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Calabria

Conoscere le narcomafie e combatterle territorio per territorio

  • Autore: riflessioni ispirate da Rocco Chinnici, nel quarantesimo del suo martirio e nel trentesimo della Strage di Via dei Georgofili - Palermo-Firenze, 25 maggio 2023

Il trentesimo anniversario della strage di Via dei Georgofili, avvenuta a Firenze nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993, ci dà l’occasione per ricordare tutte le vittime dello stragismo mafioso.

Quest’anno ricorrono anche i quarant’anni dell’assassinio del magistrato Rocco Chinnici, ucciso nel tragico attentato di Palermo del 29 luglio 1983. Saranno le sue parole il cuore di questa riflessione, perché egli fu lungimirante non solo come organizzatore della repressione, ma anche profondo come indagatore della natura della contemporanea criminalità organizzata in mafie e cosche.

Il dott. Rocco Chinnici era un limpido funzionario di una magistratura centrale. Era privo di cultura autonomista, ma aveva ben compreso che l’enorme potere delle narcomafie aveva potuto accumularsi all’interno dello stato italiano unitario, del mercato comune europeo, di quelli che erano già allora ai suoi tempi, in molti settori, mercati mondiali aperti.

Anche le narcomafie, come tutti i fenomeni della modernità, risentono dei fattori di scala: lasciandole operare su spazi più ampi, esse non crescono solo quantitativamente, ma cambiano qualitativamente e accrescono geometricamente la propria pericolosità.

Il potere delle narcomafie non è una fatale condanna biblica. Non è fondato sul mero familismo amorale di alcune popolazioni arretrate, sulla mancanza di senso civico o su un qualche malcostume che affliggerebbe una comunità piuttosto che un’altra. Non si combatte con un generico moralismo. Esso è fondato su rapporti di forza economici, sociali, politici e geopolitici, che la nostra tradizione anticolonialista e anticentralista, più di altre, può incrinare. Noi commemoriamo, ma intendiamo soprattutto lottare.

Gli stralci del magistero del dott. Rocco Chinnici che pubblichiamo e commentiamo sono tratti da una sua ben nota Relazione al Consiglio superiore della magistratura (CSM) del 3 luglio 1978, che è disponibile integralmente presso il sito del Consiglio stesso e anche in altre fonti come l'interessante Progetto San Francesco. Ci rifaremo anche a un altro importante documento, intitolato “La mafia oggi e sua collocazione nel più vasto fenomeno della criminalità organizzata”, scritto dallo stesso Rocco Chinnici e dal suo collega Saverio Mannino, presentato a un incontro del CSM del 4-5-6 giugno 1982, pubblicato in un supplemento alla rassegna “Il CSM” del maggio-giugno 1982, e anch’esso messo a disposizione dal Progetto San Francesco.

La pubblicazione dei testi del dott. Chinnici non ha pretese filologiche. Eventuali errori o imprecisioni nella trascrizione sono esclusivamente responsabilità dei coordinatori del nostro Forum 2043.

LA MAFIA: ASPETTI STORICI E SOCIOLOGICI E SUA EVOLUZIONE COME FENOMENO CRIMINOSO

di Rocco Chinnici – 3 luglio 1978

PREMESSA

Per chi voglia condurre un discorso serio sulla mafia, un discorso che miri a comprendere e a far comprendere il fenomeno quale è stato nel passato e quale è oggi, a penetrarne le implicazioni di ordine sociale, economico, criminale, é necessario andare indietro nel tempo per stabilire l’epoca in cui esso incomincia a manifestarsi, le cause e le condizioni che ne consentirono e favorirono lo sviluppo.

Sulla mafia si è detto e scritto molto da italiani e stranieri a partire dalla fine del secolo scorso, quando, dopo l'unificazione del Regno d'Italia, il fenomeno, a causa della sua incidenza nella vita socio-economica e politica di buona parte dell'Isola, assunse dimensioni gravi ed allarmanti. Sono del 1876 "Le inchieste in Sicilia" di Leopoldo Franchetti e di Sidney Sonnino, e quelle della "Giunta Parlamentare". Si tentò, fin da allora, di studiare il fenomeno mafioso, di colpirlo nelle manifestazioni criminali; si compirono indagini e ricerche sia da parte di privati, cultori di studi storici ed etnologici, che dei pubblici poteri; si tentò di dare una spiegazione ed un volto alla misteriosa organizzazione che, indubbiamente, esercitava notevole influenza sulle strutture della societa isolana dell'epoca. E' stato, però, dopo la seconda guerra mondiale - durante il ventennio, sulla mafia, ove si eccettuino il libro di Cesare Mori "Con la mafia ai ferri corti", e gli accenni che ebbe a far Mussolini in qualche suo discorso, si scrisse poco in quanto il regime ritenne di avere definitivamente debellato il fenomeno - che si è avuto, sul fenomeno mafioso, un vero e proprio ritorno degli studiosi, che hanno condotto ricerche, pervenendo, a volte, a risultati apprezzabili; il rinnovato interesse per una migliore e più realistica visione del fenomeno, si spiega col fatto che la mafia, dopo la caduta del fascismo e la ripresa democratica, ha avuto la possibilita di riorganizzare le proprie fila, di potenziare la propria organizzazione, di esercitare un ruolo - specie nei primi anni del dopoguerra - non secondario se non addirittura da protagonista nella vita di alcune provincie dell'Isola. Il non siciliano, che ascolta, potra stupirsi di, questa affermazione o potrà ritenerla esagerata.

Noi diciamo che la mafia, tra il luglio 1943 e gli anni '60, con la costituzione del movimento separatista di Andrea Finocchiaro Aprile prima, e annidandosi, nelle forme più svariate, subito dopo, nei partiti politici di centro destra che ebbero il governo dell'Isola dopo il raggiungimento dell’autonomia, esercitò, nelle provincie della Sicilia Occidentale un dominio, contrastato soltanto dalle forze politiche progressiste. E' questa, storia recente, forse non sufficientemente conosciuta dalle nuove leve dei giovani siciliani ed ancor meno da quelli del resto d'Italia; una accurata indagine sul periodo storico, soprarichiamato, cosa che cercheremo di fare più avanti, servirà a chiarire l’influenza della mafia nella vita dell'Isola e il perché dei mali che hanno afflitto le quattro provincie della Sicilia Occidentale e che continuano a pesare e ad incidere negativamente sullo sviluppo socio-economico e culturale delle stesse.

Nota di contesto: Il dott. Chinnici, in questo passaggio e anche in un altro che leggeremo più avanti, ci appare sbrigativo nel suo giudizio sul sicilianismo e sulle correnti autonomiste. Il che non ci deve meravigliare, per una persona della sua generazione, della sua cultura e del suo status professionale. Non è dai magistrati del secolo scorso che ci si deve aspettare adesione a progetti di decentralismo. Va anche compreso che questo documento è del 1978, quando le narcomafie non hanno ancora iniziato a sterminare coloro che stanno tentando di avviare delle riforme del sistema politico siciliano (e italiano): Michele Reina (ucciso il 9 marzo 1979 – scrive su di lui Wikipedia: il primo politico di rilievo ucciso da Cosa Nostra dai lontani tempi di Emanuele Notarbartolo, ex sindaco di Palermo ed ex direttore generale del Banco di Sicilia, nel 1893); Piersanti Mattarella (ucciso il 6 gennaio 1980); Pio La Torre (30 aprile 1982); Carlo Alberto dalla Chiesa (3 settembre 1982).

ORIGINE E SIGNIFICATO DELLE ESPRESSIONI "MAFIA E MAFIOSO"

Ogni studioso del fenomeno mafioso che si rispetti, non può non incominciare a parlare della mafia, se non partendo dalla ricerca etimologica. Noi riteniamo che l’indagine sia puramente esercitativa, convinti come siamo che la mafia é una realta viva ed operante sul tessuto sociale della Sicilia Occidentale, con un'organizzazione e collegamenti concreti, con analoghe organizzazioni operanti altrove, nel territorio nazionale, negli U.S.A., nel Canada e, per lo meno in passato, anche nella Francia Sud-Occidentale. Tuttavia, per completezza, anche noi risaliremo alle origini ed al significato della parola mafia. Si ritiene che il termine mafia sia di derivazione araba e stia a significare, forza e coraggio; protezione; secondo tale teoria si tratterebbe di una parola composta dalla radice tematica "mu" che significa forza e dal verbo “afa" che significa proteggere; sarebbe stato usato per la prima volta all'epoca dei Vespri Siciliani (1282) per indicare gruppi di cittadini coraggiosi che avrebbero preso concrete iniziative per proteggere il popolo dai soprusi dei francesi e che avrebbero avuto un ruolo determinante, sulla espulsione degli stessi dall’Isola.

La parola mafia avrebbe assunto significato di "associazione" di “organizzazione fuori-legge" nel 1863 quando, per la prima volta a Palermo, andò di scena il lavoro di Giuseppe Rizzoto e di Mosca dal titolo "I mafiusi della Vicaria" nel quale si portavano a conoscenza del pubblico "le attivita svolte, in base ad un particolare tipo rudimentale di ordinamento giuridico a sé stante, da un gruppo di delinquenti associati al nuovo carcere di Palermo Ucciardone"; secondo alcuni, però, il termine "Mafioso" nel significato di “associato" sarebbe stato usato, per la prima volta, attorno al 1860, dai patrioti di Marsala i quali tenevano le loro segrete riunioni, prima dello sbarco dei Mille, nelle "mafie", cave di tufo, una volta coltivate e sfruttate, e poi abbandonate.

Quest'ultima tesi appare suggestiva, perché, forse per la prima volta, allora, alla parola mafia venne,attribuito il significato di associazione, organizzazione, avente carattere di segretezza, di mistero; si vollero, cosi assimilare i mafiosi, agli affiliati a quella setta misteriosa soprannominata "Beati Paoli" che avrebbe operato nel capoluogo dell'Isola ai tempi del dominio spagnolo per opporsi alle angherie e alle ingiustizie dei dominatori. I mafiosi, cosi, sarebbero stati uomini coraggiosi, forti, giusti, che avrebbero agito per finalità sociali, per il raggiungimento di un assetto civile ordinato nel quale, al popolo o "popolino", come è chiamata in Sicilia la classe dei non abbienti e del sottoproletario, sarebbero stati rispamiati i soprusi e le prepotenze dei nobili, dei ricchi, dell’alto clero, di latifondisti etc.. Quanto testè esposto potrebbe avere fondamento se si considera che non pochi mafiosi, in un primo tempo, accolsero Garibaldi come liberatore ed assertore di un nuovo ordine sociale e se ancora, oggi, il mafioso si ritiene, ed è considerato in determinati ambienti, "uomo d’ordine" ed "uomo d’onore",

La tesi di coloro che vorrebbero attribuire alla parola mafia il significato di forza, prestanza fisica, bellezza argomentando il fatto che in qualche rione popolare di Palermo per attribuire qualità eccellenti ai propri familiari e alle proprie cose si usa il termine “mafiuso", sembra del tutto fantasiosa; a meno che non voglia ammettersi che il termine venga usato, in simili casi, non nel significato originario bensi in quello translato.

Rimandando, per un approfondimento della questione, ai numerosi autori che di essa si sono ampliamente occupati, a giudicare dal significato che il termine “mafioso" assunse verso la fine del secolo scorso, riteniamo attendibile la tesi di coloro i quali ritengono la parola mafia di origine araba col significato di associazione di uomini con finalità di protezione dei poveri e degli umili; siffatta tesi si concilia, da un punto di vista contenutistico, con quella di coloro i quali, partendo dalla considerazione che nelle cave abbandonate di Marsala si davano convegno segreto i patrioti, attribuiscono alla parola il valore di organizzazione segreta, accentuando l'aspetto della segretezza. Diciamo, anzi, che le due tesi si integrano. Il connotato particolare della segretezza, - in proposito mi piace riportare, in gergo, due delle espressioni usate dai mafiosi alla fine del secolo che bene indicano il modo di pensare mafioso: "Nun fari Sangiuvanni cu li sbirri, nun dari cunfirenza a li mugghieri (non stringere rapporti di companatico con appartenenti alla polizia, non fare confidenze alla moglie)" "le troffi hannu l’occhi, li mura hannu l’aricchi (i cespugli hanno gli occhi e le mura hanno le orecchie)", assieme a quello del mutuo soccorso, della solidarietà attiva fra gli associati, costituisce la nota principale che caratterizza e qualifica la associazione nei primi tempi del suo apparire.

Nota di contesto: attenzione, qui il dott. Chinnici ha appena terminato di spiegare che ciò che di mafioso si trova nella storia e nella cultura popolare antica è in fondo parte dell’eterna lotta degli umili contro i potenti, ma ciò che era in antico non corrisponde assolutamente alla realtà di oggi, come si capirà andando più avanti nella lettura.

MAFIA - COMPORTAMENTO O ASSOCIAZIONE CRIMINOSA?

A nostro modo di. vedere, per meglio comprendere il fenomeno mafioso, è necessario che l'esame su di esso sia condotto con riferimento a tre distinti periodi. Un primo che va dalla Unificazione del Regno d'Italia all’avvento del fascismo, un secondo dal 1922 al 1943, un terzo dal 1943, cioè dalla fine della guerra in Sicilia, ai nostri giorni.

(...)

...come si può parlare di inesistenza della mafia come associazione se si sono avuti casi, oltre che da noi anche negli U.S.A., nei quali la Polizia ha sorpreso capimafia riuniti in convegno per prendere decisioni che investono interessi di tutta l'organizzazione?

E ancora, se la mafia non fosse associazione con strutture e gerarchie proprie, con proprie norme che regolano la vita interna, quale spiegazione si potrebbe dare alla serie interminabile di omicidi e di gravissime altri reati contro il patrimonio che per modalita di esecuzione e per il fatto che gli autori rimangono ignoti o impuniti denunciano la chiara matrice mafiosa? Come spiegare le lotte spietate, con diecine e diecine di morti, tra gruppi di mafiosi in contrasto tra loro? Non riteniamo di dire cose nuove sulla mafia. La nostra venticinquennale esperienza giudiziaria nel corso della quale ci siamo occupati di numerosi e talvolta gravi processi contro imputati di associazione a delinquere di tipo mafioso, ci autorizza ad affermare che non è né modo di sentire atavico né modo di comportamento tipico dei siciliani. In Sicilia non esiste una popolazione con lo spirito tipico del mafioso; non esiste una particolare realtà etnica e climatologica che abbia potuto determinare o favorire la insorgenza del fenomeno (enfasi nostra, ndr). Nelle provincie siciliane nelle quali tale fenomeno esiste, si riscontra, sì, un atteggiamento mafioso, ma è atteggiamento tipico e caratteristico di chi è affiliato alla mafia; non esiste nelle stesse provincie un comportamento mafioso generalizzato. Se per comportamento intendiamo un modo diffuso, naturale, quasi inconsapevole di agire nella società, laddove per atteggiamento, scelta volontaria ed individuale di azione nella societa stessa, considerato che la mafia esiste soltanto nella Sicilia Occidentale, che il numero dei mafiosi è piuttosto ristretto, parlare di mafia come "modo di essere o di comportarsi dei siciliani" è grave errore; errore frutto di superficialità e, a volte, di disinformazione.

Nota: E' importantissimo questo passaggio perché il dott. Rocco Chinnici dimostra di aver chiari gli errori dei pregiudizi etnicisti e culturalisti, dietro i quali si nascondono alcune delle peggiori trappole di autogiustificazione dello sfruttamento e dello spopolamento di tutti i territori marginali, sottoposti a processi di colonialismo.Mafiosi non si nasceribadisce in conclusione di questo paragrafo il dott. Chinnici.

(...)

LA MAFIA DAL 1860 ALL'AVVENTO DEL FASCISMO

Riprendendo le fila del nostro discorso, prima di occuparci della mafia del periodo che va dall'unificazione del Regno d'Italia alla prima guerra mondiale e all'avvento del fascismo, dobbiamo, brevemente, ma necessariamente, premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell'unificazione, non era mai esistita in Sicilia.

Qualche studioso ritiene di poter ritrovare dei precedenti ad essa riferibili, nei cosiddetti "familiares" al servizio del tribunale dell’inquisizione che godevano di particolari privilegi, primo e più importante fra tutti quello del Foro privilegiato. In concreto i "familiares" «baroni, gente de casato e persone da lui dipendenti» vivevano fuori dallo stato del quale non accettavano, né riconoscevano, l’autorità; avevano una loro giustizia e una loro amministrazione. Dubitiamo che sul piano storico possa, fondatamente, parlarsi di un collegamento tra la mafia e, anzitutto, non costituivano costoro setta segreta, Inoltre, dal tempo dell'inquisizione al 1860, di tempo ne era trascorso; si erano verificati, anche nel nostro paese, avvenimenti che avevano determinato mutamenti nelle strutture della societa. L'unificazione era stata preceduta da moti e fermenti rivoluzionari ai quali la Sicilia non era rimasta indifferente. Per noi l’associazione criminosa e criminogena denominata "mafia", con le caratteristiche peculiari che man mano saranno messe in evidenza, nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno d'Italia; nasce come struttura portante dell'economia agraria dell'epoca, come forza occulta che contrasta il potere dello stato che - se pure largamente rappresentato dalla classe conservatrice - con la sinistra laica e liberale, incomincia, anche sotto la spinta delle masse e del sottoproletariato, a propugnare riforme in diversi settori della vita socio-politica ed economica.

E' fuori dubbio, comunque, che il periodo in esame rivesta, per lo studioso, una importanza notevole. Cadute le vecchie strutture politiche, e amministrative dei diversi piccoli stati nei quali l’Italia era divisa; con l'espropriazione dei beni ecclesiastici, con il timido avvio alle costruzioni di opere pubbliche, con i moti di ribellione del 1866, con l’inizio dell'industrialiazzazione si determina nel nostro stato un clima di incertezza, di instabilità, di contrasti, soprattutto di contrasti.

Il meridione è afflitto dal brigantaggio (fenomeno che ha poco o nulla in comune con la mafia) alimentato, specie in Calabria e nelle Puglie, dalla reazione che spera in un ritorno al passato. Sono gli anni della miseria più nera, gli anni in cui le genti del sud incominciano ad emigrare in massa nei paesi delle due Americhe; in Sicilia, malgrado l’emigrazione imponente, non c’è pane per chi rimane. Il contadino, l'eterno sfruttato, lavora dall’alba al tramonto per un salario che consente di nutrirsi soltanto di pane e cipolla e la sera, di un piatto di legumi per quattordici ore al giorno, sia che zappi la vigna, che mieta il grano, stremato dalla fatica e dalla malaria, dice, in un canto popolare, oggi scomparso, che a causa del lavoro massacrante "li rini si li manciano li cani"; non possiede nulla, soltanto i pantaloni e la camicia e la "bussaca" indumenti nei quali, a seguito dei rattoppi, della stoffa originaria rimane ben poco.

La terra, ed il bestiame, sono del barone o del cavaiiere, cosi come la stamberga costruita con “pietra, e taio (fango)" e col pavimento in terra battuta, composta di unico vano, senza l’ombra di quelli che oggi noi chiamiamo servizi, nella quale.vive con la moglie ed i figli…

(...)

Miseria ed analfabetismo regnano anche nella città. Le industrie, che già nel nord Italia cominciano a nascere e a cambiare il volto della societa, nel meridione e nell'Isola appaiono come una chimera; si vive con i proventi dell’artigianato, del piccolo commercio, e nelle borgate, di agricoltura. In questa società, cosi depressa, cosi inumana, cosa fa la mafia, cosa fanno i mafiosi? La mafia, in questo periodo, assume nella vita della Sicilia Occidentale, un ruolo ben preciso; diventa incontrastata dominatrice delle campagne; protegge ed è protetta dai baroni e dai cavalieri, i quali, sono i proprietari di quasi tutte le terre coltivate e dei pascoli. Prende parte attiva alla vita politica ed amministrativa…

(…)

E’ in questa fase iniziale dello Stato unitario che la mafia assume la caratteristica di associazione criminosa e criminoggena. Il primo illecito che essa commette è quello di costituirsi in potere in contrasto con quello statale. Quale associazione segreta, al servizio della grande proprietà, non tollera fatti nuovi che possano turbare il dominio dei latifondisti. Se il contadino e l'affittuario reclamano condizioni più umane e più giuste, risponde col fucile caricato a lupara ma ha anche interessi propri da tutelare. Il mafioso di spicco è spesso gabellato (gestore per contodel grande proprietario, ndr), che cede a mezzadria o in subaffitto il fondo del barone. L’equilibrio cosi estaurato che gli procura ricchezza e prestigio, non può né deve essere turbato; chi osa paga con la vita. In questo momento storico la mafia incomincia ad interessare lo studioso - sociologo o criminologo - e lo stato, perché è proprio tra gli anni '70 e '80 (dell’Ottocento, ndr) che essa si afferma come associazione con incidenza notevole nel tessuto sociale di buona parte dell'Isola. Legata, come abbiamo visto, ai ricchi proprietari terrieri e ai signori, dei quali tutela gli interessi, diventa indispensabile strumento di costoro anche in occasione delle elezioni politiche e amministrative e se in taluni centri non si raggiungono determinati equilibri si verificano, allora, all'interno di essa delle spaccature: conseguono danneggiamenti di viti e di alberi da frutta e non di rado omicidi; nelle elezioni comunali impone candidati propri; gli eletti saranno gli amministratiri del comune.

Abbiamo detto che il mafioso, in questo periodo storico, è il vero padrone della terra. Sorgono, sul finire del secolo, le prime cooperative di lavoratori della terra; nascono i fasci di rinnovamento per il riscatto dei contadini, per una più giusta e più umana condizione di vita.

Il mafioso, sulle prime, appare indeciso; qualcuno, ma sempre per libidine di potere e solo per poco tempo, aderisce ai fasci di rinnovamento. Subito, però, prevale la vocazione conservatrice e reazionaria. Entra in azione il fucile a canne mozze, caricato a lupara: cadono così sotto i colpi dell’arma terribile, che diventerà poi simbolo della mafia, decine e decine di contadini che, affamati di terra e di giustizia, hanno il torto di organizzarsi, per affermare, al cospetto di una classe privilegiata e di uno stato che di essa è espressione, il diritto ad una maggiore giustizia sociale. I fasci hanno ‘breve durata. Mafia e potere centrale riescono a soffocare, laddove sono sorti, i movimenti di ribellione. La pace, quella voluta dalla classe privilegiata, ritorna nelle campagne.

(...)

Nota: Qui il dott. Chinnici ci descrive in modo vivace quanto accade in tutti i territori che si ritrovano sotto una dominazione alta, lontana, estranea. Le elite dominanti vengonorapidamente cooptateall’interno del nuovo potere politico. Sotto di loro un ceto di ascari violenti tiene a bada gli umili. Attenzione, però, si sta parlandoancoradi squadracce che assumono il controllo di porzioni di territori rurali e periferici. Non si sta ancora parlando della mafia contemporanea.

LA MAFIA DURANTE IL VENTENNIO FASCISTA

Il regime fascista, fondato sulla violenza, non poteva tollerare la mafia; due galli nel pollaio della Sicilia Occidentale non potevano stare. E non rimasero a lungo.

(...)

Nota: in questo paragrafo il dott. Chinnici riassume come le mafie partecipino prima alla repressione dei moti sociali dopo la tragedia della Grande guerra, poi si posizionino, come tutti i ceti dominanti, a sostegno del fascismo. Infine, con l’arrivo in Sicilia del prefetto Mori, il regime si sbarazza della manovalanza mafiosa, con i metodi spicci dello stato di polizia fascista. E’ una vittoria effimera, ovviamente, perché tutti i privilegiati conservano le loro posizioni, sostituendo la violenza mafiosa con quella fascista. Questo non toglie che un certo numero di persone della mafia si rifiuti di aderire al regime.

Mori é stato definito "il prefetto di ferro". - annota non senza amarezza il dott. Chinnici in questo paragrafo - Senza volere togliere meriti a nessuno, riteniamo che qualsiasi funzionario di P.S. o ufficiale dei C.C. con quei poteri, con quei mezzi, con quei sistemi e nel clima di terrore che seguì alle prime retate, avrebbe raggiunto gli stessi risultati del Mori. Non possiamo andare oltre senza dare una risposta a quanti potrebbero chiederci se, prima o dopo le retate, ci furono mafiosi che aderirono al fascismo. Premesso che la mafia, come associazione, non ha mai fatto scelte politiche definitive, essa, necessariamente, sta dalla parte di chi detiene il potere.

(...)

LA MAFIA DOPO LA CADUTA DEL FASCISMO

Arriviamo al luglio 1943. Le truppe alleate incominciano l’occupazione del territorio nazionale partendo dalla Sicilia dove sbarcano, dopo terrificanti attacchi aerei e navali. In poco tempo tutta l'Isola é "liberata". L’AMGOT (Allied Military Government of Occupied Territories,ndr), nei comuni della Sicilia occidentale, pone a capo delle amministrazioni mafiosi rientrati da poco dal confino o loro familiari che diventano campioni dell'anti-fascismo. Andrea Finocchiaro Aprile, che per tutto il ventennio nessuno aveva visto in Sicilia, essendo egli rimasto nella capitale ove esercitava la libera professione forense, agita la bandiera giallo rossa del separatismo. La mafia delle quattro provincie della Sicilia occidentale, o gran parte di essa, è con lui; crede nelle sue affermazioni e nelle sue promesse.

Nota: In questo passaggio il dott. Chinnici, come abbiamo detto molto distante dalla parabola del sicilianismo, parla di ciò che resta della manovalanza mafiosa che era stata anch’essa perseguitata dal fascismo e di quella mafia che aveva cooperato con gli Alleati. A questo punto della storia siciliana, questo è la mafia, non quella che sarà dopo.

Nelle file del separatismo occidentale militano i familiari del bandito Giuliano; questi autodenominatosi colonnello dell 'EVIS (Esercito Volontario per l'Indipendenza Siciliana) si schiera assieme ai componenti la banda accanto a quel pugno di giovani idealisti che nulla hanno a che fare con la mafia e col banditismo e che cadranno, poi, in conflitto con le forze dell'ordine o finiranno in galera. Lentamente incominciano ad organizzarsi i partiti politici che oggi chiamiamo dell'arco costituzionale; previa autorizzazione dell'AMGOT ogni partito incomincia a pubblicare il proprio giornale. Noi, allora diciottenni, scopriamo un mondo fino allora sconosciuto: ci avevano detto che bisognava “credere obbedire combattere", ci avevano insegnato che il duce aveva sempre ragione. Per la prima volta ci fu dato di scoprire la libertà e provammo lo stesso stupore di Ciaula quando vide la luna. La satira pungente del "Becco giallo", gli attacchi anche sul piano personale che uomini politici di primo piano si muovevano reciprocamente nei giornali di partito, rimasero a lungo impressi nella nostra memoria.

E’ il grande momento della mafia (ritorna l’ordine sociale garantito dallo stato, ci permettiamo di commentare, ndr). Ritorna nei feudi e nei giardini estromettendo con la forza gli affittuari e i mezzadri. Qualcuno tenta di resistere, ma viene inesorabilmente eliminato. Non esercita vendetta nei confronti degli ex fascisti che pure avevano avuto un ruolo non secondario nelle "retate" del prefetto Mori; in alcuni centri del Palermitano, nei giorni che seguirono l'ingresso delle truppe alleate, si limita a spingere al saccheggio delle dimore degli ex gerarchi la folla; non ricordiamo casi di ex podesta o segretari del partito uccisi dai mafiosi dopo la liberazione dell’Isola; forse - ma la notizia dovrebbe essere controllata - un caso si ebbe in un comune del trapanese.

(...)

Incomincia, tra difficoltà di ogni genere, l'opera di ricostruzione. Come è noto, durante il periodo bellico, le distruzioni:maggiori si ebbero sulle città; è qui che si profilano possibilità di grossi guadagni. La mafia lo intuisce. Non abbandona ancora le:campagne dove, contrastando le lotte dei contadini, organizzate e guidate da esponenti politici di primissimo piano, riesce a mantenere il predominio; si prepara, però, ad inserirsi nelle citta. Elezioni regionali del 1947, affermazione del "Blocco del Popolo", che raggruppa partiti laici e di sinistra. La mafia ha compreso che il movimento separatista ha perduto la sua battaglia (del resto nessun siciliano aveva mai pensato al successo di un movimento i cui aderenti predicavano odio "contro i tiranni italici" ed aggredivano che non era con loro). Voluta dalla Democrazia Cristiana e dai partiti laici era nata frattanto la Regione.

E’ il momento storico più-importante della mafia che entra nelle file di quasi tutti i partiti che hanno rappresentanti al parlamento regionale.

(...)

Nota: In queste righe si comprende che il dott. Chinnici aveva i suoi pregiudizi contro il regionalismo, anche quello più moderato, ma questo non toglie nulla allo spessore delle sue riflessioni sulla criminalità organizzata. Più avanti rievoca come la mafia contribuisca alla liquidazione del bandito Giuliano e chiosa:La leggenda che vuole i mafiosi uomini rispettosi dell'ordine costituito trova conferma.

Incomincia, intanto, la ricostruzione del paese. Palermo, capoluogo dell'Isola, sede del parlamento e del governo regionale, subì negli anni della guerra bombardamenti a tappeto che distrussero tutta la zona portuale e cagionarono danni notevoli in quasi tutti i quartieri.

Si arriva agli anni cinquanta. Il potere della mafia si é manifestato, come abbiamo visto, fino a quegli anni, nelle campagne. Rizzotto, Miraglia, sono nomi di sindacalisti caduti assieme a decine di contadini sotto i colpi della mafia, che vede, come nel passato, nelle lotte dei sindacalisti e dei partiti che li sostengono, un attacco alle proprie istituzioni. La fame di terra dei contadini rimane come sempre inappagata. La riforma agraria, che nelle previsioni del legislatore avrebbe [qui nel testo c’è una lacuna, ndr] consentiranno mai ai contadini di poter trarre da essi i mezzi di vita; quelli rimasti ai grossi proprietari terrieri o al mafioso di spicco, essendo i migliori sotto ogni aspetto, diventano aziende agricole modello sulle quali la presenza del mafioso é ancora oggi attiva.

Nelle città incomincia - disordinata e caotica - la ricostruzione e l’espansione edilizia. La mafia delle città e delle borgate comprende che ha dinanzi a sé nuove e inesauribili fonti di ricchezza; su questa fase - ci avviamo agli anni sessanta - la sua azione si svolge in diverse direzioni: commercio e mediazione delle aree fabbricabili, interventi presso le amministrazioni e gli uffici per la concessione delle licenze e degli appalti, imposizioni di tangenti agli imprenditori, gestione diretta di imprese di costruzione. Cosi come era avvenuto per le campagne, nessun ostacolo essa incontra nella sua attività; ha raggiunto attraverso il ruolo svolto nelle elezioni amministrative regionali e politiche, tali risultati che può accedere presso tutti gli uffici pubblici e ottenere tutto quello che chiede. Del resto non sono pochi i pubblici dipendenti ad essa legati per rapporti di parentela o di interessi. Cosi, con costruzioni sorte senza licenza o con licenza, che violano apertamente gli strumenti edilizi, vengono messi "a sacco" Palermo e i vicini comuni. Incominciano, in questo periodo di tempo, a Palermo, a delinearsi ed esplodere i contrasti fra due gruppi di mafia che fino agli anni sessanta avevano avuto modo di rafforzare le loro sfere di influenza. Sono i gruppi Greco e Torretta di Palermo che hanno trasferito i loro centri di interessi dagli agrumeti alle aree edificabili. Fallita la opera di mediazione e di pacificazione di mafiosi di prestigio, è il momento degli omicidi, delle stragi, delle terribili vendette. I morti per le vie di Palermo e nelle vicine borgate si contano a decine. Si sviluppano contrasti per il dominio nella zona dei Cantieri Navali e dei Mercati Ortofrutticoli. Strage di Ciaculli. Si reclama l’intervento dello Stato. La mafia ha cambiato volto, Fino agli anni sessanta essa ha avuto nelle quattro provincie della Sicilia occidentale due precisi obiettivi: 1) l’arricchimento, con qualsiasi mezzo, degli associati; 2) il mantenimento, nelle campagne, di strutture che potessero consentirle il controllo sulla economia agraria, ai danni dei contadini a vantaggio del latifondista, ma, sopratutto, proprio. Fino agli anni sessanta, in conecreto, essa fu un potere che agì in modo rilevante nella societa agricola in contrapposizione a quello statale. Ciò sulla scia di una tradizione che voleva la mafia “elemento di ordine”.

A partire dal 1960 le aumentate fonti di arricchimento - sempre e comunque illecite - i collegamenti con le analoghe organizzazioni di oltre oceano, fanno di essa un’associazione criminosa di tipo gangsteristico.

(...)

Nota: Stavolta è arrivata davvero, spiega il dott. Chinnici, una “nuova mafia”.

...la mafia siciliana, dopo gli anni sessanta, sullo esempio di quella americana oltre ad allargare la sfera delle attivita illecite, ispirandosi ad essa, compie una penetrazione più incisiva nell’apparato e nelle amministrazioni pubbliche. E’ questa una azione necessaria se si considera che essa oramai, come copertura delle attività delinquenziali, altre ne svolge. che hanno il crisma apparente della legalità. Appalti per costruzione di opere pubbliche vengono quasi sempre aggiudicati ad imprenditori mafiosi o ad imprese che corrispondono alla mafia tangenti consistenti. Le imprese del Nord, quelle locali che non vogliono sottostare al ricatto, subiscono gravi atti intimidatori cui seguono dannggiamenti.

Il rapporto mafia - pubblica amministrazione assume aspetti emblematici ed inquietanti. Enti pubblici sono permeati dal potere mafioso; le opere pubbliche costano al contribuente molto più di quanto dovrebbero. Laddove il potere mafioso non riesce a penetrare con i metodi tradizionali - clientelari o.violenti – riesce a volte corrompendo. "Cosa Nostra" fa scuola.

(…)

La mafia con le caratteristiche nuove che abbiamo visto sposta il campo di azione nelle zone della Italia industrializzata. Sequestri di persona che rendono miliardi. Collegamenti con la "ndrangheta" calabrese, cosi come anni prima, per ragioni di contrabbando, c'erano stati con la camorra napoletana. E’ la nuova mafia, spregiudicata, spietata, assetata di potenza e di ricchezza, che non conosce più confini alle proprie azioni e non riconosce vecchi canoni e vecchi schemi. La lotta per il predominio pur continuando a permanere nel capoluogo dell'Isola si sposta anche nel Nord. A Milano cadono sotto i colpi delle micidiali "Colt Cobra", che sembra l'arma corta preferita dai giovani della nuova mafia, mafiosi di "rispetto". Continua ai giorni d’oggi nella carenza ed insufficienza dello Stato, l’azione pluridirezionale della mafia. I morti, nella Sicilia occidentale, si.contano a diecine e diecine. All'assemblea regionale, così come in passato, forze politiche tradizionalmente democratiche che da sempre combattono le associazione mafiose, hanno, in questi giorni, chiesto al Governo centrale di dare attuazione ai rimedi ed ai suggerimenti proposti dalla Commissione Antimefia. Il delicato momento politico ci induce a ritenere che il fenomeno mafioso non sarà affrontato con l'adozione di quelle misure – non soltanto restrittive – che da anni si invocano. E la Sicilia occidentale continua a rimanere vittima di situazioni che suonano offesa alla civiltà.

Nota: Qui si chiude la relazione del 1978 e già è chiaro che le mafie sono diventate concentrazioni di potere che si dilatano quanto si dilatano gli stati e i mercati. Passiamo ad ascoltare alcune delle considerazioni dalla relazione Chinnici-Mannino del 1983.

LA MAFIA OGGI E SUA COLLOCAZIONE NEL PIÙ VASTO FENOMENO DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

di Rocco Chinnici e Saverio Mannino – giugno 1983

PREMESSA

(…)

Le forme associative ricordate hanno in comune lo scopo di arricchimenti personali con mezzi illeciti (di regola rispondenti al fine, ma non esclusivi dello stesso omicidio) per cui assumono una metodologia di tipo parassitario, che si esprime nella tendenza all’infiltrazione nell’ambiente sociale e nelle istituzioni dello Stato per distorcerne l’azione dai fini pubblici a loro proprio vantaggio.

Questo elemento è certamente presente anche nella camora (…) come gli avvenimenti odierni (caso Cirillo) dimostrano con l’inquietante costatazione e dei contatti fra camorra e terrorismo e della compromissione dei pubblici poteri nell’utilizzazione dell’azione intermediatrice della camorra per trattare col terrorismo.

(…)

LA MAFIA SICILIANA

(…)

Nota: Il documento ricorda come si fosse rintuzzata la violenza mafiosa, con azioni di repressione e iniziative politiche e sociali, nel primo dopoguerra, ma poi la mafia torna a dilagare quando diventa narcomafia. Il proibizionismo è un terreno scivoloso, di grande arricchimento e corruzione. La narcomafia fa un salto di qualità.

...Già agli inizi e a metà degli anni sessanta (…) la mafia pur continuando a gestire il contrabbando di tabacchi lavorati esteri, a controllare il mercato delle aree edificabili e delle acque per uso irriguo, a ricattare commercianti, imprenditori, agricoltori, pur facendo avvertire pesantemente la sua presenza nella vita politica ed amministrativa attraverso collegamenti con il potere, aveva iniziato una attività nuova, il commercio di cocaina, eroina e di altri stupefacenti.

(…)

…I processi (…) provano, in modo inequivocabile, che esistono strettissimi legami tra le organizzazioni mafiose delle tre regioni: dimostrano, anche, che tali organizzazioni, nella produzione e nel commercio dell’eroina, sono in rapporti con le organizzazioni internazionali, segnatamente con le famiglie mafiose d’origine siculo-calabrese-napoletana, destinatarie dell’eroina prodotta in Sicilia e in Calabria ed operanti negli USA e nel Canadà.

(…)

Nota: Il documento descrive un potere economico che però non ha affatto rinunciato a condizionare fortemente la politica e gli organi dello stato (o meglio degli stati).

L’omicidio del Presidente della Regione Piersanti Mattarella, caduto nel tentativo generoso di dare un volto nuovo alle pubbliche istituzioni e nel momento in cui, predisponendo le necessarie riforme, stava per passare [d]alla enunciazione di linee programmatiche dirette ad estromettere mafia e sistemi mafiosi dai gangli vitali della Regione, alla realizzazione delle stesse, costituisce la drammatica riprova della validità della tesi… (…) …la mafia, oggi come nel passato, non può mantenere posizioni di rilievo… se, forte della potenza economico-finanziaria raggiunta, allenta i vincoli che la legano al potere.

(…)

...oggi le associazioni mafiose (camorra e ‘ndrangheta comprese) hanno assunto un ruolo assai importante anche nell’ambito della criminalità organizzata internazionale… (…) “La multinazionale della droga” non è espressione giornalistica, né è priva di significato.

Nota: Continuano poi con riflessioni sulla globalizzazione di questo potere, con la sua capacità di inquinare la vita non solo finanziaria ma anche politica, fin negli Stati Uniti e in Sudamerica.

(…)

La lotta alla mafia deve partire dagli aspetti morfologici del fenomeno: contro l’infiltrazione mafiosa è necessario l’avvio di un processo di disinquinamento seguendo i principi di una bonifica sociale… (…)...la mafia non recluta solo nelle carceri, ma dovunque si ponga ai giovani la scelta fra l’emarginazione e il prestigio, il ruolo sociale, il denaro facile, la carriera ed il successo – pur con gli enormi rischi connessi – del mafioso.

Nota: Pur entro i limiti della loro posizione come amministratori di giustizia, gli autori proseguono facendo cenno alla necessità di riforme contro il notabilito elettorale, gli abusi di posizione dominante nei media e nel finanziamento della politica, l’infiltrazione mafiosa nei corpi e nei poteri dello stato, i subappalti, le esternalizzazioni, le confische degli arricchimenti improvvisi e potenzialmente illeciti. Tutte battaglie che ad oggi restano incompiute e che devono essere che al centro dell’azione politica di noi decentralisti, che siamo ostili a tutte le concentrazioni di potere politico ed economico. Concentrazioni che sono, intrinsecamente, congeniali e funzionali al continuo riformarsi di centrali di potere mafioso.

Vorremmo chiudere sommessamente, ma non senza durezza: noi decentralisti dobbiamo fare ciò che le persone che hanno una mentalità centralista, sicuritaria, autoritaria, non riusciranno mai a fare. Tocca a noi aprire nei nostri territori un’approfondita riflessione su quanto le narcomafie e gli stati centralisti e autoritari si compenetrano, s’inquinano e, in definitiva, si rafforzano a vicenda, aprendo dibattiti seri sui proibizionismi (su ciò che è permesso a tutti e ciò che invece è permesso solo ai criminali). Tocca a noi impedire che i beni comuni, in particolare ambiente, cultura, alimentazione, salute, siano messi sul mercato, perché nella globalizzazione qualcuno che ha abbastanza fondi – legali o illegali – per impadronirsene e controllarli, purtroppo, si troverà sempre. Tocca a noi impedire che il potere politico si concentri in così poche mani, che sia sufficiente la corruzione di un solo vertice o di un solo ufficio, per condurre in rovina interi territori.

L’immenso dolore delle vittime di mafia potrà trovare consolazione solo in seno alla Provvidenza, ma il qui e l’ora della giustizia, se vogliamo onorare Piersanti Mattarella, Pio La Torre, Rocco Chinnici e tutti gli altri martiri delle narcomafie in tutto il mondo, fanno parte del nostro compito autonomista.

* * *

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Gli aspiranti faraoni d'Italia riparlano di ponte sullo stretto

I se-dicenti competenti del centralismo stanno di nuovo pensando a una opera faraonica, il ponte sullo Stretto di Messina. Finisce per essere sempre evocata da coloro che vogliono autocelebrarsi, dai regimi che vogliono consolidarsi, ma questa HYBRIS (ὕβϱις) resta invisa ai popoli di Calabria e Sicilia, di dubbia realizzabilità tecnica, controversa per gli scienziati della terra, oltre che totalmente incompatibile con una seria svolta ambientale. Chi invece vuole riportare autogoverno e buongoverno, come il Movimento Siciliani Liberi, si occuperà di cose che solo un forte e competente governo territoriale può fare, come raddoppiare il binario unico tra Messina e Palermo e completare le infrastrutture necessarie per liberare le enormi potenzialità dell’economia locale siciliana.

Pubblichiamo qui integralmente, in proposito, un intervento dell’architetto Ciro Lomonte, in dialogo con il prof. Nikos Salíngaros, apparso su Il Covile, prestigiosa testata di riflessione critica sui guasti della modernità.

Lo Stretto di Messina è sempre piú largo

Pubblicato su Il Covile – rivista diretta da Stefano Borselli - https://www.ilcovile.it/

ANNO XVI N°925 - 10 OTTOBRE 2016

L’articolo di Nikos Salíngaros a proposto del Ponte sullo Stretto di Messina mostra che questa grande sfida dell’ingegno umano, se venisse vinta, potrebbe produrre vantaggi a flussi di comunicazione che non tengono in considerazione le reali necessità dei due territori che si fronteggiano. Forse. Il prof. Salíngaros considera un asse verticale che piegherebbe a Sud verso Palermo.

Altri considerano che si potrebbe dare vita ad un asse orizzontale Tunisi – Palermo – Messina – Bari – Durazzo – Atene – Istanbul, intersecantesi con il primo.

Ci sono ragioni di opportunità politica da tenere in considerazione. Ma ci sono anche questioni tecniche non risolte. Sotto lo Stretto passano diverse faglie di carattere distensivo. Tali strutture tettoniche sono caratterizzate da particolari movimenti orizzontali dovuti ai continui spostamenti delle tre placche continentali interessate. Le problematiche di sicurezza non riguardano soltanto i violenti terremoti che periodicamente si verificano in quella zona. L’ultimo è stato quello del 1908,

che ha cancellato la Messina dei Vicerè.

Il mito greco di Scilla e Cariddi ha il suo fondamento nel fenomeno macroscopico dei venti che soffiano forte in quella zona e delle correnti marine che costringono i piloti delle navi a governarle prudentemente alla deriva quando l’attraversano.

Questa è la ragione per cui non si possono realizzare piloni al centro dello Stretto. Ciò rende necessaria la costruzione di una campata unica, quasi il doppio della piú lunga realizzata sino ad oggi.

Gli stessi venti renderebbero difficile l’apertura costante del Ponte, anche perché si tratta di un viadotto pensato sia per il traffico gommato sia per quello su rotaie. Le forti oscillazioni di un ponte strallato, con le forze centrifughe che ne derivano, specie per i treni, costringerebbero a tenerlo chiuso per un numero totale di giorni all’anno stimato in sei mesi.

C’è davvero la sicurezza di possedere già le conoscenze e la tecnologia necessarie per realizzare un Ponte a campata unica di 3.300 metri? Qualunque governo che si volesse lanciare nell’impresa lo farebbe per motivi propagandistici, con il rischio verosimile di lasciarla incompleta.

Aldilà delle conseguenze che il Ponte avrebbe su Reggio Calabria (che non è visitata neppure da chi usa i traghetti, anche se adesso c’è il richiamo del Museo Archeologico, con i Bronzi di Riace) e Messina (che invece attualmente ha un qualche rapporto con i turisti in transito), questa megastruttura è mal rapportata alla viabilità delle due Regioni che unirebbe. La ferrovia Messina-Palermo è ancora a binario unico! Un treno che passasse a velocità sostenuta sul Ponte sarebbe poi costretto a fermarsi ad ogni stazione per attendere il passaggio di altri convogli. In generale le ferrovie siciliane sono un disastro. Pochi pendolari prendono il treno, perché i tempi di percorrenza sono biblici. Tutto ciò ha favorito (e forse dietro c’è una volontà precisa) la diffusione enorme dei veicoli privati. I tragitti fra i vari centri dell’Isola si realizzano in pullman privati (sovvenzionati dalla Regione) o in automobile. È chiaro cosa questo comporti per il traffico, soprattutto nella fase di ingresso nelle città. In Calabria la situazione non è migliore.

È pur vero che un’opera di tale impatto potrebbe stimolare la costruzione di infrastrutture adeguate. Si diceva che alcuni per es. sognano un nuovo asse commerciale Palermo–Bari. Ma c’è ragione di essere scettici, per il semplice motivo che il Sud è trattato come una colonia da politici e finanzieri e la sua gente non ha ancora imparato a fare la voce grossa. Non sarebbe automatico lo sviluppo delle due testate del Ponte.

Le autostrade siciliane sono insufficienti anche al traffico veicolare. Solo un triangolo parziale è abbastanza ben collegato: Messina con Catania, Catania con Palermo (con tratti pessimi in perenne manutenzione), Palermo con Messina. C’è poi la Palermo–Mazara del Vallo, che – nel tratto dopo Trapani – è usata molto poco. I Graziano Delrio di turno diranno che è uno spreco. Ma glisseranno sul fatto che, se questa autostrada continuasse per Agrigento, Ragusa, Siracusa, Catania, le merci circolerebbero a velocità decente, come avviene oggi in Lombardia. I trasporti in Sicilia sono un disastro, anche solo fare una gita in Sicilia orientale è una scelta audace per un palermitano.

Alcuni rincareranno la dose: «È tutta colpa della Regione Siciliana!». Senza ricordare che l’Autonomia Siciliana del 1946 è un bluff che ha permesso alla nascente Repubblica Italiana di evitare che le tensioni indipendentiste mai sopite nell’Isola portassero ad una definitiva separazione. Il carrozzone che ne è nato (assistenzialismo, pubblico impiego e precariato in cambio di voti a favore dei grandi partiti nazionali) ha messo in ginocchio l’economia siciliana, incrementando il fe-

nomeno dell’emigrazione delle migliori menti. A beneficio dei governi centralisti, che hanno frenato le forze centrifughe con un perverso sistema clientelare.

Il vento sta cambiando. L’adesione crescente della gente al Movimento Siciliani Liberi attesta che il malcontento verso partiti sordi alle necessità reali cresce e la consapevolezza di essere stati derubati pure. A parte il fatto che il Sud ha ricevuto le briciole di ciò che è stato investito al Nord (con l’aggravante di sentirsi oggetto di elemosine non dovute), le infrastrutture in Sicilia non sono state realizzate perché non le si voleva realizzare.

In queste condizioni il Ponte sullo Stretto sarebbe un monumento velleitario di cui potrebbero rimanere due piloni incompleti – uno per ciascuna riva dello Stretto di Messina – a imperitura memoria. Molto meglio lavorare sulla condizione di insularità della Sicilia riconosciuta dall’Unione Europea e ricavarne tutti i vantaggi fiscali che condurrebbero ad una sostanziale ripresa economica.

 

Ciro Lomonte*

* Al momento in cui ripubblichiamo questo articolo (mercoledì 11 agosto 2021), l’architetto Ciro Lomonte è segretario del Movimento Siciliani Liberi, appena riconfermato dal II Congresso nazionale (https://www.autonomieeambiente.eu/news/50-ii-congresso-nazionale-siciliani-liberi).

Nota: L’immagine a corredo dell’articolo è un particolare del quadro “Ulisse affronta le Sirene e passa lo stretto di Scilla e Cariddi”, olio su tela di Ruggiero de' Ruggieri da Primaticcio, anch’esso estratto dal citato numero de Il Covile.

 

Omaggio a Francesco Catanzariti, socialista meridionalista autonomista inquieto

  • Autore: Francesco Catanzariti (Movimento Meridionale Calabria) - Roma, 30 ottobre 1986

Francesco Catanzariti, classe 1933, ci ha lasciato il 7 agosto 2024. E' stato un uomo politico socialista meridionalista autonomista, "inquieto" e quindi coraggioso e lungimirante. Come altri della sua generazione, ha fatto politica all'ombra delle tende dei partiti popolari della sinistra italiana del primo dopoguerra, ma sempre da posizioni indipendenti e infine avendo ben chiaro che le sinistre erano parte di una "partitocrazia" centralista.

Grazie a Radio Radicale è possibile ascoltare il suo interventoal XXXII congresso del Partito Radicale, registrato a Roma il 30 ottobre 1986. Catanzariti intervenne a nome del Movimento Meridionale della Calabria. In quell'intervento, che abbiamo qui trascritto per rendergli omaggio, c'è tutto ciò che è importante, per un autentico meridionalismo, per l'emancipazione delle Calabrie e del Sud, per una nuova stagione delle autonomie personali, sociali, territoriali, nella Repubblica e in Europa.

Al netto della necessità di contestualizzare un intervento che risale agli anni Ottanta del secolo scorso, nelle parole di Catanzariti troviamo concetti chiari, comprensibili, necessari e sufficienti anche per il XXI secolo: la consapevolezza di cosa è una "colonia" interna in uno stato come quello italiano, nel mercato comune europeo, nel mondo globalizzato; l'ancoraggio alle radici più profonde della promozione delle autonomie umane (che noi perseguiamo sempre alla luce dei valori della Carta di Chivasso); il realismo con cui si prende atto del "peso morto" di ceti burocratici ignoranti, incompetenti, parassitari, che prosperano grazie al centralismo e anzi contribuiscono a perpetuarne i disastri; la consapevolezza che senza una nuova generazione di leader locali, in un sistema politico più democratico, in cui i rappresentanti siano eletti dalle comunità locali, non ci sarà emancipazione e riscatto dalla miseria, dallo spopolamento, dall'assistenzialismo.

Fa impressione la lucidità di Catanzariti nel 1986, soprattutto pensando a quanti masanielli, guitti, populisti, impreparati e avventati ignoranti hanno poi impedito la formazione di movimenti politici meridionali veramente indipendenti dalle piramidi politiche nazionali. Il tempo però, sembrerà banale ripeterlo, è e sarà galantuomo e anche i territori del Sud, anche grazie al lavoro del Comitato Charta di Melfi, potranno presto esprimere una classe dirigente, invece che emigrante o peggio obbediente.

Pubblicato il 14 agosto 2024

Nota bene: nella trascrizione ci sono dei corsivi e delle inserzioni fra parentesi quadre che hanno il solo fine di rendere più piana la trascrizione dell'intervento - a cura del gruppo di studio del Forum 2043

 * * *

Compagni e amici Radicali, il nostro saluto fraterno, come Movimento Meridionale Calabria, nasce da ampie convergenze politiche e storiche, che ci hanno consentito di sostenere assieme una battaglia impegnativa ed importante come quella delle elezioni del 12 maggio 1985 (elezioni regionali della Calabria, ndr).

Abbiamo trovato in voi un importante punto di riferimento per il vostro carattere libertario, per la vostra sensibilità ai temi dell'autonomia, agli ideali di giustizia, per la vostra spietata critica di fronte al degrado politico economico e morale del paese, alla partitocrazia.

Ecco perché intervengo al vostro congresso con una intima sensazione di rispetto verso di voi, che avvertite così profondamente l'attuale crisi dello [strumento] partito politico, che vi ponete onestamente il problema se sia opportuno sopravvivere oppure sciogliervi, senza che altri per cecità e calcoli meschini, vengono turbati dai grossi rischi che la società italiana correrebbe con la privazione di un importante ruolo quale quello esercitato dal Partito Radicale.

Altrettanto rispetto non provo per l'arroganza delle burocrazie che hanno trasformato i partiti presenti sulla scena politica nazionale in organizzazioni prive di ideale e tese soltanto a perpetuarsi attraverso la corruzione, il favoritismo, il clientelismo. Ma a parte questo, noi del Movimento Meridionale siamo critici verso i partiti nazionali che con la loro struttura e comportamento di fatto deprivano di rappresentanza politica ed elettorale i cittadini del Meridione.

I soggetti sociali meridionali, come ci insegna la storia non solo recente, non hanno mai conosciuto una onesta, corretta ed autentica [rappresentanza] politica.

Ciò è provato da operazioni “sottili”, come lo spogliare [il Sud] dei risparmi accumulati da intere generazioni. Un’operazione di drenaggio portata avanti da ogni governo e sempre sostenuta dai partiti politici unitari. E’ un esempio fra gli altri, ma tanti altri se ne potrebbero fare sul piano della politica economica e perfino delle opere pubbliche, come le ferrovie costruite per scopi militari o per portare a termine l'operazione di repressione. Non solo contro il brigantaggio ma perfino contro i Fasci siciliani, la lotta per la terra, le rivolte popolari alla cui base, senza intaccarle, c'erano e ci sono condizioni di profondo malessere economico e sociale. Il “grande” Giolitti governò con il [suo] compromesso storico le ragioni padane e con i mazzieri, i prefetti, i carabinieri le regioni meridionali.

Nel dopoguerra tutti i partiti della “esarchia” (al tempo di questo discorso s’intendono i cinque partiti di governo del Pentapartito più il PCI, ndr) nella sostanza proseguirono nella gestione della cosa pubblica questo cinico disegno di amministrazione dualistica non certamente rispondente agli interessi globali del paese, innescando processi pericolosi di rottura, di razzismo, di mortificazione, di uso irrazionale delle risorse umane e materiali [di tutti i territori] del paese. Accantonando il “Piano del lavoro” di Giuseppe Di Vittorio e dei sindacalisti meridionalisti, la stessa ispirazione ideologica di Antonio Gramsci e perfino le intuizioni di don Luigi Sturzo, si concentrarono gli sforzi e i mezzi per le aree industriali economiche più competitive del Nord e si abbandonò il Sud al suo destino.

Al proletariato meridionale fu praticamente consegnata una valigia perché emigrasse, senza dar luogo a traumi nazionali e convulsioni politiche. Il dramma della Calabria, con le centinaia di migliaia di emigranti e di disoccupati, è vistosamente sotto gli occhi di tutti, al punto da configurare la regione come zona tipicamente di sottosviluppo, zona semi-coloniale, un Terzo mondo [interno].

Nella totale cecità dei partiti nazionali gli interventi statali, compresi il primo e il secondo “Piano verde” (le riformee i piani per lo sviluppo agricolodegli anni Sessanta, ndr), sono stati prosciugati dai gruppi finanziari ed agrari della Pianura Padana.

Perfino la politica agricola della Comunità europea ha peggiorato la situazione. E’ riuscita a modificare i rapporti di scambio tra produzioni mediterranee e produzioni continentali, con la sbalorditiva conseguenza negativa da una parte di assistere alla nascita dei miliardari e dall'altra, nel Sud, di ritrovare agricoltori e contadini con la casa e la terra impegnate per la “riconversione”: da vite ad agrumi, da agrumi a grano, da grano all'ulivo, e da ulivo a vite.

Solo uno esempio: nel 1960 il rapporto di scambio tra olio di oliva e latte era di 10 a 1; oggi è di 2,5 a 1; cioè in venticinque anni l'olio ha perduto tre quarti del suo valore di scambio.

Lo stesso fracasso che si fa attorno alla Cassa per il Mezzogiorno, “divoratrice” delle ricchezze nazionale secondo alcuni… [Ma] pochi sanno che i [suoi contributi] rappresentano soltanto un decimo [dell’importo] dei depositi bancari che si sono spostati annualmente dal Sud al Nord nel corso di trentacinque anni.

Per evidenziare le responsabilità che gravano sui partiti nazionali mi sono limitato a poche esempi, non ho voluto per ragioni di tempo - sto concludendo - soffermarmi su altri significativa aspetti come quelli dello stato sociale, e contestare le malevoli ed interessate deformazioni che su questo terreno si fanno spesso, o sulla politica assistenzialistica, non voluta ma subita dal popolo meridionale come da tutto il paese nell'interesse della politica clientelare e del “mercato”, quello voluto dai “padroni del vapore”.

Né voglio parlare dell'altro drammatico aspetto, sul quale ho notato tanta sensibilità ed è un fatto che vi onora e che rende orgoglioso il Partito Radicale, che riguarda il problema della giustizia, della violazione dei diritti civili più elementari, dell'uso strumentale e disonesto che si fa del fattore criminalità, della delinquenza organizzata.

Spesso alibi e pretesto per acquietare la cattiva coscienza d'una classe dominante e dirigente incapace di proteggere il cittadino dal delitto e di rimuovere le cause culturali ed economiche, attaccando alla radice il malessere. Anzi volutamente si scambiano effetti con cause, nell'assoluzione di precise responsabilità politiche dei potentati. Si usano fenomeni perversi, le cui conseguenze disastrose sono pagate e patite dalla popolazione meridionale, per sparare nel mucchio, in violazione della Costituzione, per criminalizzare ed etichettare con cinismo un popolo.

Si sappia che in Calabria ci sono migliaia e migliaia e migliaia di diffidati, di ritiro di patenti a volte per aver partecipato ad un funerale - perché non c'è neanche il diritto di partecipare ai funerali - oppure per un precedente banale, irrisorio, o addirittura per essere “nullafacenti” - come mi è capitato di leggere - cioè disoccupati.

O come voi Radicali avete denunziato, si sappia che in Calabria si può entrare vivo e robusto in una caserma per uscire in una bara, come è capitato ad un giovane nel mio paese natìo (Platì, ndr), o come fu il caso di una donna, per lo spavento di un blitz inconcludente ed inutile, si può trovare anche la morte.

Ecco perché noi del Movimento Meridionale Calabria parliamo [della nostra terra come] di una “colonia”.

Per avviarmi alla conclusione, voglio riprendere quanto i giornali hanno riportato in merito agli interventi del professore Leopoldo Elia, ex presidente della Corte costituzionale, e di Maurice Duverger al convegno di Perugia sulla crisi dei partiti. Mi ha colpito una espressione di Duverger sui politici come “avversari collaboratori”. Il politologo non penso abbia mai studiato la funzione del ruolo dei partiti nel Meridione. Se ha letto Gaetano Mosca, non penso abbia letto certamente Gaetano Salvemini e Guido Dorso. In Italia da sempre tutti i partiti si sono presentati e si presentano come “avversari collaboratori” attorno agli interessi corporativi del Settentrione e come “nemici nemici” nel Meridione.

Il Movimento Meridionale non ha oggi i problemi che attanagliano il Partito Radicale (sciogliersi o continuare, ricordiamo, era il tema del congresso radicale del 1986, ndr).

Il Meridione nell'attuale fase storica manca di rappresentanza politica adeguata, specie in Calabria, dal punto di vista degli estremi produttivi della società, i capitalisti e i proletari.

Nel Meridione riceve rappresentanza politica, anzi si è impadronito e gestisce i partiti, un ceto medio che non è produttivo, in quanto non è legato alla produzione reale, ma solo all’attività burocratica e per giunta di qualità scadente.  Abbiamo così un dominio, dall'estrema destra all'estrema sinistra, dell'intellettuale disorganico o tradizionale che dir si voglia (arretrato e impreparato, si potrebbe dire, gramscianamente, ndr). [Figura che] blocca, congela, ossifica le possibilità e le spinte in direzione del cambiamento.

Cari amici Radicali, noi abbiamo bisogno di un movimento politico e abbiamo bisogno di farlo crescere.

Siamo mossi da grandi utopie, come per esempio l'Europa della Regioni, nel quadro di una nuova carta proletaria che ripattuisca la solidarietà fra tutti i popoli della Terra.

Abbiamo bisogna altresì di grande concretezza, al fine di realizzare un'alleanza tra produttori meridionali che rigenerando l'economia tragga il il Meridione fuori dallo stato di disfacimento [materiale e] morale in cui versa ormai da molti anni. Abbiamo bisogno di un movimento politico perché i buoni e gli onesti debbono trovare un luogo di incontro, perché escano dall'ombra e si schierino in primo luogo contro il sistema partitocratico, che voi avete contribuito validamente a mettere a nudo.

In questo contesto, nel rispetto delle specificità di ognuno e nel coordinamento dell'azione, siamo convinti che un grande ruolo può essere assolto dal Partito Radicale. Per questo, cari compagni ed amici, guardiamo al vostro congresso con attenzione e con apprensione.

 * * *

Intervento di Francesco Catanzariti, Movimento Meridionale Calabria, al XXXII congresso del Partito Radicale, Roma 30 ottobre 1986

Fonti e approfondimenti:

https://www.radioradicale.it/scheda/20099?i=2732252

https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Catanzariti

https://www.giornalistitalia.it/addio-ciccio-catanzariti-socialista-inquieto/

 

* * *

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Un sentito omaggio del Forum 2043 al socialista calabrese "Ciccio" Francesco Catanzariti

Il gruppo di studio che porta avanti il Forum 2043 è onorato di ospitare, a pochi giorni dalla sua scomparsa, un ricordo di Francesco Catanzariti ("Ciccio" per i suoi amici e compagni), figlio delle Calabrie, impegnato per l'Europa delle regioni e per l'emancipazione di tutti i popoli del mondo. E' stato un socialista meridionalista e autonomista di grande coraggio e lungimiranza.

Ci ha scritto il figlio, l'avvocato Gianpaolo Catanzariti (impegnato come avvocato e come intellettuale nelle lotte per i diritti civili e la giustizia giusta, nel Partito Radicale): "Mio padre, in passato, si è speso molto, pur nella sua radice profonda dell'umanesimo socialista, per le autonomie e per la lotta ad ogni forma di colonialismo, interno e non. Ricordo le esperienze con il Movimento Meridionale Calabria e le sinergie con diversi movimenti autonomisti (dalla Val d'Aosta agli occitani, dai sardi agli sloveni, ad esempio), che sin da allora, con grande lungimiranza, miravano ad arginare il fenomeno degli egoismi e dei particolarismi e che, attraverso il rispetto dei territori, avrebbe consentito una vera unità politica, sociale ed economica per il nostro Paese e soprattutto per l'Europa.".

Il Forum 2043 ha pubblicato, grazie all'impressionante archivio di Radio Radicale,  una trascrizione accurata e commentata di un intervento che Francesco Catanzariti fece nel 1986 al XXXII congresso del Partito Radicale, a nome del Movimento Meridionale Calabria. Un discorso breve in cui però c'erano già tutti gli strumenti necessari per un moderno territorialismo italiano ed europeo, sempre connesso con l'anticolonialismo e l'aspirazione alla pace e alla giustizia internazionale, in profonda consonanza con i valori della Carta di Chivasso e della Charta di Melfi.

Collegamento all'intervento sul Forum 2043

Reggio Calabra, 16 agosto 2024, San Rocco - a cura del gruppo di studio Forum 2043

 

VI Congresso MeriDem (Meridionalisti Democratici)

 

Udine, 23 novembre 2021

Cari amici Meridionalisti Democratici,

avremmo partecipato molto volentieri al vostro VI Congresso, che si riunisce ad Aversa il 28 novembre 2021. Ci è impossibile per impegni precedentemente presi, ma non potevamo rinunciare a trasmettervi i migliori auguri di buon lavoro.

Il vostro impegno e il dialogo che avete instaurato con la rete Autonomie e Ambiente sono preziosi. Insieme possiamo migliorare la capacità di collaborazione tra le formazioni politiche sinceramente convinte della necessità di lottare per l’autogoverno dei territori e di combattere il centralismo italiano, che subdolamente, ma oggi sempre più dichiaratamente, in ultimo con il prolungamento dello stato di emergenza, tenta di eliminare le nostre residue autonomie.

Oltre che contro il centralismo, dobbiamo impegnarci insieme contro i falsi difensori dei diritti territoriali, che costantemente tentano di boicottare l’autogoverno dei territori. Imprenditori della divisione (Nord vs Sud, o viceversa), si presentano come avvocati dei territori e poi inevitabilmente finiscono per fondare nuovi partiti centralisti, o per allearsi con essi. Le loro azioni, e ancor più i loro risultati, rendono ormai evidente la loro malafede.

La rete Autonomie e Ambiente è un coordinamento fra le diversità. Non c’è in noi alcuna volontà di semplificare le diversità territoriali. Anzi, al contrario, vogliamo fare rete con decine di realtà civiche, ambientaliste, localiste.

Il migliore augurio che vi possiamo fare è quello di riuscire crescere, non solo come movimento, ma anche movimento capace di allearsi con altri attorno al minimo comun denominatore di progetti politico-istituzionali percorribili e raggiungibili, nel rispetto delle diversità regionali e infraregionali.

Fra i nostri aderenti, per prossimità geografica, si unisce in modo particolare a questo saluto la forza sorella del Movimento Siciliani Liberi. Ci preme tuttavia farvi sentire la vicinanza di tutte le forze di Autonomie e Ambiente o in dialogo, come voi, con la nostra rete.

A presto!

Roberto Visentin

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