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Sardigna Pro S'Europa

Dalla Sardegna che non si arrende

La Sardegna sta affondando: spopolata e impoverita da vecchi e nuovi neocolonialismi (militare, turistico, energetico); inattuato e anzi tradito lo statuto di autonomia; distrutti o corrotti i partiti popolari sardi, a cominciare da quello storico sardista; ingannata dall'incompetenza dei populisti; dominata da due poli politici "italiani", con un personale politico totalmente subalterno ai capi di Roma e Milano. L'ultima proconsole romana, Alessandra Todde (già esponente del governo Draghi), imposta a capo dell'isola dalle concentrazioni di potere mediatico del bipolarismo italiano, vacilla per il suo mancato rispetto delle norme di rendicontazione delle spese elettorali. E' necessaria una alternativa popolare sarda, civica e inclusiva, che non disperda ma riunisca quanto realizzato sin qui da realtà composite, plurali, trasversali, quali la Coalizione Sarda e la Pratobello 2024. Riceviamo da Manuel Pirino (Generazione Italie, associato ad Autonomie e Ambiente attraverso il comitato Sardigna Pro S'Europa), un messaggio di riflessione e soprattutto di speranza.

Crisi istituzionale in Sardegna, dopo le violazioni di legge della presidente Alessandra Todde

Cagliari, 3 giugno 2025

La Regione Sardegna si trova al centro di una complessa crisi istituzionale e politica che coinvolge la presidente Alessandra Todde, eletta nel febbraio 2024. Una vicenda che intreccia irregolarità nella rendicontazione delle spese elettorali, tensioni sulla gestione del territorio e della transizione energetica, e un più ampio dibattito sul ruolo della partecipazione popolare nelle istituzioni.

Un cambiamento generazionale (che cambia tutto)

Le nuove generazioni, cresciute all’ombra del mito di una Sardegna saldamente “agganciata” allo Stato italiano, sembrano ormai percepire quell’idea come obsoleta, o persino falsa. L’idea di un’“Europa dei Popoli”, per molti giovani, è già data per scontata — mentre la battaglia per la cultura sarda appare, anche agli occhi di chi vive nel continente, come un’espressione folkloristica e poco incisiva.

Il senso comune che un tempo accarezzava il sogno di una Sardegna libera è oggi sostituito da una realtà che di libero ha poco: una regione apparentemente autonoma, ma nella sostanza ancora “che schiava di Roma Iddio la creò” — per citare, in modo provocatorio, l’inno nazionale italiano.

L’indipendentismo sardo, anche nelle sue versioni più recenti e più innovative, ha fallito. E altrettanto hanno fallito i governi regionali sostenuti da partiti nazionali, ben radicati nell’isola, ma sempre più distanti dalla sua anima.

Todde: la (falsa?) speranza di un’Eleonora moderna

In questo scenario, una parte del popolo sardo (non tutta: il 50% si è espresso non votando) ha visto nella donna dai lunghi capelli castani una sorta di nuova Eleonora d’Arborea, in grado di restituire forza, dignità e visione a un’isola sfruttata e poi abbandonata “in una rigida notte d’inverno”.

Ma la storia, spesso, è più crudele delle leggende.

Le elezioni del 2024 e la fragilità del mandato

Le regionali del febbraio 2024 si sono chiuse con un’affluenza al 52,4%. I partiti di centrodestra hanno ottenuto più voti complessivi rispetto a quelli di centrosinistra (338.240 contro 293.288), ma grazie al voto disgiunto, Alessandra Todde (M5S) è risultata eletta presidente con un margine di circa 3.000 voti.

La legge elettorale sarda, basata su soglie di sbarramento elevate, voto disgiunto e premi di maggioranza, ha prodotto gli effetti distorsivi per i quali è giustamente e ampiamente criticata: ha alterato sensibilmente la rappresentanza e ha prodotto una maggioranza che non riflette il voto popolare reale.

Transizione ecologica: Pratobello 24 e la frattura con la società civile

Durante il mandato di Todde, l’isola è stata attraversata da una vasta mobilitazione popolare contro l’insediamento speculativo di impianti eolici e fotovoltaici. Ne è nata una proposta di legge di iniziativa popolare, Pratobello 24, con oltre 210.000 firme — un record nella storia dell’autonomia sarda.

Nonostante ciò, il testo non è mai stato calendarizzato nel Parlamento regionale. La presidente Todde ha dichiarato: “I legislatori siamo noi”, rivendicando il primato delle istituzioni. Ma una parte crescente dell’opinione pubblica ha letto questa posizione come un atto di arroganza istituzionale, se non di disprezzo verso la sovranità popolare.

Nel frattempo, è stata approvata la cosiddetta Legge 20, per la mappatura delle aree idonee agli impianti. Anche questa normativa è finita al centro delle polemiche, fino ad essere impugnata dal Governo nazionale. Il risultato: un vuoto normativo che, secondo molti, apre la porta a una corsa incontrollata alle installazioni.

Le irregolarità formali (e sostanziali) della campagna elettorale

Il 3 gennaio 2025 è emersa una grave irregolarità: Alessandra Todde non avrebbe rispettato gli obblighi di trasparenza elettorale. Non avrebbe né aperto un conto corrente dedicato, né nominato un mandatario. Il Collegio regionale di garanzia elettorale ha quindi disposto la sua decadenza da consigliera, invalidando l’intero Consiglio Regionale.

Todde ha parlato di “montatura politica”, ma il 28 maggio il Tribunale civile di Cagliari ha rigettato il suo ricorso. La sentenza di 65 pagine parla di “violazioni sostanziali e gravi”, che rendono impossibile verificare l’origine e l’uso dei fondi elettorali.

La Regione Sardegna ha sollevato un conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale, sostenendo che la decadenza spetti alla Regione, non allo Stato. Un’azione giudicata da molti come un uso strumentale delle istituzioni, più volto a salvare una posizione politica che a tutelare l’interesse collettivo.

Un’isola allo sbando: tra sanità allo sfascio e regali di Natale

Nel frattempo, in Sardegna accade di tutto. La sanità è in condizioni disastrose, nascosta dietro provvedimenti tampone e commissariamenti d’emergenza. Si nominano commissari che, paradossalmente, sembrano più adatti a certificarne il decesso che a risanarla. E allora — con amarezza — si potrebbe dire: “Morta la sanità, viva la Sanità!”, come nei film. Ma qui non è cinema: è vita vera.

E ancora: i consiglieri regionali si spartiscono 200 milioni di euro per i prossimi tre anni — una cifra che è uno schiaffo in faccia alla Sardegna che si impoverisce e ai suoi giovani che emigrano. L’assessore al lavoro Desirè Manca propone un piano per l’emigrazione (sì, davvero) e uno per l’immigrazione, dimenticando i figli dell’isola che sono già scappati all’estero per sopravvivere.

Aggiungiamo una perla: si spendono 150.000 euro per un progetto contro l’omotransfobia... E nessuno più di scrive ha a cuore il tema... Peccato che esistano già decine di modelli già disponibili gratuitamente online. 

Conclusioni: un’isola che c’è

Gli errori politici e il malgoverno amministrativo sono talmente grandi che non sembrano veri. Ma non siamo in una favola su un'isola che non c'è. La Sardegna è davvero ridotta così.

Tra autonomia tradita, promesse di sviluppo mancate, patti leonini fra potentati locali e poteri forti italiani, invecchiamento, degrado dei beni e dei servizi pubblici, abbandono dei giovani, sembra davvero che l'isola non ci sia più. O forse, c’è un popolo che ci è o ci fa: decidetelo voi.

Fra Solinas il Terribile e Alessandra l'Intrigante, la differenza si è rivelata solo cosmetica.

La nave affonda, come il Titanic, ma l’orchestra continua a suonare. Va tutto bene, certo, ma per pochi.

Per molti invece, per noi, è tempo di continuare a lottare.

Con nel cuore il sogno di una Sardegna libera in una nuova Europa dei Popoli.

Manuel Pirino

 

L'incontro di Olbia per una legge elettorale sarda più giusta per tutti

Autonomie e Ambiente, insieme a EFA, attraverso i propri associati riuniti nel comitato Sardigna Pro S'Europa, in collaborazione con il Comitato Spontaneo Olbia contro la speculazione energetica, ha organizzato a Olbia, alla sede del Milan Club (Via Antonelli 13, traversa Viale Aldo Moro), il 6 marzo 2025, alle ore 17.30, l'incontro su un tema drammaticamente importante: "Per la legge elettorale sarda siamo davvero tutti uguali?". La legge elettorale sarda è fra le più ingiuste, ma è purtroppo in linea con il degrado delle norme elettorali nella Repubblica Italiana e altrove in Europa e in altre società che si autodefiniscono democratiche. Stiamo vivendo in una fase storica di autentica erosione della democrazia.

Introduce Silvia Lidia Fancello, delegata EFA in Sardegna, vicepresidente di Autonomie e Ambiente, referente del comitato Sardigna Pro S'Europa. Mauro Vaiani, vicepresidente segretario di Autonomie e Ambiente, porterà un messaggio dalle battaglie per leggi elettorali più giuste che sono in corso in altri territori della Repubblica e dell'Europa.

Intervengono: Antonello Licheri, già sindaco di Banari e consigliere regionale in Sardegna, noto per aver scritto il volume "Elettori silenziati"; Manuel Pirino, Generazione Italie; Danilo Lampis, gruppo costituente Sardegna Chiama Sardegna; Giovanna Casagrande, Sardegna Possibile; Michele Zuddas, avvocato e attivista contro la speculazione energetica, che spiegherà come una legge elettorale ingiusta possa generare un arrogante centralismo autoritario, come è accaduto con la governatrice Todde e in special modo nel trattamento che la presidente sarda ha riservato ai firmatari dell'iniziativa popolare "Pratobello 2024". Alla fine del dibattito, interverrà Roberto Visentin, presidente di Autonomie e Ambiente e vicepresidente EFA.

Olbia, 25 febbraio 2025 - a cura del Comitato Sardigna Pro S'Europa e della segreteria interterritoriale

 

 

 

 

Pane per la democrazia, in Sardegna e oltre

Giovedì 6 marzo 2025 si è tenuto ad Olbia il convegno promosso da Autonomie e Ambiente sulle leggi elettorali, quella nazionale italiana cosiddetta “Rosatellum” e quella regionale sarda.

Presiedeva l’incontro Lidia Fancello vicepresidente AeA e delegata EFA in Sardegna.

Il convegno era rivolto a tutte le forze politiche, quelle al governo della regione, quelle all’opposizione e quelle rimaste fuori proprio a causa delle cosiddette soglie di sbarramento - del 5% per i partiti singoli, del 10% per le coalizioni.
 
La presenza in sala di esponenti di varie forze politiche, compreso il centro destra, con un feedback immediato e positivo, attesta l’interesse trasversale verso l’argomento.
Fra i relatori, Antonello Licheri, autore del saggio "Elettori silenziati”, ha spiegato con semplicità le aberrazioni, le storture e le conseguenze dannose del Rosatellum, con inevitabili pararellismi con la legge elettorale sarda.
 
Portando un saluto ai lavori, collegato online da Firenze, Mauro Vaiani (vicepresidente segretario di Autonomie e Ambiente) ha ricordato come la nostra rete delle autonomie e per l'autogoverno sia impegnata in tutti i territori, nella Repubblica Italiana e, insieme a EFA, in tutta Europa, contro l'erosione della democrazia, di cui le ingiuste leggi elettorali sono più conseguenza che causa. Autonomie e Ambiente, in Italia e in EFA, sta mettendo radicalmente in discussione l'elezione diretta dei "capi" (napoleone d'Europa, podestà d'Italia, governatori delle regioni, sindaci delle metropoli) e ancora di più sta contestando che tali capi eletti dalla mediacrazia debbano poter contare su maggioranze automatiche di fedelissimi nelle loro assemblee.

Danilo Lampis promotore con Sardegna Chiama Sardegna di un grande gruppo costituente per il cambiamento della legge elettorale sarda, ha dichiarato l’obiettivo di coinvolgere più forze politiche possibile, soprattutto quelle al governo della regione perchè la stesura di una nuova proposta di legge elettorale sia davvero il frutto di un contributo collettivo, nato dalla più ampia condivisione.

Manuel Pirino di Generazione Italie, ha spiegato molto bene le differenze fra la legge elettorale italiana e quella inglese, sicuramente di ispirazione maggioritaria quest'ultima, la quale tuttavia consente un grande radicamento territoriale. Quelli inglesi sono collegi uninominali piccoli e aperti anche alle candidature civiche e indipendenti. Non hanno nulla a che fare con il maggioritario "all'italiana".

Giovanna Casagrande, di Sardegna Possibile, ha raccontato l'esperienza purtroppo fallimentare della raccolta firme per i quattro quesiti referendari proposti dal comitato Besostri #IoVoglioScegliere per la correzione dei guasti del Rosatellum, lanciata nel 2024, fallita nel silenzio assordante dei media e delle elite al potere. Ci sono stati sicuramente errori di impostazione da parte dei promotori, ma soprattutto la campagna contro Il Rosatellum è stata ignorata da tutte le forze politiche e sociali che pure, a parole, si dicono spesso insoddisfatte delle norme vigenti.

Michele Zuddas, avvocato e promotore della della proposta di legge di iniziativa popolare "Pratobello 24 " sulle energie rinnovabili in Sardegna, ha raccontato la genesi e lo sviluppo di tale proposta, scontratasi contro la massima istituzione sarda, la presidente della regione Sardegna Alessandra Todde, prodotto diretto di quella legge elettorale sarda, che ha fatalmente concentrato tutto il potere nelle sue mani. Ha ricordato, peraltro, che dopo la sua patente violazione delle norme sulla rendicontazione delle spese elettorali, la presidente Todde potrà senz'altro resistere al potere con l'aiuto della sua maggioranza, ma difficilmente resterà al potere per l'intero quinquennio.

Roberto Visentin, presidente Autonomie e Ambiente e vicepresidente EFA, ha invitato a superare gli individualismi e le primogeniture nelle iniziative per la riforma elettorale, nell'interesse collettivo del raggiungimento del risultato, suggerendo in maniera pragmatica che nella malaugurata ipotesi che il cambiamento della legge elettorale non avvenga in tempi utili, si dovrà decidere di adoperare in maniera strategica l'attuale legge. Una lista unitaria delle persone che credono nella democrazia e nell'autogoverno sardo sarà necessaria, se non vengono eliminate le soglie capestro che da quindici anni le tengono fuori dal parlamento sardo.
 
Le prossime tappe del gruppo promotore delle azioni per la ricostruzione della democrazia sarda, di cui fa parte anche Autonomie e Ambiente con il comitato Sardigna Pro S'Europa, saranno:
 
  • Assemblee itineranti, aperte a tutti, per una riflessione trasversale e inclusiva
  • Raccolta in questo percorso degli orientamenti al fine di elaborare punti concreti di riforma
  • Verifica dell'effettiva capacità di questa campagna entro entro la prima metà del mandato del parlamento sardo

 

Olbia, 7 marzo 2025 - A cura della vicepresidente Silvia Lidia Fancello

 

Sa die a pustis de "Sa Die"

  • Autore: Omar Onnis - Cagliari, 29 aprile 2025

La Sardegna ha appena celebrato il 28 aprile 2025 il suo annuale "Sa Die", la propria festa "natzionale". Nonostante l'indifferenza, il fastidio, le banalizzazioni di cui è fatta oggetto dai ceti politici centralisti al potere, la giornata non perde di significato, anzi è fonte di speranza. I Sardi la vivono come momento di autonomia spirituale e culturale, che sono fondamento di ogni autogoverno, come ci ricorda la Carta di Chivasso. Omar Onnis, il giorno dopo "Il Giorno", ne scrive per il Forum 2043.

Sa Die de sa Sardigna: storia, significati, speranze

Il 28 aprile in Sardegna si celebra – o meglio, si dovrebbe celebrare – la festa nazionale sarda, sa Die de sa Sardigna (il Giorno della Sardegna). Nel 1993, con legge regionale, fu stabilito infatti che ogni anno, in tale data, si sarebbe dovuto rievocare il 28 aprile 1794, quando un moto popolare prese il controllo della città di Cagliari, esautorò il governo sabaudo, arrestò tutti i funzionari stranieri, viceré in testa, e dopo pochi giorni li rispedì oltremare. È la cosiddetta “di’ de s’aciapa” (il giorno della caccia), quando si frugavano case e strade della città in cerca di stranieri da destinare all’imbarco. Una sorta di 14 luglio sardo. In seguito alla “cacciata dei Piemontesi” il governo fu assunto nell’isola dalla massima magistratura del Regno, la Reale Udienza, e la gestione politica fu condivisa col parlamento dei tre stamenti (analogo al parlamento francese dei “tre Stati”), a sua volta autoconvocatosi sul principio dell’anno precedente, a quasi un secolo di distanza dall’ultima volta (anche qui, similmente al caso francese), per organizzare la difesa dell’isola dall’attacco della stessa Francia rivoluzionaria, data l’inerzia del viceré Vincenzo Balbiano.

Quel 28 aprile si inseriva dunque in una più articolata sequenza di eventi, che si concluderà, dopo varie fasi, solo nel 1812, l’anno “della fame” nella memoria popolare, allorché un ultimo tentativo di riaprire la partita rivoluzionaria contro il governo sabaudo e il regime feudale, ancora in vigore, fu stroncata dalla durissima repressione del viceré Carlo Felice.

Il nucleo principale del periodo rivoluzionario sardo di solito è indicato nel triennio tra il 1794 (cacciata del viceré e di tutti i funzionari stranieri) e il 1796 (fallito tentativo di prendere il potere da parte di Giovanni Maria Angioy), ma come detto i fermenti durarono ancora a lungo. Del resto siamo nel bel mezzo del periodo napoleonico, quando le armi francesi portavano con sé in tutta l’Europa promesse di grandi cambiamenti politici e sociali.

La peculiarità della rivoluzione sarda, rievocata e riassunta nella data del 28 aprile, è che essa nacque e si svolse su una base di rivendicazioni e di programmi tutta endogena. Certo, influenzata dalle idee nuove che da decenni circolavano nel Vecchio Continente, ma non maturata in conseguenza di un’occupazione straniera bensì, un po’ paradossalmente, esplosa proprio in seguito alla vittoriosa difesa contro il tentativo di occupazione francese. Alla Francia, dopo il 1796, i leader del movimento rivoluzionario sardo, quelli scampati alla prigione o alla forca, si rivolsero in cerca di rifugio e poi di aiuto per liberare la Sardegna dal giogo della monarchia sabauda e del feudalesimo. Diversi di loro moriranno in esilio, a cominciare da Giovanni Maria Angioy (nel 1808), considerato la figura principale di tutto questo periodo. Le loro aspettative rimarranno frustrate, soprattutto a causa dell’interferenza delle questioni internazionali e dei mutevoli piani napoleonici sulla vicenda sarda. I Savoia per altro si rifugiarono armi e bagagli in Sardegna nel 1799, quando il Piemonte fu occupato dalla Francia. Non mostrarono mai particolare gratitudine, per questa ospitalità, pure pagata dal bilancio del regno sardo a carissimo prezzo. La corte sabauda lascerà l’isola solo nel 1814.

La rivoluzione sarda fu sconfitta. Non la prima né l’ultima rivoluzione che mancò i suoi obiettivi. Ma, nonostante la sconfitta, quello rivoluzionario resta un momento nodale della storia dell’isola. Dalla reazione a quel tentativo di cambiamento politico radicale emergerà la Sardegna contemporanea, con molti dei suoi problemi strutturali già chiaramente delineati fin dal principio dell’Ottocento. Soprattutto la relazione tra la classe dirigente locale – quella rimasta fedele a Casa Savoia – e il centro del potere esterno da cui dipendevano le sorti della Sardegna sarà paradigmatica di un assetto politico che, mutatis mutandis, resterà sostanzialmente molto simile fino ai nostri giorni. Una classe dirigente locale votata a un ruolo di intermediazione tra gli interessi e i piani del centro del potere legittimo esterno e la realtà dell’isola, certamente con indubbi guadagni e privilegi per sé.

La Sardegna fu consegnata allora a un destino di subalternità e di impoverimento che scandalizzavano persino alcuni osservatori contemporanei, come il console francese nell’isola nella sua relazione del 1816 (riportata da Fernand Braudel: non ne troverete traccia in alcun libro di storia italiano o sardo). Una terra “al centro della civiltà europea” lasciata languire e ove possibile depredata. Alcune riforme furono decise negli anni della Restaurazione come misure calate dall’alto e come generose concessioni, senza alcun vero spirito innovatore. Una, nel 1820, fu l’editto “sopra le chiudende”, che stabiliva la possibilità di appropriarsi privatamente di qualsiasi porzione di territorio fosse stato “chiuso”, un po’ sulla scorta delle enclosure inglesi del XVII secolo. Tale misura, che fece sentire i suoi effetti soprattutto nel decennio successivo, comportò un profondo mutamento nel regime fondiario che si tradusse in una traumatica transizione economica a danno dei ceti popolari. Una delle prime “modernizzazioni” passive cui la Sardegna da allora è stata sottoposta, sempre con promesse di progresso e benessere seguite da clamorose delusioni. Nel 1827 fu abrogata la Carta de Logu, raccolta legislativa varata nel 1392 da Eleonora d’Arborea e rimasta in vigore nei secoli del Regno di Sardegna spagnolo e poi sabaudo, con la promulgazione del nuovo codice civile. Tra 1836 e 1839, con diversi editti, fu abolito il regime feudale, facendone pagare il prezzo, sotto forma di indennizzi ai baroni, alle stesse popolazioni che lo avevano subito fino allora.

Il malcontento delle classi popolari verso i Piemontesi restò sempre vivo, emergendo a fasi alterne. Ancora a distanza di mezzo secolo dal triennio rivoluzionario, quando la Sardegna fu di nuovo in fermento per l’aspettativa di riforme, tra 1847 e 1848, la preoccupazione dell’amministrazione sabauda fu che potesse esplodere un “nuovo novantaquattro”, come scrisse in una sua relazione al governo Carlo Baudi di Vesme (intellettuale ed erudito, direttore delle miniere di Iglesias). La diffidenza dei Savoia e in generale della classe dirigente piemontese verso i sardi non venne mai meno. Una parte della classe dirigente isolana negli stessi mesi richiese la “fusione” politica e giuridica tra la Sardegna e i possedimenti sabaudi di terraferma. Fino a questo momento il Regno di Sardegna propriamente detto era appunto la Sardegna. I Savoia ne detenevano la corona, ma avevano tenuto ben distinti giuridicamente e amministrativamente dall’isola i propri possedimenti dinastici sulla terraferma. La “fusione” fu un passaggio irrituale e senza alcuna copertura legale, che tuttavia il re Carlo Alberto approvò proprio per tacitare i movimenti di protesta diffusi nell’isola. Le proteste tuttavia non cessarono, tanto che il re dovette nominare un commissario militare straordinario per sedare il movimento popolare e riportare l’ordine. Lo stesso gruppo sociale che aveva richiesto la fusione si accorse ben presto di aver fatto un pessimo affare.

La fine del plurisecolare Regno di Sardegna, delle sue leggi, delle sue istituzioni, sancito ulteriormente con la concessione dello Statuto albertino nel 1848, non comportò alcun vantaggio. Anzi, l’estensione del catasto e del regime fiscale piemontese all’isola provocò conseguenze drammatiche a livello socio-economico. L’unificazione italiana, di lì a pochi anni, consacrò la definitiva riduzione della Sardegna a porzione oltremarina, marginale e periferica del nuovo stato. Da qui in poi inizierà la “questione sarda” e nasceranno e si svilupperanno nel tempo il pensiero autonomista e quello indipendentista.

La vicenda rivoluzionaria sarda ha sempre rappresentato un problema, per la classe dirigente sarda, compresa quella intellettuale. Poche le voci che la rievocheranno, nel corso dei decenni tra Otto e Novecento. Due in particolare: il poeta Sebastiano Satta e Antonio Gramsci. Resteranno eccezioni.

Dopo l’unificazione italiana, a parte qualche raro esempio e qualche pubblicazione occasionale, per avere una trattazione storiografica organica ed esaustiva sul periodo sabaudo e sulla rivoluzione sarda bisognerà attendere il 1984, a quasi due secoli dai fatti. In particolare sarà lo storico Girolamo Sotgiu, nel suo Storia della Sardegna sabauda, a ricostruire nei dettagli e chiarire nei suoi aspetti fattuali e nei suoi contorni politici, l’intera vicenda. Non senza l’ammonimento sul possibile uso politico della conoscenza di quei fatti. Uno strano ammonimento, in un testo storico. Non deve stupire. Ancora oggi, a leggere i documenti e le testimonianze dell’epoca (come l’inno Su patriota sardu a sos feudatàrios, la “marsigliese” sarda), la rivoluzione sarda, rievocata nella giornata del 28 aprile, ci chiama in causa e ci pone domande. Troppe cose di quel tempo suonano ancora oggi troppo familiari, per non indurre riflessioni critiche sul nostro passato recente e sul nostro presente. Per questo la ricorrenza del 28 aprile, dopo i primissimi anni di celebrazioni pubbliche, con grande concorso di folla e notevole partecipazione emotiva (ne esistono in rete testimonianze video), è stata ridimensionata e oscurata dalle stesse istituzioni autonomiste.

Gli studi in proposito, dopo l’insuperato lavoro di Girolamo Sotgiu, sono stati limitati e la narrazione su quel periodo stereotipata e riduttiva. Non è solo un fatto di sciatteria culturale e politica. È del tutto comprensibile che per la classe dirigente sarda di oggi suoni minaccioso l’esempio di una classe dirigente diversa, di un ceto politico e intellettuale che non perseguì il proprio esclusivo interesse egoistico né si limitò a elaborare astrattamente principi e obiettivi virtuosi, ma se ne fece portatore attivo presso i ceti popolari, mettendosi in gioco nel tentativo coraggioso, anche a costo della vita, di mutare in meglio le sorti della Sardegna.

Ultimamente l’associazione ANS (Assemblea Natzionale Sarda), che ha come obiettivo la crescita culturale, civile e democratica dell’isola, ha assunto il compito di rilanciare la celebrazione di Sa Die e lo fa ormai da alcuni anni, senza alcun finanziamento pubblico e contando solo sul lavoro volontario dei propri associati e sul sostegno di alcuni sponsor privati. I risultati sono buoni e in crescendo. La sensibilità su questi temi e la sete di conoscenza storica sono molto forti in Sardegna, trasversalmente alle condizioni anagrafiche e sociali, a dispetto della noncuranza delle istituzioni e delle difficoltà a far entrare la storia e la cultura della Sardegna nella scuola italiana.

Il rilancio della festa del 28 aprile non è solo una questione nostalgica, una rivendicazione revanscista. È invece la doverosa riappropriazione di un momento storico decisivo, della cui conoscenza l’opinione pubblica sarda e internazionale è stata a lungo privata, ed è un momento di riflessione politica democratica ed emancipativa, di cui l’isola ha assoluto bisogno.

Intervento di Omar Onnis (scrittore, studioso, autore di https://sardegnamondo.eu/) per il Forum 2043 - Cagliari, 29 aprile 2025

 

Note

L'immagine a corredo dell'intervento è tratta da https://www.regione.sardegna.it/notizie/sa-die-de-sa-sardigna-il-28-aprile-spettacolo-a-cagliari

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Sardegna in lotta contro la legge elettorale ingiusta

Il Coordinamento Ricostruiamo la Democrazia Sarda (Coordinamentu Torramus a Costrùere sa Democratzia) è attivo dal 30 giugno 2024. Ha riunito una quindicina di realtà politiche, fra cui Autonomie e Ambiente (rappresentata dal comitato Sardigna Pro S'Europa). Ha reso possibile un percorso di partecipazione nel quale decine di organizzazioni e centinaia di donne e uomini hanno potuto discutere sulla democrazia in Sardegna e, nello specifico, sulla legge elettorale per il rinnovo del Consiglio regionale della Sardegna e l’elezione del Presidente.

Il Coordinamento ha riassunto in un documento i capisaldi che devono ispirare una nuova legge elettorale regionale più democratica e inclusiva di quella in vigore. Il documento è stato trasmesso via PEC al parlamento sardo il 30 settembre 2025. Sarà consultabile in versione integrale dal giorno della conferenza stampa di presentazione, il prossimo 7 ottobre.

La riforma elettorale in Sardegna è urgente più di sempre. Difficilmente la presidente Alessandra Todde (pentastellata) riuscirà a terminare il suo mandato, iniziato il 20 marzo 2024. Si potrebbe tornare al voto molto prima del 2029 e la riforma elettorale, seguendo le buone pratiche internazionalmente riconosciute, dovrebbe essere fatta almeno un anno prima del voto, cioè al più presto.

Dopo essere stata dichiarata decaduta per il mancato delle norme sulla raccolta dei fondi e la documentazione delle spese elettorali, il parlamento della regione autonoma può rimandare per mesi la presa d'atto della decadenza, ma la maggioranza di centrosinistra (minoranza in termini di voti popolari) si troverà sempre più in imbarazzo nella difesa di una presidente illegittima (e di un governo, politicamente parlando, sempre più manifestamente incompetente).

Olbia - Bauladu, 30 settembre 2025 - a cura del comitato Sardigna Pro S'Europa

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L'immagine a corredo di questa notizia è stata tratta da https://www.italiachecambia.org/2025/09/province-sardegna-provinciali/

 

Un'alternativa per la Sardegna nel 2025

Ricostruire la genealogia dei guasti portati dal "bipolarismo" in Sardegna sarebbe lungo, doloroso e, per i lettori del nostro sito, inutile. Da Solinas a Truzzu a Todde, i nominati dal centrodestra e dal centrosinistra si sono già rivelati quello che sono: figuranti messi lì da qualcun altro, a tutela di interessi che non sono certo quelli della Sardegna. Pubblichiamo integralmente una breve nota di oggi della presidenza di Autonomie e Ambiente sulla necessità della costruzione di qualcosa di nuovo: un progetto di autogoverno per la Sardegna, adatto al XXI secolo.

𝑮𝒍𝒊 𝒂𝒕𝒕𝒊 𝒑𝒂𝒓𝒍𝒂𝒏𝒐 𝒄𝒉𝒊𝒂𝒓𝒐: 𝒍𝒂 𝒑𝒓𝒆𝒔𝒊𝒅𝒆𝒏𝒕𝒆 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒂 𝑹𝒆𝒈𝒊𝒐𝒏𝒆 𝑨𝒖𝒕𝒐𝒏𝒐𝒎𝒂 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒂 𝑺𝒂𝒓𝒅𝒆𝒈𝒏𝒂 𝑨𝒍𝒆𝒔𝒔𝒂𝒏𝒅𝒓𝒂 𝑻𝒐𝒅𝒅𝒆 𝒆 𝒊𝒍 𝒔𝒖𝒐 𝒄𝒐𝒎𝒊𝒕𝒂𝒕𝒐 𝒆𝒍𝒆𝒕𝒕𝒐𝒓𝒂𝒍𝒆 𝒉𝒂𝒏𝒏𝒐 𝒗𝒊𝒐𝒍𝒂𝒕𝒐 𝒍𝒂 𝒍𝒆𝒈𝒈𝒆 10 dicembre 1993, n. 515 𝒊𝒏 𝒎𝒐𝒅𝒐 𝒔𝒐𝒔𝒕𝒂𝒏𝒛𝒊𝒂𝒍𝒆 𝒆 𝒏𝒐𝒏 𝒇𝒐𝒓𝒎𝒂𝒍𝒆.
𝑳𝒂 𝒑𝒐𝒕𝒓𝒂𝒏𝒏𝒐 𝒄𝒆𝒓𝒕𝒂𝒎𝒆𝒏𝒕𝒆 𝒕𝒊𝒓𝒂𝒓𝒆 𝒑𝒆𝒓 𝒍𝒆 𝒍𝒖𝒏𝒈𝒉𝒆 𝒄𝒐𝒏 𝒓𝒊𝒄𝒐𝒓𝒔𝒊 𝒆 𝒂𝒍𝒍𝒐𝒏𝒕𝒂𝒏𝒂𝒏𝒅𝒐 𝒏𝒆𝒍 𝒕𝒆𝒎𝒑𝒐 𝒊𝒍 𝒑𝒓𝒐𝒄𝒆𝒅𝒊𝒎𝒆𝒏𝒕𝒐 𝒅𝒊 𝒅𝒆𝒄𝒂𝒅𝒆𝒏𝒛𝒂 𝒂 𝒍𝒐𝒓𝒐 𝒓𝒊𝒔𝒄𝒉𝒊𝒐 𝒆 𝒑𝒆𝒓𝒊𝒄𝒐𝒍𝒐.
𝑵𝒆𝒍 𝒇𝒓𝒂𝒕𝒕𝒆𝒎𝒑𝒐 𝒈𝒍𝒊 𝒂𝒎𝒊𝒄𝒊 𝒆 𝒈𝒍𝒊 𝒂𝒔𝒔𝒐𝒄𝒊𝒂𝒕𝒊 𝒅𝒊 𝑨𝒖𝒕𝒐𝒏𝒐𝒎𝒊𝒆 𝒆 𝑨𝒎𝒃𝒊𝒆𝒏𝒕𝒆 𝒊𝒏 𝑺𝒂𝒓𝒅𝒆𝒈𝒏𝒂 𝒊𝒏𝒕𝒆𝒏𝒔𝒊𝒇𝒊𝒄𝒉𝒆𝒓𝒂𝒏𝒏𝒐 𝒊𝒍 𝒅𝒊𝒂𝒍𝒐𝒈𝒐 𝒄𝒐𝒏 𝒍𝒂 𝑪𝒐𝒂𝒍𝒊𝒛𝒊𝒐𝒏𝒆 𝑺𝒂𝒓𝒅𝒂, 𝒍𝒆 𝒇𝒐𝒓𝒛𝒆 𝒄𝒊𝒗𝒊𝒄𝒉𝒆, 𝒊 𝒄𝒐𝒎𝒊𝒕𝒂𝒕𝒊 𝒍𝒐𝒄𝒂𝒍𝒊, 𝒊 𝒑𝒓𝒐𝒎𝒐𝒕𝒐𝒓𝒊 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒂 𝑷𝒓𝒂𝒕𝒐𝒃𝒆𝒍𝒍𝒐24, 𝒑𝒆𝒓 𝒄𝒐𝒔𝒕𝒓𝒖𝒊𝒓𝒆 𝒖𝒏𝒂 𝒗𝒆𝒓𝒂 𝒂𝒍𝒕𝒆𝒓𝒏𝒂𝒕𝒊𝒗𝒂 𝒔𝒂𝒓𝒅𝒂.
𝑪𝒐𝒏 𝒊 𝒓𝒂𝒑𝒑𝒓𝒆𝒔𝒆𝒏𝒕𝒂𝒏𝒕𝒊 𝒅𝒆𝒍 𝒄𝒆𝒏𝒕𝒓𝒂𝒍𝒊𝒔𝒎𝒐 𝒓𝒐𝒎𝒂𝒏𝒐 𝒄𝒐𝒏 𝒊𝒍 𝒄𝒆𝒏𝒕𝒓𝒐𝒅𝒆𝒔𝒕𝒓𝒂 𝒆 𝒄𝒐𝒏 𝒊𝒍 𝒄𝒆𝒏𝒕𝒓𝒐𝒔𝒊𝒏𝒊𝒔𝒕𝒓𝒂 𝒔𝒊 è 𝒕𝒐𝒄𝒄𝒂𝒕𝒐 𝒊𝒍 𝒇𝒐𝒏𝒅𝒐.
𝑳𝒂 𝑺𝒂𝒓𝒅𝒆𝒈𝒏𝒂 𝒉𝒂 𝒃𝒊𝒔𝒐𝒈𝒏𝒐 𝒅𝒊 𝒖𝒏 𝒑𝒓𝒐𝒈𝒆𝒕𝒕𝒐 𝒑𝒐𝒔𝒊𝒕𝒊𝒗𝒐, 𝒑𝒓𝒐𝒑𝒐𝒔𝒊𝒕𝒊𝒗𝒐, 𝒄𝒐𝒎𝒑𝒆𝒕𝒆𝒏𝒕𝒆, 𝒊𝒏𝒄𝒍𝒖𝒔𝒊𝒗𝒐, 𝒅𝒊 𝒂𝒖𝒕𝒐𝒈𝒐𝒗𝒆𝒓𝒏𝒐 𝒂𝒅𝒂𝒕𝒕𝒐 𝒂𝒍 𝑿𝑿𝑰 𝒔𝒆𝒄𝒐𝒍𝒐.
 
𝑨𝒖𝒕𝒐𝒏𝒐𝒎𝒊𝒆 𝒆 𝑨𝒎𝒃𝒊𝒆𝒏𝒕𝒆
 
Olbia 7 gennaio 2025
 
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