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Meridionalismo come emancipazione e autogoverno

Gruppo di studio interterritoriale Forum 2043 - 29 agosto 2022

 

Firenze - Napoli, 29 agosto 2022

Spunti per un dialogo fra decentralismo internazionale e meridionalismo napoletano:

In Italia, come in quasi tutti gli altri stati, la ricerca dell’autonomia politica di aree territoriali e regioni dal potere centrale è una realtà in continua crescita, e laddove qualche rappresentanza politica riesce a raggiungerla essa si rafforza con il tempo. L’autonomia politica non è il frutto di ‘vezzi’ ma di richieste con forti motivazioni sociali, spesso legate alla reazione contro la condizione di “colonia interna”, sfruttata dallo stato centrale.

L’Italia è uno stato unificato con le armi dal Piemonte, uno stato piccolo ma con una classe dirigente ambiziosa, che gestiva già una sua colonia, la Sardegna, e condivideva lo spirito espansionistico ed imperialista del tempo. L’unificazione italiana è in Europa uno dei casi più rilevanti di rapida sottomissione di popoli e territori diversi attraverso pratiche e teorie di “invenzione di una nazione”, che hanno trasformato interi territori sottomessi in “colonie interne”. Con la colonizzazione interna si è pratica l'emarginazione e si è rischiata la completa cancellazione di culture, lingue e tradizioni dei diversi territori e popoli della penisola.

I conquistatori hanno costruito la loro “narrazione”, cioè una “storia ufficiale”, che giustificasse l’allargamento del regno sabaudo, cancellando lo stesso ricordo dei dissidenti e dei ribelli dal loro “Risorgimento”. Una sorta di Damnatio Memoriae è quella che i conquistatori piemontesi hanno riservato ai conquistati, in particolare agli abitanti degli antichi regni di Napoli e di Sicilia (che furono unificati nel 1816, in modo avventato, da Ferdinando III di Sicilia e IV di Napoli, nel Regno delle Due Sicilie, ponendo così le condizioni per il sorgere di un profondo malcontento siciliano nei confronti dei Borbone, che avrà serie conseguenze negative per entrambi gli stati).

Il decennio successivo alla conquista del 1861 vide svilupparsi nel Sud il fenomeno del cosiddetto brigantaggio, nato per autodifesa dagli umili e dagli sconfitti. Per i Meridionali quello fu un decennio terribile, di oppressione legalizzata con provvedimenti come la legge speciale 15 agosto 1863, n. 1409, intitolata "Procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle Provincie infette", nota come legge Pica dal nome del suo primo firmatario, il deputato abruzzese Giuseppe Pica. Non mancò neppure una pratica apertamente razzista, sulla scorta del positivismo di Cesare Lombroso, che arrivò a teorizzare che i Meridionali avessero le caratteristiche fisiche di un popolo inferiore e dedito al crimine. Eppure, per le guerre coloniali dei Savoia, i figli maschi andavano bene tutti, anche quelli del Sud e delle isole. Nella “inutile strage” del 1915-18 furono arruolate a forza intere generazioni di Meridionali destinandole a fungere da carne da cannone, mentre le loro famiglie restavano senza braccia e quindi anche senza sostentamento, come ben documentato, fra gli altri e in ultimo, dallo scrittore piemontese Lorenzo Del Boca nel suo “Il sangue dei Terroni” (Piemme, 2016). Al fronte della ignobile e sordida Prima guerra mondiale i Meridionali erano facilmente sacrificabili in inutili attacchi alla baionetta. Per il solo fatto di non poter capire al volo gli ordini loro impartiti in lingua italiana, finivano fucilati per “insubordinazione”.

Dello sconvolgimento dell’emigrazione su larga scala, fenomeno prima sconosciuto, che colpì interi territori sottomessi ai Savoia e, dal 1880, l’intero Mezzogiorno, non possiamo certo parlare in questa sede ma va ricordata per capire come il Meridione si sia ritrovato, alla fine della Seconda guerra mondiale, esiliati i Savoia e cacciati i capi fascisti e nazionalisti, sicuramente più libero nella Repubblica, ma in una situazione di enorme arretratezza, esasperata ulteriormente dall'iniqua distribuzione dei fondi del piano Marshall e successive nuove emigrazioni di massa incoraggiate dallo stato centralista. Altri popoli e territori della penisola italica hanno sofferto la sottomissione e il maltrattamento dallo stato centralista e autoritario, ma molti storici ed economisti stimano che quello del Regno delle Due Sicilie sia stato un arretramento, a causa della colonizzazione, che ha pochi paragoni in Europa.

Neppure i processi tumultuosi della Ricostruzione, del boom industriale, del benessere, delle riforme sociali, delle pur discusse e discutibili politiche per il Mezzogiorno, sono riusciti a colmare il divario creatosi a partire dalla cosiddetta “Unità d'Italia”. Il territorio meridionale presenta ritardi infrastrutturali, diritti negati o mediamente di minore valore rispetto ad altre zone d’Italia. Tutti gli istituti di statistica ogni anno certificano l’esistenza di una arretratezza in termini di benessere materiale e di servizi disponibili. Al contrario siamo in testa alla classifica di fenomeni negativi come emigrazione, spopolamento, degrado del territorio, inquinamento. A differenza di quanto si ostinano a dire troppi politici - i capi del centralismo italiano - non sono ulteriori possibili autonomie che minacciano il Sud. L'arretratezza è dovuta piuttosto a un passato e a un presente di centralismo.

Qualcosa però è cambiato. Siamo nel XXI secolo inoltrato. Alcuni Statuti di autonomia sono stati riconosciuti dalla Costituente e sono state create le Regioni ordinarie nel 1970. Diversi territori un tempo oppressi hanno visto movimenti di popolo forti contro il centralismo, come in Valle D’Aosta, Trentino, Friuli, Veneto. In Europa abbiamo esempi di emancipazione e di autogoverno, come in Catalogna, Corsica, Scozia, dove governi autonomi recuperano benessere, identità e tradizioni, curano il loro ambiente, fanno rinascere cultura ed economia locale. Le amministrazioni autonome, governate da forze autonomiste, hanno dimostrato, nel tempo, che si può fare meglio avendo alla guida movimenti e partiti territorialisti e non subalterni al centralismo e alle forze politiche “nazionali”.

Il Mezzogiorno, purtroppo, rischia di essere ancora fermo alla “Questione meridionale” così come la vedevano Gaetano Salvemini, don Luigi Sturzo, Antonio Gramsci. Non è certo in discussione il loro spessore culturale o la loro sensibilità politica e sociale, né la sincerità e la generosità dei movimenti politici popolari e democratici che da essi sono stati ispirati e che hanno lottato nel Sud e per il Sud. Forse, però, è giunto il momento di rompere il soffitto di cristallo di cui essi stessi erano poco consapevoli. Come hanno scritto coraggiosamente le forze della rete Autonomie e Ambiente in un loro appello politico di quest’anno: “Non crediamo esista una soluzione “italiana”, tanto meno “europea”, ai problemi dei diversi territori negli anni difficili che ci aspettano, di crisi e di cambiamento; vogliamo quindi fare largo a una nuova generazione di leader locali, competenti e capaci, territorio per territorio, di individuare e percorrere la strada migliore per la loro comunità, per affrontare la transizione ecologica, fermare l’impoverimento, l’abbandono e lo spopolamento, promuovere le pari opportunità, autogestire localmente i servizi pubblici, salvaguardare i beni comuni, mettere le persone al riparo dalla sorveglianza digitale universale, ricostruire economie locali aperte sì, ma anche largamente autosufficienti dal punto di vista alimentare, economico, tecnologico, finanziario, sociale e culturale.”.

La “Questione meridionale” non sarà risolta da movimenti antipolitici, da settarismi di destra o di sinistra, o da tecnocrazie imposte dall'alto, quanto piuttosto da una presa di coscienza da parte delle popolazioni meridionali che è possibile e auspicabile l'autogoverno dei propri territori favorendo investimenti e trattenendo i giovani, bloccando la fuga di cervelli e di braccia verso altri luoghi.

Altrove in Italia e in Europa, il regionalismo costituzionale, pur fra molti chiaroscuri, ha innescato dei processi di emancipazione. Ha trattenuto competenze. Ha reso possibili investimenti. Ha accompagnato il risveglio identitario e culturale delle popolazioni locali. Nelle spopolate regioni meridionali, purtroppo, la forza politica delle istituzioni locali, in maggioranza rette da esponenti locali dei partiti centralisti, rischia di essere troppo poca per poter reclamare le risorse e le politiche che loro spettano. Per questo, fra le altre cose, si è anche immaginata una "Macroregione" del Meridione continentale, con organi comuni ai sensi del penultimo comma dell’art. 117 della Costituzione. La proposta di collaborazione fra la città di Napoli, i territori della Campania, gli Abruzzi, il Molise, le Puglie, il Salento, la Lucania, le Calabrie, senza voler in alcun modo pregiudicare l’autonomia di ogni territorio e comunità del Meridione, è stata vista come un modo per scuotere lo status quo, ora che il Meridione conta, elettoralmente, meno di un terzo della Repubblica.

Tocca a una nuova generazione di leader meridionali competere e sconfiggere sul terreno civile e politico gli ascari della politica centralista. Solo così emergerà una nuova classe dirigente autonoma e autonomista, sia nella politica, che nell’economia locale, che in ogni aspetto della vita sociale e culturale. Da questa nuova generazione ci si attende un prezioso contributo alla promozione di una autentica Repubblica delle Autonomie, una Italia federale, sociale e solidale, formata da territori che eleggono liberamente i propri leader locali, libera da ogni subalternità a centrali di potere estranee ai nostri territori, specie quei poteri finanziari globali che oggi fanno il bello e brutto tempo nel mondo.

Dopo decenni di riflessioni sul cosiddetto “glocalismo”, saremmo in drammatico ritardo se non avessimo compreso che è solo da comunità e popoli liberi, che si autogovernano, che possiamo aspettarci il senso di rispetto e di misura che dobbiamo ritrovare, territorio per territorio, per porre fine allo sfruttamento e alla distruzione del pianeta. Questo scenario non è solo auspicabile. E’ l’unico possibile per un futuro a misura di persona umana, in una Europa dei popoli che lavori per la pace e la giustizia in tutto il pianeta.

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Contributo di cui si assume la responsabilità il gruppo di studio del Forum 2043, ringraziando Alessandro Citarella (presidente dei Meridionalisti - Federalisti Europei - https://www.meridionalisti.org/) per gli stimoli, i contenuti, gli scritti che ci ha trasmesso.