
Alcune verità nascoste sui soldi siciliani
Sulle finanze della Regione Siciliana e, più in generale, sull'urgenza della territorializzazione delle imposte, ci sono diverse verità che ci vengono tenute nascoste. Ne ha scritto il prof. Massimo Costa su Il Nuovo Trentino e siamo grati al giornale per averci gentilmente concesso la possibilità di pubblicare qui l'articolo, oggi sabato 1 aprile. L'intervento è stato pubblicato da Il Nuovo Trentino il 30 marzo 2023.
Titolo originale: Un punto di vista siciliano sull'autonomia
Contributo di Massimo Costa, professore di economia aziendale dell’Università di Palermo e fondatore del Movimento Siciliani Liberi
Da Palermo, 29 marzo 2023, uscito il 30 marzo su Il Nuovo Trentino
Il tema dell’Autonomia Differenziata riapre in Sicilia vecchie ferite. In Sicilia, ben pochi in Italia lo sanno, lo Statuto non è ancora attuato (se non in maniera del tutto distorta), soprattutto nella sua parte più importante e vitale: quella finanziaria.
Un luogo comune sbagliato anche se molto radicato è quello che l’Autonomia Speciale siciliana sia fondata sui trasferimenti dallo Stato, e che quindi la Regione possa lucrare chissà cosa da questo status, come una sorta di rendita di posizione pagata da tutti gli altri italiani. Un recente servizio “disinformativo” sul Corriere va nella solita direzione. La realtà è ben diversa.
È ben vero che sulla carta il nostro ordinamento costituzionale prevede alcuni strumenti perequativi tra regioni povere e ricche, ma questi meccanismi non riguardano specificamente la Regione Siciliana. L’art. 119 della Costituzione prevede, ad esempio, una copertura integrale del costo delle funzioni trasferite a regioni ed enti locali, affinché siano garantiti i cosiddetti “livelli essenziali di prestazioni”. Questi, non ben definiti invero ad oggi, implicano che, se le entrate proprie non compensano questi costi, lo Stato deve intervenire con un trasferimento compensativo. Ma tutto ciò con la Sicilia non c’entra nulla, nulla almeno di specifico siciliano. La Sicilia anzi non può partecipare alla perequazione infrastrutturale (ma solo a quella per le spese correnti) perché in teoria disporrebbe per questo di un trasferimento dallo Stato (l’unico previsto dallo Statuto), a tempo (solo finché il reddito pro capite è più basso di quello medio italiano) e vincolato a un piano di opere pubbliche. Lo strumento è tuttavia disattivato sin dal lontanissimo 1990 e lo Stato non ha mai veramente dato nulla (prima di quella data, infatti, si limitava a retrocedere alla Sicilia a tale titolo l’85% delle accise petrolifere raccolte in loco).
Per il resto, sulla carta, la Sicilia dovrebbe fare da sé. Nello Statuto non c’è scritto che arrivano finanziamenti da Roma, anzi, tutto il contrario. La Sicilia dovrebbe decidere da sola – come uno stato che si autogoverna – di quale ordinamento tributario dotarsi. Tutti i tributi il cui presupposto tributario nasca nell’Isola dovrebbero restare al 100% alla Regione (e ai Comuni), mentre allo Stato sarebbero attribuiti solo tre tributi minori per le funzioni residue. Ma queste funzioni statali sono nulle o quasi: difesa, interni, esteri e giustizia, punto, basta. Tutto il resto lo dovrebbe fare la Regione-Stato. E persino Interni e Giustizia spetterebbero, sempre sulla carta, alla Regione: il Presidente della Regione sarebbe Ministro e Capo della Polizia, e dovrebbe nominare i prefetti. Funzioni quindi che dovrebbero prevedere quote di compartecipazione sui tre residui tributi erariali.
La Sicilia, con propria Agenzia delle Entrate, dovrebbe accertare e riscuotere tutti i tributi, diretti e indiretti che maturano nell’Isola. Non chiedendo quindi nulla allo Stato.
La realtà è diversa: lo Stato trattiene illegittimamente il 39% dell’IRPEF, il 63,6% dell’IVA, il 100% dell’IVA alla dogana, il 100% dell’IRES prodotta in Sicilia da società che hanno sede altrove, il 100% delle imposte di consumo, e in cambio ha accollato alla Regione e ai Comuni TUTTE le funzioni pubbliche, con pochissime eccezioni: Scuola e Università, Interni e Giustizia, qualche spicciolo ai Comuni (per il resto finanziati integralmente da tasse locali e trasferimenti regionali), circa mezza sanità. Tutto il resto, dai forestali ai musei, dalla motorizzazione agli ispettorati del lavoro, è già rigorosamente a carico del contribuente siciliano.
La Sicilia quindi non dovrebbe avere paura dell’Autonomia differenziata del Nord, ma pretendere finalmente i propri diritti. Tutti i tributi maturati in Sicilia le dovrebbero essere lasciati, tranne quelli che per Statuto sono destinati alle (residue) funzioni dello Stato centrale, con i soli interventi perequativi previsti dall’ordinamento costituzionale.
Temiamo che le cose vadano diversamente. O si lascia tutto com’è, con le ingiustizie attuali. O ci vengono tolte altre risorse fino a strangolarci. Oppure, per accontentare tutti (ad esempio attribuendo le risorse maturate in Sicilia e riscosse altrove a entrambe le regioni interessate), esploderà il debito pubblico erariale. Siamo giustamente preoccupati per questo, ma è anche una occasione per fare chiarezza, per attuare le norme vigenti ma tradite, per porre fine a un’ intollerabile condizione di colonialismo interno.
* * *
Per conoscere il lavoro scientifico, culturale e politico del prof. Massimo Costa: https://www.massimocosta.blog/
Per seguire il Forum 2043:
- iscrivetevi alla nostra lista postale
- seguiteci sulle reti sociali di Autonomie e Ambiente
- iscrivetevi al canale Telegram https://t.me/forum2043
- scriveteci a
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.