Verso Melfi 2023 - Spunti di discussione
Questi dieci capitoletti, che non esitiamo a definire audaci, sono messi a disposizione di chi parteciperà all'incontro pubblico di Melfi, il prossimo venerdì 27 ottobre 2023, in cui intellettuali, attivisti, imprenditori, amministratori del Sud, a partire dalla Charta di Melfi, lavoreranno insieme al Patto Autonomie e Ambiente e al partito politico europeo Alleanza Libera Europea - Free European Alliance (ALE-EFA) per lanciare un ambizioso progetto di autonomie sociali, personali, territoriali, per tutti, non per pochi.
Melfi 2023
Spunti di discussione per una economia virale per i territori del Sud e dell’Europa
Melfi abbraccia Chivasso e Algeri e da Melfi si riparte per una Europa diversa
Verso l’incontro pubblico del 27 ottobre 2023
Note di redazione
Questo documento è stato creato il 23 agosto 2023, a cura di Gino Giammarino, Canio Trione, Mauro Vaiani. Ultimo aggiornamento 11 ottobre 2023, da Melfi, Bari, Napoli, Prato, Udine, Chivasso.
1 Introduzione
1.1 Cittadini, attivisti, studiosi, amministratori del Sud si sono riuniti a Melfi, per rilanciare e aggiornare la sintesi politica e culturale della Charta di Melfi (diffusa nel 2019), che echeggia il principio universale di autodeterminazione dei popoli della Carta di Algeri (4 luglio 1976).
1.2 A ottant’anni dalla Carta di Chivasso del 1943, che riconosciamo come faro e ispirazione per l’autogoverno di tutti dappertutto in Europa, accogliamo fra di noi le delegazioni del Patto Autonomie e Ambiente (AeA) e del partito politico europeo Alleanza Libera Europea - European Free Alliance (ALE/EFA).
1.3 Forti di queste profonde radici e della solidarietà interterritoriale italiana, europea e internazionale, riaffermiamo il nostro comune impegno per una Europa di popoli, regioni e territori, dove si realizzino riscatto economico e sociale ed emancipazione dalla povertà, con riforme economiche a vantaggio di molti e non di pochi, per la protezione delle tradizioni e delle identità locali, per la salvaguardia dell’ambiente e di tutti i beni comuni che vogliamo consegnare intatti alle generazioni future.
2 Contro il gigantismo
2.1 A seguito della globalizzazione, l’economia è popolata da grandi conglomerati finanziari e da gigantesche multinazionali.
2.2 A questi giganti, nell’attuale ordinamento del mercato comune europeo e dell’Organizzazione mondiale del commercio (World Trade Organization, WTO), non sono posti limiti significativi, che invece dovrebbero esserci, perché la loro esistenza è incompatibile con la democrazia e il bene comune locale e globale.
2.3 Anche assumendo il punto di vista più ristretto, quello dell’interesse dei loro azionisti, la loro efficienza è inversamente proporzionale alle loro dimensioni: i loro costi organizzativi, burocratici, energetici, di allungamento delle gerarchie, di incontrollabilità dei management, crescono geometricamente e finiscono per annullare anche quanto esse sembrano aver conquistato, in termini di organizzazione dei processi produttivi interni e attraverso la produzione standardizzata e robotizzata.
2.4 Anche senza voler negare che alcuni di questi giganti si siano formati per meriti imprenditoriali, essi stanno in piedi solo perché esternalizzano i costi che impongono sull’ambiente e le comunità: consumo di suolo, distruzione di risorse non rinnovabili, conseguenze – mai del tutto prevedibili – sul futuro delle comunità che ne ospitano i grandi impianti, sulla vita dei loro lavoratori, sulla salute dei consumatori che essi raggiungono in tutto il mondo.
2.5 Sia nel mondo manifatturiero e ancora di più in quello dei servizi, i giganti non sono “liberi imprenditori” attivi in una “economia di mercato”; essi ne sono piuttosto la negazione, possedendo una forza tale, su scala globale, da renderli capaci di nascondere dai loro bilanci e dai loro documenti sociali le distruzioni e gli avvelenamenti che infliggono all’umanità e al creato.
2.6 I giganti, concentrando fattori produttivi, capitali, potere scientifico, organizzativo, commerciale, mediatico e quindi politico, su scala globale, non subiscono né alcuna forma di controllo da parte di governi od organizzazioni internazionali, né la concorrenza di altri attori economici, risultando quindi indenni da ogni controllo dall’alto o dal basso.
2.7 Essi non competono né concorrono sul “mercato”, perché essi – non più la politica – lo creano: i consumatori non ne scelgono i prodotti, ma sono indotti e non di rado costretti a comprarli.
2.8 Non solo nella produzione industriale, ma oggi in modo sempre più pervasivo anche nel cibo, nei consumi culturali, nei farmaci e nelle cure, essi esercitano un potere più penetrante e disumanizzante di quello esercitato dai totalitarismi del Novecento.
2.9 Non sono accettabili tali concentrazioni di potere e ricchezza, che possono, letteralmente, comprarsi i media, le forze politiche, gli organi di governo di città e regioni, gli apparati di governo di interi stati e delle tecnocrazie internazionali.
2.10 Questi giganti sono giunti vicini ad avere il potere di creare le stesse narrazioni attraverso di cui i media descrivono il mondo: non solo i politici o i tecnici, quindi, ma gli stessi elettori e cittadini sono fortemente condizionati a volere ciò che essi dicono loro di volere.
2.11 In Europa si sono rivelate fallaci antiche e radicate convinzioni liberali e socialiste che le istituzioni dell’Unione potessero governare un mercato comune europeo (con la presunzione ulteriore di mantenerlo integrato e permeabile alle dinamiche ancora più incontrollabili del mercato globale), con regolamentazione degli oligopoli, controllo pubblico sui monopoli naturali, tutela della concorrenza, legislazione antitrust; a questa fallacia è necessario rispondere con riforme radicali.
3 Piuttosto che rovine, riforme
3.1 I giganti possono crollare sotto il peso delle loro disarmonie interne, certo, oppure per l’insostenibilità dell’economia globale distruttiva, ecocida e genocida, ma lascerebbero il mondo in rovina, visto che, se si rimane entro lo status quo, nessun potere politico, né locale, né europeo, né globale, può fermarli.
3.2 Contro il conformismo dominante, contro il pensiero unico che in nome del “mercato” assiste impotente, vogliamo organizzare un movimento politico che ponga una questione drammatica e urgente: i giganti sono troppo grandi per esistere, non troppo grandi per fallire; la loro esistenza è incompatibile con la libertà dei consumatori, con la tutela dell’ambiente, con le autonomie personali, sociali e territoriali, con la stessa democrazia.
3.3 Prima di trovarci fra le rovine, vogliamo riforme, per agire in modo attivo e creativo per porre fine a ciò è troppo grande per esistere in un mondo umano e in un pianeta finito, in difesa della creatività, della diversità, della piccolezza, dell’umanità.
3.4 A partire dai servizi pubblici e dall’amministrazione dei beni comuni, non vogliamo più poche entità potenti, ma il ritorno di una miriade di attori e operatori.
3.5 E’ tempo di una nuova stagione di lotta antitrust, ben più radicale di qualsiasi altra che sia stata realizzata sin qui nella storia del capitalismo moderno.
3.6 Attorno a questo nuovo riformismo uniamo le nostre diversità, tutti noi che abbiamo a cuore le autonomie personali, sociali, territoriali; l’ambiente e la solidarietà; le piccole imprese e le economie a misura di persona umana; il benessere nella sobrietà; l’efficienza nella giustizia.
4 Beni comuni, servizi pubblici e monopoli naturali
4.1 Nel campo dei beni comuni e dei servizi pubblici, a partire dall’acqua pubblica, siamo per il maggior decentramento possibile delle competenze e per lo spezzettamento dei gestori.
4.2 In ogni bioregione, tutto ciò che costituisce un monopolio naturale, deve essere amministrato da una compagnia pubblica locale, sotto il controllo dell’opinione pubblica locale, senza più improprie verticalizzazioni e concentrazioni.
4.3 Riaffermiamo la semplice verità che la storia di tante piccole società pubbliche territoriali è stata positiva, perché esse erano concentrate sul servizio alla comunità di cui esse stesse erano parte, con personale locale impegnato nei ruoli tecnici, riparatori, manutentori, controllori, revisori.
5 Banche al servizio non al potere
5.1 La parabola storica del risiko bancario è giunta, nella Repubblica italiana e nell’Unione Europea, alle estreme conseguenze, producendo posizioni dominanti incontrollabili, elite chiuse in bolle di lusso e di potere, non più in alcun modo al servizio delle persone, delle imprese, delle comunità: un fallimento epocale a cui dobbiamo porre urgentemente rimedio.
5.2 Avere così poche grandi concentrazioni bancarie europee e internazionali, al posto di centinaia di piccoli istituti territoriali indipendenti, non ha creato competizione, emulazione, efficienza, merito, semmai extraprofitti che prendono la via di quell’economia virtuale che non ritorna più nella vita reale (e i tentativi di “tassare” tali profitti, magari con norme retroattive, sono incostituzionali e, ripensando a quelli fatti dai governi Tremonti, Renzi, Draghi, Meloni, ipocriti e spesso persino patetici).
5.3 La concorrenza che vediamo sui media (dove le “banche online” comprano molta pubblicità) è uno specchietto delle allodole; si conquistano clienti con condizioni apparentemente vantaggiose, ma i capitali che si raccolgono spariscono dall’economia reale, perché fagocitati da entità che non hanno patria, sedi, personale, né soprattutto alcun interesse a fare ciò di cui invece le persone e i territori hanno sempre bisogno: finanziamenti a chi vuole creare e migliorarsi.
6 Pluralismo nel credito
6.1 Non ci interessa l’assistenzialismo, ma vogliamo un pluralismo creditizio ancora oggi sconosciuto: i mutui si allungano, certo, ma le banche pretendono di continuare a usare i soliti vecchi strumenti, mentre la società chiede forme radicalmente nuove di accesso al credito.
6.2 Per il ritorno di tanti – non di pochi – a investire nella propria vita, per una propria impresa, per una casa nuova o rinnovata, dobbiamo consentire a tutti ciò che attualmente è possibile solo allo stato e ai potenti: ottenere prestiti a condizioni non solo favorevoli, ma soprattutto elastiche, considerato che viviamo in tempi molto incerti.
6.3 I primi segni di una qualche apertura a questa prospettiva furono quelli che fecero ingresso nelle leggi finanziarie del 2014, fino al 2017, poi rinnovati (iniziative ispirate, fra gli altri, da Canio Trione): si consentiva la sospensione della restituzione della quota capitale, pur continuando a versare gli interessi, in questo producendo un vantaggio sia all’individuo, che oggi ha carriere lavorative meno prevedibili, ma anche alla redditività del sistema bancario.
6.4 Si chiede più credito che possa circolare, producendo interessi giusti per chi lo eroga, ma che non debba essere restituito in tempi rigidamente prestabili.
6.5 La banca deve tornare a essere banca: essa non ha alcun interesse a vedersi restituire capitali, ma al contrario li deve lasciar circolare, riscuotendo gli interessi.
7 L’informalità è vitalità
7.1 Il fallimento storico e ripetuto di ogni tentativo di semplificazione fiscale ha origine in una drammatica dissonanza cognitiva che impedisce di vedere la realtà con realismo ed equità: non si possono trattare con le stesse regole fiscali attività lavorative e imprenditoriali di scala diversa, in condizioni diverse, su territori diversi.
7.2 Nella dimensione piccola, limitata nello spazio e magari anche nel tempo, deve esistere la possibilità di iniziare una attività imprenditoriale o di fornire una prestazione lavorativa, senza commercialisti, senza consulenti del lavoro, senza adempimenti burocratici, senza richiesta di autorizzazioni preventive, senza obblighi di esercitare funzioni come il sostituto d’imposta.
7.3 La piccola impresa all’avvio, l’attività temporanea o stagionale, una bottega in zone marginali e spopolate, una realtà noprofit, un laboratorio familiare, amicale, vicinale, hanno diritto a essere trattati in modo radicalmente diverso dalle medie e grandi aziende.
7.4 Fermo restando che tutti devono rispettare norme ambientali e di sicurezza, è solo nel tempo, quando e se un’attività ha avuto successo, che diventano giustificate forme di tassazione più ficcanti.
8 Attenuare i difetti dell’Eurozona
8.1 Non ci sottraiamo al grande e difficile processo di critica e correzione dei difetti intrinseci e strutturali di un’area valutaria forte ma non ottimale come l’Eurozona, ma vogliamo e dobbiamo cominciare a introdurre dei sollievi concreti.
8.2 Si dovranno ridiscutere, territorio per territorio, in ciascuno stato e all’interno degli stati, modalità adeguate per togliere dal “mercato privato” le cifre immense dei debiti pubblici, che dovranno essere necessariamente cristalizzati.
8.3 Si dovranno approntare, territorio per territorio, esperimenti di circolazione di credito locale agevolato con il fine di rendere possibile la partecipazione di tutti al mondo del lavoro e al consumo di beni locali; il soddisfacimento con risorse locali di bisogni vitali personali e comunitari non interferisce in alcun modo con il libero scambio internazionale.
8.4 Si deve pensare, da subito, a rendere possibile che in regioni diverse non ci siano le stesse regole finanziarie e non vigano gli stessi tassi d’interesse: l’economia di una regione più povera non può sopportare lo stesso tasso di una regione ricca.
8.5 Lo statuto BCE e le attuali norme europee vanno rispettate, ma con ragionevolezza e con realismo, anche perché, senza articolare nei territori una efficace lotta all’inflazione e alla disoccupazione, la sostenibilità dell’Euro verrebbe meno.
8.6 L’esperienza della brutale unificazione italiana e gli squilibri registrati nell’allargamento del mercato comune europeo sono lezioni che dovrebbero essere state apprese: il futuro dei territori che appartengono allo stesso mercato comune non può essere ridotto a una continua competizione, che genera inevitabilmente aree perdenti, che si spopolano e s’impoveriscono, a vantaggio delle capitali economiche vincenti; si deve invece favorire in ogni territorio una economia locale che abbia una solidità intrinseca e duratura.
8.7 Continuare come oggi, con regole uguali per tutti, rendendo sempre più ricche le capitali e sempre più povere le periferie, porterà solo a nuove forme di centralismo autoritario per assicurare continue, sempre più copiose – e fortemente impopolari - richieste di trasferimenti dai territori più favoriti a quelli che invece restano marginali.
8.8 Si può e si deve cominciare assicurando a ciascun territorio proprie e appropriate regole di gestione della liquidità, con l’articolazione dei tassi d’interesse della BCE; si veda in proposito la petizione Trione: Petition No 0941/2018 by Canio Trione - On reforming economic and monetary policy – https://www.europarl.europa.eu/petitions/en/petition/content/0941%252F2018/html/Petition-No-0941%252F2018-by-Canio-Trione-%2528Italian%2529-on-reforming-economic-and-monetary-policy.
8.9 Gli effetti di inflazione e deflazione non sono identici in tutta l’area dell’Euro, quindi è necessario trasformare il tasso di riferimento BCE in un tasso medio dei diversi prezzi della moneta, applicati specificatamente alle diverse aree dell'Unione, con diversi gradi di sviluppo economico.
9 Contro il nuovo vicereame ZES
9.1 Spesso, quando le autorità del centralismo italiano ed europeo parlano di “Sud” come di una realtà unitaria, il popolo del Meridione può tranquillamente aspettarsi altre ingiustizie.
9.2 Non ci sono ricette centraliste, grandi progetti, opere faraoniche che possano risolvere magicamente i problemi dei nostri territori, anzi, queste idee di solito puntano a favorire le grandi imprese costruttrici del Nord, a facilitare ulteriore penetrazione dei prodotti del Nord o delle multinazionali, orge di ferro e cemento e quindi ulteriori perdite di buona terra, paesaggio e identità.
9.3 A Roma (ma anche a Milano e a Bruxelles) si sta pensando di riprodurre in tutta Italia, a cominciare dal Sud, quanto è stato fatto per risolvere questioni contingenti e puntuali – il modello Genova – senza alcuna considerazione delle aspirazioni delle nostre comunità e senza lasciarci alcuna libertà di decidere il nostro futuro.
9.4 La Zona Economica Speciale (ZES) unificata, che dovrebbe imporre le sue formule uniche a tutti i nostri territori (e anche alle isole di Sicilia e Sardegna), sarà, nella migliore delle ipotesi una riedizione delle chiacchiere, dei luoghi comuni, dell’assistenzialismo, nella peggiore un vicereame che finirà per impoverirci e spopolarci ancora di più.
10 E’ tempo di coraggio
10.1 I disastri di Cutro, di Caivano e quello di Brandizzo, in cui, vicino alla cara Chivasso, sono morti nostri fratelli meridionali, non si affrontano con le calate da Roma di presidenti, ministri, sottosegretari, commissari straordinari, prefetti.
10.2 Non possiamo lasciarci irretire da ciarlatani, populisti, centralisti che si candidano come “sindaci d’Italia” - qualcuno di loro in realtà pensando di poterne diventare un “podestà”.
10.3 Ciò che siamo, il meglio di ciò che abbiamo ereditato, il nostro patrimonio ambientale e culturale, è nato dall’ardimento di comunità che si autogovernavano, che rischiavano e che, con sacrificio, qualche volta realizzavano; seguendo le orme dei nostri antenati, impegniamoci per far sorgere una nuova generazione di imprenditori e creativi, esperti e studiosi, leader locali affezionati alla propria terra, amministratori coraggiosi, legislatori audacemente innovatori.
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