La dottoressa Claudia Zuncheddu è animatrice della Rete Sarda Difesa Sanità Pubblica (la foto di Giampaolo Cirronis la riprende in una manifestazione del settembre '22) e punto di riferimento del decennale cammino del movimento Sardigna Libera. E' impegnata qui nel Forum 2043 per immaginare i "paesi nuovi" da lasciare alle generazioni future sin dall'inizio dei nostri lavori. Nel quadro di un lungo, delicato, rispettoso, inclusivo dialogo tra forze, gruppi, persone attive nella politica sarda, si è associata al progetto di Autonomie e Ambiente. Questo scritto è anche quindi, non casualmente vista la sua storia personale e la scelta radicale fatta in proposito da AeA, un'appassionata difesa della sanità pubblica, proprio attraverso processi di autodeterminazione concreta in materie cruciali come acque, energie, cibo, salute. Contiene, infine, un omaggio alla bella figura di Eliseo Spiga: scrittore e politico sardo (nato ad Aosta nel 1930 da genitori sardi migranti e morto a Casteddu nel 2009) che non deve essere dimenticata.
Radici, fallimento, riscatto per l’autogoverno della Sardegna (e non solo)
Claudia Zuncheddu – Cagliari, domenica 4 giugno 2023
Se oggi siamo costretti a commentare gli espedienti retorici di Calderoli e Salvini sull’autonomia differenziata, mentre al potere è andato il governo più centralista della storia della Repubblica italiana, significa che la situazione è davvero grave.
Il ministro delle “porcate” fa quello che ha sempre fatto, ma noi? Noi possiamo attardarci, sulla difensiva, di fronte a processi politici che ormai da un ventennio disconoscono e svuotano tutte le autonomie, quelle personali, quelle sociali, quelle territoriali, preparando le condizioni per esaltare il centralismo autoritario?
Non perdiamo tempo accanto a coloro che, non sapendo come opporsi alla deriva populista, si attardano a discutere delle iniziative del leghismo salviniano, senza capire che quell’autonomia differenziata non si realizzerà mai, mentre il presidenzialismo e altre forme, ancora più opache, di centralismo avanzano.
A questo punto potremmo dire che noi indipendentisti, localisti, autonomisti, convinti sostenitori di forma avanzate di autogoverno e di confederalismo europeo, siamo costretti a mobilitarci contro il rischio che… Vengano minate le fondamenta di questa Repubblica italiana delle Autonomie e di questa Unione Europea disfunzionale. E’ un paradosso? Fino a un certo punto!
Noi che siamo sardi dovremmo aver chiaro, prima di tanti altri territori italiani ed europei, che cosa significa vivere sotto uno Statuto speciale di Autonomia e una Costituzione, carte tradite dal 1948.
Tutti i processi neocolonialisti, tesi a distruggere la nostra identità e la nostra economia locale, si sono solo accelerati, dopo l’avvio dell’ultima globalizzazione, quella del “Washington Consensus”. Dall’Unione Europea, peraltro contro i principi fondamentali dei trattati, sono arrivati capitalisti avventurieri, attacco ai beni comuni, austerità. Dalle rivolte cosiddette “anticasta”, in realtà solo antipolitiche e quindi anche, fondamentalmente, antidemocratiche, abbiamo avuto la contrazione degli spazi di partecipazione e agibilità politica, la scomparsa di fonti trasparenti di finanziamento pubblico dell’attivismo politico, il taglio dei consiglieri comunali, il taglio dei rappresentanti in consiglio regionale, il taglio dei parlamentari (il tutto, ovviamente, con il contemporaneo incistirsi di leggi elettorali ingiuste che discriminano ancor più le minoranze politiche presenti nella tradizione sarda).
Il risultato è, non solo per la Sardegna ma per tutti i territori, che sui media regna una cappa di grigio pensiero unico, le élite sono sempre più oligarchiche, l’alternanza fra i sedicenti “centrosinistra” e “centrodestra” corrisponde sempre più a un gioco delle parti, in una sostanziale continuità delle politiche.
Eppure le popolazioni non sono completamente domate.
Respinsero la disgraziata proposta di riforma costituzionale centralista Boschi-Renzi-Verdini nel 2016. E’ fallita, per mancanza di cultura democratica e autonomista, la protesta populista dei Cinque Stelle. E’ iniziata la parabola discendente del salvinismo e dei suoi decreti sicurezza. La deriva centralista, con l’espropriazione delle competenze territoriali, è tuttora in corso con il Piano di Colao (uomo alla guida della “task force” di Conte e poi ministro del governo Draghi), ma ha il fiato corto. Spogliare i sindaci di responsabilità, risorse, competenze, in materie come la sanità, l’ambiente, l’emancipazione degli ultimi, significa abbandonare queste materie, che hanno bisogno, per loro natura, di essere portate avanti territorio per territorio da autorità locali forti e autorevoli.
A proposito di sanità, vale la pena di ricordare che siamo in piena emergenza. In Sardegna dal 2006, a seguito di un accordo stato-regione, mai equamente onorato dal governo centrale, i costi della sanità sono a carico delle casse sarde con pesanti ricadute sull’economia locale e sulla salute dei Sardi.
La Sardegna è in testa per la mortalità e per la rinuncia alle cure. I pochi medici sardi sono sottopagati e demotivati. Fiumi di malati, che ne hanno la possibilità, vanno a curarsi altrove, arricchendo ancor più le regioni già ricche e le loro avide sanità private. Un fenomeno questo che non risparmia le risorse pubbliche, depauperate per curare numerosi malati in strutture convenzionate, nelle solite regioni opulente.
Per il taglio dei posti letto la Sardegna perde non solo importanti scuole di specializzazione, ma rischia persino la chiusura della Facoltà di Medicina. Neppure i LEA (livelli essenziali di assistenza), imposti dallo stato, a differenza di altre regioni, vengono rimborsati alla Sardegna.
Non stiamo parlando, sia chiaro, di una maledizione biblica che colpisce la Sardegna, ma di un processo generalizzato di svuotamento dell’assistenza sanitaria pubblica in tutte le realtà marginali, le cui conseguenze sono drammatiche nella maggior parte dei territori della Repubblica e anche in molte periferie d’Europa e della globalizzazione.
Da noi è tutto più esacerbato, per via della nostra condizione insulare e per il plateale tradimento di quello che dovrebbe essere uno statuto di autonomia speciale.
La fragilità e l’insicurezza sono la condizione esistenziale a cui ci hanno relegato le politiche centraliste. Allo spopolamento dei nostri paesi e all’abbandono delle campagne lo Stato e la Regione rispondono con la chiusura dei servizi pubblici: scuole, sanità, trasporti. Le regole europee e italiane di austerità e sostenibilità si risolvono in scelte di darwinismo sociale, una impropria selezione in cui sopravvivono i servizi pubblici nelle regioni di più alta densità demografica ed economica, a scapito di quelle che si stanno spopolando e impoverendo.
Tutte le economie locali e tutti i legami sociali sono sotto l’attacco della globalizzazione, delle agende centraliste e conformiste provenienti dall’Europa e dallo stato italiano. In Sardegna è tutto esasperato dalla marginalità geografica e dalla gracilità demografica. In 304 comuni sardi su 377, i decessi superano le nascite. La fuga verso le città (del continente) decreta la morte dei piccoli centri e di ogni speranza.
Fallace è anche la convinzione che lo spazio urbano, anche quello di Cagliari e degli altri pochi centri maggiori della Sardegna, possa essere luogo di incontro, relazioni, innovazione, men che meno agorà democratica o culturale.
L’urbanizzazione è selvaggia anche in un territorio povero come il nostro, anzi forse di più.
Ai ceti poveri, anche nelle piccole città della Sardegna, sono riservate periferie degradate dove le persone sono più sole, più fragili, più ricattabili, più assoggettabili al clientelismo della politica neocolonialista. Crescono sacche di disagio sociale che sono serbatoio di voti indispensabili per la conservazione delle attuali élite al potere.
La nostra speranza è nel distacco dagli schemi dell’attuale disumanizzazione e la riscoperta del comunitarismo proprio della nostra cultura millenaria.
Mentre riprendiamo nelle nostre mani il nostro destino, viene spontaneo un omaggio a Eliseo Spiga. Nel 1998, nel suo romanzo “Capezzoli di pietra“, emerge il suo grido contro un urbanesimo che non è fatto per noi e per quest’isola: “Da noi sovrana è la comunità e il nuraghe è simbolo e scudo della sovranità comunitaria. Noi non costruiamo città ma villaggi. La città è ostile alla terra agli alberi agli animali e inselvatichisce gli uomini, pretende tributi insopportabili per accrescere la sua magnificenza. In essa, i topolini che rodono la mente trovano pascoli lussureggianti per ingigantirsi: ambizione e voglia di potenza, invidia avarizia e brama di ricchezze superflue, slealtà odio e inimicizia verso i fratelli. La città crea specie che noi nuragici detestiamo, come i funzionari del tempio e del sovrano, i servi e gli schiavi. Ci porta un mondo di guerre insensate in cui ogni città combatte contro le altre per dominio e superbia“.
Noi, come popolo, dobbiamo rifiutare di essere deportati in periferie disumane. Come isola della bellezza, dobbiamo impedire di essere sfigurati dalla cementificazione. Non ci interessa di essere considerati “retrogradi” o “superati”.
Fra i tanti misteri della nostra cultura nuragica, gli addetti ai lavori una certezza ce l’hanno: non erano concepite concentrazioni urbane, ma piuttosto migliaia di villaggi nuragici sparsi in tutta la Sardegna, che suggeriscono una società fondata sulla cultura comunitaria e sull’equilibrio con la natura.
Cosa c’è di più antico e così nuovo, quindi, se non riappropriarci della nostra autonomia individuale e collettiva, cioè del nostro autogoverno?
L’autonomia speciale della Sardegna è sin qui fallita, anche perché, nelle illusioni del consumismo e di un malinteso progresso, essa è rimasta ostaggio di dispotici ascari del centralismo italiano, europeo, atlantico.
Oggi, grazie alla riscoperta, su scala europea, dei valori della Carta di Chivasso e della necessità di un nuovo confederalismo dal basso, possiamo rilanciare. Stavolta non in solitudine, ma insieme ai movimenti civici, ambientalisti, autonomisti degli altri territori della Repubblica italiana e dell’Unione Europea, attraverso il lavoro politico, culturale, elettorale di Autonomie e Ambiente.
E’ tempo di tenere fermi i principi e di portare avanti le lotte in cui abbiamo sin qui creduto: dalla resistenza contro la militarizzazione, alla rivolta contro l’inquinamento, alla difesa della salute di comunità e in prossimità, a tutte le nostre iniziative contro il neocolonialismo e contro lo spopolamento.
Dobbiamo dimostrare fermezza, proprio ora che alcuni giovani stanno infine tornando in Sardegna, portando con sé una salutare disillusione, dopo che hanno visto con i loro occhi le crisi degli eccessi neoliberisti.
Possiamo spezzare i processi che ci stanno spopolando e distruggendo e tornare a vivere in armonia con la nostra terra e con i nostri valori più antichi, da cui la società consumistica e capitalistica ha tentato di sradicarci… Non è troppo tardi.
Da quando Eliseo Spiga nel 2000 pubblicò il suo “Manifesto della gioventù eretica e del comunitarismo“, che volle firmare insieme al poeta Francesco Masala e al filosofo Placido Cherchi, è passato un quarto di secolo in cui le grandi macchine livellatrici della globalizzazione si sono inceppate più di una volta.
Le loro pretese di dominio universale si stanno arenando di fronte ai problemi dell’ambiente, all’impossibilità di nutrire e curare il mondo con i prodotti delle multinazionali, agli inaccettabili rischi della guerra infinita, all’imprevedibilità delle aspirazioni dei popoli del mondo.
La nostra riscossa, il nostro recupero di “sardità”, non è in ritardo e, forse, non è più nemmeno in anticipo.
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