Hommage à Denis de Rougemont -prophète du liberté, confédéralisme, écologie, paix
(Omaggio a Denis de Rougemont - profeta di libertà, confederalismo, ecologia, pace)
Introduzione
La Francia, pur essendo la patria di Tocqueville e di Proudhon, non è certo stata un terreno fertile per il confederalismo e le autonomie. Eppure anche nell’ “esagono”, anche e forse soprattutto per via del magnetico cosmopolitismo di Parigi, fra le due tragiche guerre mondiali si crea un vivace milieu in cui si discutono principi forti e idee radicali per abolire il "désordre établi" dal militarismo, dall’industrialismo, dalle crisi del capitalismo, dal colonialismo e dall’autoritarismo. Si getta il cuore oltre il terribile presente, per immaginare un futuro in cui sia restituito il giusto riconoscimento alla persona umana libera, nel rispetto delle diversità, contro le dittature di destra e di sinistra, contro "l'Etat-monstre", contro il materialismo. Questi imperativi spirituali spingono verso riflessioni politiche anticentraliste e post-stataliste, per una vita sia sociale che politica organizzata secondo principi di sussidiarietà in comunità non gerarchizzate ma confederate.
Una serie di figure significative partecipa a questa tensione personalista, comunitaria, confederalista, ma anche libertaria, antimilitarista, antitotalitaria: Alexandre Marc, profugo fuggito da Odessa, il cui nome alla nascita era Alexandre Lipiansky; Arnaud Dandieu e Robert Aron, di cultura laica, radicale e proudoniana; Daniel-Rops e Paul Flamand, cattolici; Jean Jardin, maurassiano; Pierre Prévost, operaio anarchico; Claude Chevalley, uno degli scienziati matematici del gruppo Bourbaki; Julien Benda, ebreo assimilato e cosmopolita (che resterà però a lungo illuso dalle suggestioni del comunismo reale); Henri Brugmans, federalista olandese; Emmanuel Mounier e Jacques Maritain, figure di riferimento del personalismo comunitario; Albert Camus, il ribelle antitotalitario, che non imparò il federalismo dai libri, ma dai suoi incontri con Robert-Édouard Charlier, Ignazio Silone, Nicola Chiaromonte.
Queste persone promuovono cenacoli ed iniziative culturali, spesso effimere. In una di esse, l'Ordre Nouveau, convivono il vulcanico neocattolico Alexandre Marc, l’ebreo Robert Aron, il protestante svizzero Denis de Rougemont. La loro collaborazione produce un pensiero che resiste alla crisi politica europea attraverso soluzioni distinte sia dall’ideologia liberale classica sia dall’ideologia comunista. Ordre nouveau annovera tra i suoi membri quelli che saranno i fondatori del movimento federalista per una Europa e per un mondo uniti, contro la minaccia di una terza guerra mondiale, l’antigenesi atomica che porrebbe fine all’umanità.
Denis de Rougemont
Denis de Rougemont (1906 – 1985), anche in quanto filosofo e saggista di lingua francese ma proveniente da un paese concretamente confederale come la Svizzera, dalla cui vicinanza sono influenzati gli autori della Carta di Chivasso, è forse quello che più costantemente, nel secondo dopoguerra, si spenderà per un federalismo integrale come unica alternativa per salvare le autonomie personali e comunitarie nella modernità. Denis de Rougemont, nella Politique de la Personne, definisce i federalisti personalisti “anticapitalisti dichiarati, ma senza adottare la collettivizzazione astratta voluta dai soviet; antinazionalisti e tuttavia patrioti; federalisti sul piano politico europeo e personalisti sul piano morale”. Federalismo e personalismo ritengono che le regole del gioco politico classico siano truccate dal “fatalismo” della destra e dal “volontarismo” della sinistra, entrambe compromesse in stati e politiche invecchiate e arretrate rispetto ai bisogni delle persone e delle comunità.
Per maggiori dettagli sulla straordinaria avventura di vita, le opere, gli impegni personali, professionali, civili e politici di Denis de Rougemont, si rinvia ai collegamenti di approfondimento. Qui ci limitiamo a ricordare qualche spunto che ne rivela la capacità di essere un anticipatore di tematiche decentraliste e ambientaliste più attuali che mai.
L’odierna società è dominata da un “Pensiero Unico”, le cui radici affondano nell’applicazione di una ideologia neoliberista che, applicata all’intero pianeta e a ogni bene umano, finisce per essere mostruosa. Ha provocato la mercificazione e l’asservimento dell’essere umano, nonché l’oblio della dignità della “persona” e delle comunità in cui essa si esprime. La persona, invece, non è solo un “individuo” (dal latino individuus, calco del greco ἄτομος cioè atomo). La persona esiste piuttosto nelle sue relazioni e su un territorio in cui, assieme agli altri, si assume responsabilità.
Contro il “désordre” portato dalla mercificazione di tutto, si staglia la figura del federalista integrale dello svizzero Denis De Rougemont, fautore di una confederazione solidale di popoli, regioni, territori. Ben diversa e anzi da sempre opposta al progetto di “Unione Europea degli stati” sostenuto dalle elite tecno-finanziarie globali. Un regime, quello dei vecchi stati europei e della loro tecnocratica unione, che è sempre troppo alto e lontano per riuscire a prendersi cura del “benessere” e delle aspettative dei suoi cittadini (più che altro le attuali strutture politiche dei centralismi nazionali e del neocentralismo europeo sembrano vedere solo uno sterile e miope “ben-avere”).
Leggere, approfondire, studiare Denis De Rougemont ancora oggi è importantissimo, per riscoprire una interiorità oltre che le potenzialità presenti in ciascuno di noi e nelle nostre comunità, che ci permetteranno di riappropriarci della nostra vita e di influire positivamente sull’avvenire delle generazioni future.
Come scriveva Albert Camus, il nostro compito è essere responsabili e vivere sino in fondo la propria “assurda vita” ed evitare di soccombere a questa tetra sedicente “società civile”, nella quale gli esseri umani non sono altro che atomi distanti tra loro.
Denis De Rougemont, filosofo, sociologo, scrittore, in tutta la sua vita sino alla morte si adoperò per la riscoperta della “persona”, opponendosi ai “Terribles Semplificateurs” che elevano a scopo ultimo il sistema politico degli stati e delle tecnocrazie internazionali, riducendo la creatura umana a mezzo.
Riportiamo l’importante e toccante dialogo tra Denis De Rougemont e Alexandre Marc, avvenuto tre giorni prima della morte di Denis:
Denis De Rougemont: “Non abbiamo ancora fatto grandi cose. Mi ascolti, Alexandre? Non abbiamo ancora fatto nulla. Bisogna ricominciare tutto… e poi andare molto più lontano… cercare l’efficacia, che ci è mancata fino qui. Stai ascoltando?…”
E Alexandre Marc risponde: “Benché troppo anziano ora per ricominciare tutto, e cosciente del declino inesorabile della mia energia e della mia efficacia, ti prometto, Denis, che farò del mio meglio per, almeno, sforzarmi di andare un po’ più lontano. Un piccolo passo modesto. Un passo esitante. Un passo da vecchio uomo. Ma abbozzato, tentato, intrapreso, nella buona direzione. Quella da cui ci siamo lasciati volentieri trasportare. E che ci ha spinto ad avviare il passo. Sì, ci ha illuminato, ispirato, e parzialmente guidato. Quella, per dirla tutta, che noi abbiamo voluto. …Verso una luce che non si spegne mai!”.
Alcuni estratti dalla lettera agli Europei
Riportiamo, senza pretese filologiche o antologiche, alcuni brevi estratti della pubblicazione “LETTERA APERTA AGLI EUROPEI” (1970), tradotti in italiano, riguardanti la “visione” di una nuova Europa dei popoli e delle regioni, sostenuta dal paradosso della “persona” eroicamente solitaria ma testardamente solidale.
Europei, Europei!
Abbiamo molto da fare insieme, e senza indugio.
Mi hanno detto che non esisti Europa!
Mi dicono che in Europa ci sono solo francesi, inglesi, tedeschi, svizzeri, albanesi, ecc., e che gli "europei" sono solo una fantasia.
In quanto tale, non esistono “svizzeri”, ma solo cittadini di ventidue stati sovrani chiamati “cantoni”.
Non ci sono francesi, ma bretoni, baschi, occitani, alsaziani, nizzardi, valdostani, piemontesi, borbonesi, toscani, bernesi, savoiardi, lorenesi, corsi e molti altri.
La Francia, la Svizzera e le altre nazioni non sono affatto fantasie, ma realtà ben segnate sulle carte geografiche e delimitate da cordoni doganali.
Tuttavia, sono più transitorie di Bretagna, Castiglia, Scozia o Berna, che certamente sopravviveranno loro.
Il problema si riduce a questo:
– o siete francesi prima e per sempre, o cecoslovacchi, o svizzeri, e credete di dover rifiutare l'unione dell'Europa per questo: ma un giorno scoprirete – o i vostri figli – che non siete più veramente francesi, cecoslovacchi, o svizzeri, che siete solo per titolo onorifico, per cortesia o per semplice routine amministrativa sopravvivendo alle condizioni di fatto, guarda caso, perché sarete invece “americani” o “sovietici” per obbligata fedeltà, economica, sociale o ideologica;
– oppure scegli l'Unione dell'Europa, e trovi l'unica forza capace di salvaguardare il tuo essere nazionale e regionale, i tuoi modi di essere diverso, il tuo diritto a rimanere te stesso.
In altre parole: se non esistete come europei, non esisterete più, o non esisterete a lungo, come francesi, cecoslovacchi o svizzeri.
Sarete colonizzati uno dopo l'altro, e impercettibilmente distorti dal dollaro o dai vostri partiti comunisti, come lo siete stati, non molto tempo fa, dal nazionalsocialismo.
Non esisterai più, per non aver riconosciuto che spetta a te esistere - visto che, in fondo, ci siete già, ci siete tutti da secoli, e si tratta solo di riconoscerlo! Coloro dunque che dicono che non esisti avranno ragione finché manterranno le divisioni. Perché esisterete solo Uniti!.
Si può fare l'Europa?
E come?
L'unione dell'Europa si può fondare sull'unità culturale che forma e che l'ha formata per due o tre millenni.
Vedo che questa unità è paragonabile a quella di un corpo organizzato: è fatta di diversità e tensioni, non è affatto omogenea/omologata.
Vedo che la traduzione di questi dati fondamentali in termini politici di istituzioni non può che essere il “Federalismo”, un metodo di “Unione delle diversità”, radicalmente contrario al metodo di unità attraverso l'uniformità che fu quello di Luigi XIV, dei giacobini, di Napoleone e dei nostri stati totalitari di tutti i colori.
Vedo che la formula sacra, seppur moderna, dello Stato-nazione che pretende di essere assolutamente sovrana (i suoi capi hanno il diritto di far massacrare milioni di uomini e donne in guerre che sono sempre "giuste" per definizione, delle due parti), vedo che questo Stato-Nazione, che conserva nella mente di tutti i nostri uomini di governo l'invincibile realtà di un riflesso condizionato dalla Scuola, dalla Stampa e dall'Esercito, costituisce il dogma centrale di una religione che è radicalmente e per sempre incompatibile con ogni soluzione federalista, cioè con ogni cura al male mortale che essa procura.
È lo stato-nazione che ha creato i tragici problemi dell'Europa – ed è lo stato-nazione che vieta di risolverli.
Fare Europa presuppone quindi il disfacimento dello Stato-nazione a vantaggio delle REGIONI da un lato, e della loro FEDERAZIONE dall'altro, queste due realtà complementari che hanno come fine non il potere collettivo, ma la massima libertà degli individui.
Il pericolo bianco
Di fronte al prevedibile declino o metamorfosi del pericolo rosso, camuffato dai russi da pacifica convivenza - un nome che avrebbe fatto rabbrividire Lenin! — si parla ancora di un pericolo giallo, in attesa del pericolo nero. Ci credo poco. La nostra eclissi non è niente che la nostra cecità nei confronti dei nostri poteri e della nostra vocazione. Agli occhi del mondo esiste un solo grave pericolo: “IL PERICOLO BIANCO”.
La civiltà europea, divenuta globale, è infatti minacciata solo dalle malattie che essa stessa ha prodotto e propagato.
È nelle sue fonti, è al centro della sua vitalità creatrice, è in Europa, che questo pericolo va scongiurato.
Perché ciò che ci minaccia dall'esterno è anche ciò che ci insidia all'interno.
Ciò che i popoli d'oltremare ci oppongono è ciò che noi stessi opponiamo alla nostra vocazione universalista: nominerò il nazionalismo e la superstizione materialista.
Potere o libertà
Queste ricette di saggezza rimarranno nulle fintanto che la “buona volontà europea” mescolerà dichiarazioni inneggianti all'unità con professioni di fede nazionaliste.
Tra l'unione dell'Europa e gli stati-nazione sacri, tra uno dei bisogni umani più concreti e il culto prolungato di un mito, bisogna scegliere.
Per la prima volta nella storia, l'uomo si vede oggi nella condizione di scegliere liberamente il proprio futuro.
Fino ad ora non ci sono state scelte economiche o anche politiche a lungo deliberate, concertate a lungo termine: bisognava lottare per sopravvivere.
Oggi che il necessario è assicurato, lottiamo per il controllo di zone di influenza più ideologiche che commerciali e lavoriamo per il profitto, che in fondo è superfluo.
Ma quando questa scelta del nostro futuro è libera, siamo costretti a farlo, a nostro rischio e pericolo!
Qui siamo costretti a chiederci cosa ci aspettiamo dalla nostra vita e dalla vita in società, cosa vogliamo veramente, principalmente, e costretti a fare progetti di conseguenza.
Vogliamo, ad esempio, elevare a tutti i costi il nostro “tenore di vita” quantitativamente – o vogliamo piuttosto salvaguardare un certo “modo di vivere”, qualitativamente?
Vogliamo contribuire a tutti i costi all'aumento indefinito del PNL (prodotto nazionale lordo) - o piuttosto ricreare un habitat dignitoso, una comunità viva?
E quale prezzo siamo disposti a pagare per questo?
Il prezzo di certe libertà o il prezzo di un nuovo aumento del comfort?
Questi dilemmi si pongono oggi a tutti i popoli avanzati rispetto all'industria e alla tecnologia.
E li costringono a porre domande difficili, persino strazianti, sul senso stesso della vita...
Più specificamente, in Europa, dobbiamo decidere se la nostra unione mirerà al “potere collettivo”o “alla libertà individuale”.
Una regola d'oro del federalismo
Parlando della progressiva costituzione di strutture federali in Europa, Louis Armand (già partigiano francese, brillante ingegnere ferroviario e primo presidente dell’Euratom, ndr) ha recentemente formulato una regola d'oro che trova qui la sua maggiore applicazione:
Sviluppiamo insieme ciò che è nuovo. Lasciamo da parte i retaggi del passato la cui unificazione richiederebbe troppo tempo, richiederebbe troppe energie e solleverebbe troppe opposizioni.
Avevo appena scritto dalla mia parte:
L'unione, per due Stati-nazione, non è mai altro che un ripiego, anche un espediente disperato (come ad esempio l'unione di Gran Bretagna e Francia proposta da Churchill nel giugno 1940), in altre parole: non è mai altro che una dolorosa concessione alla necessità, quando ci si sente troppo deboli o per sussistere da soli, o per dominare e assorbire il prossimo.
Se vogliamo unire l'Europa, dobbiamo partire da qualcosa di diverso dai suoi fattori di divisione, dobbiamo costruire su qualcosa di diverso dagli ostacoli all'unione; operare su un altro piano rispetto a quello, appunto, dove il problema si rivela insolubile.
Dobbiamo basarci su ciò che è destinato a diventare “domani” la vera realtà della nostra società, e con questo designerò un'unità di tipo nuovo, più grande e complessa della città antica, ma più densa, meglio strutturata e capace di offrire un ambiente di partecipazione civica migliore della nazione, come ci ha lasciato in eredità il secolo scorso: LA REGIONE.
Solitario e solidale
Posto così il nostro modello di pensiero federalista a chiave della storia europea, resta da individuare i principali ambiti della realtà moderna, dove ritroviamo le strutture tipiche di un problema federalista.
Alla base della nostra analisi poniamo una concezione dell'uomo analoga al modello bipolare posto dal Concilio di Calcedonia. La persona umana, concetto desunto dai dogmi relativi alle tre Persone divine, e specialmente alla seconda, ci servirà da modulo. La persona umana è l'uomo considerato nella sua duplice realtà di individuo distinto e di cittadino impegnato nella società. Dotato di libertà ma di responsabilità, entrambi solitari e solidali (secondo la parola di Victor Hugo ripresa da Camus), distinto dal gregge da una vocazione il cui esercizio lo collega alla comunità, quest'uomo si costituisce nella dialettica degli opposti, e questo carattere sarà trasmesso a tutti i gruppi che formerà con altri uomini, suoi simili.
Questi gruppi devono essere a loro volta autonomi e uniti: anche per loro l'uno non andrà senza l'altro, molto meglio: l'uno - la solidarietà - sarà la garanzia dell'altro - l'autonomia.
Note finali
Per chi volesse approfondire l’opera e la figura di Denis De Rougemont:
- per iniziare https://it.wikipedia.org/wiki/Denis_de_Rougemont
- il sito a lui dedicato dall’Università di Ginevra https://www.unige.ch/rougemont/
- il testo della lettera agli Europei https://www.unige.ch/rougemont/livres/ddr1970loe
Un ultimo paio di citazioni memorabili di Denis de Rougemont, tratte da «La Suisse, ou l’histoire d’un peuple heureux» (1970):
[Citant Victor Hugo en conclusion:]
’’Dans l’histoire des peuples,
la Suisse aura le dernier mot,
encore faut-il qu’elle le dise’’
« Certes le fédéralisme est le contraire d’un système.
Ce n’est pas une structure abstraite et géométrique,
ce n’est pas un poncif à transporter.
Mais il ne va pas sans principes,
et ceux-ci m’apparaissent susceptibles d’être appliqués
à l’échelle de l’Europe, mutatis mutandis bien entendu:
c’est précisément la méthode du fédéralisme authentique. »
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A cura di LorenzoLuparia
(Nouvelle Tendance Vallée d'Aoste pour le fédéralisme intégral)
Aosta, 3 maggio 2023
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