Invito a Melfi - 27 ottobre 2023

Amministratori, attivisti, studiosi e cittadini appassionati di autonomie personali, sociali, territoriali, si incontrano a Melfi per un incontro pubblico, voluto da alcuni degli autori della Charta di Melfi, dal Patto Autonomie e Ambiente, con la partecipazione dell'Alleanza Libera Europea-European Free Alliance (ALE-EFA). L'appuntamento per i partecipanti è presso l'albergo HOSTEL IL TETTO, piazza IV novembre a Melfi, nel cuore della Lucania, per venerdì 27 ottobre 2023 alle ore 9.30. La stampa è invitata alle 11.30 per documentare la conclusione dei lavori.

Il tema dei lavori sarà:

Una nuova economia virale
per i territori del Sud e dell’Europa,
per tutti, non per pochi

Interventi introduttivi di:

  • GINO GIAMMARINO, editore, attivista, referente del Patto Autonomie e Ambiente nel Sud
  • CANIO TRIONE, economista, attivista, autore del libro  “L’economia Virale” (pubblicato dalla Giammarino editore nel 2021)

Coordina: MAURO VAIANI, studioso e attivista, vicepresidente del Patto Autonomie e Ambiente

Conclude: LORENA LOPEZ DE LACALLE, presidente del partito politico europeo Alleanza Libera Europea - Free European Alliance

Saranno presenti dirigenti e rappresentanti di altre formazioni politiche territoriali impegnate, associate, associande, in dialogo con il Patto Autonomie e Ambiente, in vista delle elezioni europee 2024.

Importanti spunti per la discussione sono stati già diffusi, grazie a un lavoro coordinato da Gino Giammarino, dall'economista Canio Trione e da Mauro Vaiani (in coordinamento con gli studiosi che partecipano al Forum 2043, "think tank" civico, ambientalista e territorialista promosso dal Patto Autonomie e Ambiente).

Riassumiamo qui alcune delle tesi che saranno discusse:

Contro il gigantismo - A seguito della globalizzazione, l’economia è fagocitata da grandi conglomerati finanziari e da gigantesche multinazionali, incompatibili con la vitalità dell’economia locale, il bene comune, la democrazia.

Piuttosto che rovine, riforme - I giganti possono crollare sotto il peso delle loro disarmonie interne, certo, oppure per l’insostenibilità dell’economia globale distruttiva, ecocida e genocida, ma lascerebbero il mondo in rovina. Contro il conformismo dominante, contro il pensiero unico che in nome del “mercato” assiste impotente, vogliamo far parte di un movimento politico europeo che ponga una questione drammatica e urgente: i giganti sono troppo grandi per esistere, non troppo grandi per fallire.

Beni comuni, servizi pubblici e monopoli naturali - Nel campo dei beni comuni e dei servizi pubblici, a partire dall’acqua pubblica, siamo per il maggior decentramento possibile delle competenze e per lo spezzettamento dei gestori.

Banche al servizio non al potere - La parabola storica del risiko bancario è giunta, nella Repubblica italiana e nell’Unione Europea, alle estreme conseguenze, producendo posizioni dominanti incontrollabili, elite chiuse in bolle di lusso e di potere, non più in alcun modo al servizio delle persone, delle imprese, delle comunità: un fallimento epocale a cui dobbiamo porre urgentemente rimedio.

Pluralismo nel credito - Non ci interessa l’assistenzialismo, ma vogliamo un pluralismo creditizio ancora oggi sconosciuto: i mutui si allungano, certo, ma le banche pretendono di continuare a usare i soliti vecchi strumenti, mentre la società chiede forme radicalmente nuove di accesso al credito.

Attenuare i difetti dell’Eurozona - Non ci sottraiamo al grande e difficile processo di critica e correzione dei difetti intrinseci e strutturali di un’area valutaria forte ma non ottimale come l’Eurozona, ma vogliamo e dobbiamo cominciare a introdurre dei sollievi concreti. Si devono approntare, territorio per territorio, esperimenti di circolazione di credito locale agevolato con il fine di rendere possibile la partecipazione di tutti al mondo del lavoro e al consumo di beni locali. Si deve pensare, da subito, a rendere possibile che in regioni diverse non ci siano le stesse regole finanziarie e non vigano gli stessi tassi d’interesse: l’economia di una regione più povera non può sopportare lo stesso tasso di una regione ricca. Si veda in particolare la petizione Trione: Petition No 0941/2018 by Canio Trione - On reforming economic and monetary policy – https://www.europarl.europa.eu/petitions/en/petition/content/0941%252F2018/html/Petition-No-0941%252F2018-by-Canio-Trione-%2528Italian%2529-on-reforming-economic-and-monetary-policy.

Contro il nuovo vicereame ZES - Spesso, quando le autorità del centralismo italiano ed europeo parlano di “Sud” come di una realtà unitaria, il Meridione può tranquillamente aspettarsi altre ingiustizie. Analizziamo criticamente i limiti intrinseci la Zona Economica Speciale (ZES) unificata, che dovrebbe imporre le sue formule uniche a tutti i nostri territori (e anche alle isole di Sicilia e Sardegna).

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La Charta di Melfi è un documento giovane, pubblicato nel 2019, elaborato da attivisti per l'emancipazione dei territori del Sud dalla rassegnazione, dalla subalternità, dalla tristezza. Echeggia la Carta di Algeri del 1976, documento anticolonialista e internazionalista. Abbraccia i valori della Carta di Chivasso del 1943, il documento confederalista scritto ancora durante il tempo cupo dell'occupazione nazifascista dagli attivisti per l'autogoverno delle valli alpine, con parole di speranza per tutti i territori, prezioso testo di cui quest'anno celebriamo l'ottantesimo anniversario e che continua a ispirare un moderno territorialismo per il XXI secolo. 

Melfi abbraccia Chivasso e Algeri
e da Melfi si riparte per una Europa diversa
per tutti i popoli, per tutti i territori,
per la pace, per le generazioni future

Per informazioni e per preannunciare la propria partecipazione ai lavori:

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Contatto di Gino Giammarino, referente del Patto Autonomie e Ambiente nel Sud:

Luigi Giammarino (Gino) <Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 

 

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La Charta di Melfi

Autore: a cura di Gino Giammarino - Melfi, 4 ottobre 2023, Festa di San Francesco d'Assisi

Conentusiasmo pubblichiamo laCharta di Melfi,basandoci sull’edizione apparsa nel 2019 su QM – Quaderni Meridionali, rivista di approfondimento legata al blog Il Brigante, animata da Luigi Giammarino, il nostro Gino...

Il documentoesprime unasintesi politica e culturaleelaboratadai movimenti che siriunirononell’esperimento della Confederazione dei Meridionalisti Identitari (CMI),che ebbevitabrevema che ha segnato per molti attivisti per l’autogoverno dei territori del Sud un momento di svolta rispetto alla frammentazione, al folklorismo, alle ingenuità del loro passato.

Gino Giammarino presiedette la CMI e, dopo il fallimento di quel tentativo, ne ha traghettato le persone e le idee più valide verso l’incontro con i valori della Carta di Chivasso e la collaborazione politica e culturale con la sorellanza interterritoriale di Autonomie e Ambiente,contribuendo quindi anche all’enorme lavoro di rinnovamento intrapreso negli anni Venti dallaAlleanza Libera Europea – ALE (European Free Alliance – EFA).

La Charta di Melfiriaffermacon onestà intellettualee senza piagnisteila centralità del tema dell’autogoverno dell’intera macroregione meridionale,mettendola al riparo daitentativi di depistaggio,dalle chiacchiere inconcludenti, dallecortine fumogenealzatesia dasedicenti vecchi e nuovimeridionalisti,sia dai falsi federalisti in realtà populisti centralisti calati dal Nord,entrambisubalterni da sempre al centralismo italiano, più di recente anche al centralismo europeo e alpensiero unico di una globalizzazione ecocida e genocida.

Melfi è stata e sarà ancora luogo diincontri meridionalisti importantinel XXI secolo, scelto per il suo valore simbolico, essendo stata la città in cui furonoelaborate nel XIII secolo le ben note Costituzioni degli stati governati daFederico II di Svevia,l’illuminato imperatore romano-germanico, re di Sicilia e di Gerusalemme,signore e protettore, fra gli altri, degli stati del Sud.

Noi eravamo, noi siamo, noi saremo

Eravamo una nazione, un insieme di popoli, con culture, lingue e tradizioni diverse ma con un’unica matrice, un unico stato, senza emigrazione, con istruzione organizzata, assistenza medica diffusa ed un esercito di difesa. Cose come camorra e mafia erano piccoli ricettacoli residuali non influenti. Diventammo colonia di soggetti affamati, feroci, fortemente indebitati e guerrafondai della peggiore specie, con menti rivolte alle guerre, lontane dalla cultura e dal miglioramento della società.

Oggi siamo sopravvissuti, ci siamo ancora: nonostante tutto. Con noi è stato usato dal nuovo stato “liberatore” l’iter che usarono i romani con gli irpini e i sanniti: dopo aver distrutto il più possibile popoli e insediamenti, imposero la damnatio memoriae, tentando di cancellare una civiltà intera, e alla storia sostituirono la menzogna. Stiamo strappando via il velo dell’oblio, riscoprendo faticosamente la verità storica e cancellando quella sequela di bugie fatte scrivere anche sui libri di testo, dalle scuole elementari alle università, nei saggi e nei racconti.

Come per altri popoli colonizzati, hanno resistito i racconti orali, le tradizioni, la lingua e l’arte, la musica, l’artigianato. Inoltre, si stanno ritrovando verbali e registri storici di menti libere, di uomini di governo dell’epoca, con annessi conti economici, libri, storie e i registri dell’anagrafe religiosa, anch’essa sottomessa e distrutta dal nuovo nefasto ordine unitario.

Nonostante tutto, oggi noi siamo! E continuando l’opera di riappropriazione della nostra cultura, delle nostre lingue scritte e parlate, stiamo lentamente ricostruendo una realtà di popolo.

Realizzeremo la nostra unità se essa sarà fondata sulle tradizioni e sulla volontà di rappresentarci da soli, perché i nostri interessi sono solo i nostri.

In questo modo saremo di nuovo ciò che eravamo un tempo. E che ci spetta di essere.

Europa e Mediterraneo dei popoli

Siamo una terra di mezzo tra due culture diverse: quella europea e quella mediterranea, e non rinneghiamo nessuna delle due.

In Europa facciamo parte del folto numero delle “colonie interne” in una serie di stati, mentre con il Mediterraneo abbiamo in comune la volontà di affrancarci dal termine “colonizzazione”.

In questo siamo vicini a popoli, regioni e stati che già si sono affrancati, anche dallo stato italiano, e che conoscono la nostra storia e ci riconoscono nelle nostre rivendicazioni.

Abbiamo radici forti che sono sopravvissute e vogliono affermarsi nuovamente, per questo vogliamo una Europa diversa da quella attuale, che vorrebbe invece un insieme di stati con potere assoluto e centralizzato sui popoli. Allo stato attuale infatti abbiamo dei sistemi statali in Europa che tendono a rinunciare alla loro autonomia e libertà di scelta della visione del modello sociale più gradito. Questa coercizione di fatto è attuata attraverso l’uso nefasto dei bilanci e dei debiti, con un sistema politico del tutto asservito a banchieri e multinazionali. E’ l’esatto contrario della democrazia e della volontà dei cittadini di scegliersi con quali regole e in quale ambiente vivere.

Connessi con la Carta di Algeri, dichiarazione universale dei diritti dei popoli

Riconosciamo e ci riconosciamo nella Carta di Algeri (1976), “DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DEI POPOLI”, poiché questa si basa non più solo sui diritti universali del singolo individuo ma sugli stessi diritti resi “collettivi”, ovvero: tutti i popoli del mondo hanno pari diritto alla libertà ed alla loro autodeterminazione.

Questa Carta è fondamentale perché è stata redatta considerando i "diritti economici" contro le pretese coloniali di coloro i quali hanno usato o usano la forza della coercizione per mantenere lo status coloniale “di fatto” ancora oggi.

Abbiamo due tipi di colonizzazione, una “internazionale”, sul modello della Libia o l’Eritrea per l’Italia, o come l’Algeria per la Francia, ed una “interna”, come ancora oggi accade per il “Mezzogiorno d’Italia”, o ex Stato sovrano delle Due Sicilie, o anche per alcuni paesi interni sottomessi (Scozia e Galles al Regno Unito, Corsica e Bretagna alla Francia, ad esempio), dove esiste una marginalità, che oggi viene descritta come “discriminazione territoriale” ma che merita di essere descritta come stato di “colonia interna”.

La Carta di Algeri è composta da 30 articoli, di cui in particolare rivendichiamo:

L’imprescrittibilità e l'inalienabilità dell'esercizio del diritto,il diritto all’autodeterminazione perché è in corso una dominazione coloniale, di fatto storicamente razzista”;

Il nostro popolo ha diritto ad un governo che rappresenti tutti i cittadini senza distinzione di razza, sesso, opinione o colore, e che sia capace di assicurare il rispetto effettivo dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per tutti”;

Rivendichiamo il rispetto del nostro diritto all’autodeterminazione legandolo ai principi generali del diritto internazionale, configurando così la violazione di tale diritto come una trasgressione di obblighi nei confronti dell'intera comunità internazionale e in taluni casi, come ad esempio il appropriarsi delle ricchezze dei territori distruggendoli e lasciandoli inquinati, addirittura come un crimine internazionale”;

Spetta al nostro popolo far valere le sue ragioni in caso di violazione dei propri diritti attraverso la lotta politica, sindacale”;

Noi scegliamo di utilizzare la lotta nonviolenta in ogni sua forma per tutelare i nostri diritti”;

Infine, siamo per una visione d’insieme della lotta coordinata tra i popoli oppressi e discriminati, ed il ripristino dei diritti nei fatti è un dovere che deve gravare su tutti i membri della comunità internazionale come attività strategica di lungo termine”

 

Di fatto, la carta di Algeri afferma il diritto all'autodeterminazione in tutte le sue forme e implicazioni. La preoccupazione ossessiva per la tutela dell'integrità territoriale viene posta in secondo piano: l'istanza libertaria dei popoli prevale sulle esigenze della sovranità degli stati. A garanzia dell'autodeterminazione si legittima non solo il ricorso alla forza da parte dei movimenti di liberazione nazionale, ma anche l'intervento di terzi.

Nel nostro caso per fortuna abbiamo la possibilità di esercitare in forma democratica e nonviolenta ogni forma di azione per raggiungere gli scopi che ci prefiggiamo, la tutela della nostra terra, l’integrità dei nostri territori ed una vita non più fatta di emigrazione e da cittadini di serie inferiore, che pur pagando più degli altri ricevono meno. Recuperare la nostra identità e la nostra libertà ed autonomia significa rimuovere le sempre più visibili le catene che abbiamo ai polsi ed ai portafogli.

Agenda unitaria per i territori del Sud

Dividi et impera, con ascari al servizio politico ed amministrativo dei colonizzatori, è sempre stata la strategia di lungo periodo di chi ci tiene ancora in pugno. Abbiamo cultura, informazione, economia ed anche politica autoctone, ma fino ad ora sono state slegate tra loro, ed il non fare rete ci lascia dipendenti e subordinati a sistemi decisionali ed organizzativi di matrice coloniale e comunque a noi del tutto alieni.

Per questo motivo la Charta diventa agenda di eventi, ciclici, collegati, riconosciuti e riconoscibili con certezza, e che operano nella direzione del cambiamento positivo delle nostre terre migliorando le condizioni complessive delle nostre popolazioni.

Quindi fare rete, sia settorialmente che trasversalmente, ci da e ci darà la forza dell’unione e della coesione di tanti soggetti. Facendo massa, intessendo relazioni critiche e positive viene prodotta, sia classe dirigente, che rappresentanza politica propria, che deve esistere unicamente per gli interessi territoriali, modello questo già esistente e vincente in altre aree euro-mediterranee.

Per questo anche l’area politica di riferimento è solo territoriale, fuori da quelle “nazionali italiane”. Qui i soggetti esistenti e certamente riconoscibili per la causa del Sud poco hanno potuto per la divisione, troppo spesso indotta dall’esterno e sostenuta da chi vuole che i nostri territori (che erano uno stato) non abbiano una rappresentanza propria, unitaria e legata a quella rete trasversale della società che prima abbiamo descritto.

Per questo motivo gli stessi soggetti che hanno fatto nascere la Charta di Melfi hanno prima creato e poi superato il Coordinamento dei Movimenti per il Sud diventando una Confederazione dei Movimenti Identitari (CMI).

Questo soggetto politico, basato proprio sulle caratteristiche di forte rispetto tra le diversità di visione politica dell’organizzazione della società, come anche quelle linguistiche e culturali, può mettere insieme le diverse anime politiche che lottano per la comune causa dei nostri territori.

L’informazione e la comunicazione sono e saranno il pilastro e il motore delle attività svolte oggi e che si attueranno, di comune accordo, per realizzare qui da noi ciò che già altrove è stato realizzato o è in via di realizzazione.

Aderire alla Charta di Melfi

Singoli cittadini, associazioni, da quelle di fatto a quelle organizzate e strutturate, imprenditori, artisti, enti Locali, uomini di cultura, organizzazioni politiche con caratteristiche compatibili con lo spirito e gli obiettivi della Charta possono aderirvi riconoscendola e identificandosi con essa.

Così essi stessi diventano soggetti che finalmente fanno sinergicamente rete per migliorarsi e per cambiare la faccia ed i contenuti della nostra società.

Attraverso il recupero e della nostra identità, a partire dalla lingua locale, passando per le tradizioni e la cultura, sempre originali ed autoctone, saranno costruite l’economia, l’arte, l’ambiente, e ogni altra cosa che decideremo di avere attraverso la nostra autodeterminazione.

Se noi tutti assieme lo vogliamo, saremo di nuovo ciò che eravamo:
un popolo e una terra.

Il valore del “RISPETTO”

Divide et impera: ne siamo stati vittime ma anche artefici. Ce lo hanno imposto per meglio sottometterci alle logiche coloniali - romane ieri, europee oggi - ma abbiamo finito per adottare anche tra di noi il modello della delegittimazione per svilire l’operato degli altri o per cercare di impedire loro di attuare quello che cercavano di fare.

Tutto questo, oggi, risulta incoerente ed inaccettabile. Non si può contestare un modello per poi costruirne uno identico ma di senso contrario. Dunque una rivoluzione culturale meridionale non può non partire da un termine e da un valore, quello del “Rispetto”, che diventa punto di riferimento ideale per ogni azione politica e culturale che voglia mettersi in campo per la “Causa” meridionale.

Un rispetto dovuto per quanti, briganti di oggi, lavorano alla soluzione definitiva della “Questione Meridionale” con onestà intellettuale e senza compromessi con chi ci ha messo in ginocchio. E che, con questi comportamenti, innalzeranno la Charta a modello di ispirazione e motivazione a fare rete in maniera sana e costruttiva.

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Pubblicata integralmente sul Forum 2043 a cura di Gino Giammarino, con minimi aggiustamenti formali, il 4 ottobre 2023.

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Sette sfide dal nostro Sud per il bene di tutta Europa

Rilanciamo qui le sette sfide di emancipazione e riscatto, nel Sud, in Europa, per tutti, che sono state elaborate da Melfi 2023: 1) una nuova generazione di severe leggi europee antitrust, contro i giganti; 2) ritorno alla gestione locale autonoma di beni comuni e servizi pubblici essenziali, contro le multiutility; 3) rendere più elastico e accessibile il credito, anche alle famiglie e alle piccole imprese (i giganti fanno già ora quello che vogliono), anche ponendo fine al risiko bancario e tornando a favorire l'esistenza di istituti bancari locali noprofit; 4) la drastica semplificazione degli adempimenti richiesti alle piccole e piccolissime imprese; 5) la critica radicale alla ZES unificata, che vediamo come un nuovo vicereame; 6) confronto con la BCE perché in regioni diverse possano vigere tassi d’interesse diversi, perché l’economia di una regione più povera non può sopportare lo stesso tasso di una regione ricca (petizione europea 941/2018 primo firmatario Canio Trione); 7) messa in discussione radicale del dogma della "competitività" fra territori, che genera inesorabilmente pochi vincenti e lo spopolamento e l'impoverimento di tutti i territori "perdenti".

 

Melfi, 22 novembre 2023 (Santa Cecilia)

Dopo l’incontro di Melfi 2023 (27/10/2023), cittadini, attivisti, studiosi, amministratori del Sud, insieme al Patto Autonomie e Ambiente e all’Alleanza Libera Europea (European Free Alliance), ispirati dai valori della Charta di Melfi 2019, dai principi anticolonialisti e internazionalisti della Carta di Algeri 1976, dall’autonomismo e dal confederalismo europeo della Carta di Chivasso 1943, hanno riaffermato i’impegno per una Europa di popoli, regioni e territori, dove si realizzino riscatto economico e sociale con riforme economiche a vantaggio di molti e non di pochi; per la ricostruzione della democrazia contro il centralismo autoritario e i suoi strumenti di sorveglianza universale; per la protezione delle tradizioni e delle identità locali; per la salvaguardia dell’ambiente e di tutti i beni comuni che vogliamo consegnare intatti alle generazioni future.

1 Vogliamo essere presenti in Europa, con nostri rappresentanti, non per piàtire aiuti o fondi, ma per pretendere riforme, che sono l’unica vera alternativa al declino, allo spopolamento, alla distruzione ambientale, alla cancellazione delle nostre identità: è tempo di una nuova stagione di lotta antitrust, ben più radicale di qualsiasi altra che sia stata realizzata sin qui nella storia del capitalismo, contro tutte le concentrazioni di potere economico, industriale e finanziario; i giganti della globalizzazione, con il loro capitalismo massificante, autoritario, predittivo e induttivo dei comportamenti – e non più solo dei consumi materiali - sono incompatibili con la democrazia e con il bene comune locale, europeo e globale.

2 Vogliamo impegnarci per restituire sovranità alle comunità locali e ai territori, a partire dal potere di organizzare e gestire in proprio servizi pubbliciuniversali eamministrazione dei beni comuni, che devono essere sottratti alle c.d. multiutility e alle concentrazioni di potere finanziario; in ogni bioregione vogliamo il maggior decentramento possibile e lo spezzettamento dei gestori dell’acqua pubblica e degli altri monopoli naturali in compagnie pubbliche locali, sotto il controllo dei cittadini residenti, che ne sono sovrani, non meri utenti o consumatori.

3 La parabola storica del risiko bancario è giunta, nella Repubblica italiana e nell’Unione Europea, alle estreme conseguenze, producendo posizioni dominanti incontrollabili, elite chiuse in bolle di lusso e di potere, non più al servizio delle persone, delle imprese, delle comunità: un fallimento epocale a cui dobbiamo porre urgentemente rimedio con norme severe anti-concentrazione, con la conservazione e quando necessario con il ripristino di una rete diffusa di banche locali noprofit, votate a consentire a tutti ciò che attualmente è possibile solo agli stati e ai potenti: ottenere prestiti a condizioni non solo favorevoli, ma soprattutto elastiche (si ricordano, a titolo di esempio, le lotte di Canio Trione e altri per consentire il pagamento d’interessi senza restituzione del capitale).

4 Il fallimento storico e ripetuto di ogni tentativo di semplificazione fiscale ha origine in una drammatica dissonanza cognitiva che impedisce di vedere la realtà con realismo ed equità: non si possono trattare con le stesse regole fiscali attività lavorative e imprenditoriali di scala diversa, in condizioni diverse, su territori diversi; nella dimensione piccola, limitata nello spazio e magari anche nel tempo, deve esistere la possibilità di iniziare una attività imprenditoriale o di fornire una prestazione lavorativa, senza commercialisti, senza consulenti del lavoro, senza adempimenti burocratici, senza richiesta di autorizzazioni preventive, senza obblighi di esercitare funzioni come il sostituto d’imposta; la piccola impresa all’avvio, l’attività temporanea o stagionale, una bottega in zone marginali e spopolate, una realtà noprofit, un laboratorio familiare, amicale, vicinale, hanno diritto a essere trattati in modo radicalmente diverso dalle medie e grandi aziende; fermo restando che tutti devono rispettare norme ambientali e di sicurezza, è solo nel tempo, quando e se un’attività ha avuto successo, che possono trovare giustificazione oneri normativi e fiscali.

5 Quando le autorità del centralismo italiano ed europeo parlano di “Sud” come di una realtà unitaria, i popoli del Meridione e delle isole possono tranquillamente aspettarsi altre ingiustizie, quindi rifiutiamo radicalmente il nuovo vicereame ZES (Zona economica speciale unitaria per il Sud, la Sicilia, la Sardegna); non ci sono ricette centraliste, grandi progetti, opere faraoniche che possano risolvere i problemi dei nostri diversi territori; anzi, questi interventi di solito favoriscono le grandi imprese costruttrici del Nord, ulteriore penetrazione dei prodotti del Nord o delle multinazionali, orge di ferro e cemento come il Ponte di Messina, quindi ulteriori perdite di buona terra, paesaggio e identità; la ZES centralista sarà, nella migliore delle ipotesi una riedizione delle chiacchiere, dei luoghi comuni, dell’assistenzialismo, nella peggiore un meccanismo che finirà per impoverirci e spopolarci ancora di più.

6 Non ci sottraiamo al risalente e complesso dibattito sui difetti intrinseci e strutturali di un’area valutaria forte ma non ottimale come l’Eurozona, ma vogliamo soprattutto cominciare a introdurre dei sollievi concreti, a partire dal rendere possibile che in regioni diverse possano vigere tassi d’interesse diversi; l’economia di una regione più povera non può sopportare lo stesso tasso di una regione ricca (petizione europea 941/2018 primo firmatario Canio Trione); lo statuto BCE e le attuali norme europee vanno rispettate, ma riportando ragionevolezza perché senza articolare nei territori (non stato per stato, ma territorio per territorio) una azione mirata contro i diversi tassi di inflazione e disoccupazione, la sostenibilità dell’Euro verrà meno.

7 L’esperienza meridionale della brutale unificazione italiana, gli squilibri registrati nella creazione del mercato europeo unificato, il commercio globale di merci-spazzatura prodotte sfruttando le persone e l’ambiente, sono lezioni che dovrebbero essere state apprese: il futuro dei territori che appartengono a un mercato comune non può essere ridotto a una continua competizione, che genera inevitabilmente aree perdenti, che si spopolano e s’impoveriscono, a vantaggio di poche capitali economiche vincenti; si deve invece favorire in ogni territorio una economia locale che abbia una solidità intrinseca e duratura; continuare come oggi, con regole assurdamente uguali per tutti, porterà solo a forme sempre più grevi di centralismo autoritario per assicurare continue, sempre più copiose – e fortemente impopolari - richieste di trasferimenti dai territori più favoriti a quelli che invece restano marginali.

I disastri di Cutro, di Caivano e quello di Brandizzo - in cui vicino alla cara Chivasso sono morti dei fratelli meridionali - non si affrontano con la calata da Roma di presidenti, ministri, sottosegretari, commissari straordinari, prefetti; è tempo di coraggio e di rivolta contro centralisti, chiacchieroni ritinti di verde o rossoverde, populisti, nazionalisti, ciarlatani che si candidano come “sindaci d’Italia” con il retropensiero di poterne diventare “podestà”; ciò che siamo, il meglio di ciò che abbiamo ereditato, il nostro patrimonio ambientale e culturale, è nato dall’ardimento di comunità che si autogovernavano, che rischiavano e che, con sacrificio, qualche volta realizzavano; seguendo le orme dei nostri antenati, impegniamoci per far sorgere una nuova generazione di imprenditori e creativi, esperti e studiosi, leader locali affezionati alla propria terra, amministratori coraggiosi e indipendenti, legislatori audacemente innovatori.

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Verso Melfi 2023 - Spunti di discussione

Questi dieci capitoletti, che non esitiamo a definire audaci, sono messi a disposizione di chi parteciperà all'incontro pubblico di Melfi, il prossimo venerdì 27 ottobre 2023, in cui intellettuali, attivisti, imprenditori, amministratori del Sud, a partire dalla Charta di Melfi,  lavoreranno insieme al Patto Autonomie e Ambiente e al partito politico europeo Alleanza Libera Europea - Free European Alliance (ALE-EFA) per lanciare un ambizioso progetto di autonomie sociali, personali, territoriali, per tutti, non per pochi.

QUI I DETTAGLI DELL'INCONTRO

Melfi 2023

Spunti di discussione per una economia virale per i territori del Sud e dell’Europa

Melfi abbraccia Chivasso e Algeri e da Melfi si riparte per una Europa diversa

Verso l’incontro pubblico del 27 ottobre 2023

Note di redazione

Questo documento è stato creato il 23 agosto 2023, a cura di Gino Giammarino, Canio Trione, Mauro Vaiani. Ultimo aggiornamento 11 ottobre 2023, da Melfi, Bari, Napoli, Prato, Udine, Chivasso.

1 Introduzione

1.1 Cittadini, attivisti, studiosi, amministratori del Sud si sono riuniti a Melfi, per rilanciare e aggiornare la sintesi politica e culturale della Charta di Melfi (diffusa nel 2019), che echeggia il principio universale di autodeterminazione dei popoli della Carta di Algeri (4 luglio 1976).

1.2 A ottant’anni dalla Carta di Chivasso del 1943, che riconosciamo come faro e ispirazione per l’autogoverno di tutti dappertutto in Europa, accogliamo fra di noi le delegazioni del Patto Autonomie e Ambiente (AeA) e del partito politico europeo Alleanza Libera Europea - European Free Alliance (ALE/EFA).

1.3 Forti di queste profonde radici e della solidarietà interterritoriale italiana, europea e internazionale, riaffermiamo il nostro comune impegno per una Europa di popoli, regioni e territori, dove si realizzino riscatto economico e sociale ed emancipazione dalla povertà, con riforme economiche a vantaggio di molti e non di pochi, per la protezione delle tradizioni e delle identità locali, per la salvaguardia dell’ambiente e di tutti i beni comuni che vogliamo consegnare intatti alle generazioni future.

2 Contro il gigantismo

2.1 A seguito della globalizzazione, l’economia è popolata da grandi conglomerati finanziari e da gigantesche multinazionali.

2.2 A questi giganti, nell’attuale ordinamento del mercato comune europeo e dell’Organizzazione mondiale del commercio (World Trade Organization, WTO), non sono posti limiti significativi, che invece dovrebbero esserci, perché la loro esistenza è incompatibile con la democrazia e il bene comune locale e globale.

2.3 Anche assumendo il punto di vista più ristretto, quello dell’interesse dei loro azionisti, la loro efficienza è inversamente proporzionale alle loro dimensioni: i loro costi organizzativi, burocratici, energetici, di allungamento delle gerarchie, di incontrollabilità dei management, crescono geometricamente e finiscono per annullare anche quanto esse sembrano aver conquistato, in termini di organizzazione dei processi produttivi interni e attraverso la produzione standardizzata e robotizzata.

2.4 Anche senza voler negare che alcuni di questi giganti si siano formati per meriti imprenditoriali, essi stanno in piedi solo perché esternalizzano i costi che impongono sull’ambiente e le comunità: consumo di suolo, distruzione di risorse non rinnovabili, conseguenze – mai del tutto prevedibili – sul futuro delle comunità che ne ospitano i grandi impianti, sulla vita dei loro lavoratori, sulla salute dei consumatori che essi raggiungono in tutto il mondo.

2.5 Sia nel mondo manifatturiero e ancora di più in quello dei servizi, i giganti non sono “liberi imprenditori” attivi in una “economia di mercato”; essi ne sono piuttosto la negazione, possedendo una forza tale, su scala globale, da renderli capaci di nascondere dai loro bilanci e dai loro documenti sociali le distruzioni e gli avvelenamenti che infliggono all’umanità e al creato.

2.6 I giganti, concentrando fattori produttivi, capitali, potere scientifico, organizzativo, commerciale, mediatico e quindi politico, su scala globale, non subiscono né alcuna forma di controllo da parte di governi od organizzazioni internazionali, né la concorrenza di altri attori economici, risultando quindi indenni da ogni controllo dall’alto o dal basso.

2.7 Essi non competono né concorrono sul “mercato”, perché essi – non più la politica – lo creano: i consumatori non ne scelgono i prodotti, ma sono indotti e non di rado costretti a comprarli.

2.8 Non solo nella produzione industriale, ma oggi in modo sempre più pervasivo anche nel cibo, nei consumi culturali, nei farmaci e nelle cure, essi esercitano un potere più penetrante e disumanizzante di quello esercitato dai totalitarismi del Novecento.

2.9 Non sono accettabili tali concentrazioni di potere e ricchezza, che possono, letteralmente, comprarsi i media, le forze politiche, gli organi di governo di città e regioni, gli apparati di governo di interi stati e delle tecnocrazie internazionali.

2.10 Questi giganti sono giunti vicini ad avere il potere di creare le stesse narrazioni attraverso di cui i media descrivono il mondo: non solo i politici o i tecnici, quindi, ma gli stessi elettori e cittadini sono fortemente condizionati a volere ciò che essi dicono loro di volere.

2.11 In Europa si sono rivelate fallaci antiche e radicate convinzioni liberali e socialiste che le istituzioni dell’Unione potessero governare un mercato comune europeo (con la presunzione ulteriore di mantenerlo integrato e permeabile alle dinamiche ancora più incontrollabili del mercato globale), con regolamentazione degli oligopoli, controllo pubblico sui monopoli naturali, tutela della concorrenza, legislazione antitrust; a questa fallacia è necessario rispondere con riforme radicali.

3 Piuttosto che rovine, riforme

3.1 I giganti possono crollare sotto il peso delle loro disarmonie interne, certo, oppure per l’insostenibilità dell’economia globale distruttiva, ecocida e genocida, ma lascerebbero il mondo in rovina, visto che, se si rimane entro lo status quo, nessun potere politico, né locale, né europeo, né globale, può fermarli.

3.2 Contro il conformismo dominante, contro il pensiero unico che in nome del “mercato” assiste impotente, vogliamo organizzare un movimento politico che ponga una questione drammatica e urgente: i giganti sono troppo grandi per esistere, non troppo grandi per fallire; la loro esistenza è incompatibile con la libertà dei consumatori, con la tutela dell’ambiente, con le autonomie personali, sociali e territoriali, con la stessa democrazia.

3.3 Prima di trovarci fra le rovine, vogliamo riforme, per agire in modo attivo e creativo per porre fine a ciò è troppo grande per esistere in un mondo umano e in un pianeta finito, in difesa della creatività, della diversità, della piccolezza, dell’umanità.

3.4 A partire dai servizi pubblici e dall’amministrazione dei beni comuni, non vogliamo più poche entità potenti, ma il ritorno di una miriade di attori e operatori.

3.5 E’ tempo di una nuova stagione di lotta antitrust, ben più radicale di qualsiasi altra che sia stata realizzata sin qui nella storia del capitalismo moderno.

3.6 Attorno a questo nuovo riformismo uniamo le nostre diversità, tutti noi che abbiamo a cuore le autonomie personali, sociali, territoriali; l’ambiente e la solidarietà; le piccole imprese e le economie a misura di persona umana; il benessere nella sobrietà; l’efficienza nella giustizia.

4 Beni comuni, servizi pubblici e monopoli naturali

4.1 Nel campo dei beni comuni e dei servizi pubblici, a partire dall’acqua pubblica, siamo per il maggior decentramento possibile delle competenze e per lo spezzettamento dei gestori.

4.2 In ogni bioregione, tutto ciò che costituisce un monopolio naturale, deve essere amministrato da una compagnia pubblica locale, sotto il controllo dell’opinione pubblica locale, senza più improprie verticalizzazioni e concentrazioni.

4.3 Riaffermiamo la semplice verità che la storia di tante piccole società pubbliche territoriali è stata positiva, perché esse erano concentrate sul servizio alla comunità di cui esse stesse erano parte, con personale locale impegnato nei ruoli tecnici, riparatori, manutentori, controllori, revisori.

5 Banche al servizio non al potere

5.1 La parabola storica del risiko bancario è giunta, nella Repubblica italiana e nell’Unione Europea, alle estreme conseguenze, producendo posizioni dominanti incontrollabili, elite chiuse in bolle di lusso e di potere, non più in alcun modo al servizio delle persone, delle imprese, delle comunità: un fallimento epocale a cui dobbiamo porre urgentemente rimedio.

5.2 Avere così poche grandi concentrazioni bancarie europee e internazionali, al posto di centinaia di piccoli istituti territoriali indipendenti, non ha creato competizione, emulazione, efficienza, merito, semmai extraprofitti che prendono la via di quell’economia virtuale che non ritorna più nella vita reale (e i tentativi di “tassare” tali profitti, magari con norme retroattive, sono incostituzionali e, ripensando a quelli fatti dai governi Tremonti, Renzi, Draghi, Meloni, ipocriti e spesso persino patetici).

5.3 La concorrenza che vediamo sui media (dove le “banche online” comprano molta pubblicità) è uno specchietto delle allodole; si conquistano clienti con condizioni apparentemente vantaggiose, ma i capitali che si raccolgono spariscono dall’economia reale, perché fagocitati da entità che non hanno patria, sedi, personale, né soprattutto alcun interesse a fare ciò di cui invece le persone e i territori hanno sempre bisogno: finanziamenti a chi vuole creare e migliorarsi.

6 Pluralismo nel credito

6.1 Non ci interessa l’assistenzialismo, ma vogliamo un pluralismo creditizio ancora oggi sconosciuto: i mutui si allungano, certo, ma le banche pretendono di continuare a usare i soliti vecchi strumenti, mentre la società chiede forme radicalmente nuove di accesso al credito.

6.2 Per il ritorno di tanti – non di pochi – a investire nella propria vita, per una propria impresa, per una casa nuova o rinnovata, dobbiamo consentire a tutti ciò che attualmente è possibile solo allo stato e ai potenti: ottenere prestiti a condizioni non solo favorevoli, ma soprattutto elastiche, considerato che viviamo in tempi molto incerti.

6.3 I primi segni di una qualche apertura a questa prospettiva furono quelli che fecero ingresso nelle leggi finanziarie del 2014, fino al 2017, poi rinnovati (iniziative ispirate, fra gli altri, da Canio Trione): si consentiva la sospensione della restituzione della quota capitale, pur continuando a versare gli interessi, in questo producendo un vantaggio sia all’individuo, che oggi ha carriere lavorative meno prevedibili, ma anche alla redditività del sistema bancario.

6.4 Si chiede più credito che possa circolare, producendo interessi giusti per chi lo eroga, ma che non debba essere restituito in tempi rigidamente prestabili.

6.5 La banca deve tornare a essere banca: essa non ha alcun interesse a vedersi restituire capitali, ma al contrario li deve lasciar circolare, riscuotendo gli interessi.

7 L’informalità è vitalità

7.1 Il fallimento storico e ripetuto di ogni tentativo di semplificazione fiscale ha origine in una drammatica dissonanza cognitiva che impedisce di vedere la realtà con realismo ed equità: non si possono trattare con le stesse regole fiscali attività lavorative e imprenditoriali di scala diversa, in condizioni diverse, su territori diversi.

7.2 Nella dimensione piccola, limitata nello spazio e magari anche nel tempo, deve esistere la possibilità di iniziare una attività imprenditoriale o di fornire una prestazione lavorativa, senza commercialisti, senza consulenti del lavoro, senza adempimenti burocratici, senza richiesta di autorizzazioni preventive, senza obblighi di esercitare funzioni come il sostituto d’imposta.

7.3 La piccola impresa all’avvio, l’attività temporanea o stagionale, una bottega in zone marginali e spopolate, una realtà noprofit, un laboratorio familiare, amicale, vicinale, hanno diritto a essere trattati in modo radicalmente diverso dalle medie e grandi aziende.

7.4 Fermo restando che tutti devono rispettare norme ambientali e di sicurezza, è solo nel tempo, quando e se un’attività ha avuto successo, che diventano giustificate forme di tassazione più ficcanti.

8 Attenuare i difetti dell’Eurozona

8.1 Non ci sottraiamo al grande e difficile processo di critica e correzione dei difetti intrinseci e strutturali di un’area valutaria forte ma non ottimale come l’Eurozona, ma vogliamo e dobbiamo cominciare a introdurre dei sollievi concreti.

8.2 Si dovranno ridiscutere, territorio per territorio, in ciascuno stato e all’interno degli stati, modalità adeguate per togliere dal “mercato privato” le cifre immense dei debiti pubblici, che dovranno essere necessariamente cristalizzati.

8.3 Si dovranno approntare, territorio per territorio, esperimenti di circolazione di credito locale agevolato con il fine di rendere possibile la partecipazione di tutti al mondo del lavoro e al consumo di beni locali; il soddisfacimento con risorse locali di bisogni vitali personali e comunitari non interferisce in alcun modo con il libero scambio internazionale.

8.4 Si deve pensare, da subito, a rendere possibile che in regioni diverse non ci siano le stesse regole finanziarie e non vigano gli stessi tassi d’interesse: l’economia di una regione più povera non può sopportare lo stesso tasso di una regione ricca.

8.5 Lo statuto BCE e le attuali norme europee vanno rispettate, ma con ragionevolezza e con realismo, anche perché, senza articolare nei territori una efficace lotta all’inflazione e alla disoccupazione, la sostenibilità dell’Euro verrebbe meno.

8.6 L’esperienza della brutale unificazione italiana e gli squilibri registrati nell’allargamento del mercato comune europeo sono lezioni che dovrebbero essere state apprese: il futuro dei territori che appartengono allo stesso mercato comune non può essere ridotto a una continua competizione, che genera inevitabilmente aree perdenti, che si spopolano e s’impoveriscono, a vantaggio delle capitali economiche vincenti; si deve invece favorire in ogni territorio una economia locale che abbia una solidità intrinseca e duratura.

8.7 Continuare come oggi, con regole uguali per tutti, rendendo sempre più ricche le capitali e sempre più povere le periferie, porterà solo a nuove forme di centralismo autoritario per assicurare continue, sempre più copiose – e fortemente impopolari - richieste di trasferimenti dai territori più favoriti a quelli che invece restano marginali.

8.8 Si può e si deve cominciare assicurando a ciascun territorio proprie e appropriate regole di gestione della liquidità, con l’articolazione dei tassi d’interesse della BCE; si veda in proposito la petizione Trione: Petition No 0941/2018 by Canio Trione - On reforming economic and monetary policy – https://www.europarl.europa.eu/petitions/en/petition/content/0941%252F2018/html/Petition-No-0941%252F2018-by-Canio-Trione-%2528Italian%2529-on-reforming-economic-and-monetary-policy.

8.9 Gli effetti di inflazione e deflazione non sono identici in tutta l’area dell’Euro, quindi è necessario trasformare il tasso di riferimento BCE in un tasso medio dei diversi prezzi della moneta, applicati specificatamente alle diverse aree dell'Unione, con diversi gradi di sviluppo economico.

9 Contro il nuovo vicereame ZES

9.1 Spesso, quando le autorità del centralismo italiano ed europeo parlano di “Sud” come di una realtà unitaria, il popolo del Meridione può tranquillamente aspettarsi altre ingiustizie.

9.2 Non ci sono ricette centraliste, grandi progetti, opere faraoniche che possano risolvere magicamente i problemi dei nostri territori, anzi, queste idee di solito puntano a favorire le grandi imprese costruttrici del Nord, a facilitare ulteriore penetrazione dei prodotti del Nord o delle multinazionali, orge di ferro e cemento e quindi ulteriori perdite di buona terra, paesaggio e identità.

9.3 A Roma (ma anche a Milano e a Bruxelles) si sta pensando di riprodurre in tutta Italia, a cominciare dal Sud, quanto è stato fatto per risolvere questioni contingenti e puntuali – il modello Genova – senza alcuna considerazione delle aspirazioni delle nostre comunità e senza lasciarci alcuna libertà di decidere il nostro futuro.

9.4 La Zona Economica Speciale (ZES) unificata, che dovrebbe imporre le sue formule uniche a tutti i nostri territori (e anche alle isole di Sicilia e Sardegna), sarà, nella migliore delle ipotesi una riedizione delle chiacchiere, dei luoghi comuni, dell’assistenzialismo, nella peggiore un vicereame che finirà per impoverirci e spopolarci ancora di più.

10 E’ tempo di coraggio

10.1 I disastri di Cutro, di Caivano e quello di Brandizzo, in cui, vicino alla cara Chivasso, sono morti nostri fratelli meridionali, non si affrontano con le calate da Roma di presidenti, ministri, sottosegretari, commissari straordinari, prefetti.

10.2 Non possiamo lasciarci irretire da ciarlatani, populisti, centralisti che si candidano come “sindaci d’Italia” - qualcuno di loro in realtà pensando di poterne diventare un “podestà”.

10.3 Ciò che siamo, il meglio di ciò che abbiamo ereditato, il nostro patrimonio ambientale e culturale, è nato dall’ardimento di comunità che si autogovernavano, che rischiavano e che, con sacrificio, qualche volta realizzavano; seguendo le orme dei nostri antenati, impegniamoci per far sorgere una nuova generazione di imprenditori e creativi, esperti e studiosi, leader locali affezionati alla propria terra, amministratori coraggiosi, legislatori audacemente innovatori.

 

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