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Sud

Comitato Charta di Melfi

Comitato di associati, associandi, alleati e simpatizzanti del Sud (Abruzzi, Molise, Puglie, Salento, Napoli e Campania, Lucania, Calabrie), creato a Melfi il 27 ottobre 2023 - Il referente, Gino Giammarino, assume lo status speciale e personale di vicepresidente.

Nella sala convegni dell’Hostel Il Tetto di Melfi il 27 ottobre 2023 si sono svolti i lavori di Melfi 2023, promossi dal Patto Autonomie e Ambiente, in collaborazione con l’Alleanza Libera Europea (European Free Alliance, EFA), i promotori della Charta di Melfi, attivisti e dirigenti di diversi movimenti del Sud, oltre a intellettuali e cittadini del Melfitano e della Lucania.

Il Patto Autonomie e Ambiente, sorellanza di territorialistidella Repubblica Italiana, fa riferimento alla famiglia politica europea EFA, dove sono presenti i movimenti delle nazioni e dei popoli senza stato, nonché autonomisti civici dell'intero continente.

Il Patto Autonomie e Ambiente parteciperà alle elezioni europee del prossimo 9 giugno 2024. L’incontro di Melfi, città simbolo di cultura, tradizioni, libertà del Sud, è stata una tappa importante di preparazione.

Attraverso la Charta di Melfi del 2019, gli attivisti territorialistidel Sud hanno fatto sintesi fra i valori della Carta di Chivasso del 1943 e i principi internazionalisti e anticolonialisti della Carta di Algeri del 1976. Forti di queste radici profonde essi promuovono in tutto il Sud un nuovo, competente, coraggioso territorialismo civico, ambientalista, identitario.

Cruciale per l'impegno politico ed elettorale è la piattaforma economico-sociale discussa a Melfi, molto innovativa, per molti versi audace, messa a fuoco attraverso lunghi mesi di confronto, finalizzata alla difesa delle diversità e biodiversità e alla promozione delle autonomie  personali, sociali, territoriali, queste ultime come via maestra per l’emancipazione e il riscatto del Sud e di tutti i territori emarginati, oppressi, spopolati e impoverita d’Europa e del mondo.

Tra i temi trattati e le posizioni espresse, la radicale contrapposizione alle concentrazioni di potere finanziario e industriale, l’adesione a proposte innovative come la Petizione europea 941/2018 (primo firmatario l’economista Canio Trione), sulla necessità di dare credito a persone, imprese e comunità a tassi d’interesse diversi a seconda delle diversità territoriali, il rifiuto della Zona economica speciale unitaria per il Sud, la Sicilia, la Sardegna (ZES), che i territorialisti vedono come un nuovo e pericoloso vicereame centralista.

Dalle tesi discusse a Melfi è emerso con chiarezza che non esistono ricette centraliste, grandi progetti, opere faraoniche che possano risolvere magicamente i problemi dei territori che sono impoveriti dalla globalizzazione. Anzi, gli esponenti della sorellanza territorialista hanno voluto sottolineare con forza come il centralismo continui a favorire solo le grandi imprese costruttrici settentrionali, la ulteriore penetrazione dei prodotti del Nord o delle multinazionali, orge di ferro e cemento come il Ponte di Messina, quindi ulteriori perdite di buona terra, paesaggio e identità.

Semplificazioni, resistenza al centralismo digitale, amministrazione locale dei servizi pubblici e dei beni comuni, controllo locale della produzione di energia rinnovabile, “compro Sud”, riforme nella gestione degli immensi debiti pubblici che sono insostenibili e rendono l’Europa schiava di una dipendenza tossica da ossessioni austeritarie sono stati gli altri temi discussi e che resteranno all’ordine del giorno dei prossimi incontri di lavoro del Patto Autonomie e Ambiente nel Sud.

A Gino Giammarino, attivista, editore, referente del Patto Autonomie e Ambiente per il Sud, è stato affidato il compito di coordinare tutte le persone, i gruppi, le realtà politiche del Sud, associate, associande, alleate, simpatizzanti del Patto Autonomie e Ambiente, attraverso il Comitato Charta di Melfi.

Non è un caso che nei simboli di EFA e delle forze della rete del Patto Autonomie e Ambiente ci sia una “E” rovesciata (orientata a sinistra invece che a destra): si tratta del simbolo della volontà dei territorialisti di promuovere – da europeisti convinti – un profondo cambiamento del modello di Europa attuale, attraverso l’autodeterminazione dei popoli, dei territori, delle regioni.

La cronaca della giornata di fondazione: https://www.autonomieeambiente.eu/news/201-a-melfi-al-lavoro-per-una-europa-diversa

 

Contatti

Segreteria interterritoriale:Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Gino Giammarino, referente del Patto Autonomie e Ambiente nel Sud: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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Ultimo aggiornamento pagina: Melfi, 29 ottobre 2023

 

Invito a Melfi - 27 ottobre 2023

Amministratori, attivisti, studiosi e cittadini appassionati di autonomie personali, sociali, territoriali, si incontrano a Melfi per un incontro pubblico, voluto da alcuni degli autori della Charta di Melfi, dal Patto Autonomie e Ambiente, con la partecipazione dell'Alleanza Libera Europea-European Free Alliance (ALE-EFA). L'appuntamento per i partecipanti è presso l'albergo HOSTEL IL TETTO, piazza IV novembre a Melfi, nel cuore della Lucania, per venerdì 27 ottobre 2023 alle ore 9.30. La stampa è invitata alle 11.30 per documentare la conclusione dei lavori.

Il tema dei lavori sarà:

Una nuova economia virale
per i territori del Sud e dell’Europa,
per tutti, non per pochi

Interventi introduttivi di:

  • GINO GIAMMARINO, editore, attivista, referente del Patto Autonomie e Ambiente nel Sud
  • CANIO TRIONE, economista, attivista, autore del libro  “L’economia Virale” (pubblicato dalla Giammarino editore nel 2021)

Coordina: MAURO VAIANI, studioso e attivista, vicepresidente del Patto Autonomie e Ambiente

Conclude: LORENA LOPEZ DE LACALLE, presidente del partito politico europeo Alleanza Libera Europea - Free European Alliance

Saranno presenti dirigenti e rappresentanti di altre formazioni politiche territoriali impegnate, associate, associande, in dialogo con il Patto Autonomie e Ambiente, in vista delle elezioni europee 2024.

Importanti spunti per la discussione sono stati già diffusi, grazie a un lavoro coordinato da Gino Giammarino, dall'economista Canio Trione e da Mauro Vaiani (in coordinamento con gli studiosi che partecipano al Forum 2043, "think tank" civico, ambientalista e territorialista promosso dal Patto Autonomie e Ambiente).

Riassumiamo qui alcune delle tesi che saranno discusse:

Contro il gigantismo - A seguito della globalizzazione, l’economia è fagocitata da grandi conglomerati finanziari e da gigantesche multinazionali, incompatibili con la vitalità dell’economia locale, il bene comune, la democrazia.

Piuttosto che rovine, riforme - I giganti possono crollare sotto il peso delle loro disarmonie interne, certo, oppure per l’insostenibilità dell’economia globale distruttiva, ecocida e genocida, ma lascerebbero il mondo in rovina. Contro il conformismo dominante, contro il pensiero unico che in nome del “mercato” assiste impotente, vogliamo far parte di un movimento politico europeo che ponga una questione drammatica e urgente: i giganti sono troppo grandi per esistere, non troppo grandi per fallire.

Beni comuni, servizi pubblici e monopoli naturali - Nel campo dei beni comuni e dei servizi pubblici, a partire dall’acqua pubblica, siamo per il maggior decentramento possibile delle competenze e per lo spezzettamento dei gestori.

Banche al servizio non al potere - La parabola storica del risiko bancario è giunta, nella Repubblica italiana e nell’Unione Europea, alle estreme conseguenze, producendo posizioni dominanti incontrollabili, elite chiuse in bolle di lusso e di potere, non più in alcun modo al servizio delle persone, delle imprese, delle comunità: un fallimento epocale a cui dobbiamo porre urgentemente rimedio.

Pluralismo nel credito - Non ci interessa l’assistenzialismo, ma vogliamo un pluralismo creditizio ancora oggi sconosciuto: i mutui si allungano, certo, ma le banche pretendono di continuare a usare i soliti vecchi strumenti, mentre la società chiede forme radicalmente nuove di accesso al credito.

Attenuare i difetti dell’Eurozona - Non ci sottraiamo al grande e difficile processo di critica e correzione dei difetti intrinseci e strutturali di un’area valutaria forte ma non ottimale come l’Eurozona, ma vogliamo e dobbiamo cominciare a introdurre dei sollievi concreti. Si devono approntare, territorio per territorio, esperimenti di circolazione di credito locale agevolato con il fine di rendere possibile la partecipazione di tutti al mondo del lavoro e al consumo di beni locali. Si deve pensare, da subito, a rendere possibile che in regioni diverse non ci siano le stesse regole finanziarie e non vigano gli stessi tassi d’interesse: l’economia di una regione più povera non può sopportare lo stesso tasso di una regione ricca. Si veda in particolare la petizione Trione: Petition No 0941/2018 by Canio Trione - On reforming economic and monetary policy – https://www.europarl.europa.eu/petitions/en/petition/content/0941%252F2018/html/Petition-No-0941%252F2018-by-Canio-Trione-%2528Italian%2529-on-reforming-economic-and-monetary-policy.

Contro il nuovo vicereame ZES - Spesso, quando le autorità del centralismo italiano ed europeo parlano di “Sud” come di una realtà unitaria, il Meridione può tranquillamente aspettarsi altre ingiustizie. Analizziamo criticamente i limiti intrinseci la Zona Economica Speciale (ZES) unificata, che dovrebbe imporre le sue formule uniche a tutti i nostri territori (e anche alle isole di Sicilia e Sardegna).

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La Charta di Melfi è un documento giovane, pubblicato nel 2019, elaborato da attivisti per l'emancipazione dei territori del Sud dalla rassegnazione, dalla subalternità, dalla tristezza. Echeggia la Carta di Algeri del 1976, documento anticolonialista e internazionalista. Abbraccia i valori della Carta di Chivasso del 1943, il documento confederalista scritto ancora durante il tempo cupo dell'occupazione nazifascista dagli attivisti per l'autogoverno delle valli alpine, con parole di speranza per tutti i territori, prezioso testo di cui quest'anno celebriamo l'ottantesimo anniversario e che continua a ispirare un moderno territorialismo per il XXI secolo. 

Melfi abbraccia Chivasso e Algeri
e da Melfi si riparte per una Europa diversa
per tutti i popoli, per tutti i territori,
per la pace, per le generazioni future

Per informazioni e per preannunciare la propria partecipazione ai lavori:

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Contatto di Gino Giammarino, referente del Patto Autonomie e Ambiente nel Sud:

Luigi Giammarino (Gino) <Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 

 

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La Charta di Melfi

  • Autore: a cura di Gino Giammarino - Melfi, 4 ottobre 2023, Festa di San Francesco d'Assisi

Conentusiasmo pubblichiamo laCharta di Melfi,basandoci sull’edizione apparsa nel 2019 su QM – Quaderni Meridionali, rivista di approfondimento legata al blog Il Brigante, animata da Luigi Giammarino, il nostro Gino...

Il documentoesprime unasintesi politica e culturaleelaboratadai movimenti che siriunirononell’esperimento della Confederazione dei Meridionalisti Identitari (CMI),che ebbevitabrevema che ha segnato per molti attivisti per l’autogoverno dei territori del Sud un momento di svolta rispetto alla frammentazione, al folklorismo, alle ingenuità del loro passato.

Gino Giammarino presiedette la CMI e, dopo il fallimento di quel tentativo, ne ha traghettato le persone e le idee più valide verso l’incontro con i valori della Carta di Chivasso e la collaborazione politica e culturale con la sorellanza interterritoriale di Autonomie e Ambiente,contribuendo quindi anche all’enorme lavoro di rinnovamento intrapreso negli anni Venti dallaAlleanza Libera Europea – ALE (European Free Alliance – EFA).

La Charta di Melfiriaffermacon onestà intellettualee senza piagnisteila centralità del tema dell’autogoverno dell’intera macroregione meridionale,mettendola al riparo daitentativi di depistaggio,dalle chiacchiere inconcludenti, dallecortine fumogenealzatesia dasedicenti vecchi e nuovimeridionalisti,sia dai falsi federalisti in realtà populisti centralisti calati dal Nord,entrambisubalterni da sempre al centralismo italiano, più di recente anche al centralismo europeo e alpensiero unico di una globalizzazione ecocida e genocida.

Melfi è stata e sarà ancora luogo diincontri meridionalisti importantinel XXI secolo, scelto per il suo valore simbolico, essendo stata la città in cui furonoelaborate nel XIII secolo le ben note Costituzioni degli stati governati daFederico II di Svevia,l’illuminato imperatore romano-germanico, re di Sicilia e di Gerusalemme,signore e protettore, fra gli altri, degli stati del Sud.

Noi eravamo, noi siamo, noi saremo

Eravamo una nazione, un insieme di popoli, con culture, lingue e tradizioni diverse ma con un’unica matrice, un unico stato, senza emigrazione, con istruzione organizzata, assistenza medica diffusa ed un esercito di difesa. Cose come camorra e mafia erano piccoli ricettacoli residuali non influenti. Diventammo colonia di soggetti affamati, feroci, fortemente indebitati e guerrafondai della peggiore specie, con menti rivolte alle guerre, lontane dalla cultura e dal miglioramento della società.

Oggi siamo sopravvissuti, ci siamo ancora: nonostante tutto. Con noi è stato usato dal nuovo stato “liberatore” l’iter che usarono i romani con gli irpini e i sanniti: dopo aver distrutto il più possibile popoli e insediamenti, imposero la damnatio memoriae, tentando di cancellare una civiltà intera, e alla storia sostituirono la menzogna. Stiamo strappando via il velo dell’oblio, riscoprendo faticosamente la verità storica e cancellando quella sequela di bugie fatte scrivere anche sui libri di testo, dalle scuole elementari alle università, nei saggi e nei racconti.

Come per altri popoli colonizzati, hanno resistito i racconti orali, le tradizioni, la lingua e l’arte, la musica, l’artigianato. Inoltre, si stanno ritrovando verbali e registri storici di menti libere, di uomini di governo dell’epoca, con annessi conti economici, libri, storie e i registri dell’anagrafe religiosa, anch’essa sottomessa e distrutta dal nuovo nefasto ordine unitario.

Nonostante tutto, oggi noi siamo! E continuando l’opera di riappropriazione della nostra cultura, delle nostre lingue scritte e parlate, stiamo lentamente ricostruendo una realtà di popolo.

Realizzeremo la nostra unità se essa sarà fondata sulle tradizioni e sulla volontà di rappresentarci da soli, perché i nostri interessi sono solo i nostri.

In questo modo saremo di nuovo ciò che eravamo un tempo. E che ci spetta di essere.

Europa e Mediterraneo dei popoli

Siamo una terra di mezzo tra due culture diverse: quella europea e quella mediterranea, e non rinneghiamo nessuna delle due.

In Europa facciamo parte del folto numero delle “colonie interne” in una serie di stati, mentre con il Mediterraneo abbiamo in comune la volontà di affrancarci dal termine “colonizzazione”.

In questo siamo vicini a popoli, regioni e stati che già si sono affrancati, anche dallo stato italiano, e che conoscono la nostra storia e ci riconoscono nelle nostre rivendicazioni.

Abbiamo radici forti che sono sopravvissute e vogliono affermarsi nuovamente, per questo vogliamo una Europa diversa da quella attuale, che vorrebbe invece un insieme di stati con potere assoluto e centralizzato sui popoli. Allo stato attuale infatti abbiamo dei sistemi statali in Europa che tendono a rinunciare alla loro autonomia e libertà di scelta della visione del modello sociale più gradito. Questa coercizione di fatto è attuata attraverso l’uso nefasto dei bilanci e dei debiti, con un sistema politico del tutto asservito a banchieri e multinazionali. E’ l’esatto contrario della democrazia e della volontà dei cittadini di scegliersi con quali regole e in quale ambiente vivere.

Connessi con la Carta di Algeri, dichiarazione universale dei diritti dei popoli

Riconosciamo e ci riconosciamo nella Carta di Algeri (1976), “DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DEI POPOLI”, poiché questa si basa non più solo sui diritti universali del singolo individuo ma sugli stessi diritti resi “collettivi”, ovvero: tutti i popoli del mondo hanno pari diritto alla libertà ed alla loro autodeterminazione.

Questa Carta è fondamentale perché è stata redatta considerando i "diritti economici" contro le pretese coloniali di coloro i quali hanno usato o usano la forza della coercizione per mantenere lo status coloniale “di fatto” ancora oggi.

Abbiamo due tipi di colonizzazione, una “internazionale”, sul modello della Libia o l’Eritrea per l’Italia, o come l’Algeria per la Francia, ed una “interna”, come ancora oggi accade per il “Mezzogiorno d’Italia”, o ex Stato sovrano delle Due Sicilie, o anche per alcuni paesi interni sottomessi (Scozia e Galles al Regno Unito, Corsica e Bretagna alla Francia, ad esempio), dove esiste una marginalità, che oggi viene descritta come “discriminazione territoriale” ma che merita di essere descritta come stato di “colonia interna”.

La Carta di Algeri è composta da 30 articoli, di cui in particolare rivendichiamo:

L’imprescrittibilità e l'inalienabilità dell'esercizio del diritto,il diritto all’autodeterminazione perché è in corso una dominazione coloniale, di fatto storicamente razzista”;

Il nostro popolo ha diritto ad un governo che rappresenti tutti i cittadini senza distinzione di razza, sesso, opinione o colore, e che sia capace di assicurare il rispetto effettivo dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per tutti”;

Rivendichiamo il rispetto del nostro diritto all’autodeterminazione legandolo ai principi generali del diritto internazionale, configurando così la violazione di tale diritto come una trasgressione di obblighi nei confronti dell'intera comunità internazionale e in taluni casi, come ad esempio il appropriarsi delle ricchezze dei territori distruggendoli e lasciandoli inquinati, addirittura come un crimine internazionale”;

Spetta al nostro popolo far valere le sue ragioni in caso di violazione dei propri diritti attraverso la lotta politica, sindacale”;

Noi scegliamo di utilizzare la lotta nonviolenta in ogni sua forma per tutelare i nostri diritti”;

Infine, siamo per una visione d’insieme della lotta coordinata tra i popoli oppressi e discriminati, ed il ripristino dei diritti nei fatti è un dovere che deve gravare su tutti i membri della comunità internazionale come attività strategica di lungo termine”

 

Di fatto, la carta di Algeri afferma il diritto all'autodeterminazione in tutte le sue forme e implicazioni. La preoccupazione ossessiva per la tutela dell'integrità territoriale viene posta in secondo piano: l'istanza libertaria dei popoli prevale sulle esigenze della sovranità degli stati. A garanzia dell'autodeterminazione si legittima non solo il ricorso alla forza da parte dei movimenti di liberazione nazionale, ma anche l'intervento di terzi.

Nel nostro caso per fortuna abbiamo la possibilità di esercitare in forma democratica e nonviolenta ogni forma di azione per raggiungere gli scopi che ci prefiggiamo, la tutela della nostra terra, l’integrità dei nostri territori ed una vita non più fatta di emigrazione e da cittadini di serie inferiore, che pur pagando più degli altri ricevono meno. Recuperare la nostra identità e la nostra libertà ed autonomia significa rimuovere le sempre più visibili le catene che abbiamo ai polsi ed ai portafogli.

Agenda unitaria per i territori del Sud

Dividi et impera, con ascari al servizio politico ed amministrativo dei colonizzatori, è sempre stata la strategia di lungo periodo di chi ci tiene ancora in pugno. Abbiamo cultura, informazione, economia ed anche politica autoctone, ma fino ad ora sono state slegate tra loro, ed il non fare rete ci lascia dipendenti e subordinati a sistemi decisionali ed organizzativi di matrice coloniale e comunque a noi del tutto alieni.

Per questo motivo la Charta diventa agenda di eventi, ciclici, collegati, riconosciuti e riconoscibili con certezza, e che operano nella direzione del cambiamento positivo delle nostre terre migliorando le condizioni complessive delle nostre popolazioni.

Quindi fare rete, sia settorialmente che trasversalmente, ci da e ci darà la forza dell’unione e della coesione di tanti soggetti. Facendo massa, intessendo relazioni critiche e positive viene prodotta, sia classe dirigente, che rappresentanza politica propria, che deve esistere unicamente per gli interessi territoriali, modello questo già esistente e vincente in altre aree euro-mediterranee.

Per questo anche l’area politica di riferimento è solo territoriale, fuori da quelle “nazionali italiane”. Qui i soggetti esistenti e certamente riconoscibili per la causa del Sud poco hanno potuto per la divisione, troppo spesso indotta dall’esterno e sostenuta da chi vuole che i nostri territori (che erano uno stato) non abbiano una rappresentanza propria, unitaria e legata a quella rete trasversale della società che prima abbiamo descritto.

Per questo motivo gli stessi soggetti che hanno fatto nascere la Charta di Melfi hanno prima creato e poi superato il Coordinamento dei Movimenti per il Sud diventando una Confederazione dei Movimenti Identitari (CMI).

Questo soggetto politico, basato proprio sulle caratteristiche di forte rispetto tra le diversità di visione politica dell’organizzazione della società, come anche quelle linguistiche e culturali, può mettere insieme le diverse anime politiche che lottano per la comune causa dei nostri territori.

L’informazione e la comunicazione sono e saranno il pilastro e il motore delle attività svolte oggi e che si attueranno, di comune accordo, per realizzare qui da noi ciò che già altrove è stato realizzato o è in via di realizzazione.

Aderire alla Charta di Melfi

Singoli cittadini, associazioni, da quelle di fatto a quelle organizzate e strutturate, imprenditori, artisti, enti Locali, uomini di cultura, organizzazioni politiche con caratteristiche compatibili con lo spirito e gli obiettivi della Charta possono aderirvi riconoscendola e identificandosi con essa.

Così essi stessi diventano soggetti che finalmente fanno sinergicamente rete per migliorarsi e per cambiare la faccia ed i contenuti della nostra società.

Attraverso il recupero e della nostra identità, a partire dalla lingua locale, passando per le tradizioni e la cultura, sempre originali ed autoctone, saranno costruite l’economia, l’arte, l’ambiente, e ogni altra cosa che decideremo di avere attraverso la nostra autodeterminazione.

Se noi tutti assieme lo vogliamo, saremo di nuovo ciò che eravamo:
un popolo e una terra.

Il valore del “RISPETTO”

Divide et impera: ne siamo stati vittime ma anche artefici. Ce lo hanno imposto per meglio sottometterci alle logiche coloniali - romane ieri, europee oggi - ma abbiamo finito per adottare anche tra di noi il modello della delegittimazione per svilire l’operato degli altri o per cercare di impedire loro di attuare quello che cercavano di fare.

Tutto questo, oggi, risulta incoerente ed inaccettabile. Non si può contestare un modello per poi costruirne uno identico ma di senso contrario. Dunque una rivoluzione culturale meridionale non può non partire da un termine e da un valore, quello del “Rispetto”, che diventa punto di riferimento ideale per ogni azione politica e culturale che voglia mettersi in campo per la “Causa” meridionale.

Un rispetto dovuto per quanti, briganti di oggi, lavorano alla soluzione definitiva della “Questione Meridionale” con onestà intellettuale e senza compromessi con chi ci ha messo in ginocchio. E che, con questi comportamenti, innalzeranno la Charta a modello di ispirazione e motivazione a fare rete in maniera sana e costruttiva.

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Pubblicata integralmente sul Forum 2043 a cura di Gino Giammarino, con minimi aggiustamenti formali, il 4 ottobre 2023.

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La storia spiegata male da Cazzullo

Di tutto la Repubblica e l'Europa avrebbero bisogno, fuoché di rinfocolare i nazionalismi dei vecchi stati centralisti e autoritari, per esempio quello dell'Italia. Un intellettuale come Aldo Cazzullo, che era già scivolato sulla buccia di banana dell'aver spiegato male la storia dell'impero romano, di recente ha rispolverato il grande classico del nazionalismo garibaldino (che peraltro lo stesso Giuseppe Garibaldi avrebbe considerato riduttivo della sua epopea come "Eroe dei due mondi"), sollevando diverse proteste dal mondo degli intellettuali del Sud anticentralisti e anticolonialisti.

Abbiamo ricevuto dai Lupi del Sud e volentieri pubblichiamo un estratto della vibrante e appassionata protesta inviata alla rete che ha trasmesso il melodramma garibaldino di Cazzullo.

2023 11 20 firma grafica lupi del sud

<<...durante la trasmissione andata in onda, su LA7, il 15.11.2023, condotta dal sig. Aldo Cazzullo, denominata “Una giornata particolare – Garibaldi, la spedizione dei mille”, nonché sull’articolo apparso sul giornale Corriere della Sera, del 16.11.2023, a firma del sig. Aldo Cazzullo, sono state trasferite nozioni il cui contenuto con la presente dobbiamo con decisione stigmatizzare.
Senza nulla togliere al diritto ad avere idee diverse, anche se quando sono così divergenti dalla realtà storica effettuale ed acclarata onestamente determinano un approccio comprensibilmente più complesso, non si può non stigmatizzare che davvero è incomprensibile digerire affermazioni che portano a dipingere Giuseppe Garibaldi come un “eroe romantico” venuto a liberare il Meridione di Italia dai perfidi Borbone accogliendo addirittura il “grido disperato di un popolo”.
Non ne possiamo più!! Veramente... Vi invitiamo, con la massima cortesia e lealtà, a mettervi seriamente in testa che non solo la ricostruzione storica non è questa certamente nonostante i tentavi di persone che continuano a dimenarsi, in una maniera che riteniamo piuttosto goffa, magari argomentando che quasi grazie all’ignoranza di massa, al digitale, ha vinto il mito, presunto-non esistente secondo tale ricostruzione, neoborbonico: il punto è che i fatti storici, e non certo la propaganda risorgiletame, sono inoppugnabili, piaccia o meno!!
Davvero non ci interessa se alcuni soggetti si sentano magari traumatizzati perché hanno imparato storielle inventate per legittimare la vittoria dei vincitori, nel nostro caso violenti ed usurpatori, per cui ora sono sconvolti quando il velo della verità viene tranciato di netto e senza troppi indugi!

Ci teniamo a far presente che fino a che avremo alito di vita ricorderemo a tutti la verità e cioè che il popolo MERIDIONALE, nel 1861, è stato selvaggiamente depauperato e violentato: la cosa più terribile è che in qualche maniera purtroppo continua ad esserlo!

(...) Noi MERIDIONALI siamo stufi se non si fosse capito: siamo anche stanchi di quel sottile razzismo che traspare dai racconti, fandonie portate avanti per dileggiare, come se non bastasse, persino la memoria di soldati morti per difendere la propria Patria>>

dalla lettera di protesta inviata a LA 7 da Riccardo Marangio e Stefano Bouché, a nome dei Lupi del Sud

https://www.lupidelsud.it

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.Napoli, 17 novembre 2023

Meridionalismo come emancipazione e autogoverno

  • Autore: Gruppo di studio interterritoriale Forum 2043 - 29 agosto 2022

 

Firenze - Napoli, 29 agosto 2022

Spunti per un dialogo fra decentralismo internazionale e meridionalismo napoletano:

In Italia, come in quasi tutti gli altri stati, la ricerca dell’autonomia politica di aree territoriali e regioni dal potere centrale è una realtà in continua crescita, e laddove qualche rappresentanza politica riesce a raggiungerla essa si rafforza con il tempo. L’autonomia politica non è il frutto di ‘vezzi’ ma di richieste con forti motivazioni sociali, spesso legate alla reazione contro la condizione di “colonia interna”, sfruttata dallo stato centrale.

L’Italia è uno stato unificato con le armi dal Piemonte, uno stato piccolo ma con una classe dirigente ambiziosa, che gestiva già una sua colonia, la Sardegna, e condivideva lo spirito espansionistico ed imperialista del tempo. L’unificazione italiana è in Europa uno dei casi più rilevanti di rapida sottomissione di popoli e territori diversi attraverso pratiche e teorie di “invenzione di una nazione”, che hanno trasformato interi territori sottomessi in “colonie interne”. Con la colonizzazione interna si è pratica l'emarginazione e si è rischiata la completa cancellazione di culture, lingue e tradizioni dei diversi territori e popoli della penisola.

I conquistatori hanno costruito la loro “narrazione”, cioè una “storia ufficiale”, che giustificasse l’allargamento del regno sabaudo, cancellando lo stesso ricordo dei dissidenti e dei ribelli dal loro “Risorgimento”. Una sorta di Damnatio Memoriae è quella che i conquistatori piemontesi hanno riservato ai conquistati, in particolare agli abitanti degli antichi regni di Napoli e di Sicilia (che furono unificati nel 1816, in modo avventato, da Ferdinando III di Sicilia e IV di Napoli, nel Regno delle Due Sicilie, ponendo così le condizioni per il sorgere di un profondo malcontento siciliano nei confronti dei Borbone, che avrà serie conseguenze negative per entrambi gli stati).

Il decennio successivo alla conquista del 1861 vide svilupparsi nel Sud il fenomeno del cosiddetto brigantaggio, nato per autodifesa dagli umili e dagli sconfitti. Per i Meridionali quello fu un decennio terribile, di oppressione legalizzata con provvedimenti come la legge speciale 15 agosto 1863, n. 1409, intitolata "Procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle Provincie infette", nota come legge Pica dal nome del suo primo firmatario, il deputato abruzzese Giuseppe Pica. Non mancò neppure una pratica apertamente razzista, sulla scorta del positivismo di Cesare Lombroso, che arrivò a teorizzare che i Meridionali avessero le caratteristiche fisiche di un popolo inferiore e dedito al crimine. Eppure, per le guerre coloniali dei Savoia, i figli maschi andavano bene tutti, anche quelli del Sud e delle isole. Nella “inutile strage” del 1915-18 furono arruolate a forza intere generazioni di Meridionali destinandole a fungere da carne da cannone, mentre le loro famiglie restavano senza braccia e quindi anche senza sostentamento, come ben documentato, fra gli altri e in ultimo, dallo scrittore piemontese Lorenzo Del Boca nel suo “Il sangue dei Terroni” (Piemme, 2016). Al fronte della ignobile e sordida Prima guerra mondiale i Meridionali erano facilmente sacrificabili in inutili attacchi alla baionetta. Per il solo fatto di non poter capire al volo gli ordini loro impartiti in lingua italiana, finivano fucilati per “insubordinazione”.

Dello sconvolgimento dell’emigrazione su larga scala, fenomeno prima sconosciuto, che colpì interi territori sottomessi ai Savoia e, dal 1880, l’intero Mezzogiorno, non possiamo certo parlare in questa sede ma va ricordata per capire come il Meridione si sia ritrovato, alla fine della Seconda guerra mondiale, esiliati i Savoia e cacciati i capi fascisti e nazionalisti, sicuramente più libero nella Repubblica, ma in una situazione di enorme arretratezza, esasperata ulteriormente dall'iniqua distribuzione dei fondi del piano Marshall e successive nuove emigrazioni di massa incoraggiate dallo stato centralista. Altri popoli e territori della penisola italica hanno sofferto la sottomissione e il maltrattamento dallo stato centralista e autoritario, ma molti storici ed economisti stimano che quello del Regno delle Due Sicilie sia stato un arretramento, a causa della colonizzazione, che ha pochi paragoni in Europa.

Neppure i processi tumultuosi della Ricostruzione, del boom industriale, del benessere, delle riforme sociali, delle pur discusse e discutibili politiche per il Mezzogiorno, sono riusciti a colmare il divario creatosi a partire dalla cosiddetta “Unità d'Italia”. Il territorio meridionale presenta ritardi infrastrutturali, diritti negati o mediamente di minore valore rispetto ad altre zone d’Italia. Tutti gli istituti di statistica ogni anno certificano l’esistenza di una arretratezza in termini di benessere materiale e di servizi disponibili. Al contrario siamo in testa alla classifica di fenomeni negativi come emigrazione, spopolamento, degrado del territorio, inquinamento. A differenza di quanto si ostinano a dire troppi politici - i capi del centralismo italiano - non sono ulteriori possibili autonomie che minacciano il Sud. L'arretratezza è dovuta piuttosto a un passato e a un presente di centralismo.

Qualcosa però è cambiato. Siamo nel XXI secolo inoltrato. Alcuni Statuti di autonomia sono stati riconosciuti dalla Costituente e sono state create le Regioni ordinarie nel 1970. Diversi territori un tempo oppressi hanno visto movimenti di popolo forti contro il centralismo, come in Valle D’Aosta, Trentino, Friuli, Veneto. In Europa abbiamo esempi di emancipazione e di autogoverno, come in Catalogna, Corsica, Scozia, dove governi autonomi recuperano benessere, identità e tradizioni, curano il loro ambiente, fanno rinascere cultura ed economia locale. Le amministrazioni autonome, governate da forze autonomiste, hanno dimostrato, nel tempo, che si può fare meglio avendo alla guida movimenti e partiti territorialisti e non subalterni al centralismo e alle forze politiche “nazionali”.

Il Mezzogiorno, purtroppo, rischia di essere ancora fermo alla “Questione meridionale” così come la vedevano Gaetano Salvemini, don Luigi Sturzo, Antonio Gramsci. Non è certo in discussione il loro spessore culturale o la loro sensibilità politica e sociale, né la sincerità e la generosità dei movimenti politici popolari e democratici che da essi sono stati ispirati e che hanno lottato nel Sud e per il Sud. Forse, però, è giunto il momento di rompere il soffitto di cristallo di cui essi stessi erano poco consapevoli. Come hanno scritto coraggiosamente le forze della rete Autonomie e Ambiente in un loro appello politico di quest’anno: “Non crediamo esista una soluzione “italiana”, tanto meno “europea”, ai problemi dei diversi territori negli anni difficili che ci aspettano, di crisi e di cambiamento; vogliamo quindi fare largo a una nuova generazione di leader locali, competenti e capaci, territorio per territorio, di individuare e percorrere la strada migliore per la loro comunità, per affrontare la transizione ecologica, fermare l’impoverimento, l’abbandono e lo spopolamento, promuovere le pari opportunità, autogestire localmente i servizi pubblici, salvaguardare i beni comuni, mettere le persone al riparo dalla sorveglianza digitale universale, ricostruire economie locali aperte sì, ma anche largamente autosufficienti dal punto di vista alimentare, economico, tecnologico, finanziario, sociale e culturale.”.

La “Questione meridionale” non sarà risolta da movimenti antipolitici, da settarismi di destra o di sinistra, o da tecnocrazie imposte dall'alto, quanto piuttosto da una presa di coscienza da parte delle popolazioni meridionali che è possibile e auspicabile l'autogoverno dei propri territori favorendo investimenti e trattenendo i giovani, bloccando la fuga di cervelli e di braccia verso altri luoghi.

Altrove in Italia e in Europa, il regionalismo costituzionale, pur fra molti chiaroscuri, ha innescato dei processi di emancipazione. Ha trattenuto competenze. Ha reso possibili investimenti. Ha accompagnato il risveglio identitario e culturale delle popolazioni locali. Nelle spopolate regioni meridionali, purtroppo, la forza politica delle istituzioni locali, in maggioranza rette da esponenti locali dei partiti centralisti, rischia di essere troppo poca per poter reclamare le risorse e le politiche che loro spettano. Per questo, fra le altre cose, si è anche immaginata una "Macroregione" del Meridione continentale, con organi comuni ai sensi del penultimo comma dell’art. 117 della Costituzione. La proposta di collaborazione fra la città di Napoli, i territori della Campania, gli Abruzzi, il Molise, le Puglie, il Salento, la Lucania, le Calabrie, senza voler in alcun modo pregiudicare l’autonomia di ogni territorio e comunità del Meridione, è stata vista come un modo per scuotere lo status quo, ora che il Meridione conta, elettoralmente, meno di un terzo della Repubblica.

Tocca a una nuova generazione di leader meridionali competere e sconfiggere sul terreno civile e politico gli ascari della politica centralista. Solo così emergerà una nuova classe dirigente autonoma e autonomista, sia nella politica, che nell’economia locale, che in ogni aspetto della vita sociale e culturale. Da questa nuova generazione ci si attende un prezioso contributo alla promozione di una autentica Repubblica delle Autonomie, una Italia federale, sociale e solidale, formata da territori che eleggono liberamente i propri leader locali, libera da ogni subalternità a centrali di potere estranee ai nostri territori, specie quei poteri finanziari globali che oggi fanno il bello e brutto tempo nel mondo.

Dopo decenni di riflessioni sul cosiddetto “glocalismo”, saremmo in drammatico ritardo se non avessimo compreso che è solo da comunità e popoli liberi, che si autogovernano, che possiamo aspettarci il senso di rispetto e di misura che dobbiamo ritrovare, territorio per territorio, per porre fine allo sfruttamento e alla distruzione del pianeta. Questo scenario non è solo auspicabile. E’ l’unico possibile per un futuro a misura di persona umana, in una Europa dei popoli che lavori per la pace e la giustizia in tutto il pianeta.

° ° °

Contributo di cui si assume la responsabilità il gruppo di studio del Forum 2043, ringraziando Alessandro Citarella (presidente dei Meridionalisti - Federalisti Europei - https://www.meridionalisti.org/) per gli stimoli, i contenuti, gli scritti che ci ha trasmesso.

 

 

 

Verso Melfi 2023 - Spunti di discussione

Questi dieci capitoletti, che non esitiamo a definire audaci, sono messi a disposizione di chi parteciperà all'incontro pubblico di Melfi, il prossimo venerdì 27 ottobre 2023, in cui intellettuali, attivisti, imprenditori, amministratori del Sud, a partire dalla Charta di Melfi,  lavoreranno insieme al Patto Autonomie e Ambiente e al partito politico europeo Alleanza Libera Europea - Free European Alliance (ALE-EFA) per lanciare un ambizioso progetto di autonomie sociali, personali, territoriali, per tutti, non per pochi.

QUI I DETTAGLI DELL'INCONTRO

Melfi 2023

Spunti di discussione per una economia virale per i territori del Sud e dell’Europa

Melfi abbraccia Chivasso e Algeri e da Melfi si riparte per una Europa diversa

Verso l’incontro pubblico del 27 ottobre 2023

Note di redazione

Questo documento è stato creato il 23 agosto 2023, a cura di Gino Giammarino, Canio Trione, Mauro Vaiani. Ultimo aggiornamento 11 ottobre 2023, da Melfi, Bari, Napoli, Prato, Udine, Chivasso.

1 Introduzione

1.1 Cittadini, attivisti, studiosi, amministratori del Sud si sono riuniti a Melfi, per rilanciare e aggiornare la sintesi politica e culturale della Charta di Melfi (diffusa nel 2019), che echeggia il principio universale di autodeterminazione dei popoli della Carta di Algeri (4 luglio 1976).

1.2 A ottant’anni dalla Carta di Chivasso del 1943, che riconosciamo come faro e ispirazione per l’autogoverno di tutti dappertutto in Europa, accogliamo fra di noi le delegazioni del Patto Autonomie e Ambiente (AeA) e del partito politico europeo Alleanza Libera Europea - European Free Alliance (ALE/EFA).

1.3 Forti di queste profonde radici e della solidarietà interterritoriale italiana, europea e internazionale, riaffermiamo il nostro comune impegno per una Europa di popoli, regioni e territori, dove si realizzino riscatto economico e sociale ed emancipazione dalla povertà, con riforme economiche a vantaggio di molti e non di pochi, per la protezione delle tradizioni e delle identità locali, per la salvaguardia dell’ambiente e di tutti i beni comuni che vogliamo consegnare intatti alle generazioni future.

2 Contro il gigantismo

2.1 A seguito della globalizzazione, l’economia è popolata da grandi conglomerati finanziari e da gigantesche multinazionali.

2.2 A questi giganti, nell’attuale ordinamento del mercato comune europeo e dell’Organizzazione mondiale del commercio (World Trade Organization, WTO), non sono posti limiti significativi, che invece dovrebbero esserci, perché la loro esistenza è incompatibile con la democrazia e il bene comune locale e globale.

2.3 Anche assumendo il punto di vista più ristretto, quello dell’interesse dei loro azionisti, la loro efficienza è inversamente proporzionale alle loro dimensioni: i loro costi organizzativi, burocratici, energetici, di allungamento delle gerarchie, di incontrollabilità dei management, crescono geometricamente e finiscono per annullare anche quanto esse sembrano aver conquistato, in termini di organizzazione dei processi produttivi interni e attraverso la produzione standardizzata e robotizzata.

2.4 Anche senza voler negare che alcuni di questi giganti si siano formati per meriti imprenditoriali, essi stanno in piedi solo perché esternalizzano i costi che impongono sull’ambiente e le comunità: consumo di suolo, distruzione di risorse non rinnovabili, conseguenze – mai del tutto prevedibili – sul futuro delle comunità che ne ospitano i grandi impianti, sulla vita dei loro lavoratori, sulla salute dei consumatori che essi raggiungono in tutto il mondo.

2.5 Sia nel mondo manifatturiero e ancora di più in quello dei servizi, i giganti non sono “liberi imprenditori” attivi in una “economia di mercato”; essi ne sono piuttosto la negazione, possedendo una forza tale, su scala globale, da renderli capaci di nascondere dai loro bilanci e dai loro documenti sociali le distruzioni e gli avvelenamenti che infliggono all’umanità e al creato.

2.6 I giganti, concentrando fattori produttivi, capitali, potere scientifico, organizzativo, commerciale, mediatico e quindi politico, su scala globale, non subiscono né alcuna forma di controllo da parte di governi od organizzazioni internazionali, né la concorrenza di altri attori economici, risultando quindi indenni da ogni controllo dall’alto o dal basso.

2.7 Essi non competono né concorrono sul “mercato”, perché essi – non più la politica – lo creano: i consumatori non ne scelgono i prodotti, ma sono indotti e non di rado costretti a comprarli.

2.8 Non solo nella produzione industriale, ma oggi in modo sempre più pervasivo anche nel cibo, nei consumi culturali, nei farmaci e nelle cure, essi esercitano un potere più penetrante e disumanizzante di quello esercitato dai totalitarismi del Novecento.

2.9 Non sono accettabili tali concentrazioni di potere e ricchezza, che possono, letteralmente, comprarsi i media, le forze politiche, gli organi di governo di città e regioni, gli apparati di governo di interi stati e delle tecnocrazie internazionali.

2.10 Questi giganti sono giunti vicini ad avere il potere di creare le stesse narrazioni attraverso di cui i media descrivono il mondo: non solo i politici o i tecnici, quindi, ma gli stessi elettori e cittadini sono fortemente condizionati a volere ciò che essi dicono loro di volere.

2.11 In Europa si sono rivelate fallaci antiche e radicate convinzioni liberali e socialiste che le istituzioni dell’Unione potessero governare un mercato comune europeo (con la presunzione ulteriore di mantenerlo integrato e permeabile alle dinamiche ancora più incontrollabili del mercato globale), con regolamentazione degli oligopoli, controllo pubblico sui monopoli naturali, tutela della concorrenza, legislazione antitrust; a questa fallacia è necessario rispondere con riforme radicali.

3 Piuttosto che rovine, riforme

3.1 I giganti possono crollare sotto il peso delle loro disarmonie interne, certo, oppure per l’insostenibilità dell’economia globale distruttiva, ecocida e genocida, ma lascerebbero il mondo in rovina, visto che, se si rimane entro lo status quo, nessun potere politico, né locale, né europeo, né globale, può fermarli.

3.2 Contro il conformismo dominante, contro il pensiero unico che in nome del “mercato” assiste impotente, vogliamo organizzare un movimento politico che ponga una questione drammatica e urgente: i giganti sono troppo grandi per esistere, non troppo grandi per fallire; la loro esistenza è incompatibile con la libertà dei consumatori, con la tutela dell’ambiente, con le autonomie personali, sociali e territoriali, con la stessa democrazia.

3.3 Prima di trovarci fra le rovine, vogliamo riforme, per agire in modo attivo e creativo per porre fine a ciò è troppo grande per esistere in un mondo umano e in un pianeta finito, in difesa della creatività, della diversità, della piccolezza, dell’umanità.

3.4 A partire dai servizi pubblici e dall’amministrazione dei beni comuni, non vogliamo più poche entità potenti, ma il ritorno di una miriade di attori e operatori.

3.5 E’ tempo di una nuova stagione di lotta antitrust, ben più radicale di qualsiasi altra che sia stata realizzata sin qui nella storia del capitalismo moderno.

3.6 Attorno a questo nuovo riformismo uniamo le nostre diversità, tutti noi che abbiamo a cuore le autonomie personali, sociali, territoriali; l’ambiente e la solidarietà; le piccole imprese e le economie a misura di persona umana; il benessere nella sobrietà; l’efficienza nella giustizia.

4 Beni comuni, servizi pubblici e monopoli naturali

4.1 Nel campo dei beni comuni e dei servizi pubblici, a partire dall’acqua pubblica, siamo per il maggior decentramento possibile delle competenze e per lo spezzettamento dei gestori.

4.2 In ogni bioregione, tutto ciò che costituisce un monopolio naturale, deve essere amministrato da una compagnia pubblica locale, sotto il controllo dell’opinione pubblica locale, senza più improprie verticalizzazioni e concentrazioni.

4.3 Riaffermiamo la semplice verità che la storia di tante piccole società pubbliche territoriali è stata positiva, perché esse erano concentrate sul servizio alla comunità di cui esse stesse erano parte, con personale locale impegnato nei ruoli tecnici, riparatori, manutentori, controllori, revisori.

5 Banche al servizio non al potere

5.1 La parabola storica del risiko bancario è giunta, nella Repubblica italiana e nell’Unione Europea, alle estreme conseguenze, producendo posizioni dominanti incontrollabili, elite chiuse in bolle di lusso e di potere, non più in alcun modo al servizio delle persone, delle imprese, delle comunità: un fallimento epocale a cui dobbiamo porre urgentemente rimedio.

5.2 Avere così poche grandi concentrazioni bancarie europee e internazionali, al posto di centinaia di piccoli istituti territoriali indipendenti, non ha creato competizione, emulazione, efficienza, merito, semmai extraprofitti che prendono la via di quell’economia virtuale che non ritorna più nella vita reale (e i tentativi di “tassare” tali profitti, magari con norme retroattive, sono incostituzionali e, ripensando a quelli fatti dai governi Tremonti, Renzi, Draghi, Meloni, ipocriti e spesso persino patetici).

5.3 La concorrenza che vediamo sui media (dove le “banche online” comprano molta pubblicità) è uno specchietto delle allodole; si conquistano clienti con condizioni apparentemente vantaggiose, ma i capitali che si raccolgono spariscono dall’economia reale, perché fagocitati da entità che non hanno patria, sedi, personale, né soprattutto alcun interesse a fare ciò di cui invece le persone e i territori hanno sempre bisogno: finanziamenti a chi vuole creare e migliorarsi.

6 Pluralismo nel credito

6.1 Non ci interessa l’assistenzialismo, ma vogliamo un pluralismo creditizio ancora oggi sconosciuto: i mutui si allungano, certo, ma le banche pretendono di continuare a usare i soliti vecchi strumenti, mentre la società chiede forme radicalmente nuove di accesso al credito.

6.2 Per il ritorno di tanti – non di pochi – a investire nella propria vita, per una propria impresa, per una casa nuova o rinnovata, dobbiamo consentire a tutti ciò che attualmente è possibile solo allo stato e ai potenti: ottenere prestiti a condizioni non solo favorevoli, ma soprattutto elastiche, considerato che viviamo in tempi molto incerti.

6.3 I primi segni di una qualche apertura a questa prospettiva furono quelli che fecero ingresso nelle leggi finanziarie del 2014, fino al 2017, poi rinnovati (iniziative ispirate, fra gli altri, da Canio Trione): si consentiva la sospensione della restituzione della quota capitale, pur continuando a versare gli interessi, in questo producendo un vantaggio sia all’individuo, che oggi ha carriere lavorative meno prevedibili, ma anche alla redditività del sistema bancario.

6.4 Si chiede più credito che possa circolare, producendo interessi giusti per chi lo eroga, ma che non debba essere restituito in tempi rigidamente prestabili.

6.5 La banca deve tornare a essere banca: essa non ha alcun interesse a vedersi restituire capitali, ma al contrario li deve lasciar circolare, riscuotendo gli interessi.

7 L’informalità è vitalità

7.1 Il fallimento storico e ripetuto di ogni tentativo di semplificazione fiscale ha origine in una drammatica dissonanza cognitiva che impedisce di vedere la realtà con realismo ed equità: non si possono trattare con le stesse regole fiscali attività lavorative e imprenditoriali di scala diversa, in condizioni diverse, su territori diversi.

7.2 Nella dimensione piccola, limitata nello spazio e magari anche nel tempo, deve esistere la possibilità di iniziare una attività imprenditoriale o di fornire una prestazione lavorativa, senza commercialisti, senza consulenti del lavoro, senza adempimenti burocratici, senza richiesta di autorizzazioni preventive, senza obblighi di esercitare funzioni come il sostituto d’imposta.

7.3 La piccola impresa all’avvio, l’attività temporanea o stagionale, una bottega in zone marginali e spopolate, una realtà noprofit, un laboratorio familiare, amicale, vicinale, hanno diritto a essere trattati in modo radicalmente diverso dalle medie e grandi aziende.

7.4 Fermo restando che tutti devono rispettare norme ambientali e di sicurezza, è solo nel tempo, quando e se un’attività ha avuto successo, che diventano giustificate forme di tassazione più ficcanti.

8 Attenuare i difetti dell’Eurozona

8.1 Non ci sottraiamo al grande e difficile processo di critica e correzione dei difetti intrinseci e strutturali di un’area valutaria forte ma non ottimale come l’Eurozona, ma vogliamo e dobbiamo cominciare a introdurre dei sollievi concreti.

8.2 Si dovranno ridiscutere, territorio per territorio, in ciascuno stato e all’interno degli stati, modalità adeguate per togliere dal “mercato privato” le cifre immense dei debiti pubblici, che dovranno essere necessariamente cristalizzati.

8.3 Si dovranno approntare, territorio per territorio, esperimenti di circolazione di credito locale agevolato con il fine di rendere possibile la partecipazione di tutti al mondo del lavoro e al consumo di beni locali; il soddisfacimento con risorse locali di bisogni vitali personali e comunitari non interferisce in alcun modo con il libero scambio internazionale.

8.4 Si deve pensare, da subito, a rendere possibile che in regioni diverse non ci siano le stesse regole finanziarie e non vigano gli stessi tassi d’interesse: l’economia di una regione più povera non può sopportare lo stesso tasso di una regione ricca.

8.5 Lo statuto BCE e le attuali norme europee vanno rispettate, ma con ragionevolezza e con realismo, anche perché, senza articolare nei territori una efficace lotta all’inflazione e alla disoccupazione, la sostenibilità dell’Euro verrebbe meno.

8.6 L’esperienza della brutale unificazione italiana e gli squilibri registrati nell’allargamento del mercato comune europeo sono lezioni che dovrebbero essere state apprese: il futuro dei territori che appartengono allo stesso mercato comune non può essere ridotto a una continua competizione, che genera inevitabilmente aree perdenti, che si spopolano e s’impoveriscono, a vantaggio delle capitali economiche vincenti; si deve invece favorire in ogni territorio una economia locale che abbia una solidità intrinseca e duratura.

8.7 Continuare come oggi, con regole uguali per tutti, rendendo sempre più ricche le capitali e sempre più povere le periferie, porterà solo a nuove forme di centralismo autoritario per assicurare continue, sempre più copiose – e fortemente impopolari - richieste di trasferimenti dai territori più favoriti a quelli che invece restano marginali.

8.8 Si può e si deve cominciare assicurando a ciascun territorio proprie e appropriate regole di gestione della liquidità, con l’articolazione dei tassi d’interesse della BCE; si veda in proposito la petizione Trione: Petition No 0941/2018 by Canio Trione - On reforming economic and monetary policy – https://www.europarl.europa.eu/petitions/en/petition/content/0941%252F2018/html/Petition-No-0941%252F2018-by-Canio-Trione-%2528Italian%2529-on-reforming-economic-and-monetary-policy.

8.9 Gli effetti di inflazione e deflazione non sono identici in tutta l’area dell’Euro, quindi è necessario trasformare il tasso di riferimento BCE in un tasso medio dei diversi prezzi della moneta, applicati specificatamente alle diverse aree dell'Unione, con diversi gradi di sviluppo economico.

9 Contro il nuovo vicereame ZES

9.1 Spesso, quando le autorità del centralismo italiano ed europeo parlano di “Sud” come di una realtà unitaria, il popolo del Meridione può tranquillamente aspettarsi altre ingiustizie.

9.2 Non ci sono ricette centraliste, grandi progetti, opere faraoniche che possano risolvere magicamente i problemi dei nostri territori, anzi, queste idee di solito puntano a favorire le grandi imprese costruttrici del Nord, a facilitare ulteriore penetrazione dei prodotti del Nord o delle multinazionali, orge di ferro e cemento e quindi ulteriori perdite di buona terra, paesaggio e identità.

9.3 A Roma (ma anche a Milano e a Bruxelles) si sta pensando di riprodurre in tutta Italia, a cominciare dal Sud, quanto è stato fatto per risolvere questioni contingenti e puntuali – il modello Genova – senza alcuna considerazione delle aspirazioni delle nostre comunità e senza lasciarci alcuna libertà di decidere il nostro futuro.

9.4 La Zona Economica Speciale (ZES) unificata, che dovrebbe imporre le sue formule uniche a tutti i nostri territori (e anche alle isole di Sicilia e Sardegna), sarà, nella migliore delle ipotesi una riedizione delle chiacchiere, dei luoghi comuni, dell’assistenzialismo, nella peggiore un vicereame che finirà per impoverirci e spopolarci ancora di più.

10 E’ tempo di coraggio

10.1 I disastri di Cutro, di Caivano e quello di Brandizzo, in cui, vicino alla cara Chivasso, sono morti nostri fratelli meridionali, non si affrontano con le calate da Roma di presidenti, ministri, sottosegretari, commissari straordinari, prefetti.

10.2 Non possiamo lasciarci irretire da ciarlatani, populisti, centralisti che si candidano come “sindaci d’Italia” - qualcuno di loro in realtà pensando di poterne diventare un “podestà”.

10.3 Ciò che siamo, il meglio di ciò che abbiamo ereditato, il nostro patrimonio ambientale e culturale, è nato dall’ardimento di comunità che si autogovernavano, che rischiavano e che, con sacrificio, qualche volta realizzavano; seguendo le orme dei nostri antenati, impegniamoci per far sorgere una nuova generazione di imprenditori e creativi, esperti e studiosi, leader locali affezionati alla propria terra, amministratori coraggiosi, legislatori audacemente innovatori.

 

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Webinar di Insieme su autonomia differenziata, solidarietà, sussidiarietà

La formazione politica d'ispirazione cristiano-sociale, INSIEME, organizza un webinar (un seminario online), sul tema "AUTONOMIA DIFFERENZIATA: DOVE SONO SOLIDARIETÀ E SUSSIDIARIETÀ?". L'incontro è previsto per mercoledì 28 febbraio 2024, alle ore 18.20. Coordina il dibattito Alfonso Barbarisi (coordinatore Mezzogiorno di INSIEME). L'introduzione è affidata adAlessandro Risso (coordinatore Autonomie locali di INSIEME). Intervengono:

Marco Bussone (presidente UNCEM)

Adriano Giannola (presidente SVIMEZ)

Stefania Proietti (sindaco di Assisi epresidenteProvincia di Perugia)

Roberto Visentin (presidente AeA – Autonomie e Ambiente)

Per i dettagli sulla partecipazione si segnala questa pagina sul sito di INSIEME:

https://www.insieme-per.it/webinar/

Segnaliamo questo documento di INSIEME sull’autonomia differenziata, che sarà una base di partenza per la discussione:
https://www.insieme-per.it/autonomia-differenziata-documento-della-segreteria-nazionale/