L'ambientalismo che è qui per farci vivere
Il Forum 2043, in occasione della terribile ricorrenza del 2 agosto, l'Earth Overshoot Day, ospita la recensione di “Il clima cambia”, il primo fascicolo italiano della prestigiosa rivista “Ecologist”. Fu pubblicato nel 2004 dalla Libreria Editrice Fiorentina, grazie all’impegno di Giannozzo Pucci, lo storico leader verde fiorentino. E’ stato ristampato quest’estate del 2023, integralmente. Il fascicolo contiene interventi dello stesso Giannozzo Pucci e di Edward Goldsmith, di cui condivideremo qui alcuni estratti, oltre a quelli di Fred Pearce, George Marshall, Bill McKibben, Peter Bunyard, Luca Mercalli, Bruno Petriccione, Giampiero Maracchi, Giovanni Menduni, Franco Colombo, Marco Gustin, Maurizio Pallante, Mario Palazzetti, Terence Ward, Craig Dreman, Mycle Schneider e altri.
La ripubblicazione di articoli risalenti a vent’anni orsono non è stata una operazione nostalgia. E’ il riconoscimento della lungimiranza del lavoro di Ecologist, oltrechè dell’importanza e dell’attualità del tema del cambiamento climatico, che è profondamente e drammaticamente intrecciato con la nostra capacità di porre fine, al più presto, alla distruzione della sottile ecosfera abitabile del pianeta, nell’interesse di tutti i viventi e delle generazioni future.
Tra gli articoli presenti in questa ristampa e ancora attuali, troviamo: “La visione dell’Ecologist”; “Il rifiuto e la psicologia dell’apatia climatica”; “Quanto conta l’Amazzonia nel clima del pianeta”; “Profughi ambientali”; “Gli ultimi 10.000 anni: dai ghiacciai ai mandorli”; “Segnali e conseguenze nel territorio toscano”; “Nucleare ed effetto serra”; “Combattere il riscaldamento del globo casa per casa”.
Prima degli estratti dagli scritti di Pucci e Goldsmith, dobbiamo fornire alcuni caveat all’attivista civico, ambientalista, territorialista che frequenta il Forum 2043 e intende risintonizzarsi con la Carta di Chivasso e con 80 anni di storia delle lotte per le autonomie personali, sociali, territoriali.
Primo: quello sul clima e sulla sua alterazione anche a causa della nostra troppo grande e troppo pesante impronta sul pianeta (nostra di noi oltre sette miliardi di esseri umani e della nostra civiltà tecnologica globale) è un dibattito scientifico difficile e dannatamente serio. Dobbiamo mantenerci ben distinti e distanti sia dal negazionismo dei ciarlatani che non vogliono cambiare nulla degli attuali assetti economici e sociali, sia dal dogmatismo semplicistico e conformista di coloro che credono che esistano già soluzioni e ricette, ovviamente uguali per tutti e dappertutto, che non resti quindi altro da discutere, ma solo da obbedire a ciò che ci viene imposto con toni e modalità emergenziali (magari proprio da multinazionali e poteri forti, che sono ovviamente capaci di condizionare pesantemente la vita politica e le comunicazioni di massa). Purtroppo no, non esistono ancora soluzioni definitive alla crisi ambientale e ai rischi dell’innalzamento, anche lieve, delle temperature medie terrestri. Ogni territorio, ogni comunità locale, ogni leader locale con responsabilità di governo, tutti si devono impegnare per individuare ed adottare quanto prima, misure originali e locali di riduzione del danno che stiamo facendo all’ambiente, di mitigazione delle conseguenze più drammatiche della situazione, di adattamento a ciò che, inevitabilmente, anche se smettessimo oggi d’inquinare, è già cambiato. No, non ci salveremo comprando tutti automobili elettriche, per essere brutali. No, il trasporto aereo non può continuare così. No, i trasporti marittimi – crociere comprese – non possono andare avanti come oggi.
Secondo: noi attivisti civici, ambientalisti, territorialisti, siamo ben coscienti dei problemi gestionali e comunicativi dell’IPCC (https://www.ipcc.ch/, Intergovernmental Panel on Climate Change). E’ un organismo intergovernativo e nessuno, meglio di noi autonomisti e decentralisti, conosce i limiti intrinseci di questo tipo di tecnocrazie internazionali. Siamo anche ben coscienti delle critiche che si fanno, da molte parti, alle periodiche conferenze internazionali per la protezione dell’ambiente (la prossima sarà la COP 28, negli Emirati, https://www.cop28.com/en/), che spesso appaiono grandi circhi mediatici. Ci sono anche delle discussioni scientifiche, come quelle che vengono dagli scienziati cosiddetti “anticatastrofisti”: Alberto Crescenti, Franco Battaglia, Mario Giaccio, Enrico Miccadei, Giuliano Panza, Alberto Prestininzi, Franco Prodi, Nicola Scafetta (il loro appello può essere letto qui). Una delle loro critiche si fonda sull’interpretazione di fatti che proprio qui nei territori della Repubblica italiana sono storicamente e scientificamente ben conosciuti, come il “periodo caldo medioevale” (Optimum climatico medioevale) fra il 1000 e il 1300, in cui sarebbe stato caldo quanto e più di oggi. Se l’alternanza, non influenzata da attività umane inquinanti. di periodi freddi e caldi è un fatto, sia chiaro che nessuno dei citati scienziati “scettici” propone di lasciare che la nostra economia globale vada avanti come oggi! Avremo avuto caldo anche nel Medioevo, ma a quel tempo sul pianeta viveva mezzo miliardo scarso di persone, senza concentrazioni insostenibili di ricchezza e potere, senza la capacità distruttiva della guerra e dell’oppressione politica moderne, senza arsenali capaci di distruggere il mondo decine di volte, senza un’economia industriale di rapina e distruzione di risorse non rinnovabili, senza una cementificazione e una urbanizzazione selvagge, senza un ritmo di estinzioni di specie viventi che fa scrivere gli studiosi di “sesta estinzione di massa” nella storia della Terra, senza l’attuale terrificante invasione di plastiche e altre sostanze non biodegradabili, che riducono il pianeta a una discarica della nostra follia. Ogni paragone tra le sofferenze che gli esseri umani provocano e soffrono oggi e ogni altro periodo storico pre-industriale, sarebbe semplicemente fallace, ai limiti della dissonanza cognitiva. Quindi, come gli stessi scienziati scettici sostengono, ci resta il dovere di smettere di distruggere la nostra Terra e di porre in atto tutti i cambiamenti necessari al fine di poter lasciare alle generazioni future un pianeta abitabile.
Terzo: i media vanno a caccia di clic, cercano pubblico con narrazioni apocalittiche, alimentano – su ordine dei potenti della Terra – opposte tifoserie in modo che i cittadini si dividano invece che unirsi per cambiare le cose, oppure siano ridotti alla sudditanza a provvedimenti emergenziali, come sempre accade nel centralismo autoritario. Non partecipiamo, quindi, al gioco di chi grida più forte “La fine è vicina”, alimentando ecoansie, estremismi, atteggiamenti millenaristici. Invitiamo, soprattutto i giovani, a esercitare il loro senso critico e a prepararsi a essere dei buoni amministratori locali e attivisti politici, invece che accontentarsi di scioperi salta scuola, raduni lacrimosi, prediche generiche, gesti simbolici (speriamo non più vandalici). La crisi ambientale che stiamo vivendo non può essere risolta con facili moralismi, con il coinvolgimento emotivo, con il pressappochismo, con le operazioni di maquillage o di marketing (spesso abilmente orchestrate e quasi mai disinteressate). Occorrono invece studio, lavoro, impegno politico ed elettorale, coraggio e audacia, capacità e volontà di candidarsi alle elezioni (le poche ancora parzialmente democratiche che qua e là ci sono), ben sapendo che in mille si deve provare e che ben pochi poi saranno eletti e, ancora più difficile, eletti capaci di cambiare le cose.
Quarto (e ultimo per ora): se le ipotesi sui cicli di attività solare analizzati e spiegati da Valentina Zharkova risultassero verificati, il mondo potrebbe conoscere una svolta verso il freddo particolarmente severa all’incirca nel periodo 2030-2050 (qui una riflessione divulgativa ma ben scritta sull’ipotesi). Nessuno strumentalizzi questa ipotesi per frenare sulla necessaria fine della schiavitù dal fossile o dal fissile. Perché se il caldo fa paura alle nostre città inabitabili e alla nostra agricoltura viziata dalla chimica, nessuno creda che un periodo più fresco si rivelerà meno drammatico. La situazione è già compromessa e dobbiamo rendere la vita umana più sostenibile e più giusta, senza se e senza ma, qui e ora. Una casa ben costruita è più vivibile sia che arrivino eccessi di caldo che di freddo. Una campagna ben coltivata e saggiamente diversificata può produrre cibo buono in ogni stagione. Nella migliore delle ipotesi, speriamo che abbia ragione lo scienziato bolognese Teodoro Georgiadis, che ha sostenuto che un eventuale raffreddamento a metà del XXI secolo, non comporterebbe meno sofferenze, ma forse ci darebbe più tempo per porre fine all’attuale civiltà distruttiva che, letteralmente, “ci fa mangiare petrolio”, come ci disse autorevolmente Luca Pardi, alla II assemblea generale di Autonomie e Ambiente.
Verso un pensiero laico eppure religioso e comunque fraterno
(di Giannozzo Pucci)
L’Ecologist, pur essendo laico, crede nella libertà per tutti di professare apertamente la propria fede nella comune identità di appartenenti e custodi della Terra. Questa appartenenza, davanti alla crisi ecologica in atto, può anche ispirare il superamento dei conflitti religiosi con una sfida etica alla fraternità e alla venerazione della terra. Mai l’umanità è rimasta ferma, il bisogno di tornare alla purezza originale ci ha sempre tenuti in movimento, ma un miglioramento delle condizioni di vita nel rispetto della creazione è altra cosa da un progresso sostitutivo di ogni natura e fede che ha prodotto miseria da una parte e degrado per ingiusta ricchezza dall’altra.
L’Italia, negli anni 1950 e ‘60, poteva prendere un’altra strada rispetto a quella del consumismo e dello spreco che adesso la caratterizza e che ha devastato l’unità delle famiglie, la salute pubblica, le campagne, le città, i mestieri tradizionali di custodia della Terra e di trasformazione dei suoi prodotti. Ma oggi, se saprà cambiare strada prima di altri, impegnandosi in quella autonomia alimentare ed energetica che è stata tabù per così tanto tempo, potrà svolgere il suo specifico compito storico di mediatrice fra i popoli.
Un’economia che distrugge la natura e produce miseria non ha nulla a che vedere con la civiltà, anche se viaggia in auto sportive e aerei supersonici, ma è pura barbarie.
L’uomo moderno, anche con l’automobile, continua ad avere due gambe come l’uomo di sempre e in questo mai cambierà; l’invito a riconsiderare il passato ha lo scopo di migliorare la civiltà, rifondandola su realtà umane perenni che riducano le ingiustizie e facciano emergere un compito storico degno dei sacrifici di questa e delle prossime generazioni. Tale compito consiste nel trasformare la società occidentale da cancro della terra a custode della moltiplicazione delle forme di vita.
Questo compito straordinario, eticamente radicato, è parte non secondaria di ogni religiosità. L’incoerenza italiana tra proclami ecologici e pratiche di vita devastanti è una regressione spirituale e civile che può e deve essere superata.
Certo questo primo libro (il fascicolo italiano dell’Ecologist del 2004, ripubblicato nel 2023, ndr) contiene molte profezie di sventura, del resto non fu la profezia di sventura di Giona a convertire la città di Ninive?
Come nutrire il mondo, anche se non farà più caldo
(di Edward Goldsmith)
(…) Gli agricoltori stanno perdendo la battaglia (per colpa della chimica industriale, ndr), gli organismi dannosi sopravvivono all’assalto chimico, gli agricoltori no. Un numero sempre crescente di loro abbandona la terra e la situazione in futuro peggiorerà molto. Oggi assistiamo all’introduzione forzata di colture geneticamente modificate da parte delle organizzazioni internazionali colluse con i governi nazionali, resa possibile dall’influenza sempre più forte delle multinazionali biotecnologiche. Le colture geneticamente modificate, diversamente da quanto ci viene detto, non aumentano i raccolti. Per di più hanno bisogno di maggiori investimenti, compresi più acqua e più diserbanti, il cui consumo avrebbero dovuto ridurre notevolmente (…).
Un altro motivo per cui la moderna agricoltura industriale ha fatto il suo tempo, anche senza il problema del cambiamento climatico, è la sua eccessiva vulnerabilità e dipendenza dall’aumento dei prezzi del petrolio, e ancor più dai periodi di carenza di questo combustibile (...).
Questo non succede con le varietà tradizionali, alcune delle quali sono così produttive che, in alcune parti dell’India, i coltivatori stanno ritornando ad usarle (…).
In ogni caso, non c’è nulla di meno sostenibile dell’agricoltura industriale irrigua. La quantità d’acqua usata per l’irrigazione raddoppia ogni 20 anni e attualmente assorbe quasi il 70% di tutta l’acqua utilizzata nel mondo, una situazione che non può andare avanti ancora molto, che ci sia o meno il cambiamento climatico. Quasi senza eccezione, l’agricoltura industriale, specialmente nelle aree tropicali, provoca subsidenza e salinizzazione dei terreni (…).
Quali caratteristiche deve avere un sistema agricolo che risponda ai nostri bisogni? Innanzitutto, deve essere altamente locale. Il cibo, invece di essere prodotto per l’esportazione, come i contadini sono costretti a fare dal Fondo Monetario Internazionale e ora dalla World Trade Organisation (Organizzazione mondiale del commercio), deve innanzitutto rispondere ai bisogni locali.
Un primo motivo è che i trasporti in generale assorbono un ottavo dei consumi mondiali di petrolio e gran parte di questi è costituito dal trasporto di alimenti (umani e animali, ndr) (…).
La localizzazione del cibo è necessaria anche senza il problema del cambiamento climatico perché è soltanto producendo cibo localmente che i poveri, in particolare nel Terzo mondo, possono avervi accesso. Infatti, una delle maggiori cause di malnutrizione e di fame nei paesi poveri è la mancanza di terra per la produzione di cibo per uso locale. Tra il 50% e l’80% di terreno agricolo nei paesi del Terzo mondo produce per l’esportazione (…).
In un sistema agricolo locale, in gran parte autosufficiente, costituito soprattutto di piccole aziende agricole, vengono usate molte colture diverse e molte varietà di piante in ciascuna coltura come hanno sempre fatto gli agricoltori tradizionali (…).
Come scrive James Scott, un’autorità nel campo dell’agricoltura contadina, “la tradizione locale di usare un’ampia varietà di sementi, tecniche e periodi di semina è stata formata in secoli di tentativi per arrivare a produrre i raccolti più stabili e affidabili possibile in date circostanze”. Di solito, un coltivatore cerca di evitare l’errore “che lo potrebbe rovinare, piuttosto che tentare una caccia grossa ma rischiosa”, e questo in gran parte lo ottiene coltivando molte colture diverse e varietà di piante scelte con cura, la cui combinazione esatta egli è in grado di adattare, quando necessario, ad eventuali modifiche ambientali.
Dato che, col cambiamento climatico, nessuno sa prima quali colture e varietà saranno in grado di sopravvivere alle ondate di calore, alle inondazioni, ai periodi di siccità e all’invasione di insetti esotici, è più importante che mai che gli agricoltori siano in grado di coltivare un’ampia e ben scelta varietà di colture tradizionali (...).
Ogni scelta che aiuta a rendere i nostri metodi agricoli più simili a quelli naturali usati dagli agricoltori tradizionale è un moltiplicatore di soluzioni. Potrebbe valer la pena considerare tutta la serie di problemi nati con l’uso dei fertilizzanti artificiali. Sostituendoli, come suggerito prima, con quelli naturali, potremmo risolvere un gran numero di problemi importanti, ben oltre il fatto di ridurre drasticamente il contributo delle attività agricole alla destabilizzazione del clima mondiale (…).
...il fertilizzante non aumenta il peso a secco, ma semplicemente aggiunge più acqua al raccolto. Di conseguenza, l’uso di fertilizzanti artificiali rende le piante molto più vulnerabili a infestazioni di funghi e ne incrementa le perdite dopo il raccolto. Per evitare questo, vengono regolarmente utilizzati pesticidi ancor più velenosi durante l’immagazzinamento.
Questi studi indicano che i tanto esaltati benefici offerti dall’uso dei fertilizzanti chimici e diserbanti sono in gran parte illusori. Il che non sorprende visto che queste sostanze chimiche non sono state diffuse per fornire alla gente cibo a basso costo, abbondante e sano. Furono inizialmente ideate come esplosivi (TNT)… (…).
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Firenze, 2 agosto 2023
Earth Overshoot Day
Il giorno di ogni anno in cui s’inizia a vivere a spese delle generazioni future
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