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PACE

2024 - 05 - EFA and AeA from Milan: Free Them All!

In Milan, during EFA (European Free Alliance) and AeA (Autonomie e Ambiente) political event and press conference, last 16 May 2024, we have done what we always do, on which we insist and always repeat (evangelically, "opportune et importune"): #freethemall; free the hostages in Gaza, and free all the civilians from fear in every war, especially the most fragile ones; free all the political prisoners; pardon all those who have ended up persecuted in political trials. #Europe must mean freedom, justice, amnesty, #ForAll.

This appeal is urgent and is addressed first of all to "our" (self-styled) democratic states (USA, UE, UK, Turkey, Israel, and beyond), even before distant autocratic powers.

Free Leonard Peltier, free Julian Assange, free Osman Kavala, free Selattin Demirtaş.

Freedom #ForAll.

https://x.com/rete_aea/status/1791769906016391342

Milan, 16 May 2024 - by the interterritorial secretariat

 

 

Buona Pasqua 2025

Quella tomba vuota è sorgente di speranza per tutti

Buona Pasqua 2025

 

Nell'immagine un dettaglio de "La tomba vuota", Beato Angelico (Vicchio, 1395 circa – Roma, 1455)
Convento di San Marco, Firenze - fonte: https://www.cultura.gov.it

Cessate il fuoco

La sempre più larga alleanza del nostro patto per le autonomie e per l'ambiente ha una posizione comune sulla terribile guerra russo-ucraina e più in generale sulle molte e drammatiche esplosioni di violenza che distruggono vite umane e beni comuni, mettendo in pericolo la vita sulla Terra.

E' una posizione che tiene conto del nostro pluralismo e delle nostre differenze culturali e politiche:

1. Pur con molta sofferenza, abbiamo sostenuto il governo ucraino e il dispiegamento di mezzi perché esso potesse difendersi e non essere rovesciato.

2. Non accettiamo nessun mutamento di confini o cambiamenti territoriali avvenuti con la forza (siano conquiste o riconquiste). Non accettiamo che sia pregiudicato in alcun modo il futuro dei territori contesi, il cui status definitivo dovrà essere deciso da lunghi, faticosi, pazienti processi di autodeterminazione dei popoli.

3. Noi siamo schierati con chi lavora per il cessate-il-fuoco, nell'interesse dell'umanità e del pianeta, non solo delle parti belligeranti e dei popoli coinvolti. E' urgente fermare le uccisioni e le distruzioni, pur sapendo che le trattative saranno difficili e lunghissime. Appoggiamo quindi, senza riserve, la missione che papa Francesco ha affidato al cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna.

Roma, 28 giugno 2023

Dichiarazione della presidenza collegiale

 

 

E' morto papa Francesco

Il cardinale Kevin Joseph Farrell ha annunciato la scomparsa di papa Francesco.

Il vescovo di Roma è morto oggi, 21 aprile 2025, giorno del Natale della città e Lunedì dell'Angelo, alle 7.35.

Qui il messaggio di cordoglio di Autonomie e Ambiente:

https://x.com/rete_aea/status/1914230899786268820

Fino all'ultimo papa Francesco si è speso per il cessate-il-fuoco, tregua e ripresa del dialogo per la pace in ciascuno degli angoli del mondo devastati dalla guerra.

Il cardinale Farrell, in quanto Camerlengo di Santa Romana Chiesa, assume le redini dell'istituzione durante la Sede Vacante.

I media dello Stato della Città del Vaticino stanno pubblicando i comunicati ufficiali e i necessari approfondimenti:

https://www.vaticannews.va/en/pope/news/2025-04/pope-francis-dies-on-easter-monday-aged-88.html

* * *  

Roma, 21 aprile 2025 - A cura della segreteria interterritoriale

Hommage à Denis de Rougemont

  • Autore: A cura di Lorenzo Luparia (Nouvelle Tendance Vallée d'Aoste pour le fédéralisme intégral) - Aosta, 3 maggio 2023

 

Hommage à Denis de Rougemont -prophète du liberté, confédéralisme, écologie, paix

(Omaggio a Denis de Rougemont - profeta di libertà, confederalismo, ecologia, pace)

Introduzione

La Francia, pur essendo la patria di Tocqueville e di Proudhon, non è certo stata un terreno fertile per il confederalismo e le autonomie. Eppure anche nell’ “esagono”, anche e forse soprattutto per via del magnetico cosmopolitismo di Parigi, fra le due tragiche guerre mondiali si crea un vivace milieu in cui si discutono principi forti e idee radicali per abolire il "désordre établi" dal militarismo, dall’industrialismo, dalle crisi del capitalismo, dal colonialismo e dall’autoritarismo. Si getta il cuore oltre il terribile presente, per immaginare un futuro in cui sia restituito il giusto riconoscimento alla persona umana libera, nel rispetto delle diversità, contro le dittature di destra e di sinistra, contro "l'Etat-monstre", contro il materialismo. Questi imperativi spirituali spingono verso riflessioni politiche anticentraliste e post-stataliste, per una vita sia sociale che politica organizzata secondo principi di sussidiarietà in comunità non gerarchizzate ma confederate.

Una serie di figure significative partecipa a questa tensione personalista, comunitaria, confederalista, ma anche libertaria, antimilitarista, antitotalitaria: Alexandre Marc, profugo fuggito da Odessa, il cui nome alla nascita era Alexandre Lipiansky; Arnaud Dandieu e Robert Aron, di cultura laica, radicale e proudoniana; Daniel-Rops e Paul Flamand, cattolici; Jean Jardin, maurassiano; Pierre Prévost, operaio anarchico; Claude Chevalley, uno degli scienziati matematici del gruppo Bourbaki; Julien Benda, ebreo assimilato e cosmopolita (che resterà però a lungo illuso dalle suggestioni del comunismo reale); Henri Brugmans, federalista olandese; Emmanuel Mounier e Jacques Maritain, figure di riferimento del personalismo comunitario; Albert Camus, il ribelle antitotalitario, che non imparò il federalismo dai libri, ma dai suoi incontri con Robert-Édouard Charlier, Ignazio Silone, Nicola Chiaromonte.

Queste persone promuovono cenacoli ed iniziative culturali, spesso effimere. In una di esse, l'Ordre Nouveau, convivono il vulcanico neocattolico Alexandre Marc, l’ebreo Robert Aron, il protestante svizzero Denis de Rougemont. La loro collaborazione produce un pensiero che resiste alla crisi politica europea attraverso soluzioni distinte sia dall’ideologia liberale classica sia dall’ideologia comunista. Ordre nouveau annovera tra i suoi membri quelli che saranno i fondatori del movimento federalista per una Europa e per un mondo uniti, contro la minaccia di una terza guerra mondiale, l’antigenesi atomica che porrebbe fine all’umanità.

Denis de Rougemont

Denis de Rougemont (1906 – 1985), anche in quanto filosofo e saggista di lingua francese ma proveniente da un paese concretamente confederale come la Svizzera, dalla cui vicinanza sono influenzati gli autori della Carta di Chivasso, è forse quello che più costantemente, nel secondo dopoguerra, si spenderà per un federalismo integrale come unica alternativa per salvare le autonomie personali e comunitarie nella modernità. Denis de Rougemont, nella Politique de la Personne, definisce i federalisti personalisti “anticapitalisti dichiarati, ma senza adottare la collettivizzazione astratta voluta dai soviet; antinazionalisti e tuttavia patrioti; federalisti sul piano politico europeo e personalisti sul piano morale”. Federalismo e personalismo ritengono che le regole del gioco politico classico siano truccate dal “fatalismo” della destra e dal “volontarismo” della sinistra, entrambe compromesse in stati e politiche invecchiate e arretrate rispetto ai bisogni delle persone e delle comunità.

Per maggiori dettagli sulla straordinaria avventura di vita, le opere, gli impegni personali, professionali, civili e politici di Denis de Rougemont, si rinvia ai collegamenti di approfondimento. Qui ci limitiamo a ricordare qualche spunto che ne rivela la capacità di essere un anticipatore di tematiche decentraliste e ambientaliste più attuali che mai.

L’odierna società è dominata da un “Pensiero Unico”, le cui radici affondano nell’applicazione di una ideologia neoliberista che, applicata all’intero pianeta e a ogni bene umano, finisce per essere mostruosa. Ha provocato la mercificazione e l’asservimento dell’essere umano, nonché l’oblio della dignità della “persona” e delle comunità in cui essa si esprime. La persona, invece, non è solo un “individuo” (dal latino individuus, calco del greco ἄτομος cioè atomo). La persona esiste piuttosto nelle sue relazioni e su un territorio in cui, assieme agli altri, si assume responsabilità.

Contro il “désordre” portato dalla mercificazione di tutto, si staglia la figura del federalista integrale dello svizzero Denis De Rougemont, fautore di una confederazione solidale di popoli, regioni, territori. Ben diversa e anzi da sempre opposta al progetto di “Unione Europea degli stati” sostenuto dalle elite tecno-finanziarie globali. Un regime, quello dei vecchi stati europei e della loro tecnocratica unione, che è sempre troppo alto e lontano per riuscire a prendersi cura del “benessere” e delle aspettative dei suoi cittadini (più che altro le attuali strutture politiche dei centralismi nazionali e del neocentralismo europeo sembrano vedere solo uno sterile e miope “ben-avere”).

Leggere, approfondire, studiare Denis De Rougemont ancora oggi è importantissimo, per riscoprire una interiorità oltre che le potenzialità presenti in ciascuno di noi e nelle nostre comunità, che ci permetteranno di riappropriarci della nostra vita e di influire positivamente sull’avvenire delle generazioni future.

Come scriveva Albert Camus, il nostro compito è essere responsabili e vivere sino in fondo la propria “assurda vita” ed evitare di soccombere a questa tetra sedicente “società civile”, nella quale gli esseri umani non sono altro che atomi distanti tra loro.

Denis De Rougemont, filosofo, sociologo, scrittore, in tutta la sua vita sino alla morte si adoperò per la riscoperta della “persona”, opponendosi ai “Terribles Semplificateurs” che elevano a scopo ultimo il sistema politico degli stati e delle tecnocrazie internazionali, riducendo la creatura umana a mezzo.

Riportiamo l’importante e toccante dialogo tra Denis De Rougemont e Alexandre Marc, avvenuto tre giorni prima della morte di Denis:

Denis De Rougemont: “Non abbiamo ancora fatto grandi cose. Mi ascolti, Alexandre? Non abbiamo ancora fatto nulla. Bisogna ricominciare tutto… e poi andare molto più lontano… cercare l’efficacia, che ci è mancata fino qui. Stai ascoltando?…

E Alexandre Marc risponde: “Benché troppo anziano ora per ricominciare tutto, e cosciente del declino inesorabile della mia energia e della mia efficacia, ti prometto, Denis, che farò del mio meglio per, almeno, sforzarmi di andare un po’ più lontano. Un piccolo passo modesto. Un passo esitante. Un passo da vecchio uomo. Ma abbozzato, tentato, intrapreso, nella buona direzione. Quella da cui ci siamo lasciati volentieri trasportare. E che ci ha spinto ad avviare il passo. Sì, ci ha illuminato, ispirato, e parzialmente guidato. Quella, per dirla tutta, che noi abbiamo voluto. …Verso una luce che non si spegne mai!”.

Alcuni estratti dalla lettera agli Europei

Riportiamo, senza pretese filologiche o antologiche, alcuni brevi estratti della pubblicazione “LETTERA APERTA AGLI EUROPEI” (1970), tradotti in italiano, riguardanti la “visione” di una nuova Europa dei popoli e delle regioni, sostenuta dal paradosso della “persona” eroicamente solitaria ma testardamente solidale.

Europei, Europei!

Abbiamo molto da fare insieme, e senza indugio.

Mi hanno detto che non esisti Europa!

Mi dicono che in Europa ci sono solo francesi, inglesi, tedeschi, svizzeri, albanesi, ecc., e che gli "europei" sono solo una fantasia.

In quanto tale, non esistono “svizzeri”, ma solo cittadini di ventidue stati sovrani chiamati “cantoni”.

Non ci sono francesi, ma bretoni, baschi, occitani, alsaziani, nizzardi, valdostani, piemontesi, borbonesi, toscani, bernesi, savoiardi, lorenesi, corsi e molti altri.

La Francia, la Svizzera e le altre nazioni non sono affatto fantasie, ma realtà ben segnate sulle carte geografiche e delimitate da cordoni doganali.

Tuttavia, sono più transitorie di Bretagna, Castiglia, Scozia o Berna, che certamente sopravviveranno loro.

Il problema si riduce a questo:

– o siete francesi prima e per sempre, o cecoslovacchi, o svizzeri, e credete di dover rifiutare l'unione dell'Europa per questo: ma un giorno scoprirete – o i vostri figli – che non siete più veramente francesi, cecoslovacchi, o svizzeri, che siete solo per titolo onorifico, per cortesia o per semplice routine amministrativa sopravvivendo alle condizioni di fatto, guarda caso, perché sarete invece “americani” o “sovietici” per obbligata fedeltà, economica, sociale o ideologica;

– oppure scegli l'Unione dell'Europa, e trovi l'unica forza capace di salvaguardare il tuo essere nazionale e regionale, i tuoi modi di essere diverso, il tuo diritto a rimanere te stesso.

In altre parole: se non esistete come europei, non esisterete più, o non esisterete a lungo, come francesi, cecoslovacchi o svizzeri.

Sarete colonizzati uno dopo l'altro, e impercettibilmente distorti dal dollaro o dai vostri partiti comunisti, come lo siete stati, non molto tempo fa, dal nazionalsocialismo.

Non esisterai più, per non aver riconosciuto che spetta a te esistere - visto che, in fondo, ci siete già, ci siete tutti da secoli, e si tratta solo di riconoscerlo! Coloro dunque che dicono che non esisti avranno ragione finché manterranno le divisioni. Perché esisterete solo Uniti!.

Si può fare l'Europa?

E come?

L'unione dell'Europa si può fondare sull'unità culturale che forma e che l'ha formata per due o tre millenni.

Vedo che questa unità è paragonabile a quella di un corpo organizzato: è fatta di diversità e tensioni, non è affatto omogenea/omologata.

Vedo che la traduzione di questi dati fondamentali in termini politici di istituzioni non può che essere il “Federalismo”, un metodo di “Unione delle diversità”, radicalmente contrario al metodo di unità attraverso l'uniformità che fu quello di Luigi XIV, dei giacobini, di Napoleone e dei nostri stati totalitari di tutti i colori.

Vedo che la formula sacra, seppur moderna, dello Stato-nazione che pretende di essere assolutamente sovrana (i suoi capi hanno il diritto di far massacrare milioni di uomini e donne in guerre che sono sempre "giuste" per definizione, delle due parti), vedo che questo Stato-Nazione, che conserva nella mente di tutti i nostri uomini di governo l'invincibile realtà di un riflesso condizionato dalla Scuola, dalla Stampa e dall'Esercito, costituisce il dogma centrale di una religione che è radicalmente e per sempre incompatibile con ogni soluzione federalista, cioè con ogni cura al male mortale che essa procura.

È lo stato-nazione che ha creato i tragici problemi dell'Europa – ed è lo stato-nazione che vieta di risolverli.

Fare Europa presuppone quindi il disfacimento dello Stato-nazione a vantaggio delle REGIONI da un lato, e della loro FEDERAZIONE dall'altro, queste due realtà complementari che hanno come fine non il potere collettivo, ma la massima libertà degli individui.

Il pericolo bianco

Di fronte al prevedibile declino o metamorfosi del pericolo rosso, camuffato dai russi da pacifica convivenza - un nome che avrebbe fatto rabbrividire Lenin! — si parla ancora di un pericolo giallo, in attesa del pericolo nero. Ci credo poco. La nostra eclissi non è niente che la nostra cecità nei confronti dei nostri poteri e della nostra vocazione. Agli occhi del mondo esiste un solo grave pericolo: “IL PERICOLO BIANCO”.

La civiltà europea, divenuta globale, è infatti minacciata solo dalle malattie che essa stessa ha prodotto e propagato.

È nelle sue fonti, è al centro della sua vitalità creatrice, è in Europa, che questo pericolo va scongiurato.

Perché ciò che ci minaccia dall'esterno è anche ciò che ci insidia all'interno.

Ciò che i popoli d'oltremare ci oppongono è ciò che noi stessi opponiamo alla nostra vocazione universalista: nominerò il nazionalismo e la superstizione materialista.

Potere o libertà

Queste ricette di saggezza rimarranno nulle fintanto che la “buona volontà europea” mescolerà dichiarazioni inneggianti all'unità con professioni di fede nazionaliste.

Tra l'unione dell'Europa e gli stati-nazione sacri, tra uno dei bisogni umani più concreti e il culto prolungato di un mito, bisogna scegliere.

Per la prima volta nella storia, l'uomo si vede oggi nella condizione di scegliere liberamente il proprio futuro.

Fino ad ora non ci sono state scelte economiche o anche politiche a lungo deliberate, concertate a lungo termine: bisognava lottare per sopravvivere.

Oggi che il necessario è assicurato, lottiamo per il controllo di zone di influenza più ideologiche che commerciali e lavoriamo per il profitto, che in fondo è superfluo.

Ma quando questa scelta del nostro futuro è libera, siamo costretti a farlo, a nostro rischio e pericolo!

Qui siamo costretti a chiederci cosa ci aspettiamo dalla nostra vita e dalla vita in società, cosa vogliamo veramente, principalmente, e costretti a fare progetti di conseguenza.

Vogliamo, ad esempio, elevare a tutti i costi il nostro “tenore di vita” quantitativamente – o vogliamo piuttosto salvaguardare un certo “modo di vivere”, qualitativamente?

Vogliamo contribuire a tutti i costi all'aumento indefinito del PNL (prodotto nazionale lordo) - o piuttosto ricreare un habitat dignitoso, una comunità viva?

E quale prezzo siamo disposti a pagare per questo?

Il prezzo di certe libertà o il prezzo di un nuovo aumento del comfort?

Questi dilemmi si pongono oggi a tutti i popoli avanzati rispetto all'industria e alla tecnologia.

E li costringono a porre domande difficili, persino strazianti, sul senso stesso della vita...

Più specificamente, in Europa, dobbiamo decidere se la nostra unione mirerà al “potere collettivo”o “alla libertà individuale”.

Una regola d'oro del federalismo

Parlando della progressiva costituzione di strutture federali in Europa, Louis Armand (già partigiano francese, brillante ingegnere ferroviario e primo presidente dell’Euratom, ndr) ha recentemente formulato una regola d'oro che trova qui la sua maggiore applicazione:

Sviluppiamo insieme ciò che è nuovo. Lasciamo da parte i retaggi del passato la cui unificazione richiederebbe troppo tempo, richiederebbe troppe energie e solleverebbe troppe opposizioni.

Avevo appena scritto dalla mia parte:

L'unione, per due Stati-nazione, non è mai altro che un ripiego, anche un espediente disperato (come ad esempio l'unione di Gran Bretagna e Francia proposta da Churchill nel giugno 1940), in altre parole: non è mai altro che una dolorosa concessione alla necessità, quando ci si sente troppo deboli o per sussistere da soli, o per dominare e assorbire il prossimo.

Se vogliamo unire l'Europa, dobbiamo partire da qualcosa di diverso dai suoi fattori di divisione, dobbiamo costruire su qualcosa di diverso dagli ostacoli all'unione; operare su un altro piano rispetto a quello, appunto, dove il problema si rivela insolubile.

Dobbiamo basarci su ciò che è destinato a diventare “domani” la vera realtà della nostra società, e con questo designerò un'unità di tipo nuovo, più grande e complessa della città antica, ma più densa, meglio strutturata e capace di offrire un ambiente di partecipazione civica migliore della nazione, come ci ha lasciato in eredità il secolo scorso: LA REGIONE.

Solitario e solidale

Posto così il nostro modello di pensiero federalista a chiave della storia europea, resta da individuare i principali ambiti della realtà moderna, dove ritroviamo le strutture tipiche di un problema federalista.

Alla base della nostra analisi poniamo una concezione dell'uomo analoga al modello bipolare posto dal Concilio di Calcedonia. La persona umana, concetto desunto dai dogmi relativi alle tre Persone divine, e specialmente alla seconda, ci servirà da modulo. La persona umana è l'uomo considerato nella sua duplice realtà di individuo distinto e di cittadino impegnato nella società. Dotato di libertà ma di responsabilità, entrambi solitari e solidali (secondo la parola di Victor Hugo ripresa da Camus), distinto dal gregge da una vocazione il cui esercizio lo collega alla comunità, quest'uomo si costituisce nella dialettica degli opposti, e questo carattere sarà trasmesso a tutti i gruppi che formerà con altri uomini, suoi simili.

Questi gruppi devono essere a loro volta autonomi e uniti: anche per loro l'uno non andrà senza l'altro, molto meglio: l'uno - la solidarietà - sarà la garanzia dell'altro - l'autonomia.

Note finali

Per chi volesse approfondire l’opera e la figura di Denis De Rougemont:

- per iniziare https://it.wikipedia.org/wiki/Denis_de_Rougemont

- il sito a lui dedicato dall’Università di Ginevra https://www.unige.ch/rougemont/

- il testo della lettera agli Europei https://www.unige.ch/rougemont/livres/ddr1970loe

Un ultimo paio di citazioni memorabili di Denis de Rougemont, tratte da «La Suisse, ou l’histoire d’un peuple heureux» (1970):

 

[Citant Victor Hugo en conclusion:]
’’Dans l’histoire des peuples,
la Suisse aura le dernier mot,
encore faut-il qu’elle le dise
’’

« Certes le fédéralisme est le contraire d’un système.
Ce n’est pas une structure abstraite et géométrique,
ce n’est pas un poncif à transporter.
Mais il ne va pas sans principes,
et ceux-ci m’apparaissent susceptibles d’être appliqués
à l’échelle de l’Europe, mutatis mutandis bien entendu:
c’est précisément la méthode du fédéralisme authentique.
»

* * *

A cura di LorenzoLuparia
(Nouvelle Tendance Vallée d'Aoste pour le fédéralisme intégral)

Aosta, 3 maggio 2023

* * *

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Lavoro giustizia pace - Buon Primo maggio 2023

Buon Primo maggio 2023!

La festa internazionale dei lavoratori è da noi dedicata a ciò che stava a cuore ai nostri padri, sin dai tempi di Émile Chanoux e della Carta di Chivasso, cioè l'impegno interclassista per l'emancipazione dei contadini, degli operai, degli artigiani, di tutti i lavoratori, attraverso tre linee di azione politica:

1) assicurare a chiunque la possibilità di continuare a vivere nella sua terra, valorizzando l'economia locale e ponendo fine alle migrazioni forzate;

2) combattere lo spopolamento delle montagne e di ogni altro territorio che non sia "competitivo" nella globalizzazione, promuovendo sfere di economia locale liberate dalla necessità di competere sul mercato europeo o internazionale;

3) dare piena attuazione alle autonomie personali, sociali e territoriali, perché le comunità locali abbiano poteri sufficienti a trattenere sul proprio territorio quanto è necessario per le generazioni future.

A cura della segreteria di Autonomie e Ambiente - Primo maggio 2023

L'immagine a corredo di questo post è quella dedicata al lavoro, la giustizia, la pace, riprodotta sulle tessere del sindacato autonomo valdostano SAVT per il 2023.

 

Meno armi, più politica

2024 11 22 AEA nuovo simbolo logo 300   3 cm 

 

Riflessioni a margine dell’annunciato piano #ReArmEU

 

  1. La drammatica realtà dell’attuale momento politico è che l’Unione Europea non è riuscita da darsi una politica estera comune e, peggio ancora, né la II Commissione Ursula von der Leyen, né i 27 capi di stato e di governo, né i capi di altri paesi europei membri della NATO, hanno un mandato popolare per elaborarne una, nonostante essi si muovano in un apparente rispetto rispetto dei trattati.
  2. Né il tradizionale atlantismo della maggior parte degli stati membri, né la storica neutralità di alcuni di essi, sono più adeguati alla complessità dei tempi. I principi di coesistenza pacifica stabiliti a Helsinki nel 1975 possono ancora essere una fonte di ispirazione, ma sarà necessario un paziente lavoro di aggiornamento e non abbiamo istituzioni democratiche comuni dotate dell’autorevolezza e della competenza necessarie a portarlo avanti.
  3. In questo contesto, nessuno può dimenticare che le spese militari dell’Unione Europea sono già oggi superiori a quelle della Federazione Russa e quindi fra le più alte al mondo. Quando arriveremo a coordinarle seriamente, in una ideale comunità di sicurezza, esse dovranno scendere, non certo salire.
  4. Non di nuove commesse militari abbiamo bisogno, ma di una politica estera comune, costruita democraticamente, nell’interesse dell’Europa, di tutti i suoi popoli, delle sue regioni, dei suoi territori, oltre che per promuovere pace, giustizia, autogoverno per tutti e dappertutto, a cominciare da
    1. le province sanguinosamente contese nella terribile guerra russo-ucraina;
    2. le minoranze etniche e culturali che sono ancora minacciate o che sono state addirittura spazzate via, come è accaduto agli Armeni dell’Artsakh (Nagorno Karabakh);
    3. le nazioni e le minoranze che sono, ancora oggi nel XXI secolo, disconosciute o addirittura oppresse all’interno del centralismo degli stati.
  5. Non è il momento di costruire la casa europea dal tetto, invece che dalle fondamenta. Le coalizioni di “volenterosi” (e gli aspiranti “napoleone” d’Europa) hanno già fatto abbastanza danni nel nostro passato europeo. Non servono fughe in avanti, come l’improvvisa calata dall’alto del piano chiamato “ReArmEU”, un investimento di ben 800 miliardi di Euro, annunciato all’improvviso dalla presidente Von der Layen, all’insaputa degli unici organi che hanno una qualche rappresentatività di tutta l’Europa, cioè il Parlamento europeo e il Comitato delle regioni.
  6. Spendere di più in armi senza sapere cosa farne, è peggio che avventuristico, è controproducente per noi Europei, per la nostra coesione, per la nostra sicurezza e per quella della nostra vicina Ucraina dopo che sarà entrato in vigore l’ormai prossimo armistizio.
  7. Queste riflessioni critiche vengono messe a disposizione di tutte le componenti di Autonomie e Ambiente e, se ritenute utili, della nostra famiglia politica europea EFA, perché siano di stimolo all’elaborazione di una cultura politica e geopolitica comune, nel rispetto delle nostre diversità politiche e culturali.

Documento creato a Olbia, mercoledì 5/3/2025, le Ceneri - A cura della presidenza di AeA
Sottoposto alla riflessione comune dei responsabili di AeA il 7/3/25
Reso pubblico il 12/03/2025 (Anniversario della marcia nonviolenta del sale, promossa dal Mahatma Gandhi)

 

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English version

 

 

 

 

No, non dimenticheremo

Viviamo il Giorno della memoria 2025 con una particolare intensità. Ottanta anni fa, il 27 gennaio 1945, i soldati sovietici dell'Armata Rossa varcarono l'ingresso del campo di sterminio di Auschwitz, liberando i superstiti e portando alla luce gli orrori del genocidio nazista. Nel corso dell'anno ricorderemo anche l'80° anniversario della fine della Seconda guerra mondiale e, in Italia, dellaLiberazione.

No, non dimenticheremo, perché noi promotori di autonomie personali, sociali, territoriali, araldi della Carta di Chivasso, siamo consapevoli che si tratta di vita o di morte. Gli stati centralisti e autoritari vanno battuti con la veraforza della nonviolenza, in quanto responsabili di grandi macelli. Hanno spazzato via intere comunità e dispongono tuttora di armamenti sufficienti a distruggere decine di volte la vita umana su tutta la Terra. Devono essere smontati, tutti, per il bene di tutti e nell'interesse delle generazioni future.

Come ha detto la senatrice Liliana Segre, abbiamo un compito: superare le difficoltà, mettendo una gamba davanti all'altra, andando avanti, per non morire.

Approfondimento:

https://www.rainews.it/video/2025/01/liliana-segre-superare-le-difficolta-con-una-gamba-davanti-allaltra-per-non-morire--esce-il-docufilm-2bccffa4-5ccb-4b7c-8881-e9ca1a7a3034.html

Sant'Anna di Stazzema, 26 gennaio 2025, vigilia della Giornata della memoria 2025 - A cura della segreteria interterritoriale di Autonomie e Ambiente

 

Nonviolenza unica via

L'annuale giornata dedicata a Martin Luther King dagli Stati Uniti d'America ci offre l'occasione per ricordare la centralità della nonviolenza nella società globalizzata contemporanea.

Tutti gli stati centralisti e autoritari - non solo le grandi potenze - se ingaggiati con metodi violenti, possono infliggere distruzioni tali da aver ragione di ogni resistenza e mettere in pericolo lo stesso creato. In più, con l'aiuto delle odierne tecnologie, possono semplicemente cancellare dai media, dalle reti sociali, dalle cronache e dalla storia, anche le più sacrosante ragioni degli oppressi.

Le comunità locali, che resistono in difesa della propria diversità culturale e della biodiversità naturale, lo sanno bene e devono trarne le necessarie conseguenze, perché sono le prime a essere spazzate via dalla violenza.

Lo ricordiamo ai giovani che cedono alle sirene del settarismo e dell'estremismo; agli individui che sono suggestionati dalla visibilità mediatica dell'autodistruzione degli Schreckens Männer; ai movimenti che non hanno ancora abbandonato, in pieno XXI secolo, il terrorismo e la resistenza armata; alle elite al potere che alimentano ancora guerre senza un fine e quindi senza fine, perché non possono essere vinte, né perse.

La nonviolenza è l'unica veraforza politica che può portarci a ottenere risultati contro le autocrazie, contro gli aspiranti autocrati, contro vecchi e nuovi colonialismi e autoritarismi; contro tutte le forme di centralismo autoritario.

Firenze, 20 gennaio 2025, San Sebastiano - A cura della segreteria interterritoriale

 

Parte la Rete Civica Solidale

A Roma, presso la Camera dei Deputati, lunedì 30 giugno 22025, è stata presentata l'iniziativa politica Rete Civica Solidale. Alla conferenza stampa sono intervenuti i sette promotori: Angelo Chiorazzo - vice Presidente Consiglio regionale della Basilicata - Basilicata Casa Comune; Paolo Ciani - Deputato e Segretario Democrazia Solidale – Demos; Giuseppe Irace - Segretario di PER - Persone e Comunità; Alberto Felice De Toni, sindaco civico di Udine, e Stefania Proietti, presidente civica della Regione Umbria (questi ultimi due sono intervenuti con un collegamento a distanza).

Persone, movimenti civici territoriali e il partito Demos, si sono messi in gioco insieme, per creare uno spazio politico nuovo di partecipazione dal basso, in vista delle elezioni politiche che si terranno entro il 2027. I promotori sono tutti, in grado e modalità diverse, legati al centrosinistra, in particolare alla tradizione cristiano-sociale. Qui si può leggere integralmente il documento dei promotori.

Il presidente di Autonomie e Ambiente (AeA), Roberto Visentin, e il vicepresidente segretario, Mauro Vaiani, invitati dai promotori, hanno partecipato a questo evento, insieme a diversi amministratori locali ed alcuni esponenti della cultura, dell'impegno civile, della politica.

La segreteria interterritoriale di AeA ha apprezzato i valori espressi nel documento base: restituire concreta priorità alla costruzione della pace e della solidarietà internazionale, con uno sforzo comune di tutti gli Europei; la chiara coscienza che è in atto una drammatica erosione della democrazia (anche per le leggi elettorali ingiuste che sono in vigore); l'urgenza di custodire la "casa comune", gli ecosistemi locali e l'intero pianeta, da una economia distruttiva; la restituzione di libertà e responsabilità alle persone che si impegnano in politica nei loro territori.

Ancora più apprezzata da AeA è stata la scelta di una modalità confederale, aperta, inclusiva, dal basso. Ciò che per gli ambienti autonomisti è scontato, è praticamente sconosciuto nella politica italiana. Tutti i principali partiti sono piramidi - spesso cristallizzate e inaccessibili a persone nuove, specie giovani, donne, indipendenti.

L'avvio della Rete Civica Solidale è parso tanto più opportuno perché si è distinto, nei contenuti e ancor più nel metodo, da altre iniziative di questo momento politico, in cui c'è una domanda enorme di novità (nuove idee, ma anche nuove persone, perché quelle attualmente al potere lo sono ormai da trent'anni). Novità che non si può riversare negli otri vecchi...

E' noto che esponenti di diversi partiti si rapportano molto goffamente con il civismo, con le storiche autonomie, con i nuovi movimenti territoriali, pensando di poterli guidare, più che collegare (ricordiamo due casi eclatanti: De Pascale in Emilia e in Romagna; l'assessore Onorato a Roma).

Altri autocandidati "federatori" sembrano volersi calare dall'alto su ciò che vorrebbero unire, rischiando di riprodurre dinamiche leaderistiche troppo verticali per poter veramente accogliere e raccogliere comunità e gruppi di cittadini autonomi e liberi (che sono in fuga dalle urne, perché già abbondamente delusi in passato dalle sirene di altri leader, sia populisti che tecnocrati).

Alla nuova Rete Civica Solidale non solo gli auguri, ma la disponibilità al dialogo su come valorizzare, insieme, le diversità e le autonomie nella nostra Repubblica.

 

Firenze, 1 luglio 2026 - A cura della segreteria interterritoriale

 

Per esempio il Sudtirolo

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Piercesare Moreni (associato Autonomie e Ambiente del Trentino)

ll modello sudtirolese: una ispirazione mancata

La guerra in Ucraina pare volgere al termine. Malamente, verrebbe da dire, con la discesa in campo di Trump e l'inconsistenza europea. Ma quali sono state le ragioni che hanno portato al conflitto? Chi aveva ragione e chi aveva torto? A domande complesse non esistono risposte semplici. Ma proviamo a procedere per gradi.

Senza poter approfondire qui le cause ancora più remote dell'inimicizia, possiamo partire dalla guerra del Donbass: popolazione russofona sottomessa anche con la violenza dallo stato ucraino. Il conflitto ha avuto inizio il 6 aprile 2014, quando dei manifestanti armati occuparono alcuni palazzi governativi  nell' Ucraina orientale. Queste manifestazioni facevano parte di alcuni più ampi moti di protesta che si svilupparono in seguito all'annessione  alla Federazione Russa della Crimea.

I secessionisti, volendo emulare quanto accaduto in Crimea dopo l'intervento militare russo nella penisola, chiesero l'indizione di un referendum per l'indipendenza, che fu negato dal governo ucraino. Il referendum, che fu ugualmente svolto l'11 maggio 2014 nelle aree controllate dai secessionisti, non fu riconosciuto e non fu verificato da alcuna organizzazione internazionale.

La situazione esplose nelle proteste dell'Euromaidan nel 2014, e l'instaurazione di un governo guidato da Petro Porošenko a seguito di nuove elezioni. Ne seguì un'ondata iconoclasta: similmente a quanto avvenne nei paesi baltici in seguito al crollo dell'Unione Sovietica. I manifestanti anti-Russia abbatterono le statue risalenti all'epoca sovietica, le amministrazioni cambiarono il nome dei luoghi pubblici che evocavano il passato sovietico e li sostituirono con i nomi degli esponenti ucraini che avevano collaborato coi tedeschi durante la seconda guerra mondiale. In particolare furono abbattute le statue di Lenin, che vennero sostituite con quelle dedicate a Stepan Bandera, nazionalista ucraino ma anche collaborazionista con la Germania nazista.

Anche la data della festa nazionale venne modificata: non più il 9 maggio, che per i Russi è la Giornata della vittoria, ma il 24 agosto, la Giornata dell'indipendenza ucraina dall'URSS. Tutto ciò non ebbe invece luogo in Ucraina orientale dove, anzi, qualsiasi tentativo in tal senso venne fortemente osteggiato dalla popolazione.

La situazione fu percepita dalla comunità russa come sempre più difficile anche a seguito della revoca delle autonomie che erano state concesse dai governi precedenti. Dopo la rivolta dell'Euromaidan, le regioni orientali insorsero contro il nuovo corso politico di Kyiv, ufficialmente per il timore della repressione linguistica del russo, anche se la legge emanata nel 2012 che permetteva alle amministrazioni regionali e municipali di scegliere il russo come lingua ufficiale rimase in vigore fino al 2016.

Quello che è successo negli anni successivi è tragica cronaca.

Riflettendo sulle vicende delle regioni russe che si sono scontrate con il governo centrale ucraino, non mi è stato possibile non riandare con la memoria alla questione sudtirolese e come, tra mille errori, sia stata ricomposta.

Al termine della tragica Grande Guerra il nazionalismo italiano, poi pienamente realizzato dal regime fascista, impose la lingua italiana, vietò l'uso della lingua tedesca e cercò di popolare di italiani il Sudtirolo. Non solo: venne abolita l'autonomia comunale, si procedette all'italianizzazione dei nomi di luoghi e cognomi, si proibí l'insegnamento in lingua tedesca, si decise il licenziamento dei dipendenti pubblici di madrelingua tedesca... E molte altre sciagurate azioni ancora.

Al termine del secondo conflitto mondiale, la realpolitik tradí le aspirazioni sudtirolesi di plebiscito per scegliere in quale nazione vivere - non dimentichiamo che la presenza russa a Vienna durò sino al 1956 - costringendoli a rimanere in Italia.

Ne seguirono trattative, ma anche tensioni, fino alla cosiddetta stagione delle bombe, gli attentati che costrinsero la Repubblica Italiana ad ad avviare un percorso di riconoscimento dell'autonomia speciale al Sudtirolo, e coerentemente anche al Trentino, la cui storia è strettamente connessa con quella tirolese.

Tali provvedimenti prevederono l'autonomia legislativa e amministrativa, l'autonomia finanziaria, la tutela delle minoranze linguistiche, le quote proporzionali per l'accesso agli impieghi pubblici: un modello di autogoverno che, con il tempo, con grande fatica, con il coraggio dei compromessi, è riuscito a riconciliare l'identità locale con l'appartenenza allo stato italiano e, coerentemente, alla realtà europea, che ha fatto scomparire la frontiera Italia-Austria.

Oggi, alle porte di casa, abbiamo faglie etniche e problemi di autogoverno territoriale, che in alcuni casi sono vere e proprie bombe ad orologeria: Transinstria in Moldavia, nei Balcani la Bosnia Erzegovina e molte altre realtà meno note, il Kossovo, il Caucaso con i conflitti tra Armenia e Arzeibaigian che hanno distrutto l'Artzach. Ma quante altre ne dovremmo ricordare!

I morti, i feriti, i lutti, le distruzioni provocate dalla guerra russo-ucraina sono spaventose.

Alcune stime, infine, indicano il costo mensile della guerra russo-ucraina in 25 miliardi di dollari. 25 miliardi di dollari AL MESE! Senza contare i morti, i lutti, le distruzioni. Forse aver tratto ispirazione dal modello autonomista sudtirolese sarebbe costato molto meno... O no?

Coloro che non credono nell'autogoverno dei territori, ci stanno portando verso una tragedia, o quanto meno verso la povertà.

Trento, 26 marzo 2025

 Fonte dell'immagine di corredo al post: https://it.wikipedia.org/wiki/Südtirolhttps://it.wikipedia.org/wiki/Südtirol

 

Per la pace fra Ucraina, Donbass, Federazione Russa

Autonomie e Ambiente condanna l'invasione dell'Ucraina da parte della Federazione Russa. Invoca l'immediato cessate il fuoco e l'apertura di una conferenza di pace e di ricostruzione.

Ci attestiamo sulla posizione espressa, sin da poche ore dopo l'inizio dell'invasione, da ALE-EFA, la nostra famiglia politica europea:

https://e-f-a.org/2022/02/24/efa-condemns-russias-military-intervention-in-ukraine-which-could-have-devastating-effects/

Ricordiamo le parole pronunciate dalla forza sorella Patto per l'Autonomia Friuli-Venezia Giulia, attraverso il proprio Gruppo consiliare regionale:

:https://www.pattoperlautonomia.eu/gruppo-consiliare/1046-invasione-russa-dell-ucraina

Facciamo nostre le preoccupazioni espresse dalla forza sorella Siciliani Liberi, alla vigilia dell'invasione:

https://www.sicilianiliberi.org/2022/02/23/siciliani-liberi-preoccupati-per-la-politica-aggressiva-della-nato/

Tutto può essere discusso e aggiornato, attraverso mezzi pacifici e democratici. Come autonomisti e decentralisti, noi sappiamo bene che tra le prime vittime della guerra ci sono, dopo la verità, le autonomie personali, sociali e territoriali.

Attraverso il dialogo e il compromesso, invece, tutto può cambiare, anche i confini.

La foto di corredo di questo post è un messaggio di pace condiviso in rete dal fotografo toscano Fulvio Bennati (in arte Benful). Si tratta di uno scatto preso in Toscana nel 2018, che evoca i colori dell'Ucraina. Ringraziamo di cuore l'artista e vi invitiamo a visitare il suo profilo Facebook:

https://www.facebook.com/fulvio.bennati/posts/10225112912124295

 

Per la pace si riparta dal cessate il fuoco

Nella nostra rete di forze territoriali abbiamo avuto e abbiamo ancora posizioni articolate su come arrivarci, ma non ci sono dubbi su dove dobbiamo andare: l'Europa deve gettare il proprio peso politico ed economico nell'arrivare al più presto a un cessate il fuoco in questa terribile guerra tra la Federazione Russa e l'Ucraina. Questo conflitto ormai decennale (che dalla prima mattinata del 24 febbraio 2022 è diventato una operazione militare su larga scala, ma che risale almeno al 2014), deve essere fermato.

Tutto è possibile, dopo il cessate il fuoco: salvaguardare la sovranità e la natura democratica della repubblica di Ucraina; restituire ai cittadini dei territori contesi una speranza e una voce sul loro futuro; frenare la deriva militarista e nazionalista nella Federazione Russa, i cui popoli non sono nemici dell'Europa e nemmeno nemici del popolo ucraino; riaprire il dialogo a tutto campo, in tutto il mondo, con tutte le potenze, sul disarmo e contro la proliferazione nucleare.

Per questo molti nostri attivisti dell'Italia centrale partecipano alla marcia della pace Perugia-Assisi di oggi domenica 21 maggio 2023.

Per questo la nostra forza sorella Siciliani Liberi ha aderito all'iniziativa dei referendum contro la guerra e per la sanità pubblica. Per un approfondimento su questa iniziativa popolare, consigliamo l'ascolto di questa "tribuna" con il prof. Ugo Mattei, ospitata da Radio Radicale: https://www.radioradicale.it/scheda/698585/dibattito-sui-tre-referendum-sanita-e-guerra

A cura della segreteria interterritoriale

Firenze, 21 maggio 2023

 

 

Per una politica fondata sulla nonviolenza

La giornata internazionale della #nonviolenza del 2 ottobre 2024, la festa diSan Francesco d'Assisi del 4 ottobre, la prossima memoria del terribile pogrom voluto da Hamas il7 ottobre 2023 in Israele, ci interrogano.

Per persone come noi, radicate nella storia delle lotte per l'autogoverno di tutti dappertutto, è un dovere ricordare che i primi e peggiori oppressori delle comunità umane di oggi sono i loro stessi capi politici, che investono in#terrore e#guerra per restare al potere, come ha scritto Mauro Vaiani. Essi possono e anzi devono essere combattuti e scalzati con l'impressionante risorsa della veraforza (satyagraha) e con una resistenza nonviolenta.

La storia ci spinge verso la nonviolenza, indipendentemente da quelle che sono le nostre diversità e i nostri valori.

Al contrario, decidere di usare la violenza, in questo mondo inquinato, tecnologico, globalizzato, non porta altro che rovina, prima di tutto per gli oppressi, oltre che per gli umili e le persone comuni di ogni parte in conflitto.

Non c'è infatti concentrazione di potere e ricchezze di questo mondo, non importa quanto essa appaia isolata e indebolita, che non possa scatenare distruzioni e morte a livelli industriali.

Ciascuna rifletta, guardando alle tante parti in conflitto oggi in Ucraina, in Medio Oriente, in Sudan, in Birmania.

Non siamo più negli anni '70, quando alcune lotte di liberazione armate dimostrarono di essere il minore dei mali.

Non siamo più nemmeno all'inizio del XXI secolo, quando si è tentato di abbattere regimi che una parte del mondo riteneva "canaglia".

Non siamo più all'inizio degli anni '10, quando abbiamo aiutato i Curdi a resistere a mano armata all'ISIS e ad altri oppressori.

Il mondo è sempre più fragile. Le capacità distruttive di chi ha potere geopolitico - anche poco - sono sempre più grandi.

Non c'è alternativa all'avvento di una politica di nonviolenza attiva.

In ogni territorio, in ogni angolo del mondo, ci impegniamo per isolare gli aspiranti tiranni e per farli cadere senza combatterli sul loro terreno - la violenza, in cui loro sono e saranno sempre superiori a noi  - ma sul nostro, quello dei cessate-il-fuoco, dei compromessi, dei processi di liberazione ed emancipazione lenti, dal basso, delle persone e con le persone.

Roma - Gerusalemme, domenica 6 ottobre 2024 - a cura della segreteria di Autonomie e Ambiente

Lo spunto per l'immagine di questo post è stato preso da https://www.istockphoto.com/

 

 

Un anno di guerra russo-ucraina

Nell'anniversario dell'invasione russa dell'Ucraina, un messaggio di pace e di fermezza nella solidarietà, da parte della Alleanza Libera Europea (ALE - European Free Alliance, EFA), la nostra famiglia politica europea.

Lo scorso 24 febbraio 2022, la Federazione Russa ha intensificato il decennale conflitto nel Donbass, trasformandolo in una aperta invasione dell'Ucraina.
Un anno dopo, la guerra è ancora in corso e anzi se ne minaccia l'aggravamento e l'allargamento.
L'Alleanza Libera Europea (ALE-EFA) mantiene ferma la propria solidarietà con tutti i popoli coinvolti, senza dimenticare le minoranze nazionali.
L'Unione Europea è chiamata a mantenere solidarietà concreta agli 8 milioni di profughi ucraini, a coloro che vivono nelle città distrutte dell'Ucraina, ai dissidenti che fuggono dalla Federazione Russa.
L'indipendenza dell'Ucraina è al momento salva.
La Federazione Russa deve riconoscere che la propria aggressione è insostenibile.
I governi europei devono impegnarsi per il cessate il fuoco.