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Giacomo Matteotti VIVE

Mauro Vaiani - Fratta Polesine, 30 maggio 2024 (cent'anni dall'ultimo discorso dell'on. Matteotti)

Siamo arrivati ai giorni più significativi del centenario del martirio di Giacomo Matteotti, un barbaro delitto fascista avvenuto il 10 giugno 1924. Onoriamo il grande leader socialista non solo per il suo rapimento e il suo orribile assassinio, ma ancora di più per la sua vita, illuminata da una rara chiarezza morale, densa di felici intuizioni e di durevoli realizzazioni politiche.

 

Giacomo Matteotti, durante il suo ultimo discorso nel Parlamento del Regno d’Italia, il 30 maggio 1924, fu apostrofato dal fascista Bramante Cuttini con queste parole: “Non parlare tu, che non sei italiano!”. Il deputato socialista rispose esclamando: “Per ora siamo tutti italiani!”.

Queste scambio di battute è emblematico della miseria spirituale e culturale, prima ancora che della rovina politica, in cui era precipitato il Regno dei Savoia, e della grandezza di coloro che invece, come Giacomo Matteotti, resistettero al vergognoso, sanguinario, distruttivo e infine autodistruttivo spirito centralista, autoritario, bellicista e infine fascista della “Nazione italiana”. La loro resistenza continua, ora e sempre. Il nostro mondo civico, localista, territorialista e decentralista ne è parte fondamentale e deve continuare a fare la sua parte. Abbiamo già sconfitto quel nazionalismo, ma il nostro compito non si è certo esaurito.

Davvero Giacomo Matteotti non fu “italiano” nel senso che i centralisti di allora e di oggi hanno dato a questa parola. Fu piuttosto “antitaliano”, come ha scritto Concetto Vecchio, per spessore spirituale e impegno civile. Per questo è una figura così importante per tutti noi che siamo impegnati per le autonomie personali, sociali, territoriali, in una Italia e in una Europa libere e unite, quelle sognate dalle migliori tradizioni del Risorgimento e della Resistenza.

Il socialismo democratico, umanitario, riformista, autonomista di Giacomo Matteotti era con noi a Chivasso, è con noi oggi, è qui per restare.

Autonomie locali per il bene di tutti

La famiglia trentina dei Matteotti si era trasferita nel Polesine nella prima metà dell’Ottocento, in quello che allora era il Regno Lombardo-Veneto, parte dei domini asburgici. Partiti come artigiani e commercianti e avendo avuto fortuna, erano diventati un’agiata famiglia di proprietari terrieri, quella in cui nacque Giacomo a Fratta Polesine, fra l’Adige e il Po, nel Rodigino, il 22 maggio 1885.

Il Polesine di allora era un territorio depresso, abitato da contadini e braccianti che la modernità, con le connesse concentrazioni di potere tecnologico, economico e politico, stava emarginando, lasciando agli umili l’emigrazione come unica via di fuga. A cavallo fra il XIX e il XX secolo, un terzo della popolazione sarebbe emigrata, prevalentemente verso il Sudamerica.

Il giovane Matteotti, di fronte a questa dura realtà, fece molto presto la sua scelta di campo, avvicinandosi al socialismo. Alla fine dei suoi studi giuridici a Bologna, nel 1910 pubblicò una tesi sul problema della prevenzione della “recidiva”, dimostrando di avere una precoce e matura sensibilità politica. Il carcere era ed è, nei regimi fondati sull’ineguaglianza, una delle più terribili discariche sociali.

Diventò già all’inizio degli anni Dieci consigliere in diversi comuni e nel 1912 fu sindaco di Villamarzana, un piccolo municipio confinante con Fratta.

Senza forti, autorevoli, competenti istituzioni locali, non c’è alcuna emancipazione dalla povertà, né riscatto per gli umili. Non si è vicini agli ultimi... Da lontano… Ma solo nella prossimità. Questo era chiarissimo a Matteotti e agli amministratori socialisti autonomisti di allora.

Negli stessi anni partecipò alle prime riunioni interterritoriali del crescente numero di amministratori locali socialisti. Nel 1916 è tra i fondatori della Lega dei comuni socialisti (LCS), una storica alleanza di autonomisti riformatori, di cui fu a lungo la guida. I valori dell’organizzazione, cioè federalismo, autonomie, coesione nella comunità locale, solidarietà fra i territori, la piena attuazione del principio della sussidiarietà, nonostante la repressione del Ventennio fascista, confluirono nella Costituzione e furono posti alla base della nuova Repubblica delle Autonomie.

Oggi, per inciso, l’antica Lega socialista esiste ancora, con il nome di ALI (Autonomie Locali Italiane), ma piuttosto appannata, se non addirittura sfigurata, da una generazione di sindaci non più socialisti né autonomisti (eletti direttamente dal popolo, che si atteggiano a piccoli podestà e che civettano con la sciagurata deriva centralista dell’elezione diretta del “podestà d’Italia”).

A partire dalle prime esperienze di servizio come amministratore locale, Giacomo Matteotti diventò un attivista politico a tempo pieno. Con azioni concrete per l’emancipazione dei lavoratori - in particolare i più poveri, i braccianti - e per la scolarizzazione dei figli dei ceti popolari, si conquistò un grande consenso.

Fu sempre riformista nei modi e nei tempi, ma non per questo meno radicale negli obiettivi di giustizia sociale.

Contro l’ “Inutile strage”

Allo scoppio della Grande guerra, la Prima guerra mondiale, Giacomo Matteotti si schierò contro l’ingresso del Regno d’Italia nel conflitto, con quelli che furono chiamati spregiativamente “neutralisti”.

La grande maggioranza delle forze politiche e del Parlamento era contro la guerra. Eppure gli infami Savoia, le elite nazionaliste, gli aspiranti profittatori di guerra, riuscirono a coinvolgere l’Italia in un conflitto industriale moderno in cui furono uccisi almeno 10.000.000 (dieci milioni) di coscritti (poco meno di 700.000 i soldati caduti del Regno d’Italia), mentre altri milioni di civili soffrirono e morirono per ferite, devastazioni, fame, malattie, persecuzioni e deportazioni.

Per la sua nitida opposizione alla guerra, Giacomo Matteotti fu processato per “disfattismo”. Le autorità militari, che lo avevano riformato per un serio problema polmonare, lo confinarono in Sicilia, per allontanare questo pericoloso “sovversivo” dalla sua terra, dai suoi compagni, dai suoi sostenitori.

Questa sua posizione “anti-patriottica” non gli fu mai perdonata. Le elite politiche italiane - conservatrici, liberali, socialiste, persino certi popolari cristiani, nonostante la coraggiosa denuncia della guerra da parte di Benedetto XV - si erano in gran parte ubriacate dell’idea di stare combattendo la “IV Guerra d’indipendenza”.

Solo pochi intellettuali, fra cui Curzio Malaparte (con il suo pamphlet su Caporetto, più volte pubblicato, ripetutamente sequestrato), compresero quanto autodistruttiva sarebbe stata la guerra per “Trento e Trieste”, per il “Brennero”, per l’Istria, Fiume, la Dalmazia, per nuove colonie. Ancora meno si comprese, quando poi gli imperi centrali si arresero, quante ingiustizie e quante frustrazioni sarebbero derivate proprio dalla cosiddetta “vittoria”.

Alle elezioni politiche del 1919, i socialisti che erano stati contro la guerra come Giacomo Matteotti ottennero un vasto consenso popolare. La lista socialista, nella circoscrizione di Rovigo e Ferrara, ottenne il 70% dei voti. I socialisti finirono per reggere tutti i 63 comuni del Polesine. Giacomo Matteotti entrò alla Camera e cominciò subito a distinguersi per competenza, diligenza, capacità oratoria.

Il “biennio rosso”, purtroppo, non poté pacificare e riunire un paese distrutto dalla prima terribile guerra moderna. Non solo per gli estremismi delle varie fazioni, ma più drammaticamente per problemi di scala che erano incomprensibili alle elite del tempo. Oltre ai morti, c’erano stati un milione di soldati feriti, di cui quasi mezzo milione sarebbero rimasti invalidi. Almeno altri quattro milioni di soldati smobilitati dovevano essere reinseriti nella società. L’industria e anzi l’intera economia erano da riconvertire. Le scuole, le università, le istituzioni culturali, i giornali, erano tutte avvelenate da bellicismo, revanchismo e odio. Ciò che si era mobilitato, nessuno sapeva come smobilitarlo.

La menzogna della “guerra patriottica” che si era raccontata ai sudditi degli infami Savoia era stata troppo grossa. Per tanti fu impossibile prendere coscienza che si era stati così tanto ingannati. Molti, pur di non ammettere a se stessi e di fronte alle generazioni future di esser stati così crudelmente imbrogliati, scelsero di continuare a credere nelle storie edulcorate che erano state loro propinate.

Quando furono celebrati, dal 2014 al 2018, i diversi centenari della Grande guerra, alcune delle grandi menzogne del secolo precedente sono state ancora ripetute senza vergogna dalle elite al potere.

Contro il fascismo di allora

Quando chi ha potere è prigioniero di una menzogna così grande da non poter essere smascherata - pena la propria scomparsa politica – come lo fu quella di giustificare e considerare necessaria quella che era stata l’ “Inutile strage”, si moltiplicano inevitabilmente le dissonanze cognitive (per i pochi in buona fede) e le ipocrisie (per tutti gli altri). Quelli che erano stati “interventisti democratici” non poterono contrastare le forze che avevano liberato.

Il fascismo cinico e criminale di Benito Mussolini organizzò i reduci, in gran parte disadattati e “spostati” dalle sofferenze della Grande guerra. Promise a molti che, indossando una camicia nera, avrebbero potuto continuare ad avere in tempo di pace qualcosa dello status che avevano avuto sotto le armi e magari anche di più, nel nome di un patriottismo (che era stato da ormai due secoli giustamente definito “l’estremo rifugio delle canaglie”).

Nella bassa Pianura Padana e nel Polesine il fascismo manifestò esplicitamente, lontano dalle grandi città e dall’opinione pubblica romana e milanese, la sua intrinseca natura di impresa politica seminatrice e profittatrice di paura, violenza e sangue.

Giacomo Matteotti, in quanto borghese diventato socialista e poi, senza reticenze, antibellicista, diventò il bersaglio ideale di tutti coloro che avevano abbracciato la strada senza ritorno della menzogna bellicista e nazionalista.

A Castelguglielmo, il 12 marzo 1921, fu aggredito. Fu messa in giro la voce che fosse stato addirittura stuprato. Fu costretto a lasciare il Polesine.

Alle elezioni del maggio 1921 fu rieletto deputato. Nel disastro della frammentazione del socialismo in tronconi settari (e impotenti), nel 1922 si ritrovò segretario del Partito Socialista Unitario (PSU), il partito che raccolse i riformisti di cui era stato leader Filippo Turati.

Il fascismo, sostenuto dai reduci esaltati e sradicati, dalla monarchia, dai poteri forti del tempo, stava crescendo impetuosamente, mentre Giacomo Matteotti era sempre più solo e incompreso, in una sinistra egemonizzata da estremismi tanto rumorosi quanto impotenti.

Giacomo Matteotti, grazie al radicamento nel suo territorio, fu rieletto anche nel 1924, in elezioni che si svolsero con la legge elettorale truffa, quella firmata da Acerbo.

Il 30 maggio di quell’anno, nella seduta inaugurale della Camera, tenne un ultimo coraggioso discorso, denunciando le violenze e le illegalità che avevano contraddistinto quelle ultime consultazioni.

Parlò più di un’ora, fra gli insulti, le urla, le minacce della maggioranza fascista. Mussolini, dopo aver seguito l’intervento del deputato rodigino, confessò che non vedeva l’ora di liberarsi di lui (lo disse ad Antonio Salandra, nazionalista, traditore dello Statuto, uno dei principali responsabili dell’illegale entrata in guerra dell’Italia, infine diventato cameriere del fascismo).

Cosa intendesse dire il capo del fascismo si comprese dieci giorni dopo, il 10 giugno, quando Matteotti fu rapito sul Lungotevere Arnaldo da Brescia di Roma.

Il resto della sua tragica uccisione e dell’occultamento del suo cadavere ad opera della squadraccia fascista guidata dal criminale Amerigo Dumini, è tristemente noto.

Contro le ipocrisie di oggi e di sempre

Dopo aver resistito all’ondata di indignazione seguita al delitto Matteotti, il fascismo condusse gli Italiani alla rovina che tutti sappiamo.

Per anni la famiglia, gli amici, i compagni, chiunque avesse avuto il coraggio di parlare del deputato socialista, subirono angherie di ogni sorta dal regime.

La fama di questo martire socialista, però, si diffuse in tutto il mondo. Matteotti viene citato nelle opere di grandi della letteratura mondiale come Ivo Andric, Miguel de Unamuno, Stefan Zweig, George Orwell, Marguerite Yourcenar, Leonardo Sciascia.

Lui, che era stato un autentico laico irreligioso, diventò un mito da venerare per le masse popolari, comprese quelle più cristiane e conservatrici.

Dopo la guerra le sue convinzioni socialiste, riformiste, autonomiste entrarono nella Costituzione del 1948.

Fu onorato come un limpido esempio di antifascismo, ma anche di qualcosa di più profondo. Ci sono ben pochi personaggi che possono vantare di comparire nella toponomastica italiana più di Giacomo Matteotti. Si potrebbe intravedere in questo un segno di riconoscimento da parte di cittadini di ogni tendenza politica, sia nelle regioni rosse che in quelle bianche.

Una memoria dal basso, dalle amministrazioni locali, vorremmo dire, più spontanea, sincera e diffusa di quella che le elite – anche quelle andate al potere dopo la Seconda guerra mondiale – gli abbiano mai saputo tributare.

La sua radicale opzione per gli ultimi del Polesine, il suo amore per le autonomie locali, il rifiuto della retorica nazionalista, la sua opposizione alla Grande guerra, sono stati sempre scomodi e forse lo sono ancora oggi.

Ha scritto Concetto Vecchio: "La memoria di Matteotti è stata calpestata. Il suo monumento, sul Lungotevere [Arnaldo da Brescia, a Roma, dove fu rapito dai fascisti], a me pare lo specchio di questo mancato riconoscimento: è brutto, incomprensibile per chi vi passa, mai illuminato col buio…".

Nessuno può fare a meno di onorarne la memoria, ma non si può fare a meno di notare che ne viene talvolta oscurata la radicale diversità dai politici italiani, centralisti, autoritari, settari del suo tempo. Essendo stato antinazionalista, riformista e autonomista, è stato troppo in anticipo sui suoi tempi ed è ancora scomodo nei nostri.

Giacomo Matteotti è un autentico esempio di concretezza, operosità, radicalità negli obiettivi e moderazione nei metodi e nei tempi, capacità di sporcarsi le mani per fare politica sul serio, per l’emancipazione della sua gente. Capacità e valori di cui si sente disperatamente il bisogno, oggi, e che, ci crediamo, ispireranno una nuova generazione di leader locali.

 

Fratta Polesine, 30 maggio 2024 (centesimo anniversario del 30 maggio 1924, giorno in cui il leader socialista tenne alla Camera del Regno d’Italia il suo ultimo discorso, di coraggiosa denuncia dei brogli elettorali e delle violenze fasciste)

Giacomo Matteotti VIVE

di Mauro Vaiani*

 * Mauro Vaiani è studioso e attivista in Toscana, blogger di https://diversotoscana.blogspot.com,
garante di OraToscana, vicepresidente segretario di Autonomie e Ambiente, coordinatore del Forum 2043

Inviti all’approfondimento:

Volumi recenti, usciti in occasione del centenario:

Giacomo Matteotti : l'Italia migliore / Federico Fornaro
Torino : Bollati Boringhieri, 2024

Tempesta : la vita (e non la morte) di Giacomo Matteotti / Antonio Funiciello
Milano : Rizzoli, 2024

Intrigo all'italiana : il delitto Matteotti tra politica, affarismo e spie / Giancarlo Infante
Amazon, maggio 2024

Io vi accuso : Giacomo Matteotti e noi / Concetto Vecchio
Milano : UTET, 2024

Fonti:

https://www.casamuseogiacomomatteotti.it/biografia/ (Gianpaolo Romanato)

https://www.ilmillimetro.it/giacomo-matteotti-dimenticato-e-attuale-io-vi-accuso-di-concetto-vecchio/ (Fabio Insenga)

https://www.pisauniversitypress.it/rassegna_stampa/la-lezione-attuale-di-matteotti-di-liliana-segre-settimanale-oggi-rubrica-la-stanza-2469.html (Liliana Segre)

https://www.unita.it/2023/06/11/lultimo-discorso-di-giacomo-matteotti-il-leader-socialista-ucciso-dai-fascisti/

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