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Meridionalismo

Meridionalismo come emancipazione e autogoverno

  • Autore: Gruppo di studio interterritoriale Forum 2043 - 29 agosto 2022

 

Firenze - Napoli, 29 agosto 2022

Spunti per un dialogo fra decentralismo internazionale e meridionalismo napoletano:

In Italia, come in quasi tutti gli altri stati, la ricerca dell’autonomia politica di aree territoriali e regioni dal potere centrale è una realtà in continua crescita, e laddove qualche rappresentanza politica riesce a raggiungerla essa si rafforza con il tempo. L’autonomia politica non è il frutto di ‘vezzi’ ma di richieste con forti motivazioni sociali, spesso legate alla reazione contro la condizione di “colonia interna”, sfruttata dallo stato centrale.

L’Italia è uno stato unificato con le armi dal Piemonte, uno stato piccolo ma con una classe dirigente ambiziosa, che gestiva già una sua colonia, la Sardegna, e condivideva lo spirito espansionistico ed imperialista del tempo. L’unificazione italiana è in Europa uno dei casi più rilevanti di rapida sottomissione di popoli e territori diversi attraverso pratiche e teorie di “invenzione di una nazione”, che hanno trasformato interi territori sottomessi in “colonie interne”. Con la colonizzazione interna si è pratica l'emarginazione e si è rischiata la completa cancellazione di culture, lingue e tradizioni dei diversi territori e popoli della penisola.

I conquistatori hanno costruito la loro “narrazione”, cioè una “storia ufficiale”, che giustificasse l’allargamento del regno sabaudo, cancellando lo stesso ricordo dei dissidenti e dei ribelli dal loro “Risorgimento”. Una sorta di Damnatio Memoriae è quella che i conquistatori piemontesi hanno riservato ai conquistati, in particolare agli abitanti degli antichi regni di Napoli e di Sicilia (che furono unificati nel 1816, in modo avventato, da Ferdinando III di Sicilia e IV di Napoli, nel Regno delle Due Sicilie, ponendo così le condizioni per il sorgere di un profondo malcontento siciliano nei confronti dei Borbone, che avrà serie conseguenze negative per entrambi gli stati).

Il decennio successivo alla conquista del 1861 vide svilupparsi nel Sud il fenomeno del cosiddetto brigantaggio, nato per autodifesa dagli umili e dagli sconfitti. Per i Meridionali quello fu un decennio terribile, di oppressione legalizzata con provvedimenti come la legge speciale 15 agosto 1863, n. 1409, intitolata "Procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle Provincie infette", nota come legge Pica dal nome del suo primo firmatario, il deputato abruzzese Giuseppe Pica. Non mancò neppure una pratica apertamente razzista, sulla scorta del positivismo di Cesare Lombroso, che arrivò a teorizzare che i Meridionali avessero le caratteristiche fisiche di un popolo inferiore e dedito al crimine. Eppure, per le guerre coloniali dei Savoia, i figli maschi andavano bene tutti, anche quelli del Sud e delle isole. Nella “inutile strage” del 1915-18 furono arruolate a forza intere generazioni di Meridionali destinandole a fungere da carne da cannone, mentre le loro famiglie restavano senza braccia e quindi anche senza sostentamento, come ben documentato, fra gli altri e in ultimo, dallo scrittore piemontese Lorenzo Del Boca nel suo “Il sangue dei Terroni” (Piemme, 2016). Al fronte della ignobile e sordida Prima guerra mondiale i Meridionali erano facilmente sacrificabili in inutili attacchi alla baionetta. Per il solo fatto di non poter capire al volo gli ordini loro impartiti in lingua italiana, finivano fucilati per “insubordinazione”.

Dello sconvolgimento dell’emigrazione su larga scala, fenomeno prima sconosciuto, che colpì interi territori sottomessi ai Savoia e, dal 1880, l’intero Mezzogiorno, non possiamo certo parlare in questa sede ma va ricordata per capire come il Meridione si sia ritrovato, alla fine della Seconda guerra mondiale, esiliati i Savoia e cacciati i capi fascisti e nazionalisti, sicuramente più libero nella Repubblica, ma in una situazione di enorme arretratezza, esasperata ulteriormente dall'iniqua distribuzione dei fondi del piano Marshall e successive nuove emigrazioni di massa incoraggiate dallo stato centralista. Altri popoli e territori della penisola italica hanno sofferto la sottomissione e il maltrattamento dallo stato centralista e autoritario, ma molti storici ed economisti stimano che quello del Regno delle Due Sicilie sia stato un arretramento, a causa della colonizzazione, che ha pochi paragoni in Europa.

Neppure i processi tumultuosi della Ricostruzione, del boom industriale, del benessere, delle riforme sociali, delle pur discusse e discutibili politiche per il Mezzogiorno, sono riusciti a colmare il divario creatosi a partire dalla cosiddetta “Unità d'Italia”. Il territorio meridionale presenta ritardi infrastrutturali, diritti negati o mediamente di minore valore rispetto ad altre zone d’Italia. Tutti gli istituti di statistica ogni anno certificano l’esistenza di una arretratezza in termini di benessere materiale e di servizi disponibili. Al contrario siamo in testa alla classifica di fenomeni negativi come emigrazione, spopolamento, degrado del territorio, inquinamento. A differenza di quanto si ostinano a dire troppi politici - i capi del centralismo italiano - non sono ulteriori possibili autonomie che minacciano il Sud. L'arretratezza è dovuta piuttosto a un passato e a un presente di centralismo.

Qualcosa però è cambiato. Siamo nel XXI secolo inoltrato. Alcuni Statuti di autonomia sono stati riconosciuti dalla Costituente e sono state create le Regioni ordinarie nel 1970. Diversi territori un tempo oppressi hanno visto movimenti di popolo forti contro il centralismo, come in Valle D’Aosta, Trentino, Friuli, Veneto. In Europa abbiamo esempi di emancipazione e di autogoverno, come in Catalogna, Corsica, Scozia, dove governi autonomi recuperano benessere, identità e tradizioni, curano il loro ambiente, fanno rinascere cultura ed economia locale. Le amministrazioni autonome, governate da forze autonomiste, hanno dimostrato, nel tempo, che si può fare meglio avendo alla guida movimenti e partiti territorialisti e non subalterni al centralismo e alle forze politiche “nazionali”.

Il Mezzogiorno, purtroppo, rischia di essere ancora fermo alla “Questione meridionale” così come la vedevano Gaetano Salvemini, don Luigi Sturzo, Antonio Gramsci. Non è certo in discussione il loro spessore culturale o la loro sensibilità politica e sociale, né la sincerità e la generosità dei movimenti politici popolari e democratici che da essi sono stati ispirati e che hanno lottato nel Sud e per il Sud. Forse, però, è giunto il momento di rompere il soffitto di cristallo di cui essi stessi erano poco consapevoli. Come hanno scritto coraggiosamente le forze della rete Autonomie e Ambiente in un loro appello politico di quest’anno: “Non crediamo esista una soluzione “italiana”, tanto meno “europea”, ai problemi dei diversi territori negli anni difficili che ci aspettano, di crisi e di cambiamento; vogliamo quindi fare largo a una nuova generazione di leader locali, competenti e capaci, territorio per territorio, di individuare e percorrere la strada migliore per la loro comunità, per affrontare la transizione ecologica, fermare l’impoverimento, l’abbandono e lo spopolamento, promuovere le pari opportunità, autogestire localmente i servizi pubblici, salvaguardare i beni comuni, mettere le persone al riparo dalla sorveglianza digitale universale, ricostruire economie locali aperte sì, ma anche largamente autosufficienti dal punto di vista alimentare, economico, tecnologico, finanziario, sociale e culturale.”.

La “Questione meridionale” non sarà risolta da movimenti antipolitici, da settarismi di destra o di sinistra, o da tecnocrazie imposte dall'alto, quanto piuttosto da una presa di coscienza da parte delle popolazioni meridionali che è possibile e auspicabile l'autogoverno dei propri territori favorendo investimenti e trattenendo i giovani, bloccando la fuga di cervelli e di braccia verso altri luoghi.

Altrove in Italia e in Europa, il regionalismo costituzionale, pur fra molti chiaroscuri, ha innescato dei processi di emancipazione. Ha trattenuto competenze. Ha reso possibili investimenti. Ha accompagnato il risveglio identitario e culturale delle popolazioni locali. Nelle spopolate regioni meridionali, purtroppo, la forza politica delle istituzioni locali, in maggioranza rette da esponenti locali dei partiti centralisti, rischia di essere troppo poca per poter reclamare le risorse e le politiche che loro spettano. Per questo, fra le altre cose, si è anche immaginata una "Macroregione" del Meridione continentale, con organi comuni ai sensi del penultimo comma dell’art. 117 della Costituzione. La proposta di collaborazione fra la città di Napoli, i territori della Campania, gli Abruzzi, il Molise, le Puglie, il Salento, la Lucania, le Calabrie, senza voler in alcun modo pregiudicare l’autonomia di ogni territorio e comunità del Meridione, è stata vista come un modo per scuotere lo status quo, ora che il Meridione conta, elettoralmente, meno di un terzo della Repubblica.

Tocca a una nuova generazione di leader meridionali competere e sconfiggere sul terreno civile e politico gli ascari della politica centralista. Solo così emergerà una nuova classe dirigente autonoma e autonomista, sia nella politica, che nell’economia locale, che in ogni aspetto della vita sociale e culturale. Da questa nuova generazione ci si attende un prezioso contributo alla promozione di una autentica Repubblica delle Autonomie, una Italia federale, sociale e solidale, formata da territori che eleggono liberamente i propri leader locali, libera da ogni subalternità a centrali di potere estranee ai nostri territori, specie quei poteri finanziari globali che oggi fanno il bello e brutto tempo nel mondo.

Dopo decenni di riflessioni sul cosiddetto “glocalismo”, saremmo in drammatico ritardo se non avessimo compreso che è solo da comunità e popoli liberi, che si autogovernano, che possiamo aspettarci il senso di rispetto e di misura che dobbiamo ritrovare, territorio per territorio, per porre fine allo sfruttamento e alla distruzione del pianeta. Questo scenario non è solo auspicabile. E’ l’unico possibile per un futuro a misura di persona umana, in una Europa dei popoli che lavori per la pace e la giustizia in tutto il pianeta.

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Contributo di cui si assume la responsabilità il gruppo di studio del Forum 2043, ringraziando Alessandro Citarella (presidente dei Meridionalisti - Federalisti Europei - https://www.meridionalisti.org/) per gli stimoli, i contenuti, gli scritti che ci ha trasmesso.

 

 

 

Omaggio a Francesco Catanzariti, socialista meridionalista autonomista inquieto

  • Autore: Francesco Catanzariti (Movimento Meridionale Calabria) - Roma, 30 ottobre 1986

Francesco Catanzariti, classe 1933, ci ha lasciato il 7 agosto 2024. E' stato un uomo politico socialista meridionalista autonomista, "inquieto" e quindi coraggioso e lungimirante. Come altri della sua generazione, ha fatto politica all'ombra delle tende dei partiti popolari della sinistra italiana del primo dopoguerra, ma sempre da posizioni indipendenti e infine avendo ben chiaro che le sinistre erano parte di una "partitocrazia" centralista.

Grazie a Radio Radicale è possibile ascoltare il suo interventoal XXXII congresso del Partito Radicale, registrato a Roma il 30 ottobre 1986. Catanzariti intervenne a nome del Movimento Meridionale della Calabria. In quell'intervento, che abbiamo qui trascritto per rendergli omaggio, c'è tutto ciò che è importante, per un autentico meridionalismo, per l'emancipazione delle Calabrie e del Sud, per una nuova stagione delle autonomie personali, sociali, territoriali, nella Repubblica e in Europa.

Al netto della necessità di contestualizzare un intervento che risale agli anni Ottanta del secolo scorso, nelle parole di Catanzariti troviamo concetti chiari, comprensibili, necessari e sufficienti anche per il XXI secolo: la consapevolezza di cosa è una "colonia" interna in uno stato come quello italiano, nel mercato comune europeo, nel mondo globalizzato; l'ancoraggio alle radici più profonde della promozione delle autonomie umane (che noi perseguiamo sempre alla luce dei valori della Carta di Chivasso); il realismo con cui si prende atto del "peso morto" di ceti burocratici ignoranti, incompetenti, parassitari, che prosperano grazie al centralismo e anzi contribuiscono a perpetuarne i disastri; la consapevolezza che senza una nuova generazione di leader locali, in un sistema politico più democratico, in cui i rappresentanti siano eletti dalle comunità locali, non ci sarà emancipazione e riscatto dalla miseria, dallo spopolamento, dall'assistenzialismo.

Fa impressione la lucidità di Catanzariti nel 1986, soprattutto pensando a quanti masanielli, guitti, populisti, impreparati e avventati ignoranti hanno poi impedito la formazione di movimenti politici meridionali veramente indipendenti dalle piramidi politiche nazionali. Il tempo però, sembrerà banale ripeterlo, è e sarà galantuomo e anche i territori del Sud, anche grazie al lavoro del Comitato Charta di Melfi, potranno presto esprimere una classe dirigente, invece che emigrante o peggio obbediente.

Pubblicato il 14 agosto 2024

Nota bene: nella trascrizione ci sono dei corsivi e delle inserzioni fra parentesi quadre che hanno il solo fine di rendere più piana la trascrizione dell'intervento - a cura del gruppo di studio del Forum 2043

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Compagni e amici Radicali, il nostro saluto fraterno, come Movimento Meridionale Calabria, nasce da ampie convergenze politiche e storiche, che ci hanno consentito di sostenere assieme una battaglia impegnativa ed importante come quella delle elezioni del 12 maggio 1985 (elezioni regionali della Calabria, ndr).

Abbiamo trovato in voi un importante punto di riferimento per il vostro carattere libertario, per la vostra sensibilità ai temi dell'autonomia, agli ideali di giustizia, per la vostra spietata critica di fronte al degrado politico economico e morale del paese, alla partitocrazia.

Ecco perché intervengo al vostro congresso con una intima sensazione di rispetto verso di voi, che avvertite così profondamente l'attuale crisi dello [strumento] partito politico, che vi ponete onestamente il problema se sia opportuno sopravvivere oppure sciogliervi, senza che altri per cecità e calcoli meschini, vengono turbati dai grossi rischi che la società italiana correrebbe con la privazione di un importante ruolo quale quello esercitato dal Partito Radicale.

Altrettanto rispetto non provo per l'arroganza delle burocrazie che hanno trasformato i partiti presenti sulla scena politica nazionale in organizzazioni prive di ideale e tese soltanto a perpetuarsi attraverso la corruzione, il favoritismo, il clientelismo. Ma a parte questo, noi del Movimento Meridionale siamo critici verso i partiti nazionali che con la loro struttura e comportamento di fatto deprivano di rappresentanza politica ed elettorale i cittadini del Meridione.

I soggetti sociali meridionali, come ci insegna la storia non solo recente, non hanno mai conosciuto una onesta, corretta ed autentica [rappresentanza] politica.

Ciò è provato da operazioni “sottili”, come lo spogliare [il Sud] dei risparmi accumulati da intere generazioni. Un’operazione di drenaggio portata avanti da ogni governo e sempre sostenuta dai partiti politici unitari. E’ un esempio fra gli altri, ma tanti altri se ne potrebbero fare sul piano della politica economica e perfino delle opere pubbliche, come le ferrovie costruite per scopi militari o per portare a termine l'operazione di repressione. Non solo contro il brigantaggio ma perfino contro i Fasci siciliani, la lotta per la terra, le rivolte popolari alla cui base, senza intaccarle, c'erano e ci sono condizioni di profondo malessere economico e sociale. Il “grande” Giolitti governò con il [suo] compromesso storico le ragioni padane e con i mazzieri, i prefetti, i carabinieri le regioni meridionali.

Nel dopoguerra tutti i partiti della “esarchia” (al tempo di questo discorso s’intendono i cinque partiti di governo del Pentapartito più il PCI, ndr) nella sostanza proseguirono nella gestione della cosa pubblica questo cinico disegno di amministrazione dualistica non certamente rispondente agli interessi globali del paese, innescando processi pericolosi di rottura, di razzismo, di mortificazione, di uso irrazionale delle risorse umane e materiali [di tutti i territori] del paese. Accantonando il “Piano del lavoro” di Giuseppe Di Vittorio e dei sindacalisti meridionalisti, la stessa ispirazione ideologica di Antonio Gramsci e perfino le intuizioni di don Luigi Sturzo, si concentrarono gli sforzi e i mezzi per le aree industriali economiche più competitive del Nord e si abbandonò il Sud al suo destino.

Al proletariato meridionale fu praticamente consegnata una valigia perché emigrasse, senza dar luogo a traumi nazionali e convulsioni politiche. Il dramma della Calabria, con le centinaia di migliaia di emigranti e di disoccupati, è vistosamente sotto gli occhi di tutti, al punto da configurare la regione come zona tipicamente di sottosviluppo, zona semi-coloniale, un Terzo mondo [interno].

Nella totale cecità dei partiti nazionali gli interventi statali, compresi il primo e il secondo “Piano verde” (le riformee i piani per lo sviluppo agricolodegli anni Sessanta, ndr), sono stati prosciugati dai gruppi finanziari ed agrari della Pianura Padana.

Perfino la politica agricola della Comunità europea ha peggiorato la situazione. E’ riuscita a modificare i rapporti di scambio tra produzioni mediterranee e produzioni continentali, con la sbalorditiva conseguenza negativa da una parte di assistere alla nascita dei miliardari e dall'altra, nel Sud, di ritrovare agricoltori e contadini con la casa e la terra impegnate per la “riconversione”: da vite ad agrumi, da agrumi a grano, da grano all'ulivo, e da ulivo a vite.

Solo uno esempio: nel 1960 il rapporto di scambio tra olio di oliva e latte era di 10 a 1; oggi è di 2,5 a 1; cioè in venticinque anni l'olio ha perduto tre quarti del suo valore di scambio.

Lo stesso fracasso che si fa attorno alla Cassa per il Mezzogiorno, “divoratrice” delle ricchezze nazionale secondo alcuni… [Ma] pochi sanno che i [suoi contributi] rappresentano soltanto un decimo [dell’importo] dei depositi bancari che si sono spostati annualmente dal Sud al Nord nel corso di trentacinque anni.

Per evidenziare le responsabilità che gravano sui partiti nazionali mi sono limitato a poche esempi, non ho voluto per ragioni di tempo - sto concludendo - soffermarmi su altri significativa aspetti come quelli dello stato sociale, e contestare le malevoli ed interessate deformazioni che su questo terreno si fanno spesso, o sulla politica assistenzialistica, non voluta ma subita dal popolo meridionale come da tutto il paese nell'interesse della politica clientelare e del “mercato”, quello voluto dai “padroni del vapore”.

Né voglio parlare dell'altro drammatico aspetto, sul quale ho notato tanta sensibilità ed è un fatto che vi onora e che rende orgoglioso il Partito Radicale, che riguarda il problema della giustizia, della violazione dei diritti civili più elementari, dell'uso strumentale e disonesto che si fa del fattore criminalità, della delinquenza organizzata.

Spesso alibi e pretesto per acquietare la cattiva coscienza d'una classe dominante e dirigente incapace di proteggere il cittadino dal delitto e di rimuovere le cause culturali ed economiche, attaccando alla radice il malessere. Anzi volutamente si scambiano effetti con cause, nell'assoluzione di precise responsabilità politiche dei potentati. Si usano fenomeni perversi, le cui conseguenze disastrose sono pagate e patite dalla popolazione meridionale, per sparare nel mucchio, in violazione della Costituzione, per criminalizzare ed etichettare con cinismo un popolo.

Si sappia che in Calabria ci sono migliaia e migliaia e migliaia di diffidati, di ritiro di patenti a volte per aver partecipato ad un funerale - perché non c'è neanche il diritto di partecipare ai funerali - oppure per un precedente banale, irrisorio, o addirittura per essere “nullafacenti” - come mi è capitato di leggere - cioè disoccupati.

O come voi Radicali avete denunziato, si sappia che in Calabria si può entrare vivo e robusto in una caserma per uscire in una bara, come è capitato ad un giovane nel mio paese natìo (Platì, ndr), o come fu il caso di una donna, per lo spavento di un blitz inconcludente ed inutile, si può trovare anche la morte.

Ecco perché noi del Movimento Meridionale Calabria parliamo [della nostra terra come] di una “colonia”.

Per avviarmi alla conclusione, voglio riprendere quanto i giornali hanno riportato in merito agli interventi del professore Leopoldo Elia, ex presidente della Corte costituzionale, e di Maurice Duverger al convegno di Perugia sulla crisi dei partiti. Mi ha colpito una espressione di Duverger sui politici come “avversari collaboratori”. Il politologo non penso abbia mai studiato la funzione del ruolo dei partiti nel Meridione. Se ha letto Gaetano Mosca, non penso abbia letto certamente Gaetano Salvemini e Guido Dorso. In Italia da sempre tutti i partiti si sono presentati e si presentano come “avversari collaboratori” attorno agli interessi corporativi del Settentrione e come “nemici nemici” nel Meridione.

Il Movimento Meridionale non ha oggi i problemi che attanagliano il Partito Radicale (sciogliersi o continuare, ricordiamo, era il tema del congresso radicale del 1986, ndr).

Il Meridione nell'attuale fase storica manca di rappresentanza politica adeguata, specie in Calabria, dal punto di vista degli estremi produttivi della società, i capitalisti e i proletari.

Nel Meridione riceve rappresentanza politica, anzi si è impadronito e gestisce i partiti, un ceto medio che non è produttivo, in quanto non è legato alla produzione reale, ma solo all’attività burocratica e per giunta di qualità scadente.  Abbiamo così un dominio, dall'estrema destra all'estrema sinistra, dell'intellettuale disorganico o tradizionale che dir si voglia (arretrato e impreparato, si potrebbe dire, gramscianamente, ndr). [Figura che] blocca, congela, ossifica le possibilità e le spinte in direzione del cambiamento.

Cari amici Radicali, noi abbiamo bisogno di un movimento politico e abbiamo bisogno di farlo crescere.

Siamo mossi da grandi utopie, come per esempio l'Europa della Regioni, nel quadro di una nuova carta proletaria che ripattuisca la solidarietà fra tutti i popoli della Terra.

Abbiamo bisogna altresì di grande concretezza, al fine di realizzare un'alleanza tra produttori meridionali che rigenerando l'economia tragga il il Meridione fuori dallo stato di disfacimento [materiale e] morale in cui versa ormai da molti anni. Abbiamo bisogno di un movimento politico perché i buoni e gli onesti debbono trovare un luogo di incontro, perché escano dall'ombra e si schierino in primo luogo contro il sistema partitocratico, che voi avete contribuito validamente a mettere a nudo.

In questo contesto, nel rispetto delle specificità di ognuno e nel coordinamento dell'azione, siamo convinti che un grande ruolo può essere assolto dal Partito Radicale. Per questo, cari compagni ed amici, guardiamo al vostro congresso con attenzione e con apprensione.

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Intervento di Francesco Catanzariti, Movimento Meridionale Calabria, al XXXII congresso del Partito Radicale, Roma 30 ottobre 1986

Fonti e approfondimenti:

https://www.radioradicale.it/scheda/20099?i=2732252

https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Catanzariti

https://www.giornalistitalia.it/addio-ciccio-catanzariti-socialista-inquieto/

 

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Un sentito omaggio del Forum 2043 al socialista calabrese "Ciccio" Francesco Catanzariti

Il gruppo di studio che porta avanti il Forum 2043 è onorato di ospitare, a pochi giorni dalla sua scomparsa, un ricordo di Francesco Catanzariti ("Ciccio" per i suoi amici e compagni), figlio delle Calabrie, impegnato per l'Europa delle regioni e per l'emancipazione di tutti i popoli del mondo. E' stato un socialista meridionalista e autonomista di grande coraggio e lungimiranza.

Ci ha scritto il figlio, l'avvocato Gianpaolo Catanzariti (impegnato come avvocato e come intellettuale nelle lotte per i diritti civili e la giustizia giusta, nel Partito Radicale): "Mio padre, in passato, si è speso molto, pur nella sua radice profonda dell'umanesimo socialista, per le autonomie e per la lotta ad ogni forma di colonialismo, interno e non. Ricordo le esperienze con il Movimento Meridionale Calabria e le sinergie con diversi movimenti autonomisti (dalla Val d'Aosta agli occitani, dai sardi agli sloveni, ad esempio), che sin da allora, con grande lungimiranza, miravano ad arginare il fenomeno degli egoismi e dei particolarismi e che, attraverso il rispetto dei territori, avrebbe consentito una vera unità politica, sociale ed economica per il nostro Paese e soprattutto per l'Europa.".

Il Forum 2043 ha pubblicato, grazie all'impressionante archivio di Radio Radicale,  una trascrizione accurata e commentata di un intervento che Francesco Catanzariti fece nel 1986 al XXXII congresso del Partito Radicale, a nome del Movimento Meridionale Calabria. Un discorso breve in cui però c'erano già tutti gli strumenti necessari per un moderno territorialismo italiano ed europeo, sempre connesso con l'anticolonialismo e l'aspirazione alla pace e alla giustizia internazionale, in profonda consonanza con i valori della Carta di Chivasso e della Charta di Melfi.

Collegamento all'intervento sul Forum 2043

Reggio Calabra, 16 agosto 2024, San Rocco - a cura del gruppo di studio Forum 2043

 

VI Congresso MeriDem (Meridionalisti Democratici)

 

Udine, 23 novembre 2021

Cari amici Meridionalisti Democratici,

avremmo partecipato molto volentieri al vostro VI Congresso, che si riunisce ad Aversa il 28 novembre 2021. Ci è impossibile per impegni precedentemente presi, ma non potevamo rinunciare a trasmettervi i migliori auguri di buon lavoro.

Il vostro impegno e il dialogo che avete instaurato con la rete Autonomie e Ambiente sono preziosi. Insieme possiamo migliorare la capacità di collaborazione tra le formazioni politiche sinceramente convinte della necessità di lottare per l’autogoverno dei territori e di combattere il centralismo italiano, che subdolamente, ma oggi sempre più dichiaratamente, in ultimo con il prolungamento dello stato di emergenza, tenta di eliminare le nostre residue autonomie.

Oltre che contro il centralismo, dobbiamo impegnarci insieme contro i falsi difensori dei diritti territoriali, che costantemente tentano di boicottare l’autogoverno dei territori. Imprenditori della divisione (Nord vs Sud, o viceversa), si presentano come avvocati dei territori e poi inevitabilmente finiscono per fondare nuovi partiti centralisti, o per allearsi con essi. Le loro azioni, e ancor più i loro risultati, rendono ormai evidente la loro malafede.

La rete Autonomie e Ambiente è un coordinamento fra le diversità. Non c’è in noi alcuna volontà di semplificare le diversità territoriali. Anzi, al contrario, vogliamo fare rete con decine di realtà civiche, ambientaliste, localiste.

Il migliore augurio che vi possiamo fare è quello di riuscire crescere, non solo come movimento, ma anche movimento capace di allearsi con altri attorno al minimo comun denominatore di progetti politico-istituzionali percorribili e raggiungibili, nel rispetto delle diversità regionali e infraregionali.

Fra i nostri aderenti, per prossimità geografica, si unisce in modo particolare a questo saluto la forza sorella del Movimento Siciliani Liberi. Ci preme tuttavia farvi sentire la vicinanza di tutte le forze di Autonomie e Ambiente o in dialogo, come voi, con la nostra rete.

A presto!

Roberto Visentin

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