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Sardigna

AeA ai movimenti della Sardegna

Recentemente Autonomie e Ambiente (AeA) ha inviato un messaggio politico alle forze territoriali impegnate per il pieno autogoverno della Sardegna. Lo abbiamo fatto, insieme a ALE-EFA (European Free Alliance), inviando al VI Congresso di ProgReS, tenutosi il 10 luglio 2021, ad Aritzo, come osservatrice, Silvia Lidia Fancello (che è anche rappresentante personale in Sardegna della presidente EFA, Lorena López de Lacalle). Ne pubblichiamo una sintesi.

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Autonomie e Ambiente è  l’organismo politico che EFA, la nostra famiglia politica europea, ha scelto come interlocutore privilegiato nel sistema politico italiano. Coordina i movimenti autonomisti, indipendentisti, identitari, territorialisti, localisti, civici e ambientalisti attivi nella Repubblica Italiana.

AeA sta dialogando con diverse forze politiche sarde ed è aperta a tutte quelle che abbiano la volontà e le forze per partecipare a un cambiamento politico dello stato italiano in senso decentralista, oltre che per la piena attuazione dell'autonomia speciale sarda, in modo da porre le premesse per il pieno autogoverno della nazione sarda.

"Entrare in AeA ed EFA è un’opportunità che può permettere di essere protagonisti o quanto meno spettatori privilegiati in Europa, passando attraverso la porta principale e non come ruota di scorta dimenticata, dell’Italia"  - ha dichiarato, tra l'altro, Silvia Lidia Fancello ad Aritzo.

AeA lavora, non solo in Sardegna, per una feconda collaborazione fra indipendentisti, autonomisti, identitari, federalisti e più in generale fra tutti coloro che lottano per l'autogoverno dei propri territori.

L'autogoverno,  ha ricordato infine Silvia Lidia Fancello, va costruito attraverso una seria autocritica rispetto alle occasioni perse, con progetti innovativi, azioni concrete, partecipazione popolare, coalizioni larghe e durature.

A innantis.

 

 

Autodeterminazione e democrazia, una via d'uscita dalla crisi

  • Autore: Omar Onnis, attivista per l'autodeterminazione della Sardegna - 10 dicembre 2022

Autodeterminazione come ricerca di un autogoverno democratico pienamente inclusivo e capace di emancipazione. Un contributo ai lavori del Forum 2043 di Omar Onnis, attivista per l’autodeterminazione della Sardegna, scrittore, blogger di Sardegna Mondo (https://sardegnamondo.eu/).

Uno sguardo alla situazione globale

La dialettica tra autonomia e centralismo e tra autodeterminazione dei popoli e stati-nazione si dispiega oggi in uno scenario in transizione, assai diverso da quello del XX secolo. Lungo o breve che sia stato, il XX secolo è finito. Oggi ne scontiamo gli esiti e soprattutto paghiamo l’inerzia delle strutture politiche e socio-economiche che abbiamo ereditato, senza aver ancora a disposizione delle alternative pronte all’uso.

Lo stato-nazione di matrice europea ha avuto una parte significativa nella storia del mondo degli ultimi due secoli. Sia per chi l’ha vissuta da protagonista, sia per chi l’ha subita. Lo sviluppo del capitalismo, il colonialismo, la connessa divisione dell’umanità in razze poste in rapporto gerarchico tra di loro, i nazionalismi, i dogmatismi teorici e i fanatismi ideologici e religiosi: tutto questo è un retaggio che l’Europa e la cultura europea in senso lato hanno consegnato al mondo direttamente o indirettamente, e da cui il mondo, oggi è ancora pesantemente condizionato.

Le ripetute crisi di questi anni (finanziarie, pandemiche, belliche, climatiche) non sono una serie di sfortunati eventi. Si tratta invece dei sintomi macroscopici di una crisi generale e sistemica, a cui l’umanità riesce a rispondere a stento con misure emergenziali, senza affrontare il problema di fondo e anzi, spesso, contribuendo ad aggravarlo.

Assistiamo a una stretta oligarchica da parte dei ceti dominanti di ogni latitudine e longitudine, in concorrenza o in alleanza tra loro; assistiamo anche a una riproposizione di discorsi nazionalisti e particolaristi, comodi sia come diversivi, sia come dispositivi di consenso o di repressione, a seconda delle circostanze.

Negli anni si è consolidata anche una vasta rete distribuita su quasi tutti i continenti che potremmo definire una sorta di “Internazionale nera”: neo-fascisti, ultra-nazionalisti xenofobi, destra alternativa, reazionari legati a frange ultraconservatrici delle varie religioni. Questa galassia politica ha a disposizione molti mezzi, gode di ampie protezioni in diversi continenti, nonché di cospicui finanziamenti. È uno dei peggiori fattori di inquinamento del dibattito pubblico e delle dinamiche politiche, a vario grado di intensità e a più livelli.

Esistono anche movimenti globali di segno opposto: un vasto e non sempre coordinato movimento ambientalista; vari movimenti di indole sociale e politica volti a promuovere l’emancipazione di minoranze o a conquistare diritti sociali. Non esiste però una grande casa ideologica di riferimento, come potevano essere il socialismo e il comunismo, con le loro Internazionali, e si è affermata una certa diffidenza verso proposte ideali votate alla realizzazione di dogmatiche troppo stringenti. Il che è un bene. Ma è anche un limite pragmatico. Molte mobilitazioni popolari, emerse dopo la sconfitta del movimento No Global nei primi anni Duemila, stentano a strutturarsi e a diventare qualcosa di più di occasionali momenti di contestazione e/o di lotta, per di più dislocati in modo eterogeneo e quasi mai interconnessi tra loro. Non esiste una “Internazionale democratica”, al momento.

Nel frattempo l’umanità ha sfondato il tetto degli otto miliardi di persone. I danni prodotti dall’azione umana sul pianeta sono ormai evidenti, con effetti sensibili sulla vita delle comunità, ma le risposte che i governi propongono sono tremendamente inadeguate. Resta invece in campo la competizione geo-politica, con le sue storture e le sue aberrazioni.

L’era del dominio americano sta tramontando, ma gli USA restano comunque la maggiore potenza militare del pianeta. Il competitore principale è la Cina, a sua volta colosso problematico. All’orizzonte si profila anche l’India, secondo qualche statistica, oggi lo stato più popoloso al mondo, ma tutt’altro che coeso. Né si può escludere l’emersione di qualche altro concorrente.

Il conflitto più o meno freddo, giocato prevalentemente sul piano del soft power, dell’egemonia economica e culturale, degli accordi tra grandi potenze e le élite locali dei paesi da controllare e/o sfruttare, tende a riscaldarsi. I colpi di coda di potenze in fase di decadenza o l’aggressività di stati ambiziosi aumentano l’incertezza e moltiplicano e le possibilità di conflitto.

La situazione europea

L’Europa è ormai in una fase di lenta regressione. Il suo dominio sulle risorse e sulle popolazioni di altri continenti è ormai scemato, in gran parte sostituito da altri attori internazionali. La sua egemonia culturale è sempre più labile e va annacquandosi in un mondo sempre più meticcio (esito per altro non negativo, di suo). La decadenza demografica è già in corso. E tuttavia la presa delle élite “nazionali” è sempre salda, pronta a tutto pur di mantenere gli assetti di potere esistenti. La stessa Unione Europea risponde ormai prevalentemente a questa sorta di vago disegno conservatore, schiacciata tra una tecnocrazia sempre al comando e le pulsioni nazionaliste e oscurantiste che ne sono sia la principale fonte di legittimazione morale e politica, sia un comodo strumento di gestione delle istanze popolari e democratiche.

L’Unione Europea non si è rivelata uno strumento di democratizzazione e di emancipazione generale. Se tra le popolazioni sono cresciute la confidenza reciproca, la condivisione di orizzonti comuni, la facilità di interscambio culturale, gli establishment dei singoli stati hanno fatto di tutto per ostacolare l’emersione di questo processo a un livello istituzionale, per evitare una politicizzazione compiuta della solidarietà tra popoli e una proficua coesistenza tra spinte per l’autogoverno locale e un livello generale di valori fondamentali e scelte strategiche.

Benché l’Europa offra forse, ancora oggi, condizioni di vita migliori, dal punto di vista dei diritti e della tenuta sociale, rispetto ad altre aree del pianeta (se non altro in alcuni dei suoi stati membri), non si può certo affermare che questa situazione sia solida e destinata a perpetuarsi o addirittura a incrementarsi.

L’attuale “unione” fra i 27 stati membri della UE forse nasconde ma non redime la crisi politica e istituzionale in ciascuno di essi. In generale, è proprio lo stato-nazione a mostrare evidenti segni di inadeguatezza nel mondo di oggi. In risposta a questa crisi, in Europa non è auspicabile un irrigidimento dei nazionalismi statali e non è più desiderabile, nemmeno a livello di “meno peggio”, una non nuova pulsione “unificatrice”, il tentativo di creare uno stato-nazione europeo (che andrebbero messi invece in seria discussione, anche per i sinistri precedenti).

È un problema, tuttavia, dato che il mondo policentrico su cui ci stiamo affacciando sembra funzionare per confronto-scontro tra grandi blocchi di dimensione imperiale (e quasi sempre imperialista). L’Europa non può pensare di reagire a questa tendenza andando in ordine sparso, come ancora sembra possibile agli stati più grandi e ricchi, dotati di una propria proiezione internazionale semi-autonoma. Alla fine anche i più grossi stati europei si ritrovano a dover dipendere da orizzonti strategici altrui, principalmente targati USA, ma condizionati anche dalle politiche di altre entità politiche esterne (per esempio i paesi detentori di risorse energetiche e/o portatori di una robusta proiezione globale dei propri interessi). Tuttavia, non è nemmeno praticabile la centralizzazione tecnocratica e burocratica, desiderata e in qualche modo già praticata dall’establishment finanziario e produttivo del Vecchio Continente. I guasti e le contraddizioni, anche in questo caso, sono evidenti.

In Europa esistono al momento dei fattori di diversità politica e di potenziale alternativa: i movimenti ambientalisti e per la giustizia sociale, variamente declinati e articolati; i movimenti etno-regionalisti e di salvaguardia delle minoranze interne agli stati esistenti; i movimenti civici di rivendicazione di autonomia territoriale.

Non si tratta di un fronte compatto e coeso e anche dentro i rispettivi ambiti non esiste una reale forma di coordinamento e collaborazione. Eppure si tratta probabilmente delle sole risorse di cui disponiamo per lavorare a un’Europa – e, in proiezione, a un mondo – più giusto, più libero, più sano.

La proiezione fuori dai confini europei, però, non potrà più avvenire nei termini colonialisti del passato, bensì sotto forma di esempio e come centro di elaborazione politica, come rifugio per i perseguitati politici e come sede di una politica attiva di conciliazione dei conflitti internazionali. Sarebbe anche un modo per farsi perdonare i secoli di sfruttamento, razzismo e guerre che l’Europa ha sulla coscienza.

Nazione e identità, concetti problematici

I movimenti per l’autodeterminazione, presenti in molti stati europei, devono avere un ruolo decisivo, in questa partita. Per farlo, tuttavia, devono accogliere come punto centrale e dirimente del proprio orizzonte teorico e pragmatico il problema della democrazia. Non solo e non tanto nel senso della democrazia rappresentativa, di stampo liberale, ormai logorata dalle spinte storiche di questi ultimi decenni; ma piuttosto nel senso di lavorare per nuove forme di partecipazione popolare, di garanzia di diritti, di meccanismi decisionali consensuali e compiuti non da élite a vantaggio di se stesse ma da organismi realmente rappresentativi di tutte le componenti sociali.

Le istanze di autogoverno non hanno più bisogno di fondarsi su rivendicazioni etniche, schiettamente nazionaliste, a contrasto con i nazionalismi di stato, bensì dovrebbero puntare decise a un orizzonte di democratizzazione radicale di tutte le comunità, da quelle locali a quella più grande, su scala continentale.

Per dotarsi di una strumentazione teorica e ideale adeguata, su questo fronte, occorrerà rimettere in discussione il concetto stesso di nazione e di identità. Sul concetto di nazione, che è sempre “immaginata” ma non per questo “immaginaria”, rimandiamo all’enorme letteratura e al relativo dibattito. Suggeriamo, come punto di partenza, di confrontarsi con le tesi di Anthony D. Smith, di Eric Hobsbawm e di Benedict Anderson.

Le identità sono sempre multiple e non necessariamente in conflitto. Ci si può identificare in una cultura umana specifica, ma poi hanno un grande peso anche le appartenenze familiari, sociali, religiose, persino le fedi sportive.

Sicuramente è sempre più difficile immaginare la propria comunità di appartenenza come un continuum coerente, culturalmente omogeneo, dotato di un territorio esclusivo di riferimento. La stessa appartenenza a uno stato, che comunemente viene definito “nazionalità”, in realtà indica uno status giuridico che con la nazione ha poco a che fare. E infatti sarebbe più corretto definirla “cittadinanza”. Come sappiamo, le migrazioni umane, fenomeno costante della demografia planetaria, se ne sono sempre infischiate di confini e barriere formali. Oggi, gli stati cosiddetti occidentali sono pressoché prossimi allo zero termico demografico, con una popolazione in fase di rapido invecchiamento, eppure pretendono di ostacolare, se non proibire, l’ingresso di esseri umani di altra provenienza. Nonostante questo, non c’è comunità statale che non contenga consistenti comunità immigrate e le loro discendenze. Basterebbe dare un’occhiata alla composizione delle rappresentative sportive - con l’esempio più recente, il campionato mondiale di calcio, sotto gli occhi - per rendersi conto di quanto poco “nazionali” siano le rappresentative statali.

In molte parti del mondo, non solo il multiculturalismo, ma anche la mescolanza sono una regola, non un’eccezione. Per l’Europa è anche una forma di contrappasso, dato che molta immigrazione proviene da aree del pianeta in passato sfruttate e impoverite dalle potenze europee. Ma pensiamo anche agli stati del continente americano (Nord, Centro e Sud), così tipicamente eterogenei, sul piano etnico, tra popolazioni native, discendenti europei e asiatici di varie ondate migratorie e discendenti degli schiavi di origine africana. Il fatto che queste comunità si siano integrate spesso male tra loro e che le élite, di norma bianche e di origine europea, abbiano istituito gerarchie sociali su base razziale non ne cancella la diversità interna.

In definitiva, non sembra opportuno e nemmeno molto sensato fondare un orizzonte politico emancipativo, democratico e popolare su un’entità così controversa e comunque anacronistica come la “nazione”.

Ridiscutere lo “stato”

Della coppia stato-nazione, il membro che sembrerebbe godere di maggior salute è ancora lo stato. Si tratta a oggi della sola forma di ordinamento giuridico riconosciuta nel diritto internazionale, quella dotata delle prerogative di sovranità ed esclusività nell’ambito delle potestà normative e nel monopolio della forza legittima. Tuttavia è evidente come questo costrutto giuridico-politico sia sempre meno rispondente alle dinamiche in corso già in questa nostra epoca.

L’ordine di grandezza delle crisi attuali è planetario, sia in ambito economico-finanziario, sia in campo sanitario, sia in campo ambientale e climatico. La gestione e composizione dei conflitti e persino un’ampia gamma di reati superano, per tipologia, raggio d’azione ed effetti, il livello statale. La stessa economia funziona ormai su un piano diverso da quello su cui sono collocati i vecchi stati-nazione.

Alla fine, se della nazione si può serenamente fare a meno, è sullo stato che andrebbe centrata una nuova riflessione teorica e pragmatica, per cominciare a prospettare un’alternativa valida e praticabile.

Serve ancora, il vecchio stato-nazione? Chi non ne dispone fa bene a cercare di dotarsene? Come conciliare la lotta al centralismo e alle oligarchie, le battaglie contro il capitalismo estrattivo e neo-coloniale, le mobilitazioni contro le discriminazioni e le diseguaglianze con l’aspirazione alle forme giuridiche e politiche entro cui esse hanno prosperato fin qui?

Su questo terreno, le comunità senza stato e le minoranze linguistiche, i movimenti di emancipazione (sociale, di genere, ecc.), il movimento ambientalista, i movimenti civici territoriali, dovrebbero cercare un terreno comune di elaborazione e proposta. Intanto prendendo posizione su ciò che deve essere rifiutato dentro una nuova possibile prospettiva democratica:

- ogni forma di imperialismo e colonialismo;

- ogni imposizione culturale violenta;

- ogni dispositivo di esclusione dal godimento pieno dei diritti umani e civili di fasce sociali, di minoranze, di interi popoli;

- i modelli economici meramente estrattivi, basati sull’appropriazione privata di beni comuni e di risorse strategiche indispensabili nonché sulla distruzione della biodiversità e sull’incuria circa l’alterazione climatica;

- i rapporti di forza geo-politici come unica forma valida di regolazione delle relazioni tra popoli.

I movimenti etno-ragionalisti, autonomisti, autodeterminazionisti, pure presenti e attivi in molti stati europei, dovrebbero riconsiderare le proprie istanze più strettamente nazionaliste e identitarie alla luce di quanto precede.

Chiaramente, i nazionalismi oppressi sono ben diversi dai nazionalismi vincenti degli auttali stati. Questi ultimi sono ormai così penetrati nel senso comune che sono diventati invisibili, benché restino i più violenti e anti-democratici. Sappiamo però, anche per dolorosa esperienza, che ripagare la violenza di stato con la stessa moneta, oltre che eticamente problematico, è anche pragmaticamente fallimentare.

L’ipocrisia dei nazionalismi di stato e dei centralismi ottusi si può più efficacemente contrastare attivando processi radicali di democratizzazione, alimentando le lotte sociali e culturali per i diritti e la libertà sostanziale, imponendo strumenti decisionali partecipativi e rivendicando meccanismi politici di prossimità.

Il nucleo delle rivendicazioni diventa così la democrazia stessa, più che il riconoscimento di differenze culturali, linguistiche, o di determinate condizioni geografiche. Naturalmente, questi fattori hanno pur sempre il loro peso, specie dove non siano meri espedienti narrativi, usati per puri scopi politici, ma abbiano un fondamento storico. Nondimeno centrare il discorso e l’azione politica sulla democratizzazione mette in luce la natura profonda di queste rivendicazioni e smaschera l’ipocrisia e la cattiva coscienza delle controparti.

Ciò significa, tra le altre cose, concepire il principio giuridico della cittadinanza in senso più ampio. E significa anche riformulare l’intero impianto giuridico e operativo delle istituzioni politiche su una base confederale e solidale.

Il superamento dell’ordinamento statuale comporta un forte riconoscimento delle autonomie locali, ma anche una garanzia universale (generale) dei diritti fondamentali; impone la necessità di gestire l’ordinaria amministrazione al livello più prossimo ai destinatari delle norme e delle scelte, ma anche la necessità/capacità di affrontare le questioni di portata più ampia a un livello decisionale superiore a quello locale.

Nella costruzione di un simile ordinamento giuridico così articolato e stratificato andrebbero conciliati i regimi fiscali, la codificazione penale e civile, l’articolazione della giurisdizione, le forme e la gestione della pubblica sicurezza, tutta l’architettura del welfare e della sanità, e via dicendo.

Su alcuni di questi terreni, in realtà, un certo processo di armonizzazione e di convergenza si è in parte già avviato, gioco forza, almeno dentro i confini dell’UE. Caso mai, questa tendenza inevitabile è stata ed è costantemente sabotata proprio dagli stati-nazione, dalle loro classi dirigenti; allo scopo di preservare se stesse, non certo in nome di un interesse generalizzato dell’intera cittadinanza e soprattutto delle sue fasce più deboli. Ed è costantemente sabotata anche dai grandi centri di potere finanziario, interessati ad estrarre valore economico da ogni aspetto dell’esistenza, dunque radicalmente ostili a qualsiasi modello di convivenza basato su principi di cooperazione, di mutualismo, di gratuità.

Le entità economico-finanziarie si servono di forme di condizionamento indirette, agendo sui mercati e sulla comunicazione, e dirette, agendo sulle politiche statali (gli stati non ne sono un contraltare, bensì uno strumento). A loro volta le élite statali si servono facilmente di retoriche – appunto – nazionaliste, per garantirsi quel minimo di consenso indispensabile alle proprie scelte. Il dispositivo nazionalista, o del “nemico esterno”, è attivato costantemente, in vari modi, non solo dalle forze politiche dichiaratamente “sovraniste”, ma da tutte le principali forze politiche.

Le classi dirigenti statali, quale più quale meno, guardano tutte con sospetto il processo di integrazione da tempo avviato tra le popolazioni europee. Allo stesso modo in cui contrastano tutte le spinte autonomiste e autodeterminazioniste interne, tanto più quanto più sono democratiche e inclusive.

I compiti delle forze alternative in Europa (e non solo)

Qual è dunque il compito delle forze che si ispirano a una prospettiva di autogoverno locale, così come di quelle che si dedicano all’ambiente e alla giustizia sociale? Fondamentalmente, dentro la situazione attuale, dovrebbe essere almeno duplice: certamente il perseguimento degli obiettivi specifici di ciascuna lotta, ma anche una più generale attenzione ai processi di democratizzazione e di riappropriazione di diritti e spazi di libertà per tutta la cittadinanza.

Ogni lotta, presa per sé, ha le sue ragioni, i suoi limiti e le sue difficoltà, ma tutte le lotte emancipative, insieme, condividono un orizzonte di maggiore democrazia e di riequilibrio nei rapporti sociali e tra territori diversi. Non è un compito facile, perché ci sono ambiti nei quali le istanze particolari di questa o quella vertenza sembrano confliggere. Per esempio, la richiesta di lavoro con le tutele ambientali o il contrasto al militarismo; il diritto alla mobilità interna e alle possibilità migratorie con la lotta per le giuste retribuzioni e la salvaguardia del tenore di vita dei ceti meno abbienti.

In realtà, queste sono spesso dicotomie artificiosamente innescate allo scopo di indebolire le lotte. Chi gestisce la comunicazione e le leve decisionali, chi dispone di grandi risorse economiche e può mettere persone di fiducia dentro le istituzioni che contano, ha gioco facile ad ad alimentare una guerra tra poveri o un conflitto tra territori o tra categorie sociali. Su questo va sempre mantenuto un grado di lucidità e di lungimiranza molto alto.

Ogni conquista di un diritto non lede la sfera dei diritti già esistenti. La mia libertà non finisce dove inizia la tua, ma esattamente il contrario: la mia libertà inizia dove inizia la tua e finisce dove finisce la tua.

Per le autonomie e i processi di autodeterminazione vale lo stesso discorso. Se cadiamo nella trappola della competizione come regola fondamentale delle relazioni umane, allora non c’è scampo. Se invece rifiutiamo questo quadro, egemonicamente imposto a vantaggio delle classi dominanti, di colpo ci rendiamo conto che si può lottare per forme crescenti di autogoverno dentro un quadro solidale, cooperativo e culturalmente aperto, e al contempo condividere le battaglie ambientali e quelle per la giustizia sociale, senza perdere alcuna delle proprie ragioni né sacrificare i propri obiettivi.

È un discorso largamente inattuale, questo. Il mondo (ossia le élite globali) cospira per renderci sempre più ostili verso il prossimo, sempre più diffidenti verso l’altro da noi, sempre più relegati dentro le nostre “bolle” autoreferenziali. Cedere definitivamente a questo andazzo, però, ci porterà solo guai. Come del resto sta già avvenendo.

Conclusioni

Le forze conservatrici stanno già reagendo con i propri ingenti mezzi e nel proprio interesse particolare alla vasta crisi sistemica che stiamo attraversando. Le forze democratiche, in tutte le loro declinazioni e articolazioni, devono cominciare a rispondere a loro volta.

Il tema delle autonomie e delle forme di decentramento politico, le rivendicazioni delle minoranze e dei popoli senza stato devono necessariamente innestarsi dentro un grande processo di emancipazione collettiva e di democratizzazione, oppure rischiano di diventare ostaggio delle forze conservatrici o addirittura reazionarie e repressive, come capro espiatorio e bersaglio di comodo e/o come espediente per qualche forma di rivoluzione passiva.

È un rischio da tenere presente, insieme alle altre questioni a cui questo tempo ci chiama a rispondere. Sarà bene farlo con fantasia e generosità, dentro gli spazi e le condizioni in cui viviamo e si articolano le nostre relazioni, finché possiamo.

 

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Autonomie non giravolte

Grazie a una meritoria iniziativa dei RossoMori, in particolare della segretaria Lucia Chessa (nella foto insieme a Silvia Fancello), si è tenuto oggi, venerdì 3 marzo 2023, a Nuoro un convengo sulla cosiddetta "autonomia differenziata". Per coloro che credono nell'autogoverno dei territori, è stata una occasione positiva. Uno degli interventi più brillanti è stato quello sull'autogoverno dell'energia, del territorio, dell'ambiente, dell'ing. Fernando Codonesu. Una tema, l'autosufficienza energetica con le rinnovabili, che è una opportunità per tutti i territori e per le generazioni future, purtroppo messa in pericolo dal combinato disposto di eccessi tecnocratici europei, discutibili sentenze della Corte costituzionale, oltre che dal solito irredimibile centralismo italiano.

Preoccupante è stato, invece, sentire accenneare, quasi con una punta di dispiacere, che la presidente Meloni non sia abbastanza forte per fermare le iniziative dei salvinisti. Ora, sia chiaro, come dettagliatamente sostenuto dal Forum 2043, le iniziative in materia di autonomia differenziata sono cialtronesche, forse anche pericolose, soprattutto strumentali e senza futuro, ma attenzione a schierarsi con i centralisti, che intanto ci preparano la deriva del presidenzialismo.

La cosa più triste di tutte, poi, è stato assistere alle tradizionali giravolte, il peggio del peggio della politica di oggi, non solo in Sardegna. Si avvicinano le elezioni? Tutti diventano disposti a parlare di "autonomie". Una folla di amministratori locali, di ogni schieramento, si apprestano a mostrarsi disponibili a riprendere il mano di una delle autonomie più tradite della nostra Repubblica, quella della Sardegna.

Per noi era presente Silvia "Lidia" Fancello, osservatrice EFA e rappresentante AeA in Sardegna. Più sotto i punti essenziali del suo intervento.

2023 03 03 In Sardegna No autonomia e non solo differenziata purtroppo

L'intervento di Silvia "Lidia" Fancello

AUTONOMIE DIFFERENZIATE: in equilibrio fra la follia e la costituzione inattuata

Buongiorno a tutti e tutte. Sono Silvia Lidia Fancello e sono qui in doppia veste: come osservatrice EFA e come rappresentante di Autonomie e Ambiente. L’EFA ovvero European Free Alliance, cioè Alleanza Libera Europea, ALE.

EFA ha sede a Bruxelles, è rappresentata nel parlamento europeo e coordina i partiti che rappresentano i cosiddetti “popoli senza stato”. In EFA sono presenti oltre quaranta partiti provenienti dai più svariati territori europei. Fra i più noti i baschi di Eusko Alkartasuna, gli scozzesi dello lo Scottish National Party, i catalani diEsquerra Republicana, l’Union Valdotain, i friulani con il Patto per l’Autonomia, i corsi di Femu a Corsica, i fiamminghi, i frisoni e tante altre realtà territoriali. EFA dunque è naturalmente vocata a promuovere e difendere il diritto all’autodeterminazione e dunque di tutte le autonomie.

La seconda veste, direttamente collegata ad EFA è quella di rappresentante diAutonomie e Ambiente, il coordinamento di partiti territoriali e movimenti civici e ambientalisti, impegnati per il più ampio autogoverno dei loro territori,eattivi nello stato italiano. Inutile spiegare che Autonomie e Ambiente, con l’aiuto di EFA, aspira a una Repubblica delle Autonomie.Siamo per la sussidiarietà che è anche solidarietà fra territori, per autonomie responsabili, perché ogni territorio trovi le sue modalità di difendere l’ambiente e la salute. Siamo contro ogni centralismo e quindi in prima lineacontro ogni forma dipresidenzialismo.

Noi siamo convinti che le Autonomie differenziate, così come proposte dagli attuali ciarlatani al potere, siano impraticabili e sbagliate. Si tratta in sostanza di una “boutade” elettorale volta a fare rientrare nel recinto della Lega quei movimenti localisti che in essa non si riconoscono o che se ne sono distaccati.

Condividiamo alcune analisi fatte da costituzionalisti come il prof. Villone, almeno per ciò che riguarda le negative conseguenze delle Autonomie differenziate, tuttavia restiamodistanti dallaretorica dell’attentato alla cosiddetta “unità” dello stato. Agitare lo spauracchio di un’Italia frantumata in tante “repubblichette”, questa è la parola spesso usata, non è ciò che NOI veri autonomisti condividiamo, perché ha un sottofondo dispregiativo che schiaccia ogni anelito alla diversità dei territori che compongono la Repubblica italiana e la negano di fatto. In un’altra sede accetteremmo la sfida di spiegarvi perché dietro il velo della retorica dell’unità italiana, si nascondono vergogne e ingiustizie. Di certonon parteciperemo a iniziative volte a perpetuare il tragicocentralismo italiano. Ne’ ci metteremo affianco a coloro che con la lancia in resta difendonola Costituzione, la quale per noi non è “la più bella del mondo”, ma piuttosto la piùinattuata.

L’autonomia differenziata del DDL Calderoli è ingarbugliata? Lo è. È un pasticcio? Lo è. È pericolosa? Si, lo è,

Tuttavia èbene che in questo paese si continui alottare per attuare seriamente leAutonomie che invece sono state tradite a partire dalla nostra in Sardegna, senza inutili levate di scudi, senza retorica e senza pregiudizi, ma piuttosto in un sereno e civile confronto con chi aspira ad un sacrosanto diritto all’autodeterminazione.

Concludiamo con un pensiero di Alcide De Gasperi (che essendo vissuto nell’impero asburgico l’autonomia sapeva cos’era e difese quella della sua terra trentina, almeno quella): “il successo finale non mancherà di premiare chi avrà avuto il coraggio dell'utopia...”.

E se il pieno autogoverno di tutti i territori dello stato italiano per qualcuno è un pericolo, per noi è speranza

A Innantis e Fortza paris

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Nella foto sotto Silvia Fancello insieme a Danilo Lampis (Sardegna chiama Sardegna) al convegno dei RossoMori.

2023 03 03 Fancello Lampis

 

 

 

 

Claudia Zuncheddu: il 25 febbraio 2024 un voto per l'autogoverno sardo, contro il bipolarismo italiano

ELEZIONI REGIONALI IN SARDEGNA - AL VOTO IL 25 FEBBRAIO 2024

Intervento di Claudia Zuncheddu

(Sardigna Libera, associata di Autonomie e Ambiente)

Cagliari, 1 febbraio 2024

 

Non tutte le burrasche arrivano per nuocere. In Sardegna si destabilizza il bipolarismo italiano.

Nuovi fenomeni nel panorama elettorale sardo, rompono il rito delle solite guerre per bande tra centrodestra e centrosinistra per l’accaparramento del governo regionale, senza che nulla cambi per le condizioni di vita e dei diritti dei sardi.

A far tremare la stabilità del sistema bipolare è la candidatura di Renato Soru, un fenomeno dirompente.

L’ex-presidente, dopo una lunga e tormentata permanenza all’interno del PD, ha rotto con quel partito e con il polo di centrosinistra sul tema della grave imposizione della candidatura di Alessandra Todde del M5S alla presidenza della Regione autonoma della Sardegna. Un nome emerso a Roma dagli accordi tra PD e M5S, secondo logiche centraliste e di mera spartizione dei posti.

L’imposizione delle segreterie italiane sulla scadenza elettorale sarda ha risvegliato antiche differenze politiche mai risolte fra Renato Soru e il PD.

Sulle differenti e incompatibili visioni della Sardegna e i rapporti di forza all’interno del PD, i nodi sono venuti al pettine dopo anni di oblio.

Scrissi per il libro di Massimo Dadea “Meglio Soru (O NO?)” (uscito all’inizio del ‘22 per EDES: “La schiacciante vittoria elettorale di Soru alle elezioni del 2004, esprimeva la necessità, da parte della società sarda, di un cambiamento profondo che non poteva prescindere dalla rottura radicale di un sistema consolidato di potere e di privilegi nelle mani di una élite. Alla domanda, se in quegli anni ci fossero le condizioni politiche per la grande svolta, la risposta è no, se il rapporto di forza tra conservazione e cambiamento è a favore della conservazione. Così è stato allora e così sarà sino a quando non si sconfiggeranno i potentati e si costruirà una nuova classe politica dirigente che metta al centro della propria azione politica i destini del benessere della propria gente e della propria Terra… Ciò che il centrosinistra non volle capire, è che nel 2004, con la vittoria di Soru, non si trattava solamente di vincere le elezioni per la conservazione del proprio potere attraverso un ‘cavallo di razza’, ma di segnare una svolta nella società sarda con la messa in discussione del suo stesso ruolo all’interno del sistema”.

Per la cronaca, Soru rassegnò le dimissioni anticipatamente (nel novembre 2008), in quanto ostacolato nella sua azione di cambiamento da una parte del PD e del centrosinistra. Soru, vent’anni dopo, si riaffaccia nello scenario elettorale regionale con un’azione politica autonoma di rottura e contro ogni forma di centralismo: la Coalizione sarda.

Soru candidato presidente è sostenuto da cinque liste: Progetto Sardegna, formazione civica che Soru stesso aveva promosso sin dal 2003; Vota Sardigna, lista che unisce Sardegna Chiama Sardegna, IRS e Progres; Liberu; Rifondazione; la lista unitaria Azione-Più Europa-Upc.

La Coalizione sarda è il primo tentativo concreto di rottura del soffocante bipolarismo italiano, dopo anni di rassegnazione alla colonizzazione politica.

Soru avrebbe accettato di passare attraverso la selezione delle primarie, ma questa disponibilità è stata rifiutata dagli altri, perché il nome del candidato scelto a Roma, deciso nelle alte sfere del PD e del M5S, non poteva essere messo in discussione. La Sardegna era già stata oggetto di contrattazione e di scambio.

Todde, vicepresidente del M5S, deputata e già sottosegretaria di stato al Ministero dello sviluppo economico  nel governoConte II e nel governoDraghi,è di fatto una garante affidabile del sistema centralista italiano (e del neoliberismo europeo e globale, a cui il centrosinistra italiano è imbarazzantemente subalterno).

Per il dopo elezioni Renato Soru propone un nuovo progetto politico per il futuro della Sardegna: “...che comein Val d'Aosta, nel Trentino, inCorsica,nei PaesiBaschi,in Catalogna,i partiti regionali hanno dato una forte spinta per lo sviluppo , vogliamo che succeda anche da noi,cosìche la Sardegna diventi una regione che possa confrontarsi alla pari con quelle più avanzate d'Europa" ha dichiarato Soru.

Il fenomeno Soru potrebbe inaugurare un nuovo scenario, con la destabilizzazione del bipolarismo e del centralismo italiano, essendo una personalità politica con una esperienza personale, professionale, amministrativa, che oggettivamente surclassa quella degli altri candidati.

Della Todde abbiamo già detto. In questa contingenza politica, con una legge elettorale nata per tenere fuori dal consiglio regionale le forze minori e per blindare il bipolarismo italiano (che infatti nessuno ha voluto cambiare), c’è in corsa la lista Sardigna R-esiste con Lucia Chessa candidata presidente.

Nel centrodestra, che è stato a rischio di implosione, Alessandra Zedda di FI, ex assessora ed ex vicepresidente della giunta Solinas, ha ritirato la sua candidatura ed è rientrata nel polo italiano, a sostegno del candidato imposto da Roma, Paolo Truzzu di FdI, sindaco di Cagliari. Il presidente uscente, Christian Solinas (Psd’az), a suo tempo imposto dal leghismo salvinista, ha dovuto ritirarsi. Chi fu incoronato da Roma, da Roma venne deposto. Ciò che resta del Partito Sardo d’Azione sotto la guida di Solinas, non dimentichiamolo, nulla ha più a che vedere con i suoi fondatori autonomisti e antifascisti del 1921, tanto meno con le complesse ma anche entusiasmanti vicissitudini degli anni ‘70 e ‘80, quando il vento sardista portò Mario Melis alla guida della Regione autonoma.

Il risultato di queste elezioni è nelle mani dei Sardi e della loro capacità di individuare quali siano le formazioni politiche che sono per un reale cambiamento. In passato i Sardi hanno votato sinistra, destra, pentastellati, tutte realtà comandate dai vertici dello stato. Oggi con forza si pone il problema di scegliere fra chi è ancora succube del centralismo italiano e chi si batte per un genuino processo di autonomia e di autodeterminazione.

Il 25 febbraio 2024 è vicino ed è tempo di generosità e di speranza.

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èVento di Saccargia

Autonomie e Ambiente sarà presente sabato 15 giugno 2024 all' "èVento" di Saccargia, contro la speculazione eolica.

Via gli ecomostri dai luoghi della storia e basta con l'estrazione neocoloniale di risorse dalla Sardegna.

2024 06 15 STRISCIONE EOLICO

https://radiolina.it/event/evento-di-saccargia-levento-contro-la-speculazione-energetica/

A Saccargia sabato 15 giugno 2024 dalle ore 14:30 alle 20:30.

èVento di Saccargia

Un Appello al Popolo Sardo per Difendere il Territorio

Il Coordinamento dei Comitati Sardi contro la speculazione energetica lancia un appello urgente al popolo sardo: uniamoci per proteggere la nostra Terra dalla speculazione energetica.

L’evento, “Ѐ-Vento di Saccargia”, si terrà sabato 15 giugno presso la Basilica della Santissima Trinità di Saccargia, in occasione della Giornata Mondiale del Vento.- -

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Olbia, 12 giugno 2024 - a cura di Sardigna Pro S'Europa - coordinamento AeA in Sardegna

Fare rete in Sardegna e ben oltre

 

Olbia 20 novembre 2021

 

Gentilissimi e gentilissime partecipanti al convegno indetto dall’Assemblea Natzionale Sarda (ANS),

 

in occasione dell’incontro con la presidente dell’Assemblea Nacional Catalana (ANC), Elisenda Paluzie, vi scrivo, impossibilitata a presenziare, in qualità di osservatrice ALE-EFA e delegata di Autonomie e Ambiente.

Vi trasmetto i saluti e gli auguri di buon lavoro della presidente ALE-EFA Lorena Lopez De La Calle e del presidente di Autonomie e Ambiente Roberto Visentin, oltre ai miei personali.

La storia della Catalogna, come territorio autonomo che aspira e quindi lotta per il pieno autogoverno in una Europa confederale, è esemplare e dovrebbe essere d’ispirazione per la Regione Autonoma della Sardegna e per tutti gli altri territori della Repubblica Italiana che aspirano all’autodeterminazione.

La repressione anti-catalana deve essere approfondita e ben compresa da tutti noi. Noncisi può nascondere che tale repressione sia sostenuta in molti modi, espliciti o sotterranei, dalle forze del centralismo sia in Italia che in Europa.

La Repubblica Italiana e l’Unione Europea, come dimostrato una volta di più dall’uso del mandato di cattura europeo come armapoliticaimpropria contro gli esuli catalani, sono percorse da pulsioni autoritarie e centraliste, ma la nostra ammirazione per il percorso deiCatalani non deve fermarsi alla valutazione dei risultati da loro ottenuti, tralasciando l’analisi del metodo seguito per ottenerli.

È necessario capire le fasi del percorso, composto di dialogo, unità di intenti, piccole e grandi strategie e che ha portato la Catalogna a sfiorare il Sogno indipendentista.

Lo loro capacità di crescere, rinnovarsi, fare rete con le forze civiche, ambientaliste, territoriali e locali, spiega molti dei loro risultati.

Alla luce di questo oggi,anchein questa assemblea si possono gettare le basi per un nuovo percorso, che vada verso la maturità dell’autodeterminismo sardo,il qualedeve passare necessariamente dalla celebrazione delle altrui vittorie alla programmazione delle proprie,che sianovittorie a breve, a media, o a lunga scadenza.

La pluralità delle forze che aspirano all’autogoverno della Sardegna è una ricchezza che va incanalata nella capacità di fare squadra, rammentando che il nostro unico avversario storico è il centralismo.

Infine l’auspicio è che il mondo autodeterminista sardo volga lo sguardo anche a quei territori della penisola italiana che soffrono degli stessi mali della nostra terra, che aspirano a forme più o menoavanzatedi autogoverno, che come noi detengono un patrimonio culturale e linguistico oramai a rischio.

Non è da sottovalutareche un lavoro politico comune, tra forze delle diverse nazioni e territori,ci consentirebbe di esercitare maggiori pressioni sulla Repubblica Italiana,anche per una riscrittura della Costituzione in terminipiù avanzati nella direzione dell’autogoverno dei suoi popoli e territori.

Lo statuto della nostra regione è oramai obsoleto,dopo esser stato in gran parte tradito,mentre lo stato italiano sta riguadagnando terrenoin ogni materia.

Sono convinta che sia necessario ristabilire i termini dei rapporti fra stato e regione e sono altresì convinta che non si possa aspirare all’indipendenza se non si è capaci di praticare l’autonomia.

Con l’augurio di un proficuo lavoro vi saluto e vi abbraccio.

Silvia Lidia Fancello

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Giovanna Casagrande sul 25 febbraio 2024, un voto decisivo per l'autogoverno sardo, a cui non si può essere indifferenti

ELEZIONI REGIONALI IN SARDEGNA - AL VOTO IL 25 FEBBRAIO 2024

Intervento di Giovanna Casagrande

(Sardegna Possibile, in dialogo con Autonomie e Ambiente)

Nuoro, 3 febbraio 2024

La Sardegna voterà il 25 febbraio 2024, con una legge elettorale infame non consente una rappresentanza democratica.

Per poter partecipare alle elezioni e superare la soglia di sbarramento si deve partecipare a delle coalizioni. Da anni, ciò significa piegarsi a entrare in uno dei due blocchi italiani: centrodestra o centrosinistra.

L'indipendentismo sardo non gode di buona salute. Anche Liberu, che è il maggior partito di quell'area, ha scelto di schierarsi prima nel cosiddetto campo largo, poi in assenza di primarie che consentissero una scelta del/della presidente della giunta regionale sarda, ha scelto di appoggiare Renato Soru.

Soru, dopo aver chiesto invano le primarie, ha deciso di proporsi per la presidenza con un campo autonomo. Sono confluiti nel progetto denominato Coalizione Sarda alcuni soggetti politici sardi: Progetto Sardegna, Irs, Progres, Sardegna chiama Sardegna. Partecipano anche i liberali italiani di Azione e Più Europa, anch’essi in forte disagio con l’attuale bipolarismo forzato.

Coalizione Sarda vede in campo persone che da anni lottano per una politica sarda, svincolata da partiti italiani. Il fatto che fra gli alleati ci siano alcuni partiti italiani ha determinato critiche anche feroci, volte a disconoscere questo percorso.

Personalmente ho scelto di sostenere un giovane candidato di Liberu – Antonio Fronteddu - che, nel Nuorese, rappresenta per età, competenze e visione, il futuro che va sostenuto.

Sono consapevole che solo in questo modo si possa provare a rinnovare, se non a sostituire, vecchi modelli che hanno soffocato, in campo indipendentista, non solo un ricambio generazionale, ma anche la possibilità di un diverso approccio alla politica. Occorre superare un atteggiamento settario, quindi di scarsa influenza nella società.

Coalizione Sarda rappresenta quindi, ai miei occhi, una seria opportunità di ricostruire un tessuto connettivo con le comunità, aprendo a un modello in cui soggetti poco connessi possano incontrarsi per affrontare nuove sfide che sono, come da programma, un nuovo modelli di istruzione, una transizione energetica che non soccomba alla speculazione, una rinnovata tutela ambientale, un nuovo approccio su politiche sociali e di genere, il superamento della legge elettorale e degli assetti istituzionali verticali oggi vigenti.

Chi critica l'operazione politica, e la candidatura di Renato Soru, dovrebbe interrogarsi sul perché, a dieci anni dal percorso di Sardegna Possibile, che vide candidata Michela Murgia e che fu stroncato non dai numeri ma da una impietosa legge elettorale, il mondo indipendentista non abbia espresso altre figure all'altezza della sfida contro i poli del colonialismo politico italiano.

A tuttə noi va il merito di aver sfidato un bipolarismo che ha visto sin qui l'elettorato sardo costretto a un plebiscito su due nomi entrambi espressi dal sistema che, inutile dirlo, fa capo a Roma e non a Cagliari.

Credo fermamente che occorra insistere e strutturare un percorso politico sardo, sganciato dalle ingerenze italiane. Per questo, comunque vada il voto, "abbiamo già vinto" come dice Renato Soru, ormai instradato in un percorso di autodeterminazione.

Sarà il 26 febbraio a rivelarci i nuovi rapporti di forza, ma noi comunque dobbiamo continuare il nostro lavoro sui territori, per l’autogoverno della Sardegna.

 

 

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Il bipolarismo all'italiana conferma la sua soffocante presa sulla Sardegna

Il predominio del bipolarismo all'italiana si è confermato in Sardegna, in dimensioni che non erano facilmente prevedibili.

Due giorni dopo le elezioni sarde, un lunghissimo, estenuante scrutinio (una delle conseguenze negative di una delle leggi elettorali più ingiuste di sempre) non è ancora terminato. Mancano una ventina di sezioni, ma ormai i risultati sembrano consolidati.

Hanno votato solo la metà dei Sardi e questa continua a essere la prima e più grande vittoria dei guardiani dello status quo neocoloniale che soffoca la natzione sarda.

Ha vinto Alessandra Todde, già membro dei governi Conte 2 e Draghi, sostenuta dal "campo largo" (Cinque Stelle, PD e satelliti), con 330.619 voti (dati provvisori), pari a una percentuale del 45,3%.

Secondo, per un soffio, è arrivato Paolo Truzzu, uno dei sindaci di Cagliari più impopolari di sempre (detto TRVZZV per certe sue nostalgie per i tempi del DVX), con 327.695 voti, pari al 45%.

Ha sorpreso non la vittoria di uno di questi due nominati da Roma, ma l'efficienza della polarizzazione che è stata imposta dai media italiani, come una manganellata sui pensieri e i sentimenti dei Sardi.

Più che la forza (molto relativa) dei loro partiti e delle loro liste, i due poli sono riusciti a imporre lo scontro mediatico tra i due figuranti principali, oscurando non solo la competenza, le idee, le convinzioni, ma la stessa esistenza di ogni altro candidato.

Il generoso tentativo di Renato Soru e della Coalizione Sarda di portare avanti un'idea autonoma e innovativa di Sardegna, un progetto di buongoverno e autogoverno, ha avuto 63.021 voti, 8,7%. Un risultato che per la nostra area civica, ambientalista, territorialista è lusinghiero, ma che in Sardegna significa restare fuori, ancora una volta, dal parlamento dell'isola, grazie a una legge elettorale velenosa (che infatti né centrosinistra, né centrodestra si sono mai sognati di correggere).

Noi ringraziamo per la loro generosità gli attivisti e i candidati di Progetto Sardegna, Vota Sardigna, Liberu. Ci auguriamo che il loro impegno continui in modo unitario e inclusivo, perché la loro idea di autogoverno della Sardegna è indispensabile per le generazioni future.

Grazie anche agli alleati centristi di Azione e all'antica sinistra di Rifondazione, che hanno lottato insieme a Soru contro l'assurda, sinistra e alla lunga pericolosa polarizzazione e verticalizzazione della politica italiana.

Cagliari, 27 febbraio 2024 - A cura della segreteria interterritoriale

 

 

In ricordo di Michela Murgia

Ieri, 10 agosto 2023, Michela Murgia ci ha lasciato prematuramente. La scrittrice era nata a Cabras in Sardegna il 3 giugno 1972. Aveva parlato pubblicamente della gravità della sua malattia. L'autrice del romanzo "Accabadora" era una intellettuale impegnata su molti fronti delle autonomie personali, sociali, territoriali. Non c'era bisogno di essere sempre d'accordo con lei, per stimarla.

Per il nostro mondo civico, ambientalista, territorialista, Michela Murgia è stata una figura importante. Ha condotto una generosa campagna come candidata indipendentista alla presidenza della regione autonoma della Sardegna nelle elezioni del 16 febbraio 2014. Con un programma di innovativo autogoverno della sua terra, ottenne il 10,32% (76.000 voti).

Nel prezioso archivio di Radio Radicale c'è anche la registrazione della chiusura della sua campagna elettorale di quasi dieci anni fa: https://www.radioradicale.it/scheda/403661/elezioni-regionali-in-sardegna-chiusura-della-campagna-elettorale-di-michela-murgia.

 

 

Incontri di AeA in Sardegna - Caminera Noa

Autonomie e Ambiene, insieme a Silvia Lidia Fancello, la rappresentante ALE/EFA in Sardegna, sta proseguendo i suoi incontri con le forze politiche territoriali sarde.

All'assemblea di Caminera Noa di oggi, domenica 23 gennaio 2022, a Bauladu, a nome sia di EFA che di AeA, Silvia Fancello ha inviato un messaggio in cui si ribadiscono alcune considerazioni politiche di interesse comune a tutte le forze territoriali attive nella Repubblica Italiana.

"Nell’ambito di EFA e in stretta connessione con essa, diverse forze decentraliste territoriali attive nella Repubblica Italiana agiscono insieme, in una sorellanza chiamata Autonomie e Ambiente (AeA) e della quale sono stata delegata a fare da portavoce - scrive la Fancello - Perché Autonomie e Ambiente? Per due ragioni precise: 1) AeA è stata assunta da EFA come osservatorio privilegiato sulla reale capacità dei movimenti politici identitari sardi di dialogare fra loro coagulandosi intorno a obbiettivi comuni e, partendo da questa collaborazione, iniziare a costruire un coordinamento politico che vada a rappresentare la nostra terra (la Sardegna, ndr) in Europa; 2) la seconda ragione è la necessità di un superamento di quel sentimento sciovinista e anti-italiano che tende a rifiutare in blocco senza distinzioni, tutto ciò che arriva dal suolo della penisola. Tale atteggiamento impedisce una riflessione profonda su quale sia, invece, il vero ed unico nemico, ovvero il centralismo del governo italiano.".

"In AeA ed EFA riescono a cooperare lo storico autonomismo antifascista della Val d’Aosta, gli autonomismi civici e ambientalisti del Friuli, della Toscana e della Romagna, gli indipendentisti anticolonialisti di Sicilia, gruppi più moderati e altri più progressisti. - continua Silvia Fancello - "Alleandoci si può operare una resistenza contro gli abusi dello stato d’emergenza, lo stato prefettizio, la scelta nucleare, il militarismo, il neocolonialismo interno e internazionale. È una battaglia collettiva, quella alla quale siamo chiamati e le forze politiche sarde, ciascuna nella sua autonomia e nel rispetto delle diversità e delle storie individuali e collettive, non possono sottrarsi. È tempo di una seria autocritica rispetto alle occasioni perse. Servono progetti innovativi, azioni concrete, nuove forme di partecipazione popolare e di organizzazione elettorale. Inoltre riteniamo che, lavorare con le forze decentraliste italiane ed europee non significa assolutamente deflettere dal nostro impegno per la fondazione di una repubblica sarda nel quadro di una confederazione europea. Al contrario, la rendiamo una prospettiva più concreta per le generazioni future.".

Autonomie e Ambiente, quindi, si mette a disposizione di coloro i quali vogliano costruire una proposta politica matura e alternativa,  aperta alle sfide contemporanee, civica, ambientalista, decentralista, capace di catturare il consenso elettorale moderato, capace soprattutto in prima battuta, di sdoganarsi e uscire da settarismo e dal minoritarismo.

La Fancello conclude il suo messaggio con una riflessione del catalano Carles Puigdemont: "Egli afferma che, per il suo popolo, l’indipendenza non sia l’unica soluzione, ma sicuramente l’ultima, perché quando falliscono le altre soluzioni, allora si ha diritto a essere indipendenti. Io umilmente mi permetto di aggiungere a questa riflessione, una piccola correzione, affermando che l’indipendenza è quella condizione ultima alla quale si deve arrivare non dopo i fallimenti di altre soluzioni, ma attraverso il loro pieno e riconosciuto successo. A innantis.".

Silvia Lidia Fancello è contattabile attreverso i suoi social personali, oppure attraverso la lista civica, ambientalista, identitaria e autodeterminista "Uniti per Olbia".

Autonomie e Ambiente è contattabile sulle più importanti reti sociali e alla mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. .

 

 

Le autonomie che vogliamo

Giovedì 18 maggio 2023 a Olbia in Sardegna si è tenuto un convegno sull'autonomia che vorremmo. L'incontro è stato coordinato da Lucia Chessa (segretaria RossoMori). Sono intervenuti il prof. Omar Chessa (costituzionalista dell'Università di Sassari), l'ing. Fernando Codonesu (attivista autonomista, in particolare per l'autonomia energetica), Francesco Desogus (RossoMori), Silvia "Lidia" Fancello, rappresentate di Autonomie e Ambiente e di Alleanza Libera Europea (ALE-EFA) in Sardegna. Non è stato l'ennesimo incontro di lamentazione sugli sconclusionati e irrealizzabili progetti leghisti. Silvia Fancello ha portato lo spessore politico-culturale di quanto AeA ha raccolto nel Forum 2043 e la determinazione con cui Autonomie e Ambiente intende realizzare la Repubblica delle Autonomie. Pubblichiamo qui la traccia dell'intervento di Fancello.

2023 05 18 convegno di Olbia locandina

“LA PACE NEL MONDO”, IL PRESIDENZIALISMO E LE AUTONOMIE

Intervento di Silvia "Lidia" Fancello

Immaginiamoci di essere in un film americano in cui la protagonista, una giornalista con molto senso critico, descrive le dinamiche dei concorsi di bellezza. Essa nota come le vincitrici delle competizioni, al ritiro del premio, nello sforzo di sembrare non solo belle, ma anche intelligenti ed empatiche, pronuncino la fatidica risposta alla fatidica domanda:

- Quale sarebbe il tuo desiderio? –

- La pace nel mondo! – rispondono le protagoniste eccitate e commosse fino alle lacrime mettendo in pericolo il trucco.

Un appello ruffiano, banale e purtroppo astratto rispondente ad un’idea ingenuamente buonista, molto stelle e strisce, di vago benessere generale, ovviamente priva di ogni ancoraggio a un contesto reale, senza la minima comprensione della purtroppo drammatica scena mondiale.

Adesso molti leader politici, in testa la presidente del consiglio Giorgia Meloni, vanno ripetendo oramai da settimane un mantra: “la stabilità del governo”.

Una frase magica che mette d’accordo tutti, come mette d’accordo “la pace nel mondo”.

C’è qualcuno che non vorrebbe la pace nel mondo, l’armonia e la serenità?

E c’è qualcuno di coloro che fanno politica che sono contrari alla stabilità del governo?

Magari qualcuno all’opposizione la desidera, ma se interrogato pubblicamente, non può che convenirne.

La “governabilità” è la parola chiave, contro la quale neanche il politico più oppositivo dell’opposizione si permetterebbe di contestare, perché la stabilità oggettivamente, ti consente di avviare percorsi lunghi di riforme, mettere in atto le leggi e valutarne la bontà nel tempo.

Dunque servendosi di questo concetto tanto nobile quanto astratto, la nostra premier ha avviato le consultazioni perfino con i leader delle opposizioni, per chiedere loro quanto siano disposti a sostenere una riforma della legge elettorale che consenta l’elezione diretta del presidente del consiglio, in nome della governabilità.

Nonostante si sia di fronte ad una sottrazione di democrazia a causa di una legge elettorale (i cui nomi via via assunti la dicono lunga sulla sua validità: Porcellum, Rosatellum ecc…), la quale rende impossibile per i territori eleggere i propri candidati in parlamento, anziché correggere questo sistema elettivo, si passa a discutere direttamente dell’elezione diretta del presidente.

Dietro questa manovra c’è una aspirazione molto chiara: concentrare in una sola figura ancora più potere, togliendolo a ciò che resta del Parlamento, ai territori e alla società, liberandosi dagli intralci e dai rallentamenti del nostro bicameralismo e anche di ciò che rimane delle attuali Autonomie.

Per dirla in breve, l’aspirazione è governare senza scocciature, dove per scocciature si intendono le inevitabili e noiose lungaggini istituzionali.

Lungaggini che devono essere una vera tortura per chi coltiva una visione unitaria e centralista del potere, una tale tortura da partorire l’idea perfino di un “sindaco d’Italia".

Facendo leva su certi sondaggi, alimentati peraltro da un conformismo mediatico monocorde, i leader degli attuali partiti, di destra ma anche di centro e di sinistra, si dichiarano tutto sommato disponibili a tali progetti di elezione diretta.

Come si fa a dire no alla pace nel mondo d’altronde?

C’è una classe politica a destra, al centro e anche a sinistra che sta scherzando col fuoco dove per fuoco si intende il centralismo autoritario.

Eppure siamo usciti da poco dal periodo in cui, in nome dell’emergenza, facendo leva su timori legittimi, abbiamo assistito a importanti sottrazioni di libertà e qualcuno deve avere capito bene quanto sia facile in Italia (e la Sardegna non fa eccezione), fomentare le paure, le più disparate e disperate reazioni, per proporsi poi come dispensatori dell’unica salvezza possibile…

Oggi qui, a nome di “Autonomie e Ambiente”, un coordinamento di sigle autonomiste e decentraliste, civiche e ambientaliste, attive in tutti i territori della Repubblica, ribadiamo che ci opporremo in ogni modo a questa deriva accentratrice di potere.

Occorre avere il coraggio di mettersi di traverso, opporsi alla narrazione accettata per stanchezza e per opportunismo, occorre smetterla di strizzare l’occhio a una parte ormai consistente dell’elettorato votante che è stata “educata” a essere populista, grazie alla superficialità dispensata a piene mani, per decenni, dall’alto – l’Italia è un caso emblematico in cui il populismo è stato calato dall’alto, da capi come Berlusconi, Renzi, Salvini, più che salito dal basso, con buona pace degli amici pentastellati, i quali anche loro hanno visto la loro sigla diventare una piramide finita in mano a un opaco vertice.

Noi abbiamo il coraggio di dire no, abbiamo il coraggio di andare in una direzione contraria al presidenzialismo.

Noi, le Autonomie le pretendiamo per tutti i territori, tutti nessuno escluso, perché nessuna regione è migliore di un’altra e perché nessuna regione ha più diritto di un’altra ad autogovernarsi.

Sui progetti di autonomia differenziata abbiamo già speso parole chiare (si vedano gli interventi nel nostro Forum 2043).

Il DDL Calderoli, è semplicemente irrealizzabile e infatti esso, in quanto tale, non è un pericolo, ma solo uno specchietto delle allodole per padani in preda a una crisi di nervi.

Che non sia un pericolo lo dimostra perfino l’ultima "bocciatura" di 48 ore fa da parte degli uffici del Senato.

Calderoli oggi porta avanti l’ultima pagliacciata di una Lega che non sa più cosa inventarsi, governata da capi in preda a gravi dissonanze cognitive, che vorrebbero essere autonomisti, ma sostengono il presidenzialismo; che parlano di autonomie, pur essendo centralisti in un governo centralista.

Naturalmente non ci basiamo solo sui corto circuiti leghisti, per affermare questo, ma ad un’analisi seria di tale proposta si può senz’altro affermare che:

  • Non c’è alcun progetto concreto di attuazione dell’art. 119 della Costituzione - I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni dovrebbero avere tutte un’autonomia di entrate e di uscite, peraltro osservando i vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea – una chimera impossibile senza un gigantesco processo italiano ed europeo di territorializzazione delle imposte
  • Non contiene la più pallida idea di come potrebbe essere il fondo “perequativo”, quello disposto dal terzo comma dello stesso art. 119 (infatti non se ne parla proprio in nessuna sede!)
  • Non c’è alcuna possibilità concreta di attuarla nei tempi stabiliti - Le vere autonomie, per esempio quella del Trentino, hanno richiesto cinquanta anni di estenuanti trattative fra stato e regione, con sacrifici e prese di responsabilità da parte dei territori, ma alla fine, fra le migliori attuate in Italia; cinquanta anni, non cinque mesi!
  • Non c’è alcuna concreta possibilità di decidere per tutti in via astratta e generale, quali possano essere i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), perché ogni territorio ha le proprie peculiarità, così come le comunità e le persone (basti pensare alla più semplice delle differenze, in campo sanitario, quella fra maschi e femmine); la Commissione Cassese, se mai partisse, partorirà qualche dichiarazione di principio, qualche rassicurante raccomandazione su cose perfino banali, ovvero quei diritti che ormai anche l’unione Europea cerca di garantire a chi viaggia per lavoro o studio; dopo di che, chiusi i lavori, non se ne farà nulla

Di fronte a questo nulla politico e giuridico, le forze politiche di Autonomie e Ambiente non ritennero di aderire alla proposta di riforma del Titolo V del 2001, con legge di iniziativa popolare, di cui il prof. Villone è stato il primo firmatario.

Questo pur nobile tentativo di correggere il testo costituzionale, oggi, in quali mani finirebbe?

Domandiamoci chi ne trarrebbe vantaggio proprio in questo momento di emergenza democratica, in questi giorni in cui si parla di elezione diretta del presidente del consiglio, cioè di una pericolosa deriva centralista?

Chiediamoci quale formidabile arma si sta mettendo in mano a coloro che vogliono blindare la costituzione contro aspirazioni autonomiste? Si combattono nuove improbabili autonomie differenziate, ma certamente si mettono in pericolo quelle consolidate, legittime e purtroppo ancora in gran parte inattuate.

Quelle autonomie autentiche, quelle che richiedono assunzione di responsabilità.

Quelle autonomie calibrate sull’esigenza di ogni territorio.

Quelle che chiedono la piena solidarietà fra tutte le regioni, non certo ridicole e incompetenti rivendicazioni di risorse (secondo alcuni inattendibili schemi fiscali alcuni territori hanno più industrie, più fatturati, più risorse, certo, ma, come ci mostrano le cronache delle ultime ore, a ritrovarsi territorio in emergenza e bisognoso di aiuto, a seguito di una calamità, è un attimo).

Riteniamo che, l’unica stabilità possibile e l’unica governabilità che possiamo accettare sia quella del decentralismo, della ridistribuzione dei poteri agli enti locali, dell’assunzione di responsabilità, territorio per territorio, in un quadro normativo che prevenga i conflitti di competenze, impedisca le rendite di posizione, assicuri a tutti non solo e non tanto i diritti, ma il dovere di conservare la propria terra, con tutte le sue diversità e consegnarla alle generazioni future.

Dai fatti invece risulta che una classe politica tutta ha dimenticato che esistono la Costituzione, gli Statuti e, non in ultimo, lo Statuto speciale della Sardegna.

Uno Statuto che per quanto imperfetto è comunque uno strumento da attuare fino all'ultima riga.

Perché le Autonomie non sono altro che questo, strumenti da usare per amministrare bene i propri territori e non serve ottenerle se poi si fa finta che non esistano, essendo più comodo ubbidire e inchinarsi a Roma piuttosto che assumersi la responsabilità di fare sentire la voce della propria terra e lottare per essa.

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Maurizio Onnis sul 25 febbraio 2024: Coalizione Sarda, perché i Sardi scelgano il proprio destino

ELEZIONI REGIONALI IN SARDEGNA - AL VOTO IL 25 FEBBRAIO 2024

Intervento di Maurizio Onnis

(Sindaco di Villanovaforru, candidato nella Coalizione Sarda, Lista Vota Sardigna - Circoscrizione Medio Campidano, associato di Autonomie e Ambiente)

 

Villanovaforru, 4 febbraio 2024

A venti giorni dalle elezioni regionali della Sardegna, possiamo stabilire alcuni punti fermi. Ai miei occhi di indipendentista, di sindaco di Villanovaforru (piccolo comune del sud dell’isola), e di candidato della Coalizione Sarda, appaiono chiare tre cose.

1. In Sardegna l’urgenza maggiore non è battere la destra, ma battere la destra e la sinistra. Quest’ultima ha infatti, nel disfacimento della nostra regione, le stesse responsabilità della destra. Maturate negli anni in cui è stata al governo e segnatamente nel corso della legislatura 2014-2019. Allora, così come sotto la destra nel quinquennio 2019-2024, non si sono affrontati e non si è riusciti a dare nemmeno una parvenza, un inizio di soluzione ai terribili problemi che affliggono la Sardegna, relegata agli ultimi posti di ogni graduatoria europea: che si tratti di qualità dei servizi o di indice infrastrutturale, di numero di laureati o di trasparenza della pubblica amministrazione.

2. La Coalizione Sarda non è una tradizionale alleanza di sigle accomunate dall’ideologia, quest’ultima pressoché sparita dal dibattito politico. E nemmeno, se non da pochi ed essenziali, punti di programma. È molto più simile a un rassemblement alla francese, garantito da chi l’ha creato. Spetta a Renato Soru il compito di dare corpo alla dichiarata “sardità” della Coalizione. E spetta a lui, per primo, il compito di piegare a questa sardità chi della Coalizione fa parte. Fino a quando tale “sardità” verrà assicurata, in programmi e azioni, ci staremo dentro: io e molti altri che lottano da tanto tempo per l’autodeterminazione dei Sardi.

3. È importante anche il dopo. È fondamentale che la Coalizione Sarda duri oltre il 25 febbraio, giorno delle elezioni. Perché il vero obbiettivo è inserire un cuneo, una zeppa, nel bipolarismo di marca italiana, recepito anche dalla ingiusta legge elettorale sarda. Questa dà un fortissimo premio di maggioranza al candidato presidente che superi il 25% dei voti ed esclude dal Consiglio regionale il candidato presidente che arrivi terzo. Svellere il bipolarismo significa portare a breve nelle istituzioni e nella lotta politica una nuova forza, davvero fondata sul desiderio dei Sardi di scegliere il proprio destino, prima e oltre i dettati del governo romano, prima e oltre le alchimie dei partiti italiani.

In poche parole: bisogna cambiare. E cambiare a partire dalla campagna elettorale, che personalmente conduco secondo i criteri della decenza: dire quel che si pensa, badare al concreto, non brigare, non mentire, non offendere, non fare vacue promesse. A queste condizioni, si può persino sperare di offrire alla Sardegna e ai Sardi un servizio utile.

Maurizio Onnis

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Per Beniamino Zuncheddu e per tutti

Giustizia e Libertà per Beniamino Zuncheddu e per tutti

Il caso giudiziario di Beniamino Zuncheddu, un condannato all’ergastolo che da 32 anni urla la propria innocenza, risveglia il dibattito sull’accanimento della giustizia italiana sugli umili in generale e in particolare sulla società pastorale sarda.

A dar voce alla disperazione di un giovane pastore, per il quale tutto depone per la sua innocenza, è, ancora una volta, in una agghiacciante solitudine nel panorama dei media, Radio Radicale.

Siamo in attesa della revisione di un processo a oltre trent’anni di distanza da un delitto efferato, commesso a Sinnai, dove furono uccise tre persone. Il caso giudiziario in quell’ambito pastorale fu inquadrato come una presunta faida e fu chiuso in un batter d’occhio. Era bastato trovare uno da condannare per liquidare il caso. Beniamino Zuncheddu, di 26 anni, servo pastore fragile e indifeso, era il capro espiatorio perfetto per la giustizia italiana.

Quella lontana condanna all’ergastolo è ritenuta palesemente ingiusta dalla comunità di Burcei, il paese di Beniamino, per chi ha studiato il caso e oggi, finalmente, per gli addetti ai lavori.

Un giovane mite è invecchiato inascoltato. Ci sono voluti i Radicali per smuovere lo stagno putrido. In sostegno alla mobilitazione popolare di Burcei, si è tenuta pochi giorni fa una manifestazione radicale a Roma, in cui era presente, fra gli altri, la presidente onoraria del partito, Gaia Tortora, la figlia di Enzo.

Il caso di Beniamino Zuncheddu è emblematico dello stato desolante della giustizia dello stato centralista italiano, ma è reso ancora più insopportabile dalla condizione di subalternità coloniale in cui quello stato tiene le comunità sarde.

La società pastorale sarda è da sempre uno dei terreni preferiti dalle esercitazioni repressive della giustizia italiana. In questa atmosfera di discriminazione e disprezzo da parte degli operatori dello stato italiano, si è sviluppato un sentimento popolare di diffidenza nei confronti delle istituzioni della legalità (una conseguenza peraltro ben nota di tutti i colonialismi).

Il dramma di Beniamino non è solo un errore giudiziario. E’ anche un consapevole accanimento connesso con la criminalizzazione di un mondo pastorale che ha proprie regole, dettate dalla sua antica cultura, che ha resistito all’omologazione e che per questo è stato e viene ancora perseguitato, dai Savoia, al fascismo, al fallimento (voluto da Roma e da molti potenti di Cagliari) dell’autonomia speciale sarda, fino a tutt’oggi.

La nostra cultura è diversa e lontana dalla repressione dello stato centralista. La mediazione dei conflitti tra le parti è sempre avvenuta all’interno della comunità, attraverso personalità di valore: Sos òmines de gabbale, òmines de valoreche agivano per garantire le Paci, Sas Paghes.Queste figure avevano il compito di cercare riconciliazione tra le persone, come strada maestra per garantire sicurezza alla comunità. Questa concezione della risoluzione dei conflitti, peraltro, avrebbe qualcosa da insegnare a un sistema giudiziario burocratico e centralista che riempie le carceri, che trascina i processi per decenni, che è stato ripetutamente condannato in ogni foro internazionale per la sua feroce lentezza e incapacità di raggiungere obiettivi di giustizia riparativa.

Dal romanzo di Giulio Bechi, “Caccia Grossa”, descrizione della feroce repressione avvenuta a fine Ottocento ai danni delle popolazioni sarde, considerate fiancheggiatrici del banditismo, fino a oggi, il disprezzo dello stato centralista italiano per i sardi è ancora vivo. I codici italiani, ancora principalmente sabaudi e fascisti, pochissimo aggiornati (qualche volta in peggio) dalla Repubblica, hanno continuato a sradicare la nostra giustizia pastorale, insieme con la nostra cultura, per sostituirla con la giustizia peggiore d’Europa.

Insieme alla lotta per Beniamino, che merita la priorità e il massimo supporto da parte di tutti noi, tutta Autonomie e Ambiente ha il compito di approfondire, comprendere e ribellarsi contro il centralismo autoritario e la sua giustizia ingiusta, che continua a minacciare, con metodi antichi - e anche in modi nuovi tutti da mettere a fuoco - le nostre culture e i nostri territori.

Cagliari, 6 ottobre 2023

 

Claudia Zuncheddu

associata al Patto Autonomie e Ambiente - Movimento Sardigna Libera

 

Per l'autogoverno della Sardegna dopo il voto

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Claudia Zuncheddu (Sardigna Libera - associata di Autonomie e Ambiente) questo commento alle elezioni regionali sarde di domenica 25 febbraio 2024

 

Con il 45,3% si aggiudica la vittoria il campo largo con Alessandra Todde, presidente e leader del M5S. Il centro destra, con Paolo Truzzu di FdI e sindaco di Cagliari si arresta al 45%.

Note importanti di cronaca, un sardo su due non è andato a votare e sui voti alle liste delle due coalizioni emerge che la differenza fra il campo largo e il centro destra, è di circa 40 mila voti a favore del centro destra.

Al successo di Alessandra Todde, sul filo di lana, ha concorso sicuramente il voto disgiunto, in parte l’estrema polarizzazione imposta a reti unificate dai media italiani, nonché il clima di repressione poliziesca culminato con le manganellate ai giovani manifestanti di Pisa.

La Coalizione Sarda, con Renato Soru candidato presidente, non ha superato le “forche elettorali” del 10%. Stessa sorte con l’1% alla candidata Lucia Chessa della coalizione Sardigna R-esiste. La discriminante legge elettorale, varata per blindare il bipolarismo italiano, ancora una volta condanna circa 70 mila sardi, a non essere rappresentati nella nostra massima istituzione.

Tuttavia il risultato elettorale va analizzato non solo con i criteri delle coalizioni italiane. Il risultato della Coalizione Sarda, pur non rappresentata in Consiglio regionale, non è una disfatta. La percentuale dell’8,6%, nettamente inferiore alle aspettative, è la base di partenza di un progetto ampio e ambizioso, con testa e piedi in Sardegna, fuori dalle dinamiche delle politiche centraliste italiane. L’aspirazione all’autogoverno e all’autodeterminazione è il profondo solco che ci separa dal bipolarismo centralista italiano.

Siamo consapevoli che gli schieramenti italiani in Sardegna, sino ad oggi, sono stati capaci di reggere le burrasche e di resistere ai terremoti. E’ in questa lotta impari che l’8,6%, della Coalizione Sarda con Renato Soru, non è una inutile testimonianza, ma una base da cui andare avanti per ulteriori sfide.

Questa esperienza elettorale, maturata nel giro di pochi mesi, ha dato un forte impulso al dibattito nei territori sui grandi temi delle criticità sanitarie, economiche e sociali. Le lotte sulla difesa dei territori dall’attacco all’eolico, imposto per decreto, danno vita alla necessità di autonomia decisionale dei territori e di autogoverno delle comunità sulle proprie risorse. Queste esperienze hanno aggregato forze vitali e differenti su un grande progetto rappresentato da Soru e in parte già sperimentato dal suo precedente governo.

Per questa esperienza e per il suo futuro, un ringraziamento speciale a Renato Soru. Grazie anche a tutti i candidati, agli attivisti, ai numerosissimi sardi che hanno creduto nel progetto. Un saluto fraterno, senza rancore ma anzi con speranza di ritrovarsi su terreni di autogoverno e buongoverno, anche ai sardi che nella cabina elettorale si sono rassegnati a votare “italiano”.

Claudia Zuncheddu – Sardigna Libera

 

Pratobello '24, un simbolo per tutti coloro che vogliono decidere da sé su di sé

Ha avuto un grande successo popolare la proposta di legge regionale d'iniziativa popolare per porre un freno alla speculazione eolica in Sardegna. La proposta è meglio nota come "Pratobello '24", un nome che evoca la lotta degli anni '60, condotta dalle donne di Orgosolo sui loro pascoli alti, in cui impedirono la realizzazione di una base militare. Hanno firmato oltre 200.000 cittadini sardi, ciascuno di loro in persona (non c'è al momento in Sardegna qualcosa di analoga alla piattaforma pubblica istituita dalla Repubblica Italiana). Un risultato storico in una regione dove, alle ultime regionali del febbraio scorso, ci sono stati solo 690.000 voti validi a liste e candidati.

Questa proposta di legge verrà consegnata il 2 ottobre 2024 alla Regione Autonoma di Sardegna e si può immaginare che sarà un momento di grande festa popolare.

La Pratobello 2024 non ha avuto successo per la sua portata giuridica (è impervio scrivere una legge che possa incidere davvero sulla metastasi legislativa europea e italiana) ma perché è diventata il simbolo di una esigenza umana profonda, popolare e universale: essere certi, per il nostro bene ma soprattutto per quello delle generazioni future, che sul territorio, la sua fragilità, le sue risorse, la sua bellezza, le decisioni verranno prese da tutti coloro che lo abitano, con la partecipazione diretta di quelle che sono le reti di cittadinanza più attiva e attraverso autorità locali forti e competenti.

Certo, tutto è amplificato in Sardegna, una terra che è storicamente e strutturalmente trattata come una colonia interna, sin dalle origini della modernità. Una "natzione" che, ancora oggi, nonostante i fiumi di parole che sono scritte a tutela delle diversità e delle autonomie nelle norme internazionali, europee e italiane, in molti vorrebbero cancellare. Un territorio che si vorrebbe sfruttare e cementificare come si fa in ogni altra periferia dell'Italia. Una regione il cui statuto speciale è rimasto largamente inattuato e, a partire da quando è iniziata l'attuazione delle norme europee sulla libera circolazione dei grandi capitali e sull'austerità per tutte le autonomie locali, sempre più sistematicamente tradito. Una comunità a cui i media nazionali, da quasi trent'anni, concedono un unico diritto politico-elettorale: quello di scegliere fra il candidato governatore nominato a Roma dal centrosinistra o quello nominato a Milano dal centrodestra.

Ciò che però la Pratobello '24 evoca non vale solo per la Sardegna!

In ogni territorio fiumi di denaro privato e concentrazioni di potere pubblico sono sempre pronte a imporre dall'alto e da altrove impianti, infrastrutture, stravolgimenti della natura materiale e del paesaggio culturale. Ogni volta la narrazione dominante vuole imporre qualcosa per il "nostro" bene: lo sviluppo, la velocità dei trasporti, l'innovazione tecnologica, il nucleare di ultima generazione, la svolta "green"... Gli argomenti non mancano mai a chi ha quantità di denaro impensabili.

Pragmatismo, moderazione, capacità di accettare compromessi e di cercare soluzioni di buon senso, servono sempre. Non soffriamo certo della sindrome "Nimby". Nemmeno però i territori e le popolazioni locali possono essere soggette a (e spesso ingannate da) capitali internazionali e autorità lontane.

Rifiutiamo integralmente il metodo "Draghi" e norme come il decreto 199/2021, emanato dal governo di cui Alessandra Todde era viceministro allo "sviluppo economico".

Deve esserci resistenza. Resistere è difficile di fronte ai tiranni della globalizzazione, che dominano le menti prima ancora che comprare i terreni e corrompere i politici locali. Resistere è difficile, a meno che non ci si ancori a principi saldi: gli ecosistemi non si toccano; i beni culturali e naturali - compreso il paesaggio - non si deturpano; i territori non sono in vendita e non si danno nemmeno in concessione a chi li trasformerà irreversibilmente; gli impianti e le infrastrutture che si ritengono necessarie per gli interessi locali non possono essere altro che investimento e proprietà pubblica, perché alla fine del loro ciclo di vita solo l'autorità pubblica sarà in grado di rinnovarli o di ripristinare lo status quo ante (ammesso e non concesso che ciò sia possibile!).

Ciò che infine si decide di fare, giusto o sbagliato che sia, deve ricadere su chi lo ha deciso, secondo principi di sussidiarietà e solidarietà intergenerazionale.

Questa è la lotta non di un territorio, non di una singola comunità locale, non di qualcuna delle nostre regioni d'Europa contro altre, questa è una questione di autogoverno cruciale, concreta, vera, per tutti dappertutto.

L'avvio di una nuova stagione civile di autogoverno responsabile di ciascun territorio, secondo principi di sussidiarietà e solidarietà, sarà uno dei temi cruciali dell'assemblea di Imoladi Autonomie e Ambiente e del nostro impegno nei prossimi anni.

Olbia - Firenze - Udine, 30 settembre 2024

A cura di Silvia "Lidia" Fancello (AeA - EFA Sardegna), Mauro Vaiani (AeA - OraToscana), Roberto Visentin (presidente AeA - Patto Autonomia F-VG)

 

 

 

 

Radici, fallimento, riscatto per l’autogoverno della Sardegna (e non solo)

  • Autore: Claudia Zuncheddu (con un omaggio a Eliseo Spiga) – Cagliari, domenica 4 giugno 2023

La dottoressa Claudia Zuncheddu è animatrice della Rete Sarda Difesa Sanità Pubblica (la foto di Giampaolo Cirronis la riprende in una manifestazione del settembre '22) e punto di riferimento del decennale cammino del movimento Sardigna Libera. E' impegnata qui nel Forum 2043 per immaginare i "paesi nuovi" da lasciare alle generazioni future sin dall'inizio dei nostri lavori. Nel quadro di un lungo, delicato, rispettoso, inclusivo dialogo tra forze, gruppi, persone attive nella politica sarda, si è associata al progetto di Autonomie e Ambiente. Questo scritto è anche quindi, non casualmente vista la sua storia personale e la scelta radicale fatta in proposito da AeA, un'appassionata difesa della sanità pubblica, proprio attraverso  processi di autodeterminazione concreta in materie cruciali come acque, energie, cibo, salute. Contiene, infine, un omaggio alla bella figura di Eliseo Spiga: scrittore e politico sardo (nato ad Aosta nel 1930 da genitori sardi migranti e morto a Casteddu nel 2009) che non deve essere dimenticata.

Radici, fallimento, riscatto per l’autogoverno della Sardegna (e non solo)

Claudia Zuncheddu – Cagliari, domenica 4 giugno 2023

Se oggi siamo costretti a commentare gli espedienti retorici di Calderoli e Salvini sull’autonomia differenziata, mentre al potere è andato il governo più centralista della storia della Repubblica italiana, significa che la situazione è davvero grave.

Il ministro delle “porcate” fa quello che ha sempre fatto, ma noi? Noi possiamo attardarci, sulla difensiva, di fronte a processi politici che ormai da un ventennio disconoscono e svuotano tutte le autonomie, quelle personali, quelle sociali, quelle territoriali, preparando le condizioni per esaltare il centralismo autoritario?

Non perdiamo tempo accanto a coloro che, non sapendo come opporsi alla deriva populista, si attardano a discutere delle iniziative del leghismo salviniano, senza capire che quell’autonomia differenziata non si realizzerà mai, mentre il presidenzialismo e altre forme, ancora più opache, di centralismo avanzano.

A questo punto potremmo dire che noi indipendentisti, localisti, autonomisti, convinti sostenitori di forma avanzate di autogoverno e di confederalismo europeo, siamo costretti a mobilitarci contro il rischio che… Vengano minate le fondamenta di questa Repubblica italiana delle Autonomie e di questa Unione Europea disfunzionale. E’ un paradosso? Fino a un certo punto!

Noi che siamo sardi dovremmo aver chiaro, prima di tanti altri territori italiani ed europei, che cosa significa vivere sotto uno Statuto speciale di Autonomia e una Costituzione, carte tradite dal 1948.

Tutti i processi neocolonialisti, tesi a distruggere la nostra identità e la nostra economia locale, si sono solo accelerati, dopo l’avvio dell’ultima globalizzazione, quella del “Washington Consensus”. Dall’Unione Europea, peraltro contro i principi fondamentali dei trattati, sono arrivati capitalisti avventurieri, attacco ai beni comuni, austerità. Dalle rivolte cosiddette “anticasta”, in realtà solo antipolitiche e quindi anche, fondamentalmente, antidemocratiche, abbiamo avuto la contrazione degli spazi di partecipazione e agibilità politica, la scomparsa di fonti trasparenti di finanziamento pubblico dell’attivismo politico, il taglio dei consiglieri comunali, il taglio dei rappresentanti in consiglio regionale, il taglio dei parlamentari (il tutto, ovviamente, con il contemporaneo incistirsi di leggi elettorali ingiuste che discriminano ancor più le minoranze politiche presenti nella tradizione sarda).

Il risultato è, non solo per la Sardegna ma per tutti i territori, che sui media regna una cappa di grigio pensiero unico, le élite sono sempre più oligarchiche, l’alternanza fra i sedicenti “centrosinistra” e “centrodestra” corrisponde sempre più a un gioco delle parti, in una sostanziale continuità delle politiche.

Eppure le popolazioni non sono completamente domate.

Respinsero la disgraziata proposta di riforma costituzionale centralista Boschi-Renzi-Verdini nel 2016. E’ fallita, per mancanza di cultura democratica e autonomista, la protesta populista dei Cinque Stelle. E’ iniziata la parabola discendente del salvinismo e dei suoi decreti sicurezza. La deriva centralista, con l’espropriazione delle competenze territoriali, è tuttora in corso con il Piano di Colao (uomo alla guida della “task force” di Conte e poi ministro del governo Draghi), ma ha il fiato corto. Spogliare i sindaci di responsabilità, risorse, competenze, in materie come la sanità, l’ambiente, l’emancipazione degli ultimi, significa abbandonare queste materie, che hanno bisogno, per loro natura, di essere portate avanti territorio per territorio da autorità locali forti e autorevoli.

A proposito di sanità, vale la pena di ricordare che siamo in piena emergenza. In Sardegna dal 2006, a seguito di un accordo stato-regione, mai equamente onorato dal governo centrale, i costi della sanità sono a carico delle casse sarde con pesanti ricadute sull’economia locale e sulla salute dei Sardi.

La Sardegna è in testa per la mortalità e per la rinuncia alle cure. I pochi medici sardi sono sottopagati e demotivati. Fiumi di malati, che ne hanno la possibilità, vanno a curarsi altrove, arricchendo ancor più le regioni già ricche e le loro avide sanità private. Un fenomeno questo che non risparmia le risorse pubbliche, depauperate per curare numerosi malati in strutture convenzionate, nelle solite regioni opulente.

Per il taglio dei posti letto la Sardegna perde non solo importanti scuole di specializzazione, ma rischia persino la chiusura della Facoltà di Medicina. Neppure i LEA (livelli essenziali di assistenza), imposti dallo stato, a differenza di altre regioni, vengono rimborsati alla Sardegna.

Non stiamo parlando, sia chiaro, di una maledizione biblica che colpisce la Sardegna, ma di un processo generalizzato di svuotamento dell’assistenza sanitaria pubblica in tutte le realtà marginali, le cui conseguenze sono drammatiche nella maggior parte dei territori della Repubblica e anche in molte periferie d’Europa e della globalizzazione.

Da noi è tutto più esacerbato, per via della nostra condizione insulare e per il plateale tradimento di quello che dovrebbe essere uno statuto di autonomia speciale.

La fragilità e l’insicurezza sono la condizione esistenziale a cui ci hanno relegato le politiche centraliste. Allo spopolamento dei nostri paesi e all’abbandono delle campagne lo Stato e la Regione rispondono con la chiusura dei servizi pubblici: scuole, sanità, trasporti. Le regole europee e italiane di austerità e sostenibilità si risolvono in scelte di darwinismo sociale, una impropria selezione in cui sopravvivono i servizi pubblici nelle regioni di più alta densità demografica ed economica, a scapito di quelle che si stanno spopolando e impoverendo.

Tutte le economie locali e tutti i legami sociali sono sotto l’attacco della globalizzazione, delle agende centraliste e conformiste provenienti dall’Europa e dallo stato italiano. In Sardegna è tutto esasperato dalla marginalità geografica e dalla gracilità demografica. In 304 comuni sardi su 377, i decessi superano le nascite. La fuga verso le città (del continente) decreta la morte dei piccoli centri e di ogni speranza.

Fallace è anche la convinzione che lo spazio urbano, anche quello di Cagliari e degli altri pochi centri maggiori della Sardegna, possa essere luogo di incontro, relazioni, innovazione, men che meno agorà democratica o culturale.

L’urbanizzazione è selvaggia anche in un territorio povero come il nostro, anzi forse di più.

Ai ceti poveri, anche nelle piccole città della Sardegna, sono riservate periferie degradate dove le persone sono più sole, più fragili, più ricattabili, più assoggettabili al clientelismo della politica neocolonialista. Crescono sacche di disagio sociale che sono serbatoio di voti indispensabili per la conservazione delle attuali élite al potere.

La nostra speranza è nel distacco dagli schemi dell’attuale disumanizzazione e la riscoperta del comunitarismo proprio della nostra cultura millenaria.

Mentre riprendiamo nelle nostre mani il nostro destino, viene spontaneo un omaggio a Eliseo Spiga. Nel 1998, nel suo romanzo “Capezzoli di pietra“, emerge il suo grido contro un urbanesimo che non è fatto per noi e per quest’isola: “Da noi sovrana è la comunità e il nuraghe è simbolo e scudo della sovranità comunitaria. Noi non costruiamo città ma villaggi. La città è ostile alla terra agli alberi agli animali e inselvatichisce gli uomini, pretende tributi insopportabili per accrescere la sua magnificenza. In essa, i topolini che rodono la mente trovano pascoli lussureggianti per ingigantirsi: ambizione e voglia di potenza, invidia avarizia e brama di ricchezze superflue, slealtà odio e inimicizia verso i fratelli. La città crea specie che noi nuragici detestiamo, come i funzionari del tempio e del sovrano, i servi e gli schiavi. Ci porta un mondo di guerre insensate in cui ogni città combatte contro le altre per dominio e superbia“.

Noi, come popolo, dobbiamo rifiutare di essere deportati in periferie disumane. Come isola della bellezza, dobbiamo impedire di essere sfigurati dalla cementificazione. Non ci interessa di essere considerati “retrogradi” o “superati”.

Fra i tanti misteri della nostra cultura nuragica, gli addetti ai lavori una certezza ce l’hanno: non erano concepite concentrazioni urbane, ma piuttosto migliaia di villaggi nuragici sparsi in tutta la Sardegna, che suggeriscono una società fondata sulla cultura comunitaria e sull’equilibrio con la natura.

Cosa c’è di più antico e così nuovo, quindi, se non riappropriarci della nostra autonomia individuale e collettiva, cioè del nostro autogoverno?

L’autonomia speciale della Sardegna è sin qui fallita, anche perché, nelle illusioni del consumismo e di un malinteso progresso, essa è rimasta ostaggio di dispotici ascari del centralismo italiano, europeo, atlantico.

Oggi, grazie alla riscoperta, su scala europea, dei valori della Carta di Chivasso e della necessità di un nuovo confederalismo dal basso, possiamo rilanciare. Stavolta non in solitudine, ma insieme ai movimenti civici, ambientalisti, autonomisti degli altri territori della Repubblica italiana e dell’Unione Europea, attraverso il lavoro politico, culturale, elettorale di Autonomie e Ambiente.

E’ tempo di tenere fermi i principi e di portare avanti le lotte in cui abbiamo sin qui creduto: dalla resistenza contro la militarizzazione, alla rivolta contro l’inquinamento, alla difesa della salute di comunità e in prossimità, a tutte le nostre iniziative contro il neocolonialismo e contro lo spopolamento.

Dobbiamo dimostrare fermezza, proprio ora che alcuni giovani stanno infine tornando in Sardegna, portando con sé una salutare disillusione, dopo che hanno visto con i loro occhi le crisi degli eccessi neoliberisti.

Possiamo spezzare i processi che ci stanno spopolando e distruggendo e tornare a vivere in armonia con la nostra terra e con i nostri valori più antichi, da cui la società consumistica e capitalistica ha tentato di sradicarci… Non è troppo tardi.

Da quando Eliseo Spiga nel 2000 pubblicò il suo “Manifesto della gioventù eretica e del comunitarismo“, che volle firmare insieme al poeta Francesco Masala e al filosofo Placido Cherchi, è passato un quarto di secolo in cui le grandi macchine livellatrici della globalizzazione si sono inceppate più di una volta.

Le loro pretese di dominio universale si stanno arenando di fronte ai problemi dell’ambiente, all’impossibilità di nutrire e curare il mondo con i prodotti delle multinazionali, agli inaccettabili rischi della guerra infinita, all’imprevedibilità delle aspirazioni dei popoli del mondo.

La nostra riscossa, il nostro recupero di “sardità”, non è in ritardo e, forse, non è più nemmeno in anticipo.

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Sa die de sa Sardigna 2023

Questo 28 aprile 2023 cogliamo l'occasione per raccontare al di fuori dell'isola cosa è “Sa Die de Sa Sardigna”, il giorno della Sardegna, che sta assumendo nell'isola il valore di una festa nazionale.

Si ricorda il 28 aprile 1794, la data che è diventata per tutti “Sa Die”, ovvero il giorno in cui furono cacciati da Cagliari, la capitale del regno di Sardegna, i funzionari piemontesi della dinastia straniera dei Savoia, in seguito ad una rivolta popolare.

I Savoia si fregiavano del titolo di "re di Sardegna", ma governavano l'isola dal Piemonte e il rapporto con il loro possedimento d'oltremare stava diventando sempre più "moderno", cioè colonialista.

Ciò che accese la ribellione fu il rifiuto da parte dei Savoia di soddisfare le richieste inviate dagli "Stamenti" di Sardegna, il parlamento dell'isola. Esse vertevano sul rendere i funzionari sardi partecipi delle decisioni prese a Torino (la residenza dei Savoia) in materie economiche, amministrative, civili, militari e anche culturali.

La rivoluzione sarda ebbe da subito i connotati di una lotta antifeudale, contro lo sfruttamento, le crudeltà e la pesante tassazione operata dai colonizzatori piemontesi.

Il vento illuminista aveva soffiato forte in Europa per tutto il Settecento e aveva accentuato, nei ceti più borghesi e colti, due necessità destinate a scontrarsi: molti individui cominciarono a immaginarsi di vivere in uno stato più forte e più giusto, ma molti altri, quelli appartenenti ad antiche nazioni sottomesse, pretendevano un loro proprio stato. La contraddizione avrebbe attraversato la Francia rivoluzionaria nei suoi rapporti con la Corsica e altri suoi possedimenti, ma anche il Piemonte nei confronti della Sardegna e poi anche di Genova e di altri territori nella penisola italiana.

Francesco Ignazio Mannu, un esponente della piccola nobiltà sarda, dovette rifugiarsi in Corsica dopo avere partecipato ai moti rivoluzionari e dall’isola sorella pubblicò clandestinamente una canzone in sardo ritenuta uno dei più antichi canti popolari d’Europa: “S’innu de su patriotu sardu a sos feudatarios” (Inno del patriota sardo ai feudatari). Tale pezzo, meglio conosciuto come “Procurade ‘e moderare”, chiamato anche “la marsigliese sarda” nel 2018 è stato dichiarato dal governo regionale, inno ufficiale della Sardegna.

La figura più emblematica della rivoluzione sarda rimane comunque quella di Giovanni Maria (Giommaria) Angioy.

Era un Intellettuale e funzionario sabaudo, di formazione illuminista. Chiamato a sedare la ribellione, venne direttamente a conoscenza delle condizioni dei suoi compatrioti. Si fece interprete delle loro richieste presso il re e divenne il loro più strenuo difensore fino a meritarsi una taglia sulla testa che lo costrinse all’esilio in Francia.

La riscoperta di queste memorie e l'adozione di esse nella costruzione di una identità civile (con la festa e l'inno nazionali che si sono aggiunti alla storica bandiera dei quattro mori), sono il frutto di un paziente lavoro che viene da lontano, a cui hanno contribuito persone di ogni appartenenza politico-partitica e della più diversa cultura. Non ultimo, deve essere ricordato il contributo che è venuto dalla diaspora sarda, presente in ogni territorio italiano e in molte parti del mondo.

E' ancora tutto molto simbolico, ma è anche un segnale che il tema dell'autogoverno, per il popolo sardo che sta riducendosi e impoverendosi in questi anni di crisi e di emergenze, è sempre attuale ed è qui per restare. I pochi giovani rimasti (o per fortuna tornati) in Sardegna dovranno entrare nella lotta per l'autogoverno, oppure l'isola declinerà fino a diventare poco più che un parco turistico per pochi ricchi oligarchi del pianeta.

Fino a non molti anni fa, motore di ideali di autogoverno era stato anche l'antico Partito Sardo d'Azione (PSDAz). Ebbe origini complesse e magari anche controverse nel reducismo post-Prima guerra mondiale (l'Inutile Strage, di tantissimi giovani sudditi del Regno d'Italia, quindi anche tanti sardi, in una guerra impopolare, vergognosa, dalle conseguenze storiche disastrose). Alla fine del regime fascista, i sardisti azionisti ottennero per l'isola uno statuto di autonomia speciale. Subito dopo l'avvio della nuova Repubblica, purtroppo, s'inaridirono e dispersero lungo fratture politiche "coloniali", imposte da fuori (allineamento con la DC e l'America, oppure con il PCI, per intendersi, e ovviamente scusandosi della sommarietà). L'autonomia fu tradita e restò inattuata almeno finché non si tornò a costruirla con le giunte progressiste guidate da Mario Melis negli anni '70-'80.

Negli anni '90, con il crollo del sistema dei partiti italiani, ai quali era diventato troppo somigliante, il PSDAz è sopravvissuto a se stesso, come forza clientelare di complemento, a volte dell'uno o dell'altro polo "italiano" della c.d. Seconda repubblica (il centrosinistra o il centrodestra).

Il declino è stato lento, anche per la resistenza interna di molte persone che credevano profondamente nell'autogoverno della Sardegna. La fine, invece, è stata drammatica e ingloriosa, con la svendita del "marchio" PSDAz, antica forza politica autoctona della Sardegna, a uno dei fenomeni più ambigui, deteriori e pericolosi apparsi sulla scena politica dello stato italiano, il "leghismo" finto-federalista, neocentralista, populista.

Chi crede nell'autogoverno e nell'emancipazione civile e sociale della Sardegna non è rimasto in un angolo a lamentarsi della morte cerebrale (politicamente parlando) del PSDAz. Si è elaborato il lutto e molte più persone, di tutte le generazioni, stanno lavorando in progetti alternativi per le autonomie, l'ambiente, il lavoro, la vita delle generazioni future, anche attraverso le reti di Autonomie e Ambiente (AeA) e dell'Alleanza Libera Europea - ALE (European Free Alliance - EFA).

Cagliari - Olbia, venerdì 28 aprile 2023

a cura di Silvia Fancello (Lidia) - rappresentante ALE-EFA in Sardegna - referente Autonomie e Ambiente AeA per la Sardegna

Spunti di approfondimento:

https://www.regione.sardegna.it/messaggero/2008_marzo_13.pdf

https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2021/04/17/il-partito-sardo-dazione-100-anni-di-lotte-per-lautonomia_9b3690e3-be92-4d3c-a922-f60be23f27b5.html

https://diversotoscana.blogspot.com/2020/10/la-scelta-di-ale.html

 

 

 Flag of Sardinia bandiera Sardegna

 

Sardegna chiama Europa: resistere insieme al colonialismo eolico

Durante l'intensa giornata di giovedì 16 maggio 2024 di EFA e Autonomie e Ambiente a Milano, è arrivato dalla Sardegna un appello intenso e drammatico contro l'ennesima sciagurata decisione del centralismo italiano. La Sardegna viene svenduta alla speculazione internazionale, stavolta nel nome di un "green", parola che assume connotazioni sempre più sinistre. Qui il testo integrale, portato a Milano da Silvia Lidia Fancello, rappresentante EFA-AeA in Sardegna.

 

Logo SARDIGNA PRO S EUROPA 150

Sardegna chiama Europa

La Sardegna, la grande isola del Mediterraneo depositaria di millenarie tradizioni e di un patrimonio paesaggistico di inestimabile valore, il quale è parte integrante dell’identità dei sardi e incanta i visitatori, in questi giorni sta subendo un durissimo assalto d’impronta colonialista.

Società italiane e straniere vogliono realizzare centinaia di parchi eolici (oltre 700), con torri alte più del doppio dei maggiori campanili, la cui produzione di energia sarà enormemente superiore a ciò che l’isola produce e consuma attualmente (la Sardegna è già oggi un esportatore netto di energia, senza peraltro ricevere da questo alcun visibile vantaggio).

L’Italia ha avocato a sé il potere di decidere dove e come costruire tali impianti, perfino in zone limitrofe a siti archeologici e storici.

Le popolazioni locali, che si oppongono attraverso i propri sindaci e i comitati spontanei, non trovano ascolto presso l’attuale governo regionale il quale, non volendo spaventare gli investitori, rimane sostanzialmente inerte di fronte allo scempio che sta per abbattersi su questa terra.

I Sardi, come Europei, intendono partecipare all’obbiettivo di decarbonizzazione delle fonti energetiche entro il 2050, ma non certo sacrificare il proprio patrimonio naturale e storico, per divenire la “dinamo” d’Italia.

Per questo, unendo le nostre voci con quelle delle forze sorelle di Autonomie e Ambiente e di EFA, dobbiamo portare in Europa questa emergenza, chiedendo ascolto e solidarietà per fermare una paurosa speculazione.

Milano, 16 maggio 2024

a cura del Comitato di cordinamento Sardigna pro s’Europa

 

Sardigna Pro S'Europa

Comitato di coordinamento fra associati e associandi della Sardegna, creato l' 11 febbraio 2024 - Silvia Fancello (Lidia) assume lo status speciale e personale di vicepresidente di AeA

Questo comitato di coordinamento nasce dal lavoro svolto congiuntamente da EFA e da Autonomie e Ambiente insieme a forze politiche, gruppi, singoli intellettuali e attivisti della Sardegna, a partire dall'inizio del lavoro della nostra rete nella Repubblica italiana e nella Regione autonoma della Sardegna.

Silvia Fancello (Lidia) è dal 20 novembre 2020, rappresentante personale in Sardegna della presidente EFA, dott.ssa Lorena Lopez. Dalla III assemblea di Autonomie e Ambiente ha assunto anche formalmente le funzioni di referente di Autonomie e Ambiente, che già svolgeva de facto.

Mentre le realtà e le persone associate, associande, simpatizzanti della rete di Autonomie e Ambiente e di EFA sono impegnate per le imminenti elezioni regionali sarde del 25 febbraio 2024, era necessario raccordare le forze sarde che intendono preparare le condizioni per riportare la Sardegna in Europa, partecipando al progetto della lista PATTO AUTONOMIE AMBIENTE, promossa da Autonomie e Ambiente e da EFA per l'appuntamento delle elezioni europee del giugno 2024.

Qui alcuni dei recenti interventi dei nostri associati e associandi sulle elezioni sarde:

https://www.autonomieeambiente.eu/news/240-claudia-zuncheddu-elezioni-25-02-2024

https://www.autonomieeambiente.eu/news/243-giovanna-casagrande-elezioni-25-02-2024

https://www.autonomieeambiente.eu/news/244-maurizio-onnis-elezioni-25-02-2024

https://autonomieeambiente.eu/news/252-soru-unidea-di-sardegna-finalmente

 

 

 

 

Scorie nucleari, un peso millenario da suddividere

Abbiamo ricevuto dal Comitato NoNucle-NoScorie della Sardegna (COMITADU CONTRA A SA ISCORIAS NUCLEARES IN SARDIGNA) una denuncia dei gravissimi problemi posti dal riaffacciarsi del dibattito sul nucleare nella Repubblica italiana. Esprimiamo la nostra solidarietà e lo pubblichiamo integralmente qui.

Ricordiamo, inoltre, alcune considerazioni maturate a margine dei lavori della nostra II Assemblea Generale del 2021, grazie al contributo delle forze politiche sarde che sono in dialogo con Autonomie e Ambiente (AeA) e con l'Alleanza Libera Europea (ALE-EFA), la nostra famiglia politica europea.

Le nostre forze territoriali sono contrarie al deposito nazionale unico delle scorie nucleari, un'opera faraonica la cui realizzazione e gestione, nei millenni, porrebbe molti più problemi di quanti pretenda di risolverne. Nell'opinione pubblica, peraltro, dilaga lo scetticismo nei confronti della SOGIN, la società incaricata del gravissimo problema, che da decenni dilapida risorse pubbliche senza produrre soluzioni sostenibili, un fallimento epocale del centralismo.

Tanto meno Autonomie e Ambiente (AeA) accetta che le scorie siano esportate in Sardegna, una terra che si vedrebbe così trattata, per l'ennesima volta, come una colonia interna dell'Italia.

Il problema delle scorie, che sarà sulle spalle delle generazioni future per millenni, è troppo grande per essere affidato a un solo grande sito di stoccaggio. Come decentralisti e territorialisti dobbiamo proporre con competenza e coraggio l'alternativa del decentramento. Occorrono più depositi, territoriali o interterritoriali, costruiti con il consenso delle popolazioni e delle amministrazioni locali, affidati a enti pubblici. Ogni regione produce piccole quantità di scorie radioattive, per esempio quelle della diagnostica ospedaliera, e dovrebbe farsene carico. Le scorie accumulate dal dismesso nucleare italiano dovranno essere anch'esse suddivise tra diversi siti nella penisola, non certo esportate in Sardegna, dove le centrali nucleari non sono mai esistite.

Ricordiamo anche, perché la politica europea e italiana sembrano averlo dimenticato, che il nucleare è stato rifiutato dai popoli e dai territori della nostra Repubblica in ogni sede, tra l'altro con il conforto di due referendum popolari (nel 1987 e ancora nel 2011). La Sardegna ha pronunciato un solenne no al nucleare, allo stoccaggio delle scorie, persino al loro transito, nell'importante referendum consultivo del 2011.

Si è tornati a discutere di nucleare in Europa, perché qualcuno lo ritiene necessario durante la transizione ecologica, arrivando a definirlo una fonte di energia più "verde" di altre. Pur non condividendo questa posizione, possiamo ritenerla comprensibile per chi, come la Francia di Macron, ha già sostenuto immensi investimenti nel nucleare. Sarebbe incomprensibile, invece, anche economicamente, avventurarsi in direzione del nucleare ripartendo oggi, da zero, con tecnologie superate che continuerebbero a ingigantire il problema millenario della conservazione delle scorie.

Nella nostra mentalità, quando un problema è troppo grande per essere gestito unitariamente e centralmente, è necessario suddividerne il peso ed affidarsi a soluzioni locali e differenziate, sotto il ravvicinato e ferreo controllo di poteri pubblici democratici locali. Ma non è solo una nostra convinzione, bensì solo una delle necessarie declinazioni della sussidiarietà, cioè di un principio fondamentale nella Costituzione, negli Statuti, nei trattati europei.

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