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Piemonte

Comunità, il movimento per le autonomie di Adriano Olivetti

  • Autore: a cura di Milian Racca e Mauro Vaiani - Villamiroglio, Chivasso, Ivrea e Prato, 18 settembre 2023

Ripercorriamoinsiemealcune tappe dell’incredibile biografia diAdrianoOlivetti ealcune notizie essenziali sulMovimento Comunità da lui fondato. L’industriale-filosofo-attivista e la sua creatura politicafurono audaci, visionari e talmente innovativi da risultare in anticipo dialmenoun secolo. Lasciano a noi civici, ambientalisti e territorialisti di oggil’eredità di unconvintoattaccamento ai territori, alla concretezza dei bisogni delle comunità, alle autonomieamministrative e politiche, oltre che la determinazione a formare con rigore e con sacrificio politici e amministratorisempre piùcompetenti,oltre che più liberi e quindi più creativi e fattivi.

Introduzione alla figura di Adriano Olivetti

Adriano Olivetti nacque nel 1901 a Ivrea e morì, purtroppo prematuramente, durante un viaggio in Svizzera, nel 1960. Era cresciuto in una famiglia di radici ebraiche, quelle di suo padre Camillo ingegnere e socialista, e valdesi, quelle della madre Luisa Revel. Crebbe in un ambiente relativamente benestante ma non da sempre e non tanto da poter vivere senza lavorare.

Quando il fascismo salì al potere, nel 1922, il giovane Adriano, poco più che ventenne, aveva già compreso i drammatici limiti delle derive massimaliste socialiste e comuniste. Aveva riscoperto, insieme a suo padre, la migliore tradizione del Risorgimento, quella federalista e autonomista, richiamata anche dalla Carta di Chivasso del 1943. Aveva legato con Piero Gobetti e insieme a lui aveva preso le distanze dal liberalismo giolittiano, ormai percepito come subalterno agli ambienti del nazionalismo più corrotto. Aveva conosciuto gli stimoli del pensiero cristiano-sociale della prima Democrazia Cristiana di don Romolo Murri. Conosceva le esigenze di autogoverno dei territori di quella provincia di Aosta che allora comprendeva anche il suo Canavese. Aveva già una mentalità europea e anzi cosmopolita, ma aveva anche chiaro che il liberismo propugnato da figure come Luigi Einaudi era inapplicabile su larga scala internazionale. Sapeva già, per esperienza diretta, che i suoi operai-artigiani eporediesi erano stati al sicuro dalle fluttuazioni del commercio internazionale solo perché erano tutti proprietari di una casa e di un campo da cui avevano tratto di che nutrirsi in tempi di crisi.

Non fece studi sistematici di materie classiche e letterarie, ma coltivò sin da giovane aspirazioni giornalistiche e di azione politica, nutrendosi liberamente di tutto ciò che le nuove scienze umane stavano producendo nel Novecento, dalla psicologia, alla sociologia, alle scuole economiche, alle prime critiche del centralismo autoritario e del conformismo nelle società di massa.

Persino negli anni più cupi del fascismo, quando per continuare a fare l’imprenditore dovette venire a patti col regime, si scelse nel partito al potere, come interlocutori, personaggi fuori dal coro, come gli architetti razionalisti o una figura controversa ma colta come l’ex repubblicano toscano Giuseppe Bottai.

Durante gli anni della Guerra riparò in Svizzera da dove si mantenne in contatto con la Resistenza. Fu lui a finanziare nel 1943 l’ “Appello”, il foglio clandestino che collegò i giovani dalle valli valdesi, occitane e aostane con quelli della pianura fino a Milano, voluto da resistenti come Mario Alberto Rollier (che poi fu uno degli estensori della Carta di Chivasso del 19 dicembre 1943 ma anche uno dei primi federalisti europei). Fra coloro che organizzano la Resistenza ci sono figure come Aldo Guerraz, Paolo Polese, WiIly Jervis, che lavoravano nella fabbrica Olivetti di Ivrea.

Nel 1946, con la fondazione delle Edizioni di Comunità, Adriano Olivetti impresse un'orma profonda nella cultura del dopoguerra. La sua casa editrice ha tradotto e fatto conoscere autori come Martin Buber, Paul Claudel, John Kenneth Galbraith, Søren Kierkegaard, Leopold Kohr (il famoso e purtroppo insufficientemente conosciuto autore del libro disseminativo The Breakdown of Nations , lo “spezzettamento” degli stati), Jacques Maritain, Albert Schweitzer, Simone Weil.

Adriano Olivetti ebbe il talento di una intelligenza fiorente, cioè tesa all’innovazione, all’inclusione sociale, alla prosperità diffusa, alla valorizzazione dei più creativi. Seppe unire la sua incredibile apertura culturale a un impegno estremamente pragmatico nella vita industriale, immerso in una realtà ricca di fermenti culturali da Aosta, a Ivrea, a Milano, alla Svizzera. Adriano Olivetti aveva tutto per diventare un pioniere e lo diventò tanto da anticipare prospettive che forse solo oggi, nel XXI secolo, possono dispiegarsi nella loro interezza.

La fondazione del Movimento Comunità

Mentre nel giugno del 1946 iniziava i suoi lavori l’Assemblea costituente, Adriano Olivetti aveva già cominciato a diffondere il suo pensiero politico-filosofico, raccolto nel volume “L’ordine politico delle comunità”.

Elaborò un progetto di repubblica federale per l’Italia. Il federalismo, dopo i disastri dello stato italiano centralista, militarista, colonialista e infine fascista, doveva essere il principale elemento innovativo di una nuova Repubblica formata da comunità locali fortemente autonome. La comunità non era solo un’entità amministrativa, nella visione olivettiana, ma il luogo in cui la persona si realizzava, insieme alla sua famiglia, con il lavoro e con la cultura, in spazi pensati e costruiti a misura d’uomo (della passione di Olivetti per avere fabbriche belle e vivibili, oltre che per una urbanistica moderna non parleremo certo qui, ma confidiamo che le sue realizzazioni in quel campo siano già largamente conosciute).

Qualcosa di questo pensiero federalista, Adriano Olivetti riuscì a farlo arrivare alla Costituente, attraverso i suoi legami con alcuni socialisti autonomisti, in particolare attraverso la sua partecipazione ai lavori dell’Istituto degli studi socialisti diretto da Massimo Severo Giannini e poi, dopo che nel socialismo italiano prevalsero pensieri centralisti, avvicinandosi al piccolo Partito Cristiano Sociale di Gerardo Bruni. La formazione cristiano-sociale elesse alla Costituente un unico deputato, il suo fondatore Bruni, il quale in effetti fu tra coloro che si batterono per una nuova Repubblica delle Autonomie.

Olivetti e i suoi seguaci avevano però aspirazioni all’autogoverno locale molto più audaci e nel 1947 dettero vita a una loro formazione politico-culturale, il Movimento Comunità (MC).

Nel 1949, peraltro, Adriano Olivetti pubblica con il Movimento Comunità uno scritto intitolato “Fini e fine della politica”, che denuncia – addirittura - la partitocrazia. Non si tratta, sia chiaro, di un manifesto antipolitico, ma di un richiamo a una politica fondata sulla coerenza tra fini e mezzi, fra urgenze del territorio e capacità dei leader locali di orientare delle scelte collettive veramente condivise. Si tratta, scrisse lo stesso Olivetti in quelle pagine, di restituire alla politica una dimensione veramente umana e quindi comunitaria: “Non chiedete nulla, ma unicamente che la libertà, che lo Stato e i partiti vi riconoscono a parole – quella di scegliervi i vostri rappresentanti – non sia una mistificazione. Il mandato politico, nella sua vera essenza, è soltanto un atto di fiducia degli uomini in un uomo”.

Non c’era, nella visione olivettiana, nella dimensione locale, nemmeno una vera distinzione fra democrazia diretta e rappresentativa, perché gli amministratori dovevano essere parte integrante della comunità degli amministrati.

L’esperienza dei comunitari in piena Guerra fredda sarebbe rimasta largamente incompresa. Il mondo era dominato dal bipolarismo bigotto e ignorante imposto dalla divisione del mondo in due blocchi, quello americano e quello sovietico, che si appoggiavano nella Repubblica italiana rispettivamente sulla DC e sul PCI. Rappresenta, tuttavia, una pagina importante e oggi troppo poco conosciuta della parabola olivettiana.

Scrive Giuseppe Iglieri nel volume dedicato al movimento, da cui abbiamo abbondantemente attinto e che citiamo in calce a questo scritto, fu “la storia umana e politica di un gruppo di uomini capaci di realizzare, concretamente, il sogno di un Paese nuovo”.

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Il Movimento Comunità nei territori

Adriano Olivetti non smise mai di lavorare, di promuovere opere concrete di emancipazione sociale, di partecipare ad attività culturali interagendo con altre importanti figure del suo tempo. Fra le tante iniziative, promosse e sostenne economicamente due associazioni: la prima fu l’Associazione italiana per la libertà della cultura, che faceva capo a Ignazio Silone; la seconda fu l’Associazione per il progresso e l’indipendenza dei popoli coloniali che aveva come riferimento Giuseppe Forzese.

In più non si risparmiò mai come mentore e leader del suo movimento, che riuscì a promuovere nuclei di azione sociale e culturale operanti in piccoli comuni, in quartieri periferici delle città, in zone marginali e depresse. Il compito dei centri comunitari fu quello di promuovere una vita associata che, avvalendosi di tutte le tecniche sociali e scientifiche più avanzate, fosse indirizzata verso valori di libertà, felicità, bellezza, consapevolezza, piena realizzazione della personalità umana.

La maggiore visibilità politica e amministrativa fu ovviamente quella nei comuni del Canavese, che i comunitari raccolsero anche in una lega intercomunale. MC era attivo in oltre 70 comuni e in oltre 40 ebbe la maggioranza e la guida delle amministrazioni. Un segnale concreto della loro operosità fu la crescita, in quei comuni, del valore medio di spesa pubblica per abitante da un importo inferiore alle cinquemila lire nel 1956 a oltre quarantamila lire nel 1960.

Dal suo Canavese e dal Piemonte, il messaggio della campana di Humana Civilitas, simbolo del MC, raggiunse Treviso, Mestre, Tolmezzo, Genova, Parma, la Valdera toscana (Terricciola, Peccioli, Volterra, in particolare), Terracina, Napoli e Pozzuoli (dove Olivetti realizzò il famoso stabilimento modello), Barletta, Matera e Potenza, arrivando fino in Sardegna a Santu Lussurgiu e in Sicilia a Palermo e Messina.

Adriano Olivetti portava ovunque i suoi ideali di decentramento della manifattura, contro gli eccessi della concentrazione industriale e urbana. Era convinto che attraverso l’adozione delle tecnologie più avanzate, si sarebbe potuto lasciare le famiglie nella loro terra, pur includendole in una dinamica di sviluppo. In ogni vallata dovevano sorgere fabbriche moderne, ma sempre circondate dall’agricoltura e in equilibrio con la natura. Ogni comunità doveva stabilire una forma avanzata di economia mista, che includesse sia progresso agricolo, che nuove iniziative industriale, che servizi pubblici. Gli abitanti delle contrade più remote e marginali dovevano essere certi di poter partecipare a una economica locale produttiva, senza essere costretti ad avviarsi lungo la via rischiosa e dolorosa dell’emigrazione verso le capitali industriali.

L’impegno di Olivetti e di MC a Matera richiederebbe una trattazione a parte. L’industriale-filosofo comprese che in quel luogo, un’antica capitale contadina, si sarebbero potuti fare interventi coraggiosi e altamente emblematici. Adriano Olivetti, anche in qualità di presidente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, può essere considerato uno degli ispiratori del risanamento e della rinascita della città dei Sassi.

Merita un cenno anche la nascita del circolo culturale comunitario napoletano, che si sarebbe mostrato molto attivo. A partire dal 1950 si ha notizia di un nucleo di giovani comunitari, coordinati dall’architetto Nino del Papa i quali, ispirati dalle letture della rivista del movimento, «Comunità», si adoperarono per realizzazioni concrete come l’apertura di una biblioteca-emeroteca, la realizzazione di mostre, l’organizzazione di convegni sull’ospedale e sullo stadio della città partenopea.

Dei comunitari di Terracina limitiamoci a ricordare che essi si videro scomunicati dalle autorità religiose, così come perseguitati dai settari di sinistra e di destra, ma riuscirono a entrare nel consiglio comunale. Uno dei loro esponenti, Gabriele Panizzi, dopo la fine di MC continuò a impegnarsi politicamente insieme ai socialisti autonomisti e diventò presidente della regione Lazio dal 1984 al 1985.

Nel gennaio 1960, poche settimane prima di morire e nel pieno di un grande slancio di reazione alle sconfitte che aveva subito come imprenditore e come attivista politico, Adriano Olivetti pubblicava la prima edizione del suo volume “Città dell’uomo”, uno dei suoi scritti più celebri, che ci trasmettono la sua passione civile e, non esitiamo a definirla così, quasi mistica. Non vagheggiava, Olivetti, ideali di astratta convivenza, ma immaginava sempre lavoro, studio, fatica, per un’autentica città a misura d’uomo, fondata sul rispetto dei valori dello spirito, degli ideali di giustizia e libertà, della scienza e della coscienza necessarie allo vita umana e alla prosperità delle comunità.

Maturazione comunitaria

Nel 1953 il Movimento di Comunità pubblica un maturo e innovativo manifesto, redatto da Adriano Olivetti insieme a Rosario Assunto, Ludovico B. Belgiojoso, Rigo Innocenti, Alberto Mortara, Riccardo Musatti, Geno Pampaloni, Ludovico Quaroni, Umberto Serafini, Giorgio Trossarelli, Renzo Zorzi. Ne riportiamo alcune frasi:

Dovunque ci sia conflitto, per esempio, tra la macchina e l'uomo, tra lo stato e un ente territoriale locale, tra la tecnica e la cultura, tra la burocrazia e il cittadino, tra l'economia del profitto e l'economia del bisogno, tra l'automatismo e il piano, tra il mero piano economico e il piano urbanistico, tra la città elefantiaca e l'insediamento a misura d'uomo, e infine tra l'ipotetico idillio di una società avvenire e la reale angoscia delle «generazioni bruciate», - noi sapremo immediatamente qual' è la nostra parte. A questa morale personalistica (in cui convergono tutti gli elementi più urgenti della morale cristiana, dell'anarchismo, del liberalismo, del socialismo) noi crediamo sia indispensabile rimanere fedeli se si vuole, dalla profonda crisi del nostro tempo, risalire alla gioia della libertà e all'unità dell'uomo. (...)”

Lo stato comunitario, fondato sulla integrazione armonica delle forze del lavoro e della cultura con quelle della democrazia, su una proprietà socializzata e radicata agli Enti territoriali autonomi (le Comunità), insisterà sulla tradizionale separazione dei poteri e sul principio di un nuovo integrale federalismo interno, inteso nel senso di equilibrio di autonomie tra periferia e centro (…)”

Per questo il Movimento Comunità è naturalmente federalista, ma vede con decisa opposizione la possibilità che l'idea federalista declini in una sorta di strumentalismo strategico e in una coalizione di Stati. Federalismo non deve essere statalismo, ma al contrario struttura sempre più autonomistica nell'àmbito degli Stati, autonomia generale. Una federazione di Stati accentrati e nazionalisti è una contraddizione in termini e potrebbe addirittura servire a bloccare lo status quo sociale esistente, anziché essere un elemento di innovazione. La Federazione europea darà all'Europa autonomia e salvezza, ma ciò stabilmente per sé e in modo esemplare per gli esterni, solo se federazione è intesa nel senso integrale di decentramento assoluto, di autonomia generale anche nei confini degli Stati (…)”.

Interazioni con le altre forze politiche

Il fatto che il Movimento Comunità fosse fortemente dipendente dall’energia e dal carisma del suo fondatore e mentore, Adriano Olivetti, non deve indurre a pensare che esso fosse incapace di rapportarsi con altre forze politiche e politico-culturali. Peraltro, a fianco di Olivetti, ci furono sempre i già citati intellettuali e attivisti, fra i quali – citiamoli ancora una volta – personalità come Agenore "Geno" Pampaloni (1918 – 2001), Umberto Serafini (1916 - 2005), Francesco (più noto come Franco) Ferrarotti (1926 – vivente).

Continui furono i contatti tra MC e il Movimento Federalista Europeo, ma mai semplici, perché i comunitari, pur mantenendo sempre il loro convinto sostegno agli ideali europeisti, erano distanti dagli spinelliani che si ostinavano (e continuano a tutt’oggi) a pensare all’Europa come una “unione” fra gli stati come sono oggi. Per i comunitari, come abbiamo letto nel loro manifesto del 1953, le fondamenta della casa comune europea dovevano essere i territori e le comunità locali. Quindi, prima di arrivare alle costruzioni istituzionali interstatali, si dovevano trasformare in senso federale tutti gli stati membri.

Riferisce Giuseppe Iglieri che Adriano Olivetti aveva osservato sui luoghi di lavoro la ricostruzione, la bonifica, i problemi del Mezzogiorno. Aveva visto i disoccupati alle porte di Roma, in Abruzzo, nelle Puglie, ovunque. Da queste osservazioni aveva ricevuto la “clamorosa conferma che niente è possibile nel nostropaese sulla via della risurrezione e della giustizia senza partire dall’uomo e dallacomunità, cioè dal basso, dai comuni, dalle fabbriche. Partendo dall’alto, dai ministeri, come vorrebbero in buona fede gli uomini della sinistra… non si arriverà a nessuna conclusione e tuttalpiù a piccoli risultati, modesti e provvisori. È come voler mettere in ordine la propria casa cambiando unicamente le tegole del tetto”.

Eppure, pur essendo così visionari e in anticipo sui tempi, i comunitari non smisero di rapportarsi con le altre forze politiche, con tutte (esclusi i comunisti settari e le destre centraliste, o addirittura nostalgiche della monarchia e del fascismo).

Nell’inverno del 1955-56 il Movimento Comunità interloquisce, oltre che con i socialisti autonomisti, anche il Partito Repubblicano, il Partito Radicale, la sinistra liberale e, ovviamente, il Partito Sardo d’Azione. I tentativi di costituire forme di collaborazione permanente, anche elettorale, falliscono certamente per errori e ingenuità della parte comunitaria (e dello stesso Adriano), ma alla fine, va registrato, gli ideali di autogoverno di Olivetti erano magari rispettati da alcuni giganti della politica come Pietro Nenni, ma di certo non condivisi e forse nemmeno completamente compresi.

I comunitari alla prova delle elezioni politiche generali del 1958

Rivelatosi frammentario il dialogo con socialisti, radicali e laici, soprattutto per via della mentalità centralista allora dominante, il Movimento Comunità si avviò comunque a prepararsi per le elezioni politiche generali del 1958 non in solitudine, ma con due alleati esterni, il Partito Sardo d’Azione – allora guidato da Giovanni Battista (Titino) Melis - e con il Partito dei Contadini – guidato da Ermenegildo Massarino – oltre che da un fiancheggiatore già espressione del mondo comunitario, la “Lega delle comunità di fabbrica” - guidata da Giuseppe Roggero. Avrebbe potuto essere parte dell’alleanza anche il Movimento per l’Autonomia Regionale del Piemonte (MARP), ma purtroppo questo incontro non si realizzò.

La lista unitaria prese il suggestivo nome di “Comunità della cultura, degli operai e dei contadini d’Italia – Federazione del gruppi autonomisti”.

Il programma elettorale comune prevedeva, fra l’altro, progetti – ancora una volta – estremamente lungimiranti e assolutamente pionieristici, rispetto alla cultura politica dominante:

1) Istituzione delle regioni, con attuazione graduale del disposto costituzionale, tenendo presente la particolare situazione della Regione Altoaltesina nel quadro dell’unità nazionale. Difesa e potenziamento, al di fuori di ogni equivoco, delle autonomie già esistenti. Riconoscimento della complessa singolarità della città di Roma, da sancire con la creazione di un ampio Distretto regionale o federale di Roma, retto da uno specifico organo di autogoverno, anche nella prospettiva della federazione Europea.

2) Riforma della legge comunale e provinciale, per adeguarla all’ordina­mento regionale, e potenziamento delle autonomie locali con l’istituzione della piccola provincia o distretto democratico (comunità provinciali).

3) Creazione di un ministero della Pianificazione Urbana e Rurale, che riassuma gli attuali organi del Ministero dei Lavori Pubblici, del Comitato di attuazione per il Piano Vanoni, della Cassa per il Mezzogiorno. Studio e messa in atto di un piano generale di industrializzazione e di pieno impiego, mediante una partecipazione attiva alla formazione della nuova economia del Mercato Comune. Tale piano generale, dotato di nuovi potenti strumenti tecnici ed organizzativi, dovrà essere intimamente innestato sulla realtà e la struttura democratica delle comunità locali ed articolato in vista del progresso economico e sociale delle aree sottosviluppate, le valli alpine, le valli appenniniche, le isole e tutto il Mezzogiorno d’Italia.

4) Attuazione di una politica agricola italiana, oggi inesistente, soprattutto in vista degli irrimandabili problemi posti dal Mercato Comune. (…) La varietà del nostro territorio nazionale impone una politica ad indirizzi differenziati, seppur coordinati, che sfrutti attivamente le possibilità regionali anziché limi­tarsi ad improduttive protezioni e a improvvisati e caotici provvedimenti marginali. Inoltre è urgente provvedere allo sveltimento del credito agrario ed al suo capillare decentramento; riorganizzare la distribuzione dei prodotti delle campagne, per eliminare i danni derivanti da illeciti diaframmi tra produzione e consumo, evitando anche qualsiasi forma di monopolio commerciale.

5) Decentralizzazione e democratizzazione del potere economico, attraverso la creazione di Fondazioni autonome di diritto pubblico a fini sociali, culturali e scientifici, comproprietarie dei grandi complessi monopolistici, ivi compresi quelli appartenenti allo Stato.

6) Difesa della libertà sindacale. Garantire, per mezzo della concertazio­ne nazionale, più adeguati minimi salariali e lotta su scala aziendale per una politica economica dinamica di alti salari. Promozione della democrazia industriale (istituzione di consigli sociali di fabbrica), anche attraverso forme di azionariato e di partecipazione agli utili.

7) Rinnovamento della Scuola in vista delle necessità di una moderna società europea, con un adeguato aumento dei bilanci dell ‘Istruzione, oggi del tutto insufficienti.

8) Riconoscimento della necessità del dialogo tra Occidente ed Oriente, come precisa e attiva vocazione europea. La fine della guerra fredda riposa sulla creazione di una unità politica europea socialmente progredita; ed economicamente prospera, che, fedele allo spirito del Patto Atlantico, promuova una politica di pacifica coesistenza e non chiuda gli occhi di fronte alle imponenti realtà delle società extraeuropee.

Come si può capire anche dalla più superficiale delle letture, siamo di fronte a una incredibile lungimiranza. Quasi tutti questi punti sono ancora oggi all’ordine del giorno di coloro che vogliono veramente difendere la Repubblica delle Autonomie e l’Europa dei Popoli.

La campagna elettorale fu molto brillante. L’imprenditore di Ivrea portò il suo “progetto comunitario” in moltissime circoscrizioni (senza interferire con l’autonomia d’azione dei candidati locali e degli alleati). Purtroppo non in tutte, in effetti in meno della metà.

Il simbolo comune era diviso in quattro sezioni: una con la campana con cartiglio di MC; un’altra con una losanga in cui sono inseriti grappolo d’uva, vanga, spiga e ramo d’olivo con scritta trasversale “Partito dei Contadini”; una terza con una linea spezzata rappresentante una fabbrica stilizzata con ciminiera; nella quarta le teste dei Quattro Mori di Sardegna.

I partiti popolari di quello che poi diventerà il centrosinistra si presentarono forti del buon andamento dell’economia italiana, ma anche appesantiti da anime centraliste e conservatrici (spesso reazionarie). Il Partito Comunista era in crisi per le vergogne di Stalin rivelate da Krusciov. La situazione non sembrava sfavorevole per una proposta come quella dei comunitari, radicalmente nuova certo, ma che però aveva già dimostrato di essere incarnata da persone competenti nel governo di molti comuni.

Purtroppo la sera di lunedì 26 maggio 1958, i numeri si rivelarono avari: 173.227 voti per la coalizione comunitaria, lo 0,59 %. Viene mancato il quorum nazionale dei 300.000 voti, previsto dalle norme di allora. L’unico deputato eletto, dopo aver ottenuto il quoziente intero nel suo collegio piemontese, è lo stesso Adriano Olivetti. Nella sua circoscrizione Torino-Novara-Vercelli Asti, MC raggiunge il 4,5% e l’industriale-filosofo ottiene 18.000 preferenze.

Erano mancati ulteriori raccordi con le altre forze autonomiste e con altri territori. Erano stati feroci gli attacchi degli estremisti di sinistra e di destra (a quel tempo in Italia ci sono ancora ben due partiti monarchici e gli apparati dello stato sono pieni di reduci del fascismo, per nulla pentiti). Fuori dai luoghi dove le persone avevano toccato con mano i risultati di una politica territoriale competente e vicina ai bisogni della povera gente – il Canavese, Terracina, Matera – la proposta comunitaria era semplicemente troppo avanzata per i tempi.

 

2023 09 03 autonomisti frammentati nel 1958

Epilogo ed eredità del Movimento Comunità

Nonostante la delusione, né Adriano Olivetti, né il Movimento Comunità si fermano.

Aprono una interlocuzione con Amintore Fanfani e appoggiano il governo Fanfani II, un gabinetto che per molti aspetti può essere definito il primo di una stagione di centrosinistra.

Nel 1959 Fanfani nominerà Adriano Olivetti vicepresidente operativo dell’UNRRA-Casas. Si tratta di un ramo operativo italiano della United Nations Relief and Rehabilitation Administration (CASAS sta per Centro autonomo di soccorso ai senzatetto),che aveva già svolto e svolgerà ancora, su impulso dell’industriale-filosofo, un ruolo cruciale per i progetti di Matera, il villaggio rurale di Cutro, la comunità residenziale di San Basilio a Roma, il borgo (non realizzato) di Porto Conte ad Alghero.

Olivetti nel frattempo sta anche reagendo nella sua vita imprenditoriale alle incomprensioni che si erano nel frattempo scatenate nell’azienda di famiglia. Riprende a scrivere, a viaggiare, a immaginare, finché però non viene fermato dal destino.

Il 27 febbraio 1960 Adriano Olivetti salì alla stazione di Arona su un treno che avrebbe dovuto portarlo a Losanna. Appena entrato in Svizzera, nei pressi di Aigle, poco dopo le 22, fu colpito da una emorragia cerebrale. Il treno si fermò e Olivetti fu portato in ambulanza all'ospedale locale, ma i soccorsi furono inutili.

La morte improvvisa del fondatore suscitò una vasta emozione. Sulla rivista del Movimento Comunità apparvero pensieri e ricordi inviati da persone del calibro di Fanfani, Le Corbusier, Montale, Mumford, Moro, Nenni, Parri, Spinelli e molti altri.

Alla Camera dei deputati continuò a lavorare il primo dei non eletti, Franco Ferrarotti (a cui Adriano Olivetti aveva già ceduto il seggio alla fine del governo Fanfani II). Fra le altre iniziative, il rappresentante del Movimento Comunità si contraddistinse per la presentazione di una mozione per la “Costituzione Europea”. La mozione Ferrarotti fu sottoscritta anche dai repubblicani Ugo La Malfa e Oronzo Reale, dal socialista Riccardo Lombardi e dai democristiani Vittorino Colombo e Fiorentino Sullo. Il testo di quella mozione, scritto con il contributo di Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, è una delle cose forse troppo in fretta dimenticate dell’avventura comunitaria, visto che anticipava di almeno trent’anni l’evoluzione del processo di integrazione europea (Spinelli riuscirà a far approvare al Parlamento europeo un progetto costituente solo nel 1984).

Mentre il Movimento Comunità stava smobilitando come forza politica nei pochi territori dove aveva una consistenza, incoraggiando i suoi eletti a continuare nella vita amministrativa affiliandosi ad altri partiti riformisti e vicini all’umanesimo socialista e cristiano che aveva ispirato MC, nel 1962 fu istituita la Fondazione Adriano Olivetti, destinata a custodire la memoria delle mille e una opere dell’industriale-filosofo, ma anche gli archivi della sua fragile creatura politica dedicata alla costruzione di comunità locali espressione di una civiltà materialmente prospera e spiritualmente evoluta.

Fra le molte eredità preziose che il comunitarismo di Olivetti lascia a noi che facciamo civismo, ambientalismo, territorialismo nel XXI secolo, due sono particolarmente importanti: primo, per il Movimento Comunità, la democrazia autentica è quella locale, che si esprime nella sovranità degli elettori di scegliersi delle guide per le proprie autonomie locali; secondo, negli organi di rappresentanza, di governo, di amministrazione, devono essere mandate persone di qualità, esperte, preparate, già sperimentate nella vita e nel lavoro. Entrambi questi due principi, peraltro, sono stati spazzati via dalle degenerazioni degli ultimi decenni (una combinazione micidiale di leaderismo populista e antipolitica forcaiola, che fa rimpiangere la vecchia repubblica dei partiti popolari).

E’ tempo di riscoprirli, quindi, questi comunitari olivettiani e i loro principi, per ripristinare sia le autonomie locali, con la connessa sovranità degli elettori nella scelta degli eletti, sia modalità severe di formazione e selezione di coloro che si candidano.

Anche da questi principi basilari si avvia la ricostruzione delle comunità, la riscoperta della socialità, la valorizzazione dei beni comuni, la ricostruzione di servizi pubblici veramente universali, dal basso.

Erano utopie le aspirazioni del Movimento Comunità negli anni di Adriano Olivetti? Forse, ma esse sono ancora tutte desiderabili e forse persino più urgenti oggi, in un mondo in cui le istituzioni sono degradate e gli spazi di autorealizzazione delle persone compressi.

Oggi i lavoratori e le famiglie hanno perso sicurezza economica e soprattutto speranza, rispetto ad allora, ma in una cosa non siamo certamente peggiorati: oggi non solo 300.000 ma milioni di cittadini possono capire e soprattutto esigere le cose belle, per tutti non per pochi, immaginate da Adriano Olivetti e dal Movimento Comunità. Questo è il cantiere che ci è stato lasciato, quindi al lavoro.

 

acura diMilian Racca e Mauro Vaiani

Villamiroglio – Chivasso – Ivrea – Prato,18 settembre 2023

 

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La principale fonte delle notizie storiche riprese in questo scritto è il volume "Storia del Movimento Comunità" di Giuseppe Iglieri, Edizioni di Comunità, nell’edizione ebook kindle del 2019). Abbiamo consultato anche “Adriano Olivetti - La biografia” di Valerio Ochetto (Edizioni di Comunità, ultima edizione 2013), oltre ad alcuni siti:
https://www.fondazioneadrianolivetti.it/
https://www.edizionidicomunita.it/
http://www.fondazionesardinia.eu/
http://www.viniciomilani.it/
https://federica-alatri.it/
https://anpichivasso.blogspot.com/
https://www.fivl.eu/associazioni-federate/assoc-volontari-della-liberta-piemonte-torino/
https://it.wikipedia.org/wiki/Gabriele_Panizzi e altre pagine Wikipedia

 

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Dalla cultura montanara l'idea universale di bioregione

  • Autore: Omaggio a Tavo Burat - Monte Rubello (Trivero, Biella), 11 gennaio 2024

In questo tempo di centralismo autoritario, che produce inevitabilmente povertà, disumanità e infine guerra, ci stringiamo alle radici più profonde del nostro umanesimo territorialista, ecologista e libertario.

Questo anno 2024sarà cruciale perstudiosi, attivisti, amministratori locali che seguono il nostro Forum 2043.Dovranno affrontare le elezioni europeeinsieme alla nostra famiglia politica EFA e al patto Autonomie e Ambientee le elezioni regionali inSardegna,Abruzzo, Umbria, Basilicata e Piemonte. Siamo attesiall’impegno per ilrinnovo di migliaia di amministrazioni comunali, nelle quali c’è sempre più bisogno del nostro patrimonio di civismo, ambientalismo, territorialismo.QuestoForum 2043intende esserefonte di ispirazione e formazione per tutti coloro che vorranno lanciare un messaggio di speranza e di pace alle generazioni future,contro larassegnazione a essere sudditi in una società percorsa da centralismi (tecnologici, economici, militari, politici) sempre più autoritari.

A fine anno 2024 sarannoanchequindici anni dalla scomparsa di Tavo Burat (al secoloGustavo Buratti Zanchi, Stezzano, 22 maggio 1932 – Biella, 18 dicembre 2009).

Il Forum 2043 gli dedica questo omaggio, perché è a lui che dobbiamo la messa a fuoco del concetto di “bioregione”, un’idea centrale per tutti i movimenti civici, ambientalisti, territorialisti, di emancipazione dei contadini e di tutti i lavoratori.

Tavo Burat è stato scrittore, poeta, giornalista, docente, politico, storico, studioso, ma soprattutto attivista per le biodiversità, le diversità etno-linguistiche, le autonomie locali. Si laureò, non a caso, con una tesi sul diritto del cantone dei Grigioni, lo stato svizzero che è a sua volta una piccola svizzera, in cui comuni di diversa lingua e cultura convivono, ciascuno occupandosi della propria comunità e del proprio territorio.

Fu il fondatoredellarivista in lingua piemonteseLa slòira e direttore della rivistaAlp.Fu studioso delle tradizioni popolari alpine, deltuchinaggio,delmovimentoevangelico diFra Dolcino. La ricerca scientifica su Dolcino lo coinvolseal punto da spingerlo, da cristiano valdese qual era, a dichiararsi “neodolciniano”.

Il 14 settembre 1974, seicento anni dopo l’ultima condanna degli apostolici dolciniani, volle un cippo dedicato a Fra Dolcino sul Monte Rubello (montagna “ribelle”), al posto dell’obelisco che, nel 1907, nel sesto centenario della morte del frate, gli avevano dedicato gli operai anarchici e socialisti della Valsesia e che era stato distrutto dai fascisti. Ogni anno, nei pressi del restaurato cippo, si celebrano ancora raduni libertari la seconda domenica di settembre.

Del comitato promotore del nuovo monumento fanno parte, tra gli altri, Cino Moscatelli, epico comandante della Resistenza partigiana, Dario Fo, Franca Rame e Osvaldo Coisson, uno dei redattori di quella “Dichiarazione di Chivasso” del 13 dicembre 1943, con la quale si prefigurava per l’Italia e per l’Europa, un futuro di federalismo e autonomie per le valli alpine e in realtà per ogni territorio. La Carta di Chivasso ha anticipato di decenni le istanze decentraliste di tutto il mondo, da Gary Snyder, a Kirkpatrick Sale, Peter Berg, Raymond Dasmann, portando antichi valori confederalisti nella modernità industriale e restando attualissima ancora oggi nel XXI secolo globalizzato.

Tavo Burat era interessato all’eresia contro ogni autoritarismo. Studiava e parlava le lingue minoritarie. Percorreva le Alpi meno celebrate e più lontane dalle rotte turistiche, perché per lui le montagne erano sempre state un rifugio, il luogo più amato da gente perseguitata perché parla lingue incomprensibili al potere centralista costituito.

Nell’ottobre 1975 Burat, che allora era segretario per l'Italia dell’Associazione internazionale per la difesa delle lingue e delle culture minacciate (AIDLCM), di cui era stato uno dei fondatori a Tolosa nel 1964, organizzò a Lecce, insieme ad Antonio Piromalli, un convegno in difesa delle minoranze linguistiche, a cui partecipò anche Pier Paolo Pasolini (per il grande poeta, regista e intellettuale friulano, in pratica, fu l’ultimo intervento pubblico prima del suo assassinio).

Fu consigliere comunale a Biella, assessore della Comunità montana Bassa Valle Cervo dal 1970 al 1993, impegnato in molte istituzioni comunitarie, culturali e storiche. Aveva iniziato l'attività politica nel PSI, prima di diventare uno dei fondatori delle Liste Verdi, diventando uno dei proponenti del primo statuto confederale degli ecologisti italiani nel 1985. Nel tempo proseguì il suo impegno spirituale, culturale, storico e politico.

Alla sua morte, nel 2009, in conformità con la sua storia di difesa delle culture locali, volle essere sepolto avvolto nella bandiera dei Sinti piemontesi.

Civiltà montanara e autonomia bioregionale

di Tavo Burat*

Per bioregione si intende un luogo geografico riconoscibile per le sue caratteristiche di suolo, di specie animali e vegetali, di microclima, oltre che per la cultura umana che da tempo immemorabile si è sviluppata in armonia con tutto ciò. Le valli alpine, come la Valle Sesia, costituiscono - o meglio, costituivano - bioregioni, e cioè insieme biologici tendenti all'autosufficienza ed all'autoproduttività, che si sono adattati alle condizioni dei loro habitat dove si realizza un "equilibrio circolare" tra tutti i fattori (produttori di energia, consumatori di energia, eliminatori dei rifiuti).

Le popolazioni inserite nella bioregione formano comunità locali conferenti veste concreta a quello spirito di Gemeinchaft, cioè di "comunità di destino" entro cui si esprimono secoli di produzione culturale, in spazi per lo più liberi dai condizionamenti, affrancati dalla subalternità, caratterizzati da una produzione culturale autonoma e cioè non eterodiretta.

Orbene, a me sembra che per comprendere Dolcino, Margherita e la loro relazione con la Valle Sesia, sia necessario rapportarli alla bioregione teatro della loro epopea del 1305-1307. Quella Valle Sesia che, con il trattato di Gozzano del 1275, aveva conquistato con decenni di guerriglia contro i feudatari Biandrate prima e i centri metropolitani di Vercelli e Novara poi, una quasi indipendenza; "quasi" perché I' Universitas valsesiana corrispondeva - utilizzando un termine moderno - ad un protettorato: infatti, per trattati e contese con potenze forestiere era pur sempre necessario l'assenso della città di Novara.

(...) Si trattava di vere comunità reali, non personali, caratterizzate dalla coesistenza fra la proprietà privata e quella collettiva. La prima era limitata alla abitazione, alle armi, agli utensili da lavoro, al bestiame ed a poca terra; la grande proprietà - i campi coltivabili, le brughiere e gli alpeggi per i pascoli, i boschi - era comunitaria, e il godimento delle sue singole componenti era stabilito da "regole" scaturite da assemblee di uomini liberi, vale a dire da coloro che portavano le armi e che al prezzo della vita difendevano quella proprietà.

In alcuni Cantoni della Svizzera primitiva si è conservata la Landsgemeinde, assemblea per gli affari comunali e cantonali che emana leggi e regolamenti secondo i dettami della democrazia diretta, e la partecipazione è un diritto-dovere riservato sino a non molti anni fa agli uomini atti alle armi. Le comunità longobarde diedero vigore a tali assemblee degli uomini liberi, gli arimanni. Queste comunità erano chiamate vicìnie (vicinanze nel Biellese) comunaglie nell' Appennino parmense, regole, appunto, nel Cadore e nel Veneto.

L'etica che informava lo spirito comunitario sull'inalienabilità del suolo, era di voler conservare intatto il patrimonio collettivo.

(...) La comunità rurale-alpina può quindi definirsi come un insieme di famiglie vicine che coltivano un dato territorio soggetto a regole di utilizzazione collettiva, ed è l'antenata della maggior parte degli odierni Comuni "politici": in Svizzera sussiste tuttora il "doppio comune": quello moderno, "politico", e quello detto, in Canton Ticino e nei Grigioni italiani, "patriziale", corrispondente alla nostra vicìnia competente per l'amministrazione dei beni comunitari e per gli "affari pauperili" (cioè, l'assistenza).

(...) In molte alte valli, quegli "uomini liberi" poterono conservare con le armi i loro privilegi, cioè la loro autonomia, le loro "regole"; le vicìnie riuscirono a sopravvivere specialmente sulle montagne (divennero i cosiddetti "usi civici") e si conservarono sino all'inizio del secolo XIX; in Valsesia, ricordiamo la strenua battaglia autonomista dell' on. Aurelio Turcotti (Varallo 1808 - Torino 1885) canonico, ma poi fieramente eretico che manifestò nei suoi scritti simpatia per Dolcino, al Parlamento subalpino nei banchi della "montagna", la sinistra in cui sedeva Angelo Brofferio (su Aurelio Turcotti si veda: Tavo Burat, Le intuizioni di un profeta sconosciuto, in "Riforma", anno XlI, n° 11 (12-03-2004), p. 5; ldem, Aurelio Turcotti, eretico valsesiano, autonomista e federalista, né "L'impegno", a. XXIV n° 2 (dicembre 2004) pp. 121 – 128).

(...) Come abbiamo più volte sostenuto, la comunità cristiana che Dolcino ed i suoi seguaci proponevano come preconitrice del "Regno" era del tutto speculare, omologa, a quella dei montanari specie dell'alta valle non soggetta alle influenze mercantili della pianura: infatti vi si riscontrano i medesimi valori fondamentali: solidarietà e fratellanza, comunione dei beni, rifiuto di ogni tipo di balzello (taglie, o decime che fossero), parità uomo-donna, nessun servo nessun padrone, ma Dio unico "Signore"; rifiuto del denaro (si pensi al fondatore del movimento Apostolico, predecessore di Dolcino, quel Gherardino Segalello, "libertario di Dio" che gettò via i denari, francescano anarchico, salito al rogo l'anno 1300 a Parma) poiché l'economia era fondata sul servizio comunitario e sul baratto.

Dolcino testimoniava nel messaggio evangelico radicale la validità dell'ordinamento giuridico alpino, rivitalizzato dai Longobardi e minacciato dal Diritto romano che montava dai centri urbani della pianura.

La "crociata", invece, era la messa in opera di uno strumento oppressivo per l'affermazione dei princìpi antitetici: gerarchia; privilegi riconosciuti ai Signori feudali, laici o ecclesiastici che fossero; la donna considerata veicolo diabolico; la moneta sonante, anziché il libero scambio.

La sconfitta di Dolcino segnerà l'inizio della fine della civiltà alpina: alla luce del sole rimarrà l'ordinamento giuridico latino; ai "resistenti" resterà il buio dei boschi e della notte, dove troveranno rifugio i banditi; le donne "vestali" dell'antica cultura agreste diventeranno "streghe". Le fate giovani e belle saranno tramutate dalla cultura vincente in vecchie malefiche megere. La pratica del libero scambio in sfida alla legge sarà dei contrabbandieri.

Le alte valli alpine presenteranno nella loro decadenza economica, politica e sociale tutti i caratteri delle colonie, così come appaiono nel Terzo Mondo: le materie prime prodotte (si pensi ai metalli, cominciando dall'oro, ma anche all'acqua, bene quanto mai prezioso), sono consumate e trasformate nelle metropoli; le popolazioni sono territorialmente divise con confini estranei alla loro realtà economica sociale (le etnie alpine sono le medesime nei due versanti: provenzali o occitani, francoprovenzali, walser, retoromanci o ladini, tirolesi, carinziani, sloveni); le valli costituiscono una grande riserva di mano d'opera (serve, e poi operai) e di buoni soldati; il sistema viario di comunicazione da orizzontale tra valle e valle, sostituito da quello a raggiera che parte dai centri metropolitani per facilitare la pianurizzazione delle attività economiche; il capitale locale sparito, è sostituito da quello dei metropolitani, che a poco a poco si impadroniscono della terra (turismo speculativo che espelle gli indigeni); la produzione agricola, artigianale, soppiantata da quella industriale metropolitana; gli indigeni considerati culturalmente alienati, minus habentes e gli idiomi che esprimono la loro cultura bistrattata, degradati da valore "lingua" a “minus-valore”, dialetto, da estirpare e buttare (la rapina del minus-valore, dopo quella del plus-valore!).

Economia, cultura e lingua delle élites metropolitane si impongono sempre più nelle periferie: quanto è "alternativo", resistente alla globalizzazione, viene via via sospinto ai margini, o buttato a mare (come avvenuto nelle aree celtiche: in Scozia, Galles, Irlanda; Bretagna e per quella occitana, in Francia) dalla potenza economica metropolitana (di Londra o Parigi); da noi la "resistenza" è compressa contro le montagne, nelle Valli, sempre più in alto. Laddove i popoli indigeni non concordano con i piani elaborati dalle élites, che mistificano il proprio interesse facendolo apparire "progresso" tout court, essi possono essere sempre rappresentati quali terroristi pericolosi, primitivi, gretti egoisti, ostacolo allo sviluppo.

E' l'inversione dell' etica: colto, aperto e positivo il "cittadino"; ignorante e rozzo, testardo e meritevole al più di "conversione" di "emancipazione", quando non di severa condanna, il montanaro, "villano" insomma: un "eretico", cui un tempo spettava l'abitello giallo o il rogo, ed oggi il disprezzo sociale del benpensantismo cittadino. E' l'antica favola del lupo a monte e del povero agnello a valle, colpevole di aver intorbidito l'acqua …

(…)...lo scrittore friulano Carlo Sgorlon, in un romanzo (L'ultima valle, edizioni Oscar Mondatori, Milano 1989 pp. 54-55) racconta "la moderna e sempre valida favola delle prevaricazioni dell'uomo sulla natura; favola antica della dabbenaggine e del miraggio del progresso che, alleati contro l'equilibrio della creazione, scatenano il sangue ferito della terra. Perché uccidono il passato, scambiandolo per passatismo, in nome di un avvenire che è furto, sconsacrazione, improvvisata padronanza del fuoco degli déi". In questo libro si staglia la figura di Siro, un montanaro contrario alla strada e alla diga progettata ed in fase di realizzo: il romanzo è ispirato alla tragedia del Vajont anche se i toponimi sono mutati.

A chi diceva a Siro; "sei tu fuori dal tempo. Dov'è il pericolo? Nei lavori della strada?" replicava: "ma certo. Cominciano sempre con una strada. Se lasciate che la strada si faccia, poi sarà tardi per ogni cosa". Lui conosceva le loro tecniche, le aveva viste applicate in molte altre valli.

Dopo la strada veniva gente che avrebbe messo le mani ingorde su ogni cosa. Avrebbe sventrato i boschi per farne da sci, costruito ogni possibile diavoleria, seggiovie, impianti di risalita, funivie per salire in cima alla montagna senza muovere un solo passo; avrebbe fabbricato alberghi, rovinato i nevai del massiccio, e le valli e le montagne sarebbero state percorse da una ragnatela di fili di acciaio e di piloni di cemento. Avrebbero deviato le acque... "Le acque? Cosa c'entrano le acque?" Non lo so. Dico per dire. So soltanto che rovinano tutto. "Siro, ragiona. La gente della valle aspetta da decenni che la strada sia fatta". Ma lui non voleva ragionare. Era sconvolto dalla sua passione, e continuava a dire che bisognava fare una lega di tutta la gente per bloccare il progetto che ci minacciava, correre in tutti i paesi a soffiare con ogni forza dentro l'antico corno di bue, per gettare l'allarme...

(…) Sgorlon ci spiega così, sia pure molto indirettamente, perché il movimento contro il Treno Alta Velocità -TAV- in Valle Susa abbia emblematicamente "recuperato" fra Dolcino: è la seconda volta, dopo gli anni di fine - principio secolo, quando il movimento operaio Valsesiano e Biellese onorò il "precursore", che un movimento popolare riscopre Dolcino e lo rivendica.

In Valle Susa, e in internet circola una significante lettera, firmata "Dolcino e Margherita, da nessun luogo" (utopia!) che è un inno alla libertà della montagna, una strenua difesa di quella "bioregione" che una colossale strada ferrata vorrebbe ancor più sconvolgere.

Una valle già percorsa da autostrade, superstrade e ferrovia, sconquassata da una "grande opera" che prevede montagne scavate per quindici anni, con un milione di metri cubi di materiale pericoloso da trasportare da qualche parte; cinquecento camion in transito giorno e notte nella valle per trasportare i detriti scavati; tonnellate di polvere circolante nell'aria: le verifiche secondo le quali non ci sarebbe amianto nei terreni si sono rivelate inattendibili, il movimento "No Tav" ne ha portato alla luce le lacune dal punto di vista scientifico e la Procura di Torino ha aperto un' inchiesta.

Si estende la desolazione di panorami cementificati, la distruzione di prati, l'ombra di viadotti, il grigio delle decine di piloni di cemento, antenne e tralicci aumentati in modo esponenziale, inoltre le falde deviate e prosciugate, le acque inquinate. Ma l'opera che costa miliardi e miliardi di sicuro non solo è dannosa, ma inutile, perché il rapporto tra trasporto merci e Pil cresce fino a quando lo sviluppo economico di un Paese non raggiunge una certa soglia, dopo la quale si stabilizza e decresce: i dati europei Eurostat evidenziano come in Europa il rapporto tra tonnellate per km di merci (indicatore di qualità di trasporto delle merci) e PiI, tra il 1997 e il 2002, è rimasto invariato; per l'Italia è stazionario.

II movimento che ha riconosciuto in Dolcino un emblema, antepone la tutela delle bioregione e della salute agli interessi di coloro che Sgorlon chiamava i "nuovi feudatari", cioè poche ma potenti lobby economiche, spesso trasversali negli schieramenti politici.

In realtà, si confonde il "progresso", che è liberazione dal bisogno e dal servaggio, con lo "sviluppo" che non deve essere infinito e che è destinato a schiantarsi a grande velocità contro la barriera del limite ecologico. Si sostiene che la TAV è indispensabile, altrimenti l'Italia non si modernizza, ma senza fondarsi su dati e fatti nazionali. E Luciano Gallino si chiede se non siano proprio gli abitanti della Val Susa a fare, invece, il vero interesse nazionale, e che stiano spronandoci a pensare se è davvero conveniente trasformare l'Italia nella piattaforma logistica d'Europa, e se la perseveranza di realizzare la TAV senza valide ragioni sia conseguenza dell'incapacità di esplorare in modo corretto altre opportunità di cui disponiamo.

Forse questi Dolcino e Margherita strenui difensori della bioregione alpina, e cioè di una regione-comunità in osmosi con il territorio, sono trascendentali, più attinenti ai personaggi mitici, tramandatici dalla tradizione popolare, che a quelli storici. Da Robin Hood a Farinet, la leggenda sembra consegnarci, meglio dei documenti, una realtà più significante, certamente più coinvolgente e affascinante. Andrè Malraux lasciò scritto: “solo il leggendario è vero”. Prima di lui, Beaudelaire aveva esclamato: “Sei sicuro che questa leggenda sia proprio vera? Ma che m’importa, se mi ha aiutato a vivere!”. E Alessandro Dumas va ancora oltre: “Si può violare la storia, purché ci faccia un bel figlio!”.

Dolcino e Margherita, furono torturati atrocemente ed arsi il 1° giugno 1307. Malgrado sei secoli di demonizzazione, il movimento operaio li riconobbe precursori della lotta per il riscatto degli oppressi, ed a Dolcino innalzò sul monte Massaro un obelisco alto 11 metri, abbattuto vent' anni dopo, nel 1927, dal regime fascista. Ancora una volta si credeva di averla "fatta finita" con siffatti simboli scomodi. Il bisettimanale della curia scrisse allora che "quel povero cumulo di pietre aveva cessato di essere, come si augurò e si credette dai promotori, un faro ed un punto di riferimento".

Ma non fu cosi: nel 1974, l'anno in cui il pensiero laico trionfò respingendo con un referendum la proposta di abrogare la legge che introduceva il divorzio nell'ordinamento giuridico italiano, sui ruderi di quell'obelisco sorse un cippo. Oggi Dolcino e Margherita fanno sentire le loro voce "altra", come eroi dell'autonomia e della salvaguardia delle bioregione.

Per dirla con Giuseppe Giusti, "dopo morti sono più vivi di prima".

* Fonti

- Quaderno n. 37 del Centro di iniziativa politica e culturale di Cuneo (CIPEC), dal sito http://www.cipec-cuneo.org/quaderni/cipec37.htm.

- Il libro di Tavo Burat, “Fra Dolcino e Margherita – Tra messianesimo egualitario e resistenza montanara”, Edizioni Tabor, 2013; segnatamente l’ultimo capitolo: “Civiltà montanara e autonomia bioregionale”, che riprende un precedente lavoro di Tavo Burat presentato a un convegno di studi dolciniani a Varallo il 4 novembre 2006 e i cui testi sono ripresi anche nel sopra citato Quaderno n. 37 del CIPEC.

- LA BÜRSCH - Centro di Documentazione dell'Alta Valle del Cervo, sul sito https://www.altavallecervocentrodoc.it/.

- “Ritornare selvatici - le parole nomadi di Tavo Burat”,docufilm prodotto daEcomuseo Valle ElvoeSerra,regia di Giuseppe Pidello e Maurizio Pellegrini(https://www.videoastolfo.com/ritornare-selvatici).

- https://it.wikipedia.org/wiki/Gustavo_Buratti.

 

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I podcast di Radio Onyx per Autonomie e Ambiente

Radio Onyx, una emittente svizzera di lingua italiana, intervista esponenti di Autonomie e Ambiente. Sono già disponibili le conversazioni con Mauro Vaiani (rappresentante di Comitato Libertà Toscana nella presidenza collegiale di AeA), Alfonso Nobile (rappresentante di Siciliani Liberi nello stesso organismo che regge AeA), Daniel Baissero (assistente nel Gruppo consiliare regionale del Patto per l'Autonomia Friuli-Venezia Giulia); Fabrizio Barnabè (Movimento per l'Autonomia della Romagna), Emiliano Racca (rappresentante di Liberi Elettori Piemonte nella presidenza AeA), Luca Azzano Cantarutti (Patto Autonomia Veneto), Julijan Čavdek (Slovenska Skupnost). E il viaggio nei diversi territori continua...

Qualche giorno dopo la loro messa in onda, saranno disponibili i podcast, sul canale YouTube di Autonomie e Ambiente.

Radio Onyx si ascolta via internet, grazie alla app TuneIn. Per maggiori informazioni: https://www.facebook.com/onyxradio.

Qui una guida ai podcast già disponibili:

1) Intervista a Mauro Vaiani (rappresentante di Comitato Libertà Toscana nella presidenza collegiale di AeA): cosa è Autonomie e Ambiente; la prospettiva dell'autogoverno di tutti dappertutto; non servono nuovi partiti nazionali, ma una nuova generazione di attivisti locali; nel breve termine AeA lotterà per il ritorno alla Costituzione e agli Statuti come essi sono; in prospettiva ogni territorio dovrà poter seguire il proprio percorso verso l'autogoverno e, insieme, puntiamo a una nuova repubblica ispirata al confederalismo; non ci contenteremo di niente di meno dell'autogoverno di cui godono comuni e cantoni svizzeri - Andata in onda lunedì 18 gennaio 2021.

2) Intervista ad Alfonso Nobile (rappresentante di Siciliani Liberi nella presidenza collegiale di AeA) : cosa vuol dire avere un partito per la Sicilia, Siciliani Liberi; in un mondo di forze politiche verticiste e autoritarie, lideristiche e personalistiche, Siciliani Liberi sta costruendosi come strumento per consentire la partecipazione dei cittadini siciliani al loro autogoverno; lo Statuto speciale della Sicilia è stato tradito, mentre, se attuato, può essere un esempio per tutti i territori - Andata in onda lunedì 25 gennaio 2021.

3) Intervista a Daniel Baissero (assistente del gruppo consiliare regionale del Patto per l'Autonomia Friuli-Venezia Giulia): il Patto, una forza autonomista giovane e innovativa, erede di aspirazioni antiche; impegnata per le comunità locali in una regione crocevia (dove si parlano friulano, italiano, sloveno e tedesco) - andata in onda lunedì 1 febbraio 2021.

4) Intervista a Fabrizio Barnabè (segreteria e coordinamento del Movimento per l'Autonomia della Romagna - MAR); il MAR, una lunga storia di promozione, per via democratica, attraverso un referendum, dell'autonomia della Romagna; in dialogo, con Autonomie e Ambiente, con le forze decentraliste di tutta Italia ed Europa; il caso emblematico del tradimento della volontà popolare di Montecopiolo e Sassofeltrio - in onda lunedì 8 febbraio 2021.

5) Intervista a Emiliano Racca (Liberi Elettori Piemonte); i Liberi Elettori del Piemonte stanno creando una nuova stagione autonomista in Piemonte, dal basso, attraverso la rinascita delle culture e delle lingue locali, entrando nei piccoli comuni per portare innovazione e buongoverno; il movimento sostiene le istanze di autogoverno che hanno radici profonde, basti pensare alla Carta di Chivasso, all'Ossola, alle comunità occitane, ai Walser, alla storia valdese, alle tante lotte per l'emancipazione sociale e la tutela ambientale delle valli alpine, alla rinascita della lingua e della cultura piemontese - in onda lunedì 15 febbraio 2021.

6) Intervista ad Alfredo Gatta (Pro Lombardia Indipendenza); la voce di un movimento storico nella regione più grande e popolosa della Repubblica Italiana, che cerca di coniugare antiche istanze di autogoverno con le nuove urgenze sociali e ambientali; l'impegno a superare gli errori del passato (nordismo miope, gestione verticistica del leghismo) - in onda lunedì 22 febbraio 2021.

7) Intervista a Luca Azzano Cantarutti (Patto Autonomia Veneto): la voce di un movimento nuovo in una regione come il Veneto dove la volontà popolare di autogoverno è massiccia, ma non riesce a trovare uno sbocco politico, attorno a un progetto di autonomia praticabile, dopo trent'anni di inconcludenza leghista e nordista - in onda lunedì 1 marzo 2021.

8) Intervista a Julijan Čavdek (Slovenska Skupnost): la parola a un esponente della minoranza slovena che vive in una trentina di comuni, ai confini tra Friuli e Venezia Giulia con la repubblica di Slovenia - in onda lunedì 8 marzo 2021.

9) In preparazione: intervista a Patrie Furlane.

 

 

 

 

 

 

 

 

Memoria e liberazione

 

Il Giorno della memoria del 27 gennaio 2023 viene ricordato dalle forze civiche, ambientaliste, autonomiste, come momento di consapevolezza che furono i grandi stati centralisti e autoritari ad organizzare persecuzioni, deportazioni e sterminio. Senza una enorme stato burocratizzato, industrializzato, militarizzato, interamente mobilitato, capace di invadere e occupare per anni l'intera Europa, non ci sarebbe stato l'abisso della "soluzione finale", non sarebbe stata possibile la Shoah. Non dobbiamo deflettere dal nostro sostegno a tutti i popoli del mondo in cammino verso la liberazione, in lotta contro.l'oppressione che è sempre possibile nei grandi stati centralisti. Vale per tutti i territori, non solo per chi resiste, si ribella e muore in Russia, Ucraina, Cina, Iran, Etiopia, Nigeria, America Latina. Vale anche per le nostre lotte decentraliste in Italia, in Europa e nei paesi dell'Occidente.

Massimo Moretuzzo, candidato civico, ambientalista, autonomista, alla presidenza della regione Friuli Venezia Giulia, ha ricordato il nostro impegno per una memoria che sia risveglio e liberazione, partecipando alla cerimonia di commemorazione per le vittime della Shoah alla Risiera di San Sabba,a Trieste.

In Toscana, gli esponenti civici, ambientalisti, autonomisti, raccogliendo un suggerimento della lista Un Cuore per Vecchiano e della rete OraToscana, celebrano la Giornata della memoria ricordando che siamo entrati nell'85° anno da quando furono firmate le infami leggi razziali del 1938, dall'infame Savoia, nella reggia di San Rossore (qui un post storico).

In Piemonte il mondo civico, ambientalista, autonomista, di difesa delle culture e delle lingue alpine, coordinato dai Liberi Elettori Piemonte, si avvia a promuovere, insieme con il Forum 2043, un anno di studi e celebrazioni dell'80° anniversario della Carta di Chivasso, che contiene parole vive, oggi più attuali che mai, contro il centralismo autoritario e per la promozione dell'autogoverno di tutti dappertutto.

Alla riflessione contro il centralismo autoritario, che fa strage di diritti e quindi di popoli, hanno contribuito i recenti incontri di Forlì del Movimento per l'Autonomia della Romagna (XXIV assemblea del 21 gennaio 2023, con la commemorazione di Stefano Servadei), e l'assemblea di Siciliani Liberi a Pergusa (22 gennaio 2023, nel settimo anniversario della loro costituzione).