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Sardigna

Sa die a pustis de "Sa Die"

  • Autore: Omar Onnis - Cagliari, 29 aprile 2025

La Sardegna ha appena celebrato il 28 aprile 2025 il suo annuale "Sa Die", la propria festa "natzionale". Nonostante l'indifferenza, il fastidio, le banalizzazioni di cui è fatta oggetto dai ceti politici centralisti al potere, la giornata non perde di significato, anzi è fonte di speranza. I Sardi la vivono come momento di autonomia spirituale e culturale, che sono fondamento di ogni autogoverno, come ci ricorda la Carta di Chivasso. Omar Onnis, il giorno dopo "Il Giorno", ne scrive per il Forum 2043.

Sa Die de sa Sardigna: storia, significati, speranze

Il 28 aprile in Sardegna si celebra – o meglio, si dovrebbe celebrare – la festa nazionale sarda, sa Die de sa Sardigna (il Giorno della Sardegna). Nel 1993, con legge regionale, fu stabilito infatti che ogni anno, in tale data, si sarebbe dovuto rievocare il 28 aprile 1794, quando un moto popolare prese il controllo della città di Cagliari, esautorò il governo sabaudo, arrestò tutti i funzionari stranieri, viceré in testa, e dopo pochi giorni li rispedì oltremare. È la cosiddetta “di’ de s’aciapa” (il giorno della caccia), quando si frugavano case e strade della città in cerca di stranieri da destinare all’imbarco. Una sorta di 14 luglio sardo. In seguito alla “cacciata dei Piemontesi” il governo fu assunto nell’isola dalla massima magistratura del Regno, la Reale Udienza, e la gestione politica fu condivisa col parlamento dei tre stamenti (analogo al parlamento francese dei “tre Stati”), a sua volta autoconvocatosi sul principio dell’anno precedente, a quasi un secolo di distanza dall’ultima volta (anche qui, similmente al caso francese), per organizzare la difesa dell’isola dall’attacco della stessa Francia rivoluzionaria, data l’inerzia del viceré Vincenzo Balbiano.

Quel 28 aprile si inseriva dunque in una più articolata sequenza di eventi, che si concluderà, dopo varie fasi, solo nel 1812, l’anno “della fame” nella memoria popolare, allorché un ultimo tentativo di riaprire la partita rivoluzionaria contro il governo sabaudo e il regime feudale, ancora in vigore, fu stroncata dalla durissima repressione del viceré Carlo Felice.

Il nucleo principale del periodo rivoluzionario sardo di solito è indicato nel triennio tra il 1794 (cacciata del viceré e di tutti i funzionari stranieri) e il 1796 (fallito tentativo di prendere il potere da parte di Giovanni Maria Angioy), ma come detto i fermenti durarono ancora a lungo. Del resto siamo nel bel mezzo del periodo napoleonico, quando le armi francesi portavano con sé in tutta l’Europa promesse di grandi cambiamenti politici e sociali.

La peculiarità della rivoluzione sarda, rievocata e riassunta nella data del 28 aprile, è che essa nacque e si svolse su una base di rivendicazioni e di programmi tutta endogena. Certo, influenzata dalle idee nuove che da decenni circolavano nel Vecchio Continente, ma non maturata in conseguenza di un’occupazione straniera bensì, un po’ paradossalmente, esplosa proprio in seguito alla vittoriosa difesa contro il tentativo di occupazione francese. Alla Francia, dopo il 1796, i leader del movimento rivoluzionario sardo, quelli scampati alla prigione o alla forca, si rivolsero in cerca di rifugio e poi di aiuto per liberare la Sardegna dal giogo della monarchia sabauda e del feudalesimo. Diversi di loro moriranno in esilio, a cominciare da Giovanni Maria Angioy (nel 1808), considerato la figura principale di tutto questo periodo. Le loro aspettative rimarranno frustrate, soprattutto a causa dell’interferenza delle questioni internazionali e dei mutevoli piani napoleonici sulla vicenda sarda. I Savoia per altro si rifugiarono armi e bagagli in Sardegna nel 1799, quando il Piemonte fu occupato dalla Francia. Non mostrarono mai particolare gratitudine, per questa ospitalità, pure pagata dal bilancio del regno sardo a carissimo prezzo. La corte sabauda lascerà l’isola solo nel 1814.

La rivoluzione sarda fu sconfitta. Non la prima né l’ultima rivoluzione che mancò i suoi obiettivi. Ma, nonostante la sconfitta, quello rivoluzionario resta un momento nodale della storia dell’isola. Dalla reazione a quel tentativo di cambiamento politico radicale emergerà la Sardegna contemporanea, con molti dei suoi problemi strutturali già chiaramente delineati fin dal principio dell’Ottocento. Soprattutto la relazione tra la classe dirigente locale – quella rimasta fedele a Casa Savoia – e il centro del potere esterno da cui dipendevano le sorti della Sardegna sarà paradigmatica di un assetto politico che, mutatis mutandis, resterà sostanzialmente molto simile fino ai nostri giorni. Una classe dirigente locale votata a un ruolo di intermediazione tra gli interessi e i piani del centro del potere legittimo esterno e la realtà dell’isola, certamente con indubbi guadagni e privilegi per sé.

La Sardegna fu consegnata allora a un destino di subalternità e di impoverimento che scandalizzavano persino alcuni osservatori contemporanei, come il console francese nell’isola nella sua relazione del 1816 (riportata da Fernand Braudel: non ne troverete traccia in alcun libro di storia italiano o sardo). Una terra “al centro della civiltà europea” lasciata languire e ove possibile depredata. Alcune riforme furono decise negli anni della Restaurazione come misure calate dall’alto e come generose concessioni, senza alcun vero spirito innovatore. Una, nel 1820, fu l’editto “sopra le chiudende”, che stabiliva la possibilità di appropriarsi privatamente di qualsiasi porzione di territorio fosse stato “chiuso”, un po’ sulla scorta delle enclosure inglesi del XVII secolo. Tale misura, che fece sentire i suoi effetti soprattutto nel decennio successivo, comportò un profondo mutamento nel regime fondiario che si tradusse in una traumatica transizione economica a danno dei ceti popolari. Una delle prime “modernizzazioni” passive cui la Sardegna da allora è stata sottoposta, sempre con promesse di progresso e benessere seguite da clamorose delusioni. Nel 1827 fu abrogata la Carta de Logu, raccolta legislativa varata nel 1392 da Eleonora d’Arborea e rimasta in vigore nei secoli del Regno di Sardegna spagnolo e poi sabaudo, con la promulgazione del nuovo codice civile. Tra 1836 e 1839, con diversi editti, fu abolito il regime feudale, facendone pagare il prezzo, sotto forma di indennizzi ai baroni, alle stesse popolazioni che lo avevano subito fino allora.

Il malcontento delle classi popolari verso i Piemontesi restò sempre vivo, emergendo a fasi alterne. Ancora a distanza di mezzo secolo dal triennio rivoluzionario, quando la Sardegna fu di nuovo in fermento per l’aspettativa di riforme, tra 1847 e 1848, la preoccupazione dell’amministrazione sabauda fu che potesse esplodere un “nuovo novantaquattro”, come scrisse in una sua relazione al governo Carlo Baudi di Vesme (intellettuale ed erudito, direttore delle miniere di Iglesias). La diffidenza dei Savoia e in generale della classe dirigente piemontese verso i sardi non venne mai meno. Una parte della classe dirigente isolana negli stessi mesi richiese la “fusione” politica e giuridica tra la Sardegna e i possedimenti sabaudi di terraferma. Fino a questo momento il Regno di Sardegna propriamente detto era appunto la Sardegna. I Savoia ne detenevano la corona, ma avevano tenuto ben distinti giuridicamente e amministrativamente dall’isola i propri possedimenti dinastici sulla terraferma. La “fusione” fu un passaggio irrituale e senza alcuna copertura legale, che tuttavia il re Carlo Alberto approvò proprio per tacitare i movimenti di protesta diffusi nell’isola. Le proteste tuttavia non cessarono, tanto che il re dovette nominare un commissario militare straordinario per sedare il movimento popolare e riportare l’ordine. Lo stesso gruppo sociale che aveva richiesto la fusione si accorse ben presto di aver fatto un pessimo affare.

La fine del plurisecolare Regno di Sardegna, delle sue leggi, delle sue istituzioni, sancito ulteriormente con la concessione dello Statuto albertino nel 1848, non comportò alcun vantaggio. Anzi, l’estensione del catasto e del regime fiscale piemontese all’isola provocò conseguenze drammatiche a livello socio-economico. L’unificazione italiana, di lì a pochi anni, consacrò la definitiva riduzione della Sardegna a porzione oltremarina, marginale e periferica del nuovo stato. Da qui in poi inizierà la “questione sarda” e nasceranno e si svilupperanno nel tempo il pensiero autonomista e quello indipendentista.

La vicenda rivoluzionaria sarda ha sempre rappresentato un problema, per la classe dirigente sarda, compresa quella intellettuale. Poche le voci che la rievocheranno, nel corso dei decenni tra Otto e Novecento. Due in particolare: il poeta Sebastiano Satta e Antonio Gramsci. Resteranno eccezioni.

Dopo l’unificazione italiana, a parte qualche raro esempio e qualche pubblicazione occasionale, per avere una trattazione storiografica organica ed esaustiva sul periodo sabaudo e sulla rivoluzione sarda bisognerà attendere il 1984, a quasi due secoli dai fatti. In particolare sarà lo storico Girolamo Sotgiu, nel suo Storia della Sardegna sabauda, a ricostruire nei dettagli e chiarire nei suoi aspetti fattuali e nei suoi contorni politici, l’intera vicenda. Non senza l’ammonimento sul possibile uso politico della conoscenza di quei fatti. Uno strano ammonimento, in un testo storico. Non deve stupire. Ancora oggi, a leggere i documenti e le testimonianze dell’epoca (come l’inno Su patriota sardu a sos feudatàrios, la “marsigliese” sarda), la rivoluzione sarda, rievocata nella giornata del 28 aprile, ci chiama in causa e ci pone domande. Troppe cose di quel tempo suonano ancora oggi troppo familiari, per non indurre riflessioni critiche sul nostro passato recente e sul nostro presente. Per questo la ricorrenza del 28 aprile, dopo i primissimi anni di celebrazioni pubbliche, con grande concorso di folla e notevole partecipazione emotiva (ne esistono in rete testimonianze video), è stata ridimensionata e oscurata dalle stesse istituzioni autonomiste.

Gli studi in proposito, dopo l’insuperato lavoro di Girolamo Sotgiu, sono stati limitati e la narrazione su quel periodo stereotipata e riduttiva. Non è solo un fatto di sciatteria culturale e politica. È del tutto comprensibile che per la classe dirigente sarda di oggi suoni minaccioso l’esempio di una classe dirigente diversa, di un ceto politico e intellettuale che non perseguì il proprio esclusivo interesse egoistico né si limitò a elaborare astrattamente principi e obiettivi virtuosi, ma se ne fece portatore attivo presso i ceti popolari, mettendosi in gioco nel tentativo coraggioso, anche a costo della vita, di mutare in meglio le sorti della Sardegna.

Ultimamente l’associazione ANS (Assemblea Natzionale Sarda), che ha come obiettivo la crescita culturale, civile e democratica dell’isola, ha assunto il compito di rilanciare la celebrazione di Sa Die e lo fa ormai da alcuni anni, senza alcun finanziamento pubblico e contando solo sul lavoro volontario dei propri associati e sul sostegno di alcuni sponsor privati. I risultati sono buoni e in crescendo. La sensibilità su questi temi e la sete di conoscenza storica sono molto forti in Sardegna, trasversalmente alle condizioni anagrafiche e sociali, a dispetto della noncuranza delle istituzioni e delle difficoltà a far entrare la storia e la cultura della Sardegna nella scuola italiana.

Il rilancio della festa del 28 aprile non è solo una questione nostalgica, una rivendicazione revanscista. È invece la doverosa riappropriazione di un momento storico decisivo, della cui conoscenza l’opinione pubblica sarda e internazionale è stata a lungo privata, ed è un momento di riflessione politica democratica ed emancipativa, di cui l’isola ha assoluto bisogno.

Intervento di Omar Onnis (scrittore, studioso, autore di https://sardegnamondo.eu/) per il Forum 2043 - Cagliari, 29 aprile 2025

 

Note

L'immagine a corredo dell'intervento è tratta da https://www.regione.sardegna.it/notizie/sa-die-de-sa-sardigna-il-28-aprile-spettacolo-a-cagliari

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Sa die de sa Sardigna 2023

Questo 28 aprile 2023 cogliamo l'occasione per raccontare al di fuori dell'isola cosa è “Sa Die de Sa Sardigna”, il giorno della Sardegna, che sta assumendo nell'isola il valore di una festa nazionale.

Si ricorda il 28 aprile 1794, la data che è diventata per tutti “Sa Die”, ovvero il giorno in cui furono cacciati da Cagliari, la capitale del regno di Sardegna, i funzionari piemontesi della dinastia straniera dei Savoia, in seguito ad una rivolta popolare.

I Savoia si fregiavano del titolo di "re di Sardegna", ma governavano l'isola dal Piemonte e il rapporto con il loro possedimento d'oltremare stava diventando sempre più "moderno", cioè colonialista.

Ciò che accese la ribellione fu il rifiuto da parte dei Savoia di soddisfare le richieste inviate dagli "Stamenti" di Sardegna, il parlamento dell'isola. Esse vertevano sul rendere i funzionari sardi partecipi delle decisioni prese a Torino (la residenza dei Savoia) in materie economiche, amministrative, civili, militari e anche culturali.

La rivoluzione sarda ebbe da subito i connotati di una lotta antifeudale, contro lo sfruttamento, le crudeltà e la pesante tassazione operata dai colonizzatori piemontesi.

Il vento illuminista aveva soffiato forte in Europa per tutto il Settecento e aveva accentuato, nei ceti più borghesi e colti, due necessità destinate a scontrarsi: molti individui cominciarono a immaginarsi di vivere in uno stato più forte e più giusto, ma molti altri, quelli appartenenti ad antiche nazioni sottomesse, pretendevano un loro proprio stato. La contraddizione avrebbe attraversato la Francia rivoluzionaria nei suoi rapporti con la Corsica e altri suoi possedimenti, ma anche il Piemonte nei confronti della Sardegna e poi anche di Genova e di altri territori nella penisola italiana.

Francesco Ignazio Mannu, un esponente della piccola nobiltà sarda, dovette rifugiarsi in Corsica dopo avere partecipato ai moti rivoluzionari e dall’isola sorella pubblicò clandestinamente una canzone in sardo ritenuta uno dei più antichi canti popolari d’Europa: “S’innu de su patriotu sardu a sos feudatarios” (Inno del patriota sardo ai feudatari). Tale pezzo, meglio conosciuto come “Procurade ‘e moderare”, chiamato anche “la marsigliese sarda” nel 2018 è stato dichiarato dal governo regionale, inno ufficiale della Sardegna.

La figura più emblematica della rivoluzione sarda rimane comunque quella di Giovanni Maria (Giommaria) Angioy.

Era un Intellettuale e funzionario sabaudo, di formazione illuminista. Chiamato a sedare la ribellione, venne direttamente a conoscenza delle condizioni dei suoi compatrioti. Si fece interprete delle loro richieste presso il re e divenne il loro più strenuo difensore fino a meritarsi una taglia sulla testa che lo costrinse all’esilio in Francia.

La riscoperta di queste memorie e l'adozione di esse nella costruzione di una identità civile (con la festa e l'inno nazionali che si sono aggiunti alla storica bandiera dei quattro mori), sono il frutto di un paziente lavoro che viene da lontano, a cui hanno contribuito persone di ogni appartenenza politico-partitica e della più diversa cultura. Non ultimo, deve essere ricordato il contributo che è venuto dalla diaspora sarda, presente in ogni territorio italiano e in molte parti del mondo.

E' ancora tutto molto simbolico, ma è anche un segnale che il tema dell'autogoverno, per il popolo sardo che sta riducendosi e impoverendosi in questi anni di crisi e di emergenze, è sempre attuale ed è qui per restare. I pochi giovani rimasti (o per fortuna tornati) in Sardegna dovranno entrare nella lotta per l'autogoverno, oppure l'isola declinerà fino a diventare poco più che un parco turistico per pochi ricchi oligarchi del pianeta.

Fino a non molti anni fa, motore di ideali di autogoverno era stato anche l'antico Partito Sardo d'Azione (PSDAz). Ebbe origini complesse e magari anche controverse nel reducismo post-Prima guerra mondiale (l'Inutile Strage, di tantissimi giovani sudditi del Regno d'Italia, quindi anche tanti sardi, in una guerra impopolare, vergognosa, dalle conseguenze storiche disastrose). Alla fine del regime fascista, i sardisti azionisti ottennero per l'isola uno statuto di autonomia speciale. Subito dopo l'avvio della nuova Repubblica, purtroppo, s'inaridirono e dispersero lungo fratture politiche "coloniali", imposte da fuori (allineamento con la DC e l'America, oppure con il PCI, per intendersi, e ovviamente scusandosi della sommarietà). L'autonomia fu tradita e restò inattuata almeno finché non si tornò a costruirla con le giunte progressiste guidate da Mario Melis negli anni '70-'80.

Negli anni '90, con il crollo del sistema dei partiti italiani, ai quali era diventato troppo somigliante, il PSDAz è sopravvissuto a se stesso, come forza clientelare di complemento, a volte dell'uno o dell'altro polo "italiano" della c.d. Seconda repubblica (il centrosinistra o il centrodestra).

Il declino è stato lento, anche per la resistenza interna di molte persone che credevano profondamente nell'autogoverno della Sardegna. La fine, invece, è stata drammatica e ingloriosa, con la svendita del "marchio" PSDAz, antica forza politica autoctona della Sardegna, a uno dei fenomeni più ambigui, deteriori e pericolosi apparsi sulla scena politica dello stato italiano, il "leghismo" finto-federalista, neocentralista, populista.

Chi crede nell'autogoverno e nell'emancipazione civile e sociale della Sardegna non è rimasto in un angolo a lamentarsi della morte cerebrale (politicamente parlando) del PSDAz. Si è elaborato il lutto e molte più persone, di tutte le generazioni, stanno lavorando in progetti alternativi per le autonomie, l'ambiente, il lavoro, la vita delle generazioni future, anche attraverso le reti di Autonomie e Ambiente (AeA) e dell'Alleanza Libera Europea - ALE (European Free Alliance - EFA).

Cagliari - Olbia, venerdì 28 aprile 2023

a cura di Silvia Fancello (Lidia) - rappresentante ALE-EFA in Sardegna - referente Autonomie e Ambiente AeA per la Sardegna

Spunti di approfondimento:

https://www.regione.sardegna.it/messaggero/2008_marzo_13.pdf

https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2021/04/17/il-partito-sardo-dazione-100-anni-di-lotte-per-lautonomia_9b3690e3-be92-4d3c-a922-f60be23f27b5.html

https://diversotoscana.blogspot.com/2020/10/la-scelta-di-ale.html

 

 

 Flag of Sardinia bandiera Sardegna

 

Sardegna chiama Europa: resistere insieme al colonialismo eolico

Durante l'intensa giornata di giovedì 16 maggio 2024 di EFA e Autonomie e Ambiente a Milano, è arrivato dalla Sardegna un appello intenso e drammatico contro l'ennesima sciagurata decisione del centralismo italiano. La Sardegna viene svenduta alla speculazione internazionale, stavolta nel nome di un "green", parola che assume connotazioni sempre più sinistre. Qui il testo integrale, portato a Milano da Silvia Lidia Fancello, rappresentante EFA-AeA in Sardegna.

 

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Sardegna chiama Europa

La Sardegna, la grande isola del Mediterraneo depositaria di millenarie tradizioni e di un patrimonio paesaggistico di inestimabile valore, il quale è parte integrante dell’identità dei sardi e incanta i visitatori, in questi giorni sta subendo un durissimo assalto d’impronta colonialista.

Società italiane e straniere vogliono realizzare centinaia di parchi eolici (oltre 700), con torri alte più del doppio dei maggiori campanili, la cui produzione di energia sarà enormemente superiore a ciò che l’isola produce e consuma attualmente (la Sardegna è già oggi un esportatore netto di energia, senza peraltro ricevere da questo alcun visibile vantaggio).

L’Italia ha avocato a sé il potere di decidere dove e come costruire tali impianti, perfino in zone limitrofe a siti archeologici e storici.

Le popolazioni locali, che si oppongono attraverso i propri sindaci e i comitati spontanei, non trovano ascolto presso l’attuale governo regionale il quale, non volendo spaventare gli investitori, rimane sostanzialmente inerte di fronte allo scempio che sta per abbattersi su questa terra.

I Sardi, come Europei, intendono partecipare all’obbiettivo di decarbonizzazione delle fonti energetiche entro il 2050, ma non certo sacrificare il proprio patrimonio naturale e storico, per divenire la “dinamo” d’Italia.

Per questo, unendo le nostre voci con quelle delle forze sorelle di Autonomie e Ambiente e di EFA, dobbiamo portare in Europa questa emergenza, chiedendo ascolto e solidarietà per fermare una paurosa speculazione.

Milano, 16 maggio 2024

a cura del Comitato di cordinamento Sardigna pro s’Europa

 

Sardegna in lotta contro la legge elettorale ingiusta

Il Coordinamento Ricostruiamo la Democrazia Sarda (Coordinamentu Torramus a Costrùere sa Democratzia) è attivo dal 30 giugno 2024. Ha riunito una quindicina di realtà politiche, fra cui Autonomie e Ambiente (rappresentata dal comitato Sardigna Pro S'Europa). Ha reso possibile un percorso di partecipazione nel quale decine di organizzazioni e centinaia di donne e uomini hanno potuto discutere sulla democrazia in Sardegna e, nello specifico, sulla legge elettorale per il rinnovo del Consiglio regionale della Sardegna e l’elezione del Presidente.

Il Coordinamento ha riassunto in un documento i capisaldi che devono ispirare una nuova legge elettorale regionale più democratica e inclusiva di quella in vigore. Il documento è stato trasmesso via PEC al parlamento sardo il 30 settembre 2025. Sarà consultabile in versione integrale dal giorno della conferenza stampa di presentazione, il prossimo 7 ottobre.

La riforma elettorale in Sardegna è urgente più di sempre. Difficilmente la presidente Alessandra Todde (pentastellata) riuscirà a terminare il suo mandato, iniziato il 20 marzo 2024. Si potrebbe tornare al voto molto prima del 2029 e la riforma elettorale, seguendo le buone pratiche internazionalmente riconosciute, dovrebbe essere fatta almeno un anno prima del voto, cioè al più presto.

Dopo essere stata dichiarata decaduta per il mancato delle norme sulla raccolta dei fondi e la documentazione delle spese elettorali, il parlamento della regione autonoma può rimandare per mesi la presa d'atto della decadenza, ma la maggioranza di centrosinistra (minoranza in termini di voti popolari) si troverà sempre più in imbarazzo nella difesa di una presidente illegittima (e di un governo, politicamente parlando, sempre più manifestamente incompetente).

Olbia - Bauladu, 30 settembre 2025 - a cura del comitato Sardigna Pro S'Europa

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L'immagine a corredo di questa notizia è stata tratta da https://www.italiachecambia.org/2025/09/province-sardegna-provinciali/

 

Sardigna Pro S'Europa

Comitato di coordinamento fra associati e associandi della Sardegna, creato l' 11 febbraio 2024 - Silvia Fancello (Lidia) assume lo status speciale e personale di vicepresidente di AeA

Questo comitato di coordinamento nasce dal lavoro svolto congiuntamente da EFA e da Autonomie e Ambiente insieme a forze politiche, gruppi, singoli intellettuali e attivisti della Sardegna, a partire dall'inizio del lavoro della nostra rete nella Repubblica italiana e nella Regione autonoma della Sardegna.

Silvia Fancello (Lidia) è dal 20 novembre 2020, rappresentante personale in Sardegna della presidente EFA, dott.ssa Lorena Lopez. Dalla III assemblea di Autonomie e Ambiente ha assunto anche formalmente le funzioni di referente di Autonomie e Ambiente, che già svolgeva de facto.

Mentre le realtà e le persone associate, associande, simpatizzanti della rete di Autonomie e Ambiente e di EFA sono impegnate per le imminenti elezioni regionali sarde del 25 febbraio 2024, era necessario raccordare le forze sarde che intendono preparare le condizioni per riportare la Sardegna in Europa, partecipando al progetto della lista PATTO AUTONOMIE AMBIENTE, promossa da Autonomie e Ambiente e da EFA per l'appuntamento delle elezioni europee del giugno 2024.

Qui alcuni dei recenti interventi dei nostri associati e associandi sulle elezioni sarde:

https://www.autonomieeambiente.eu/news/240-claudia-zuncheddu-elezioni-25-02-2024

https://www.autonomieeambiente.eu/news/243-giovanna-casagrande-elezioni-25-02-2024

https://www.autonomieeambiente.eu/news/244-maurizio-onnis-elezioni-25-02-2024

https://autonomieeambiente.eu/news/252-soru-unidea-di-sardegna-finalmente

 

 

 

 

Scorie nucleari, un peso millenario da suddividere

Abbiamo ricevuto dal Comitato NoNucle-NoScorie della Sardegna (COMITADU CONTRA A SA ISCORIAS NUCLEARES IN SARDIGNA) una denuncia dei gravissimi problemi posti dal riaffacciarsi del dibattito sul nucleare nella Repubblica italiana. Esprimiamo la nostra solidarietà e lo pubblichiamo integralmente qui.

Ricordiamo, inoltre, alcune considerazioni maturate a margine dei lavori della nostra II Assemblea Generale del 2021, grazie al contributo delle forze politiche sarde che sono in dialogo con Autonomie e Ambiente (AeA) e con l'Alleanza Libera Europea (ALE-EFA), la nostra famiglia politica europea.

Le nostre forze territoriali sono contrarie al deposito nazionale unico delle scorie nucleari, un'opera faraonica la cui realizzazione e gestione, nei millenni, porrebbe molti più problemi di quanti pretenda di risolverne. Nell'opinione pubblica, peraltro, dilaga lo scetticismo nei confronti della SOGIN, la società incaricata del gravissimo problema, che da decenni dilapida risorse pubbliche senza produrre soluzioni sostenibili, un fallimento epocale del centralismo.

Tanto meno Autonomie e Ambiente (AeA) accetta che le scorie siano esportate in Sardegna, una terra che si vedrebbe così trattata, per l'ennesima volta, come una colonia interna dell'Italia.

Il problema delle scorie, che sarà sulle spalle delle generazioni future per millenni, è troppo grande per essere affidato a un solo grande sito di stoccaggio. Come decentralisti e territorialisti dobbiamo proporre con competenza e coraggio l'alternativa del decentramento. Occorrono più depositi, territoriali o interterritoriali, costruiti con il consenso delle popolazioni e delle amministrazioni locali, affidati a enti pubblici. Ogni regione produce piccole quantità di scorie radioattive, per esempio quelle della diagnostica ospedaliera, e dovrebbe farsene carico. Le scorie accumulate dal dismesso nucleare italiano dovranno essere anch'esse suddivise tra diversi siti nella penisola, non certo esportate in Sardegna, dove le centrali nucleari non sono mai esistite.

Ricordiamo anche, perché la politica europea e italiana sembrano averlo dimenticato, che il nucleare è stato rifiutato dai popoli e dai territori della nostra Repubblica in ogni sede, tra l'altro con il conforto di due referendum popolari (nel 1987 e ancora nel 2011). La Sardegna ha pronunciato un solenne no al nucleare, allo stoccaggio delle scorie, persino al loro transito, nell'importante referendum consultivo del 2011.

Si è tornati a discutere di nucleare in Europa, perché qualcuno lo ritiene necessario durante la transizione ecologica, arrivando a definirlo una fonte di energia più "verde" di altre. Pur non condividendo questa posizione, possiamo ritenerla comprensibile per chi, come la Francia di Macron, ha già sostenuto immensi investimenti nel nucleare. Sarebbe incomprensibile, invece, anche economicamente, avventurarsi in direzione del nucleare ripartendo oggi, da zero, con tecnologie superate che continuerebbero a ingigantire il problema millenario della conservazione delle scorie.

Nella nostra mentalità, quando un problema è troppo grande per essere gestito unitariamente e centralmente, è necessario suddividerne il peso ed affidarsi a soluzioni locali e differenziate, sotto il ravvicinato e ferreo controllo di poteri pubblici democratici locali. Ma non è solo una nostra convinzione, bensì solo una delle necessarie declinazioni della sussidiarietà, cioè di un principio fondamentale nella Costituzione, negli Statuti, nei trattati europei.

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Senza la Sardegna e gli altri territori, non ci sarà Europa

Lo scorso 28 aprile 2024 Autonomie e Ambiente ed EFA sono state invitate dalla Assemblea Natzionale Sarda (ANS) a partecipare a Cagliari al "Sa Die de Sa Sardigna”.  La festa è stata istituita nel 1993 con una legge regionale, come giornata "natzionale" che ricorda la cacciata dei funzionari piemontesi e la ribellione del popolo sardo alla tirannia della dominazione sabauda, avvenuta il 28 aprile del 1794.

ANS è un’associazione culturale nata nel 2020, impegnata per il riconoscimento della nazione sarda, promuovendo una coscienza identitaria, linguistica, storica e ambientale. Da qualche anno si fa carico di commemorare e celebrare Sa Die e i suoi martiri, come un momento importante di presa di coscienza e ribellione agli oppressori, che la narrazione corrente italiana tende spesso a minimizzare o dimenticare.

Fra gli altri, erano presenti: Silvia Fancello, delegata EFA per la Sardegna e vicepresidente di Autonomie e Ambiente in rappresentanza del comitato "Sardigna Pro S'Europa"; Claudia Zuncheddu, di Sardigna Libera e associata ad Autonomie e Ambiente; altre persone esponenti della Coalizione Sarda.

Fancello e Zuncheddu hanno partecipato alla cerimonia di deposizione della corona di fiori ai piedi del cosiddetto “Arco dei Martiri di Palabanda“. Sono così chiamati gli ideatori della rivolta che in quel luogo si riunivano, i quali scoperti dai funzionari regi furono incarcerati e giustiziati. Dall’arco si è poi snodata una partecipata processione attraverso le più importanti vie cittadine fino ad arrivare ai bastioni Saint Remy, simbolo del potere costituito.

Come ha ricordato Claudia Zuncheddu “In tantissimi abbiamo partecipato alla fiaccolata che è andata in crescendo da Palabanda a Piazza Costituzione. Tuonava per tutto il percorso il monito 'Procurade' e moderare - Barones sa tirannia', de s' Innu Natzionale de sa Sardigna. Un momento di coinvolgimento, nel cuore di Cagliari, che ha coinvolto visitatori e turisti”.

Nella stessa giornata di domenica 28, nella suggestiva “Grotta Marcello” nel cuore di Cagliari, si è tenuto inoltre un partecipatissimo dibattito guidato da Lucia Cossu e Riccardo Pisu Maxia (presidente di ANS), nel corso del quale è intervenuta Silvia Fancello insieme a diversi rappresentanti di nazioni senza stato come la Catalogna, la Sicilia, la Scozia e i Paesi Baschi, in un confronto su identità, autodeterminazione, politiche europee e feste nazionali (con un focus sulla famosa Diada di Barcellona). L'evento è proseguito fino a sera con altri interventi, letture, canti, balli.

A pochi giorni dalla Festa dell'Europa, nonostante che i sostenitori dell'autogoverno dei territori siano ostacolati in tutti modi (dai falsi autonomisti che EFA ha dovuto cacciare dalla propria famiglia politica, dagli aspiranti podestàd'Italia, dalle leggi elettorali ingiuste, dal conformismo mediatico, dal centralismo in Italia e dalle prepotenze dei grandi stati centralisti in Europa), continuiamo ad osservare il risveglio culturale e politico dei territori, delle regioni, dei popoli, che sono le vere unità costituenti della futura confederazione europea. Senza l'autogoverno della Sardegna, senza quello di ogni altro territorio, regione, popolo, non ci sarà Europa.

Testimonianze dirette da Cagliari pubblicate a cura della segreteria interterritoriale, 3 maggio 2024

 

 

 

Soru, un'idea di Sardegna, finalmente

Riceviamo e volentieri pubblichiamo dalla nostra associata Claudia Zuncheddu (Sardigna Libera)

Cagliari, 21 febbraio 2024

La campagna elettorale per le elezioni regionali in Sardegna è in fase conclusiva. Il 25 febbraio 2024 i sardi sono chiamati a esprimere il voto per le regionali e benché secondo certi sondaggi aleggi lo spettro dell’astensionismo, va messo in conto che il rientro di Renato Soru nello scenario politico sardo potrebbe aver risvegliato l’interesse degli elettori. La speranza del cambiamento, rispetto alla triste competizione a chi è più ignorante e conformista fra sinistra e destra italiane, potrebbe essere di stimolo.

Di certo, la candidatura indipendente di Soru ha stravolto quegli equilibri che sino ad oggi hanno garantito ai poli italiani la certezza dell’alternanza al governo della Sardegna, per non cambiare mai nulla. La legge elettorale sarda del 2013 fu varata ad hoc per blindare il bipolarismo italiano. Eppure l’Italien Régime non appare più così saldo.

La Coalizione Sarda, con Soru presidente, rompe gli antichi schemi. È costituita da cinque liste di cui almeno tre accolgono antiche aspirazioni all’autogoverno e una di esse, Sardegna chiama Sardegna, ha portato in campo una nuova generazione. Il lungo processo di maturazione politica, che ha indotto Renato Soru ad entrare in rotta di collisione con entrambi i poli italiani, non è ancora da tutti compreso nella sua forza dirompente.

Il fenomeno è in parte volutamente travisato. Certi ambienti, tanto iperpoliticizzati, quanto sterili, fanno le pulci all’alleanza sarda con giudizi arroccati su analisi e situazioni del passato. Il centrosinistra promuove, nei confronti della Coalizione Sarda con Soru presidente, una campagna di denigrazione, secondo la quale la loro sconfitta sarà da imputare non alle loro politiche fallimentari degli ultimi decenni, ma a Soru. Il centrodestra annaspa, perché i Sardi hanno già sperimentato che la deriva sardo-leghista e il centrodestra italiano significano più ricchezza per qualcuno in Italia e in Europa, ma sempre più povertà e spopolamento per la Sardegna.

Tra i candidati per la presidenza, la levatura politica e il progetto di Renato Soru sono senza rivali. Siccome siamo in un regime a democrazia fortemente limitata, la stampa lo svantaggia, preferendogli le coalizioni italiane, sostenute dalle incursioni in Sardegna di leader romani e lombardi. I capi della politica continentale, come al solito, arrivano con lo spirito dei padroni che devono controllare le loro “piantagioni di cotone”. Scortati da scarse truppe cammellate stanno poco in strada. Preferiscono le redazioni giornalistiche e le riunioni con i notabili, durante le quali ricordano a noi Sardi che siamo poveri, con tante emergenze, che la Sardegna è bella, che dobbiamo votare per i loro fedeli luogotenenti.

Renato Soru non aspetta nessuno, se non noi Sardi. Nei suoi 100 confronti con le comunità sarde, ha ascoltato, ha preso appunti, ha spiegato la sua visione di Sardegna, sapendo anche entrare nei dettagli di come si potrebbe migliorare l’amministrazione.

Soru riprende, ma avendolo aggiornato profondamente, il progetto politico per la Sardegna che lo portò alla vittoria delle regionali del 2004. Un’idea di Sardegna già allora avanzatissima, osteggiata dai centri di potere del suo partito d’origine, che oggi ripropone all’insegna di “mai più con i partiti del bipolarismo italiano”.

Ci vorrà un po’ di tempo prima che lo capiscano le elite chiuse nelle loro torri (romane) d’avorio, ma la scelta di Soru ha minato il potere centralista e coloniale, che opprime la Sardegna.

Al di là di quali saranno i nuovi rapporti di forza dopo il voto, il progetto politico di Soru ha già vinto con l’apertura di un varco, la creazione di uno spazio politico autonomo sardo, laddove noi sardi dobbiamo impegnarci per rompere le dipendenze e costruire il nostro futuro.

Claudia Zuncheddu – Sardigna Libera

 

 

Un'alternativa per la Sardegna nel 2025

Ricostruire la genealogia dei guasti portati dal "bipolarismo" in Sardegna sarebbe lungo, doloroso e, per i lettori del nostro sito, inutile. Da Solinas a Truzzu a Todde, i nominati dal centrodestra e dal centrosinistra si sono già rivelati quello che sono: figuranti messi lì da qualcun altro, a tutela di interessi che non sono certo quelli della Sardegna. Pubblichiamo integralmente una breve nota di oggi della presidenza di Autonomie e Ambiente sulla necessità della costruzione di qualcosa di nuovo: un progetto di autogoverno per la Sardegna, adatto al XXI secolo.

𝑮𝒍𝒊 𝒂𝒕𝒕𝒊 𝒑𝒂𝒓𝒍𝒂𝒏𝒐 𝒄𝒉𝒊𝒂𝒓𝒐: 𝒍𝒂 𝒑𝒓𝒆𝒔𝒊𝒅𝒆𝒏𝒕𝒆 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒂 𝑹𝒆𝒈𝒊𝒐𝒏𝒆 𝑨𝒖𝒕𝒐𝒏𝒐𝒎𝒂 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒂 𝑺𝒂𝒓𝒅𝒆𝒈𝒏𝒂 𝑨𝒍𝒆𝒔𝒔𝒂𝒏𝒅𝒓𝒂 𝑻𝒐𝒅𝒅𝒆 𝒆 𝒊𝒍 𝒔𝒖𝒐 𝒄𝒐𝒎𝒊𝒕𝒂𝒕𝒐 𝒆𝒍𝒆𝒕𝒕𝒐𝒓𝒂𝒍𝒆 𝒉𝒂𝒏𝒏𝒐 𝒗𝒊𝒐𝒍𝒂𝒕𝒐 𝒍𝒂 𝒍𝒆𝒈𝒈𝒆 10 dicembre 1993, n. 515 𝒊𝒏 𝒎𝒐𝒅𝒐 𝒔𝒐𝒔𝒕𝒂𝒏𝒛𝒊𝒂𝒍𝒆 𝒆 𝒏𝒐𝒏 𝒇𝒐𝒓𝒎𝒂𝒍𝒆.
𝑳𝒂 𝒑𝒐𝒕𝒓𝒂𝒏𝒏𝒐 𝒄𝒆𝒓𝒕𝒂𝒎𝒆𝒏𝒕𝒆 𝒕𝒊𝒓𝒂𝒓𝒆 𝒑𝒆𝒓 𝒍𝒆 𝒍𝒖𝒏𝒈𝒉𝒆 𝒄𝒐𝒏 𝒓𝒊𝒄𝒐𝒓𝒔𝒊 𝒆 𝒂𝒍𝒍𝒐𝒏𝒕𝒂𝒏𝒂𝒏𝒅𝒐 𝒏𝒆𝒍 𝒕𝒆𝒎𝒑𝒐 𝒊𝒍 𝒑𝒓𝒐𝒄𝒆𝒅𝒊𝒎𝒆𝒏𝒕𝒐 𝒅𝒊 𝒅𝒆𝒄𝒂𝒅𝒆𝒏𝒛𝒂 𝒂 𝒍𝒐𝒓𝒐 𝒓𝒊𝒔𝒄𝒉𝒊𝒐 𝒆 𝒑𝒆𝒓𝒊𝒄𝒐𝒍𝒐.
𝑵𝒆𝒍 𝒇𝒓𝒂𝒕𝒕𝒆𝒎𝒑𝒐 𝒈𝒍𝒊 𝒂𝒎𝒊𝒄𝒊 𝒆 𝒈𝒍𝒊 𝒂𝒔𝒔𝒐𝒄𝒊𝒂𝒕𝒊 𝒅𝒊 𝑨𝒖𝒕𝒐𝒏𝒐𝒎𝒊𝒆 𝒆 𝑨𝒎𝒃𝒊𝒆𝒏𝒕𝒆 𝒊𝒏 𝑺𝒂𝒓𝒅𝒆𝒈𝒏𝒂 𝒊𝒏𝒕𝒆𝒏𝒔𝒊𝒇𝒊𝒄𝒉𝒆𝒓𝒂𝒏𝒏𝒐 𝒊𝒍 𝒅𝒊𝒂𝒍𝒐𝒈𝒐 𝒄𝒐𝒏 𝒍𝒂 𝑪𝒐𝒂𝒍𝒊𝒛𝒊𝒐𝒏𝒆 𝑺𝒂𝒓𝒅𝒂, 𝒍𝒆 𝒇𝒐𝒓𝒛𝒆 𝒄𝒊𝒗𝒊𝒄𝒉𝒆, 𝒊 𝒄𝒐𝒎𝒊𝒕𝒂𝒕𝒊 𝒍𝒐𝒄𝒂𝒍𝒊, 𝒊 𝒑𝒓𝒐𝒎𝒐𝒕𝒐𝒓𝒊 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒂 𝑷𝒓𝒂𝒕𝒐𝒃𝒆𝒍𝒍𝒐24, 𝒑𝒆𝒓 𝒄𝒐𝒔𝒕𝒓𝒖𝒊𝒓𝒆 𝒖𝒏𝒂 𝒗𝒆𝒓𝒂 𝒂𝒍𝒕𝒆𝒓𝒏𝒂𝒕𝒊𝒗𝒂 𝒔𝒂𝒓𝒅𝒂.
𝑪𝒐𝒏 𝒊 𝒓𝒂𝒑𝒑𝒓𝒆𝒔𝒆𝒏𝒕𝒂𝒏𝒕𝒊 𝒅𝒆𝒍 𝒄𝒆𝒏𝒕𝒓𝒂𝒍𝒊𝒔𝒎𝒐 𝒓𝒐𝒎𝒂𝒏𝒐 𝒄𝒐𝒏 𝒊𝒍 𝒄𝒆𝒏𝒕𝒓𝒐𝒅𝒆𝒔𝒕𝒓𝒂 𝒆 𝒄𝒐𝒏 𝒊𝒍 𝒄𝒆𝒏𝒕𝒓𝒐𝒔𝒊𝒏𝒊𝒔𝒕𝒓𝒂 𝒔𝒊 è 𝒕𝒐𝒄𝒄𝒂𝒕𝒐 𝒊𝒍 𝒇𝒐𝒏𝒅𝒐.
𝑳𝒂 𝑺𝒂𝒓𝒅𝒆𝒈𝒏𝒂 𝒉𝒂 𝒃𝒊𝒔𝒐𝒈𝒏𝒐 𝒅𝒊 𝒖𝒏 𝒑𝒓𝒐𝒈𝒆𝒕𝒕𝒐 𝒑𝒐𝒔𝒊𝒕𝒊𝒗𝒐, 𝒑𝒓𝒐𝒑𝒐𝒔𝒊𝒕𝒊𝒗𝒐, 𝒄𝒐𝒎𝒑𝒆𝒕𝒆𝒏𝒕𝒆, 𝒊𝒏𝒄𝒍𝒖𝒔𝒊𝒗𝒐, 𝒅𝒊 𝒂𝒖𝒕𝒐𝒈𝒐𝒗𝒆𝒓𝒏𝒐 𝒂𝒅𝒂𝒕𝒕𝒐 𝒂𝒍 𝑿𝑿𝑰 𝒔𝒆𝒄𝒐𝒍𝒐.
 
𝑨𝒖𝒕𝒐𝒏𝒐𝒎𝒊𝒆 𝒆 𝑨𝒎𝒃𝒊𝒆𝒏𝒕𝒆
 
Olbia 7 gennaio 2025
 
Per mettersi in contatto con Autonomie e Ambiente in Sardegna si faccia riferimento a Silvia Lidia Fancello: