Per l'autonomia della Romagna
La Romagna è una delle più antiche e meglio definite regioni della penisola italiana, ma nella Repubblica nata nel 1946 non ha ancora visto il riconoscimento della sua autonomia.
Si è formata oltre 1400 anni fa, al tramonto dell’Impero Romano. Mentre i Longobardi cominciarono ad occupare gran parte della penisola, una fra le poche entità che si opposero e con successo fu l'Esarcato di Ravenna, la cui area geografica corrisponde all’attuale Romagna.
Da quella lontana epoca storica fino ai giorni nostri la Romagna ha mantenuto proprie peculiarità culturali e sociali. E’ a tutti gli effetti un territorio riconoscibile come una regione storica d’Italia e d’Europa.
Allora, politicamente e amministrativamente, che è successo? Perché, fino ad oggi, non si è riconosciuta l’autonomia della Romagna?
Terminata la lunga dominazione pontificia, all'indomani dell'unità d'Italia, il nuovo stato monarchico, dominato da pulsioni centraliste e autoritarie, non riconobbe la Romagna nemmeno come dipartimento statistico, a causa del forte seguito che nelle città romagnole avevano gli ideali repubblicani. I Romagnoli furono repubblicani un secolo prima degli altri Italiani e ne pagarono le conseguenze.
Nel Novecento, però, emerse un moderno ideale romagnolista, cioè autonomista per la Romagna, ad opera dei bëb (babbi, padri) della Romagna, Giovanni Braschi e Aldo Spallicci, ideale che sopravvisse mentre infuriavano le terribili vicende della Grande guerra, del regime fascista, della Seconda guerra mondiale.
In sede di Assemblea Costituente, negli anni 1946 e 1947, le vivaci discussioni sull’avvio del processo di regionalizzazione della nuova Repubblica furono presto troncate. L’Italia era distrutta dalla guerra, i tempi della Costituente erano stretti, le esigenze di avviare la democratizzazione e la ricostruzione erano stringenti. La Romagna aveva dato i natali al dittatore Mussolini e anche questo non aiutò.
La proposta di una regione Romagna fu accantonata, così come le istanze autonomiste di altri territori come il Salento e il Molise (quest’ultimo territorio però vedrà riconosciuta la propria autonomia nel 1963).
I padri costituenti, tuttavia, lasciarono ai posteri l’art. 132 della Costituzione, allo scopo di lasciare in futuro la possibilità di riconoscere lo status di regione ad altri territori.
Nel Dopoguerra la battaglia romagnolista, infatti, non si esaurì, portata avanti da Aldo Spallicci fino alla sua morte nel 1973.
Negli anni successivi il tema dell’autonomia resta vivo. Se ne fa interprete un politico socialista, Stefano Servadei, prima come deputato e poi come consigliere regionale della Emilia-Romagna. A lui come a molti altri non sfugge che il nuovo ente è fortemente condizionato dalla politica bolognese (e dalle dinamiche politiche nazionali), oltre che fortemente sbilanciato sulle esigenze delle province emiliane, più grandi, più popolose, più industrializzate, meglio collegate con l’economia del Nord e dell’Europa.
Servadei, quando si rende conto che alla fine degli anni Ottanta il regionalismo italiano è cresciuto e che le istanze per la piena attuazione della Repubblica delle Autonomie sono mature, si fa promotore del Movimento per l’Autonomia della Romagna (M.A.R.) nel maggio del 1990, poi formalmente registrato con atto notarile il 9 marzo del 1991.
Nei decenni successivi, grazie al Movimento dell’on. Servadei, gli ideali autonomisti in Romagna hanno continuato a vivere e a diffondersi fra i cittadini. A metà anni Novanta, il M.A.R. ha raccolto oltre 89.000 firme volte a richiedere un referendum per il riconoscimento di una regione Romagna, distinta da Bologna e dalle province emiliane, sulla base della previsione dell'articolo 132 della Costituzione italiana.
Il romagnolismo poi, negli anni Duemila, è stato respinto dal ritorno in campo di potenti processi di verticalizzazione e centralizzazione della politica, proprio come altre culture autonomiste democratiche.
Anche in Romagna abbiamo visto scatenarsi un malcostume diffuso anche in altri territori: l’omaggio all’autonomismo in campagna elettorale, salvo poi ignorarlo del tutto durante il mandato di governo.
Il M.A.R. ha sempre privilegiato l’impegno politico-culturale, restando aperto, inclusivo, trasversale. I partiti hanno cercato di approfittare della simpatia popolare per l’autonomia della Romagna, spesso mostrando un sentimento autonomista di facciata, rivelando solo nel proseguo la loro profonda subalternità al centralismo politico (obbedendo a capi che potevano essere di volta in volta a Bologna, a Roma, a Milano).
Ora, questa ormai lunga esperienza maturata e la constatazione che l'obiettivo del riconoscimento istituzionale della Romagna come regione d'Italia e d’Europa non è, ahinoi, vicino, inducono a profonde riflessioni, critiche e autocritiche, oltre che alla ricerca di percorsi alternativi, anche approfondendo lo scambio d’esperienze e l’aiuto reciproco – in corso ormai da tempo – con altre avanzate, mature, competenti realtà autonomiste, quelle rappresentate in Autonomie e Ambiente e che partecipano a questo Forum 2043.
La Romagna ed i suoi cittadini non possono più aspettare che giungano risposte dai partiti tradizionali, ormai tutti centralisti (i peggiori quelli che pretendono di essere, a parole, addirittura “federalisti”).
Praticamente tutti i partiti – sinistra, centro, destra, movimenti – che hanno sin qui retto le amministrazioni locali in Romagna, si sono rivelati subalterni a poteri forti che li controllano da lontano.
Qualcosa deve cambiare e cambierà, per questa nostra aspirazione all’autonomia della Romagna, che viene da molto lontano ma che è oggi un progetto politico giovane, innovativo, popolare, d’esempio per l’Italia, e per l’Europa, e più necessario che mai.
Romagna, pubblicato il 16 febbraio 2023
Samuele Albonetti
membro del Comitato regionale M.A.R.
(Movimento per l'Autonomia della Romagna)
A corredo di questo post la famosa cartina della Romagna dell'artista Giannetto Malmerendi
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