Per la dignità del consigliere comunale
Un appello da OraToscana nel Forum 2043 per tutti i consiglieri comunali della Repubblica
Prato – Santa Luce – San Vincenzo – Siena – Vecchiano, lunedì dell’Angelo, 10 aprile 2023
Introduzione
Alle persone che vengono elette nei consigli di ogni comune vorremmo che fossero restituiti dignità e poteri, necessari non a loro ma alle comunità locali, nell’interesse di molti oggi e delle generazioni future, per migliorare concretamente le cose.
Chi conosce la storia delle gloriose istituzioni comunali, sa bene che nulla garantisce nel tempo una saggia amministrazione quanto la conoscenza reciproca, l’intimità vorremmo dire, la condivisione dello stesso destino fra governanti e governati, esattamente quella che è possibile, appunto, in un comune.
Coloro che possono ascoltare questo appello, discuterlo, migliorarlo, farlo proprio, diventarne attivisti e promotori, militanti solidali fra di loro fino al punto da trasformarsi in un movimento interterritoriale capace d’imporre le riforme necessarie, sono primariamente coloro che consiglieri comunali lo sono, lo sono stati, abbiano tentato di diventarlo, o almeno siano stati vicini a una persona investita di questo gravoso e, oggi, ingrato incarico.
Proposte
- Il consigliere comunale deve godere di permessi dal lavoro durante il suo mandato (e di un sostegno al suo reinserimento lavorativo al termine dello stesso); di un compenso adeguato all’entità del suo impegno; di una tutela previdenziale e assicurativa; di un ufficio da cui condurre la sua attività istituzionale, oltre che portare avanti le proprie convinzioni e battaglie politiche.
- Ogni consiglio comunale è in grado di decidere da sé, considerando le risorse e le dimensioni del suo territorio, di quanti consiglieri debba essere composto.
- Solo il consigliere comunale eletto deve essere impiegato a tempo pieno nell’amministrazione (come assessore o in altri incarichi).
- Ogni consiglio comunale è in grado di decidere in autonomia quanti dei suoi membri debbano essere amministratori a tempo pieno e garantire loro un compenso adeguato.
- Ferma restando la centralità ordinamentale della figura del primo cittadino, ai consigli comunali deve essere consentito adottare una forma di governo direttoriale (collegiale, quindi con consigli che siano anche giunte), specie nelle comunità più piccole.
- Come raccomanda da ottant’anni la Carta di Chivasso, si dovrebbe essere elettori o eleggibili solo dopo un certo periodo che si è residenti e contribuenti del proprio comune, lasciando allo statuto comunale di determinare la lunghezza di tale periodo.
- Premesso che l’unico modo per imparare davvero a fare il consigliere comunale è quello di farlo, chi si candida al consiglio comunale dovrebbe aver dimostrato conoscenza delle lingue locali, parlate e scritte, ed avere - almeno - la formazione e la buona condotta richieste al giudice popolare.
- Per quanto le persone siano (giustamente) diffidenti nel dare il potere a chi non ha un mestiere o una istruzione, si deve prendere atto che nella vita politica sono indispensabili esperienza, competenza e anzianità: per qualcuno la politica può diventare una professione, non solo una vocazione, e di questo ogni comunità dovrebbe tenere conto nel decidere i pur necessari limiti ai mandati (consecutivi o non consecutivi).
- La carica di consigliere comunale dovrebbe essere incompatibile con ogni altra e sarebbe opportuno che nessuno potesse essere eletto o nominato in istituzioni superiori senza prima essere stato eletto consigliere comunale.
- L’espressione di candidature al consiglio comunale dovrebbe essere resa possibile a tutti coloro che ne abbiano i requisiti, con il minimo di formalità, eventualmente stabilendo un numero minimo di concittadini che la supportino.
- La campagna elettorale comunale dovrebbe essere organizzata e pagata dall’amministrazione, assicurando a tutti le stesse opportunità e gli stessi spazi, imponendo divieti, o almeno limiti e controlli rigorosi, alla spesa privata o di parte.
- La scelta dei consiglieri comunali deve essere fino in fondo nelle mani dei cittadini, quindi ogni elettore dovrebbe, obbligatoriamente, votare non più solo un simbolo o uno schieramento, ma prima di tutto una persona (massimo due, di genere diverso), fra i candidati della sua circoscrizione, trovandone i nomi già sulla scheda.
- I comuni devono potersi aggregare in libere associazioni intercomunali, in modo tale da garantire l’esercizio di funzioni associate, secondo principi di sussidiarietà; è opportuno che gli organi di tali associazioni di comuni siano eletti dai consiglieri comunali stessi.
- In tutti i casi in cui il comune, per dimensione demografica o per estensione geografica, sia composto di più comunità distinte (municipi, quartieri, frazioni, altro), si lasci alle popolazioni locali la possibilità di trasformarlo in una unione di comunità.
- Si deve riprendere, con ritrovato entusiasmo per l’autogoverno comunale e territoriale, l’abolizione delle prefetture e di ogni altra istituzione intermedia fra le regioni (o le province autonome) e le libere associazioni o unioni di comuni.
- Al comune, singolarmente o in associazione con altri del territorio, deve tornare il potere di cambiare concretamente le cose, secondo Costituzione, ponendo fine alla paralisi provocata dalla metastasi normativa regionale, statale, europea.
Note
A coloro che si preoccupano delle risorse, ricordiamo che siamo impegnati per la territorializzazione delle imposte, perché esse restino sui territori e perché ci siano fondi di perequazione. I comuni, peraltro, non devono vivere di soli Euro: possono e quindi dovrebbero essere create monete locali complementari, per creare uno scambio di beni e servizi all’interno della comunità o dei territori: l’autonomia energetica con fondi rinnovabili; la produzione sostenibile di cibo lobale; asili e scuole a cui i bambini possano andare a piedi; ambulatori medici di vicinato; riuso del patrimonio abitativo esistente e affitti equi; servizi pubblici locali, fondati sul lavoro cooperativo locale, staccati dal mercato dove tutto si misura in Euro.
Guardiamo con ammirazione a tante iniziative che puntano a restituire risorse alle nostre democrazie locali, come, in ultimo, la campagna "Riprendiamoci il Comune", ma a tanti amministratori, consiglieri, attivisti, gruppi, comitati, noi chiediamo di fare, insieme, qualcosa di molto più radicale: una lunga marcia per decentrare il potere, distribuire le risorse oggi centralizzate, delegificare, restituire dignità e poteri a ciascun comune e ai territori.
Le autorità comunitarie europee e lo stato (e, di riflesso, le regioni e le province autonome) devono finirla di alimentare la metastasi legislativa, che sta paralizzando senza assicurare protezione. Devono, per essere ancora più nitidi, smettere di legiferare sovrapponendosi sulle stesse materie, in plateale disprezzo al principio della sussidiarietà. Devono trattenersi dall’emanare “grida” per tutti i comuni, imponendo le stesse regole a municipi come Santa Luce, San Vincenzo, Vecchiano, Siena, Livorno, Prato, Firenze, come se fossero uguali.
Nel nostro mondo civico, ambientalista, autonomista, confederalista, siamo ostili ai leaderismi, ai presidenzialismi (anche quelli dei presidenti-governatori regionali e dei sindaci-podestà), alle tifoserie mediatiche, all’antipolitica, al populismo, al giustizialismo, all’antistatalismo tardoliberista, a irragionevoli proibizionismi, che riempiono il dibattito pubblico riducendolo a un fatuo chiacchiericcio mediatico, conducendo la Repubblica delle Autonomie alla rovina.
A noi pare evidente che i consiglieri comunali eletti devono urgentemente riprendersi dignità e poteri, perché essi possano davvero fare la differenza, essendo vicini alle persone, alle comunità, al territorio. Poteri e ovviamente doveri, perché eleggendo consiglieri comunali come accade ora, persone senza radici, senza cultura, senza consenso, senza responsabilità, stiamo sprofondando nella palude del ciarlatanismo politico.
Ai comuni è stato imposto, dal 1992 a oggi, di abbandonare beni comuni, di chiudere servizi pubblici universali, di rinunciare a svolgere funzioni economiche, sociali, ambientali, di lasciare potere a opache tecnocrazie (pubbliche ma sempre più spesso private). Ai politici dei comuni è stato imposto di lasciare potere a “tecnici”, che sono diventati un opaco mandarinato, a cui nessuno può chiedere mai di rendere conto. Questo svuotamento dei comuni e questa cancellazione della politica, però, tanto più moltiplica aziende esternalizzate, enti funzionali, agenzie, commissariati, sovrintendenze, autorità, garanti, agende, progetti, conferenze, piani, pubblicazioni, raccomandazioni, circolari, tanto meno protegge concretamente le persone, le comunità, i territori.
Qualcuno ricorderà il 1981 non solo per una sciagurata scelta di privatizzazione dei debiti pubblici, ma anche per un importante documento dei vescovi cattolici italiani sulle prospettive del paese. Da allora, dobbiamo ammetterlo con franchezza, ogni tentativo di fermare il declino agendo sul potere centrale italiano (o europeo) è sostanzialmente fallito. La Repubblica, schiacciata da troppe leggi ma senza più legge, sta letteralmente sprecando la vita di decine di migliaia di funzionari pubblici, spesso qualificati lavoratori del diritto e della conoscenza, ma ormai persone perse, che ricevono stipendi, magari importanti, ma il cui lavoro nelle burocrazie del centralismo è totalmente inutile se non controproducente per le comunità e per i territori.
Siamo debitori, per questo appello, ai costituenti che hanno voluto sancire i principi di “sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza” (art. 118 della Costituzione); a coloro che ispirarono, scrissero, attuarono la rivoluzionaria, per i tempi, legge 142 del 1990 (onoriamo il ricordo di persone come Fiorenzo Narducci e Alfredo Gracili); ai fondatori delle liste verdi storiche (in particolare l’avventuara umana, politica e amministrativa di Giannozzo Pucci); alle tradizioni politiche della Firenze che è stata la città di Giorgio La Pira e dalla sua “giunta parallela”, composta da Mario Fabiani, Tristano Codignola, Romano Bilenchi; ai pionieri della rivoluzione paesana e rionale; alle tante realtà civiche che sono riuscite a vincere la guida del proprio comune, con le proprie forze, senza l’aiuto di alcun partito o di alcun potentato (o che ci stanno provando, come il Polo Civico di Fabio Pacciani nella Siena di questa primavera 2023); a coloro che, come i socialisti di Vecchiano, custodiscono le migliori tradizioni della politica dei partiti popolari della Repubblica delle Autonomie; a coloro che contribuiscono al Forum 2043 e che si stanno impegnando per costruire un grande movimento interterritoriale per le autonomie e l’ambiente.
Un caveat conclusivo
Siamo in una situazione grave: stiamo invecchiando, impoverendoci, spopolandoci nei nostri territori periferici rispetto alla globalizzazione; siamo minacciati dalla nostra stessa civiltà industriale che distrugge l’ambiente e disumanizza la vita; in poche mani sono concentrati strumenti di digitalizzazione e virtualizzazione talmente potenti da cancellare la stessa realtà, sostituendola con un sinistro conformismo planetario, un orwelliano appiattimento culturale e spirituale; le elite della finanza globale concentrano ricchezze immense e praticano un capitalismo predittivo che ci telecomanda nei nostri consumi e, in una prospettiva paurosa, nei nostri stessi pensieri e desideri; pochi poteri politici praticano la sorveglianza universale, con una pervasività mai vista prima nella storia; i loro apparati militari-industriali ci ordinano di amare gli oppressori e odiare gli oppressi, rendendo accettabili ai nostri occhi le loro guerre infinite. Non c’è più tempo da perdere: è il momento di una riscossa popolare.
Non possono farla gli ultimi, i troppo anziani, i malati, gli oppressi, i rifugiati, gli sradicati, i diseredati della Terra. Nemmeno la faranno coloro che sono integrati nella mentalità dominante, né, d’altra parte, coloro che sono stati abbagliati da prospettive settarie, cospirazioniste, apocalittiche. Come scrive Mauro Vaiani nel suo Cosmonauta Francesco, la rivoluzione la devono fare i penultimi: le persone che ancora hanno una cultura, una memoria, un’identità, un lavoro, una loro proprietà o un’attività economica privata, una capacità di comprendere in modo critico la parola scritta, una minima connessione alle reti sociali globali contemporanee, una capacità “donmilianiana” di avanzare i propri dubbi con parole chiare e appropriate, una spiritualità se non una fede. Persone che sanno distinguere se una cosa funziona meglio in Svizzera piuttosto che in Cina o negli Stati Uniti, a San Marino piuttosto che a Bruxelles, con un’anima libertaria e una cultura riformista, ma ancorate a una etica della responsabilità, piuttosto che della fanatica convinzione.
Sorgano quindi cavalieri di civismo, ambientalismo, autonomismo del XXI secolo, in difesa dei molti, contro i pochi, perché la vita resti umana e il pianeta abitabile: una nuova generazione di leader locali, a chilometro zero, capaci di generosità e sacrificio, disposti a concorrere alle loro elezioni locali e determinati a vincere.
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