovo stato monarchico, dominato da pulsioni centraliste e autoritarie, non riconobbe la Romagna nemmeno come dipartimento statistico, a causa del forte seguito che nelle città romagnole avevano gli ideali repubblicani. I Romagnoli furono repubblicani un secolo prima degli altri Italiani e ne pagarono le conseguenze.

Nel Novecento, però, emerse un moderno ideale romagnolista, cioè autonomista per la Romagna, ad opera dei bëb (babbi, padri) della Romagna, Giovanni Braschi e Aldo Spallicci, ideale che sopravvisse mentre infuriavano le terribili vicende della Grande guerra, del regime fascista, della Seconda guerra mondiale.

In sede di Assemblea Costituente, negli anni 1946 e 1947, le vivaci discussioni sull’avvio del processo di regionalizzazione della nuova Repubblica furono presto troncate. L’Italia era distrutta dalla guerra, i tempi della Costituente erano stretti, le esigenze di avviare la democratizzazione e la ricostruzione erano stringenti. La Romagna aveva dato i natali al dittatore Mussolini e anche questo non aiutò.

La proposta di una regione Romagna fu accantonata, così come le istanze autonomiste di altri territori come il Salento e il Molise (quest’ultimo territorio però vedrà riconosciuta la propria autonomia nel 1963).

I padri costituenti, tuttavia, lasciarono ai posteri l’art. 132 della Costituzione, allo scopo di lasciare in futuro la possibilità di riconoscere lo status di regione ad altri territori.

Nel Dopoguerra la battaglia romagnolista, infatti, non si esaurì, portata avanti da Aldo Spallicci fino alla sua morte nel 1973.

Negli anni successivi il tema dell’autonomia resta vivo. Se ne fa interprete un politico socialista, Stefano Servadei, prima come deputato e poi come consigliere regionale della Emilia-Romagna. A lui come a molti altri non sfugge che il nuovo ente è fortemente condizionato dalla politica bolognese (e dalle dinamiche politiche nazionali), oltre che fortemente sbilanciato sulle esigenze delle province emiliane, più grandi, più popolose, più industrializzate, meglio collegate con l’economia del Nord e dell’Europa.

Servadei, quando si rende conto che alla fine degli anni Ottanta il regionalismo italiano è cresciuto e che le istanze per la piena attuazione della Repubblica delle Autonomie sono mature, si fa promotore del Movimento per l’Autonomia della Romagna (M.A.R.) nel maggio del 1990, poi formalmente registrato con atto notarile il 9 marzo del 1991.

Nei decenni successivi, grazie al Movimento dell’on. Servadei, gli ideali autonomisti in Romagna hanno continuato a vivere e a diffondersi fra i cittadini. A metà anni Novanta, il M.A.R. ha raccolto oltre 89.000 firme volte a richiedere un referendum per il riconoscimento di una regione Romagna, distinta da Bologna e dalle province emiliane, sulla base della previsione dell'articolo 132 della Costituzione italiana.

Il romagnolismo poi, negli anni Duemila, è stato respinto dal ritorno in campo di potenti processi di verticalizzazione e centralizzazione della politica, proprio come altre culture autonomiste democratiche.

Anche in Romagna abbiamo visto scatenarsi un malcostume diffuso anche in altri territori: l’omaggio all’autonomismo in campagna elettorale, salvo poi ignorarlo del tutto durante il mandato di governo.

Il M.A.R. ha sempre privilegiato l’impegno politico-culturale, restando aperto, inclusivo, trasversale. I partiti hanno cercato di approfittare della simpatia popolare per l’autonomia della Romagna, spesso mostrando un sentimento autonomista di facciata, rivelando solo nel proseguo la loro profonda subalternità al centralismo politico (obbedendo a capi che potevano essere di volta in volta a Bologna, a Roma, a Milano).

Ora, questa ormai lunga esperienza maturata e la constatazione che l'obiettivo del riconoscimento istituzionale della Romagna come regione d'Italia e d’Europa non è, ahinoi, vicino, inducono a profonde riflessioni, critiche e autocritiche, oltre che alla ricerca di percorsi alternativi, anche approfondendo lo scambio d’esperienze e l’aiuto reciproco – in corso ormai da tempo – con altre avanzate, mature, competenti realtà autonomiste, quelle rappresentate in Autonomie e Ambiente e che partecipano a questo Forum 2043.

La Romagna ed i suoi cittadini non possono più aspettare che giungano risposte dai partiti tradizionali, ormai tutti centralisti (i peggiori quelli che pretendono di essere, a parole, addirittura “federalisti”).

Praticamente tutti i partiti – sinistra, centro, destra, movimenti – che hanno sin qui retto le amministrazioni locali in Romagna, si sono rivelati subalterni a poteri forti che li controllano da lontano.

Qualcosa deve cambiare e cambierà, per questa nostra aspirazione all’autonomia della Romagna, che viene da molto lontano ma che è oggi un progetto politico giovane, innovativo, popolare, d’esempio per l’Italia, e per l’Europa, e più necessario che mai.

Romagna,pubblicato il 16febbraio 2023

Samuele Albonetti

membro del Comitato regionale M.A.R.

(Movimento per l'Autonomia della Romagna)

A corredo di questo post la famosa cartina della Romagna dell'artista Giannetto Malmerendi

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Seminario sulle parole vive di Chivasso

Seminario online

PAROLE VIVE PER LE AUTONOMIE E L'AMBIENTE

Sabato 11 marzo 2023, ore 16
(conclusione lavori prevista per le ore 18 circa)

Promosso dal Forum 2043
in collaborazione con la presidenza di Autonomie e Ambiente (AeA)

Piattaforma: https://zoom.us/j/97267541503?pwd=KytzRmNzcngzeDIxUnpVNW1mdnE5Zz09

Presentazione

Crediamo in una primavera politica animata da valori civici, ambientalisti, autonomisti. Al deserto di idee e progetti, alle regole elettorali antidemocratiche, alla mancanza di dibattito civile su una stampa libera e pluralista, reagiamo rivendicando il nostro posto e assumendoci le nostre responsabilità in Italia e in Europa. I nostri movimenti, gruppi, intellettuali, attivisti territoriali sono ancorati ai principi della Carta di Chivasso del 1943, di cui quest'anno celebreremo l'ottantesimo anniversario.

Le parole di Chivasso sono vive, qui e ora, per noi che crediamo nella Repubblica delle Autonomie, nell'Europa dei popoli, in un mondo liberato da autoritarismi, colonialismi e militarismi.

Il nostro compito è portare avanti la visione del partigiano e martire Émile Chanoux e promuovere gli ideali di autogoverno dei territori, sussidiarietà verticale e orizzontale, autonomie personali, sociali e territoriali, che sono incisi nella Costituzione italiana, grazie all’impegno di padri costituenti come Giulio Bordon, Piero Calamandrei, Tristano Codignola, Andrea Finocchiaro Aprile, Emilio Lussu, Aldo Spallicci, Tiziano Tessitori.

Ciò che la nostra storia di lotte per l'autogoverno ci tramanda è essenziale per chi vuole difendere l’acqua, la terra, la salute, le autonomie, le nostre comunità ed economie locali, i doveri dei contemporanei e i diritti delle generazioni future.

I nostri pensieri devono essere lucidi, le nostre azioni risolute, oggi più di sempre, contro i cialtroneschi avventurieri di un falso autonomismo "differenziato" che in realtà tradiscono da venticinque anni le autonomie esistenti e vogliono condurci verso il disastro del presidenzialismo, come se l'Italia non fosse già uno stato sufficientemente centralista e autoritario, dove chi è temporaneamente al potere crede ancora, ottant'anni dopo, in "Roma doma".

Programma

  • Lettura pubblica della Carta di Chivasso (le voci sono di Sara Borchi e Stefano Fiaschi)
  • Massimo Moretuzzo (Patto per l'Autonomia Friuli - Venezia Giulia)
  • Mauro Vaiani (OraToscana, segreteria di AeA, coordinamento del Forum 2043)
  • Silvia Fancello, "Lidia" (rappresentante EFA-ALE e referente AeA in Sardegna)
  • Alfonso Nobile, "Alessandro" (Siciliani Liberi, vicepresidente di AeA)
  • Claudia Zuncheddu (Sardigna Libera, attivista per l'autogoverno e per la salute in Sardegna, Forum 2043)
  • Andrea Aquarone (autonomista ligure e animatore di "Che l'inse!")
  • Samuele Albonetti (Rumâgna Unida, già coordinatore del MAR)
  • Gino Giammarino (editore e attivista per l'autogoverno a Napoli e nel Sud, Forum 2043)
  • Alfredo Gatta (Pro Lombardia, vicepresidente di AeA)
  • Maria Luisa Stroppiana (Assemblada Occitana - Valadas)
  • Milian Racca (Liberi Elettori Piemonte)
  • Walter Pruner (autonomista trentino)
  • Erik Lavevaz (Union Valdôtaine)
  • Roberto Visentin (Patto per l'Autonomia Friuli - Venezia Giulia, vicepresidente EFA-ALE, presidente AeA)

 

Per accedere all'evento è indispensabile iscriversi al canale Telegram del Forum 2043: https://t.me/Forum2043

Collaborazione tecnica: Renzo Giannini - Il Lampone - https://www.youtube.com/lorenxman

 Collegamento sulla rete sociale:

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