Giovedì 18 maggio 2023 a Olbia in Sardegna si è tenuto un convegno sull'autonomia che vorremmo. L'incontro è stato coordinato da Lucia Chessa (segretaria RossoMori). Sono intervenuti il prof. Omar Chessa (costituzionalista dell'Università di Sassari), l'ing. Fernando Codonesu (attivista autonomista, in particolare per l'autonomia energetica), Francesco Desogus (RossoMori), Silvia "Lidia" Fancello, rappresentate di Autonomie e Ambiente e di Alleanza Libera Europea (ALE-EFA) in Sardegna. Non è stato l'ennesimo incontro di lamentazione sugli sconclusionati e irrealizzabili progetti leghisti. Silvia Fancello ha portato lo spessore politico-culturale di quanto AeA ha raccolto nel Forum 2043 e la determinazione con cui Autonomie e Ambiente intende realizzare la Repubblica delle Autonomie. Pubblichiamo qui la traccia dell'intervento di Fancello.

“LA PACE NEL MONDO”, IL PRESIDENZIALISMO E LE AUTONOMIE
Intervento di Silvia "Lidia" Fancello
Immaginiamoci di essere in un film americano in cui la protagonista, una giornalista con molto senso critico, descrive le dinamiche dei concorsi di bellezza. Essa nota come le vincitrici delle competizioni, al ritiro del premio, nello sforzo di sembrare non solo belle, ma anche intelligenti ed empatiche, pronuncino la fatidica risposta alla fatidica domanda:
- Quale sarebbe il tuo desiderio? –
- La pace nel mondo! – rispondono le protagoniste eccitate e commosse fino alle lacrime mettendo in pericolo il trucco.
Un appello ruffiano, banale e purtroppo astratto rispondente ad un’idea ingenuamente buonista, molto stelle e strisce, di vago benessere generale, ovviamente priva di ogni ancoraggio a un contesto reale, senza la minima comprensione della purtroppo drammatica scena mondiale.
Adesso molti leader politici, in testa la presidente del consiglio Giorgia Meloni, vanno ripetendo oramai da settimane un mantra: “la stabilità del governo”.
Una frase magica che mette d’accordo tutti, come mette d’accordo “la pace nel mondo”.
C’è qualcuno che non vorrebbe la pace nel mondo, l’armonia e la serenità?
E c’è qualcuno di coloro che fanno politica che sono contrari alla stabilità del governo?
Magari qualcuno all’opposizione la desidera, ma se interrogato pubblicamente, non può che convenirne.
La “governabilità” è la parola chiave, contro la quale neanche il politico più oppositivo dell’opposizione si permetterebbe di contestare, perché la stabilità oggettivamente, ti consente di avviare percorsi lunghi di riforme, mettere in atto le leggi e valutarne la bontà nel tempo.
Dunque servendosi di questo concetto tanto nobile quanto astratto, la nostra premier ha avviato le consultazioni perfino con i leader delle opposizioni, per chiedere loro quanto siano disposti a sostenere una riforma della legge elettorale che consenta l’elezione diretta del presidente del consiglio, in nome della governabilità.
Nonostante si sia di fronte ad una sottrazione di democrazia a causa di una legge elettorale (i cui nomi via via assunti la dicono lunga sulla sua validità: Porcellum, Rosatellum ecc…), la quale rende impossibile per i territori eleggere i propri candidati in parlamento, anziché correggere questo sistema elettivo, si passa a discutere direttamente dell’elezione diretta del presidente.
Dietro questa manovra c’è una aspirazione molto chiara: concentrare in una sola figura ancora più potere, togliendolo a ciò che resta del Parlamento, ai territori e alla società, liberandosi dagli intralci e dai rallentamenti del nostro bicameralismo e anche di ciò che rimane delle attuali Autonomie.
Per dirla in breve, l’aspirazione è governare senza scocciature, dove per scocciature si intendono le inevitabili e noiose lungaggini istituzionali.
Lungaggini che devono essere una vera tortura per chi coltiva una visione unitaria e centralista del potere, una tale tortura da partorire l’idea perfino di un “sindaco d’Italia".
Facendo leva su certi sondaggi, alimentati peraltro da un conformismo mediatico monocorde, i leader degli attuali partiti, di destra ma anche di centro e di sinistra, si dichiarano tutto sommato disponibili a tali progetti di elezione diretta.
Come si fa a dire no alla pace nel mondo d’altronde?
C’è una classe politica a destra, al centro e anche a sinistra che sta scherzando col fuoco dove per fuoco si intende il centralismo autoritario.
Eppure siamo usciti da poco dal periodo in cui, in nome dell’emergenza, facendo leva su timori legittimi, abbiamo assistito a importanti sottrazioni di libertà e qualcuno deve avere capito bene quanto sia facile in Italia (e la Sardegna non fa eccezione), fomentare le paure, le più disparate e disperate reazioni, per proporsi poi come dispensatori dell’unica salvezza possibile…
Oggi qui, a nome di “Autonomie e Ambiente”, un coordinamento di sigle autonomiste e decentraliste, civiche e ambientaliste, attive in tutti i territori della Repubblica, ribadiamo che ci opporremo in ogni modo a questa deriva accentratrice di potere.
Occorre avere il coraggio di mettersi di traverso, opporsi alla narrazione accettata per stanchezza e per opportunismo, occorre smetterla di strizzare l’occhio a una parte ormai consistente dell’elettorato votante che è stata “educata” a essere populista, grazie alla superficialità dispensata a piene mani, per decenni, dall’alto – l’Italia è un caso emblematico in cui il populismo è stato calato dall’alto, da capi come Berlusconi, Renzi, Salvini, più che salito dal basso, con buona pace degli amici pentastellati, i quali anche loro hanno visto la loro sigla diventare una piramide finita in mano a un opaco vertice.
Noi abbiamo il coraggio di dire no, abbiamo il coraggio di andare in una direzione contraria al presidenzialismo.
Noi, le Autonomie le pretendiamo per tutti i territori, tutti nessuno escluso, perché nessuna regione è migliore di un’altra e perché nessuna regione ha più diritto di un’altra ad autogovernarsi.
Sui progetti di autonomia differenziata abbiamo già speso parole chiare (si vedano gli interventi nel nostro Forum 2043).
Il DDL Calderoli, è semplicemente irrealizzabile e infatti esso, in quanto tale, non è un pericolo, ma solo uno specchietto delle allodole per padani in preda a una crisi di nervi.
Che non sia un pericolo lo dimostra perfino l’ultima "bocciatura" di 48 ore fa da parte degli uffici del Senato.
Calderoli oggi porta avanti l’ultima pagliacciata di una Lega che non sa più cosa inventarsi, governata da capi in preda a gravi dissonanze cognitive, che vorrebbero essere autonomisti, ma sostengono il presidenzialismo; che parlano di autonomie, pur essendo centralisti in un governo centralista.
Naturalmente non ci basiamo solo sui corto circuiti leghisti, per affermare questo, ma ad un’analisi seria di tale proposta si può senz’altro affermare che:
- Non c’è alcun progetto concreto di attuazione dell’art. 119 della Costituzione - I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni dovrebbero avere tutte un’autonomia di entrate e di uscite, peraltro osservando i vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea – una chimera impossibile senza un gigantesco processo italiano ed europeo di territorializzazione delle imposte
- Non contiene la più pallida idea di come potrebbe essere il fondo “perequativo”, quello disposto dal terzo comma dello stesso art. 119 (infatti non se ne parla proprio in nessuna sede!)
- Non c’è alcuna possibilità concreta di attuarla nei tempi stabiliti - Le vere autonomie, per esempio quella del Trentino, hanno richiesto cinquanta anni di estenuanti trattative fra stato e regione, con sacrifici e prese di responsabilità da parte dei territori, ma alla fine, fra le migliori attuate in Italia; cinquanta anni, non cinque mesi!
- Non c’è alcuna concreta possibilità di decidere per tutti in via astratta e generale, quali possano essere i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), perché ogni territorio ha le proprie peculiarità, così come le comunità e le persone (basti pensare alla più semplice delle differenze, in campo sanitario, quella fra maschi e femmine); la Commissione Cassese, se mai partisse, partorirà qualche dichiarazione di principio, qualche rassicurante raccomandazione su cose perfino banali, ovvero quei diritti che ormai anche l’unione Europea cerca di garantire a chi viaggia per lavoro o studio; dopo di che, chiusi i lavori, non se ne farà nulla
Di fronte a questo nulla politico e giuridico, le forze politiche di Autonomie e Ambiente non ritennero di aderire alla proposta di riforma del Titolo V del 2001, con legge di iniziativa popolare, di cui il prof. Villone è stato il primo firmatario.
Questo pur nobile tentativo di correggere il testo costituzionale, oggi, in quali mani finirebbe?
Domandiamoci chi ne trarrebbe vantaggio proprio in questo momento di emergenza democratica, in questi giorni in cui si parla di elezione diretta del presidente del consiglio, cioè di una pericolosa deriva centralista?
Chiediamoci quale formidabile arma si sta mettendo in mano a coloro che vogliono blindare la costituzione contro aspirazioni autonomiste? Si combattono nuove improbabili autonomie differenziate, ma certamente si mettono in pericolo quelle consolidate, legittime e purtroppo ancora in gran parte inattuate.
Quelle autonomie autentiche, quelle che richiedono assunzione di responsabilità.
Quelle autonomie calibrate sull’esigenza di ogni territorio.
Quelle che chiedono la piena solidarietà fra tutte le regioni, non certo ridicole e incompetenti rivendicazioni di risorse (secondo alcuni inattendibili schemi fiscali alcuni territori hanno più industrie, più fatturati, più risorse, certo, ma, come ci mostrano le cronache delle ultime ore, a ritrovarsi territorio in emergenza e bisognoso di aiuto, a seguito di una calamità, è un attimo).
Riteniamo che, l’unica stabilità possibile e l’unica governabilità che possiamo accettare sia quella del decentralismo, della ridistribuzione dei poteri agli enti locali, dell’assunzione di responsabilità, territorio per territorio, in un quadro normativo che prevenga i conflitti di competenze, impedisca le rendite di posizione, assicuri a tutti non solo e non tanto i diritti, ma il dovere di conservare la propria terra, con tutte le sue diversità e consegnarla alle generazioni future.
Dai fatti invece risulta che una classe politica tutta ha dimenticato che esistono la Costituzione, gli Statuti e, non in ultimo, lo Statuto speciale della Sardegna.
Uno Statuto che per quanto imperfetto è comunque uno strumento da attuare fino all'ultima riga.
Perché le Autonomie non sono altro che questo, strumenti da usare per amministrare bene i propri territori e non serve ottenerle se poi si fa finta che non esistano, essendo più comodo ubbidire e inchinarsi a Roma piuttosto che assumersi la responsabilità di fare sentire la voce della propria terra e lottare per essa.
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