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Ambientalismo

Autonomie e Ambiente in tutti i territori - Incontro con la segreteria

A seguito del notevole interesse riscosso dal contributo di OraToscana al Forum 2043 sulla dignità e i poteri del consigliere comunale, Mauro Vaiani, membro della segreteria interterritoriale, ha accettato di commentarlo, affrontando anche altri temi d'attualità, nella nostra resistenza al centralismo autoritario e, nell'attualità politica, al presidenzialismo. La sintesi della conversazione, rivolta a tutti gli amministratori locali civici, ambientalisti, autonomisti, è una occasione per uno sguardo d'insieme sulla rete Autonomie e Ambiente. La sorellanza è uno strumento politico ed anche elettorale (per combattere le leggi elettorali ingiuste, che impediscono alle comunità di eleggere i loro leader locali). Sotto la guida del Patto per l'Autonomia, vogliamo incidere, non in solitudine ma insieme ad altre forze civiche, ambientaliste, localiste, riformiste, sul futuro della Repubblica delle Autonomie e, ancora di più, per una nuova Europa delle autonomie personali, sociali, territoriali, a partire dalle elezioni europee del maggio 2024. Undici minuti di ascolto.

 

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Fare rete in Sardegna e ben oltre

 

Olbia 20 novembre 2021

 

Gentilissimi e gentilissime partecipanti al convegno indetto dall’Assemblea Natzionale Sarda (ANS),

 

in occasione dell’incontro con la presidente dell’Assemblea Nacional Catalana (ANC), Elisenda Paluzie, vi scrivo, impossibilitata a presenziare, in qualità di osservatrice ALE-EFA e delegata di Autonomie e Ambiente.

Vi trasmetto i saluti e gli auguri di buon lavoro della presidente ALE-EFA Lorena Lopez De La Calle e del presidente di Autonomie e Ambiente Roberto Visentin, oltre ai miei personali.

La storia della Catalogna, come territorio autonomo che aspira e quindi lotta per il pieno autogoverno in una Europa confederale, è esemplare e dovrebbe essere d’ispirazione per la Regione Autonoma della Sardegna e per tutti gli altri territori della Repubblica Italiana che aspirano all’autodeterminazione.

La repressione anti-catalana deve essere approfondita e ben compresa da tutti noi. Noncisi può nascondere che tale repressione sia sostenuta in molti modi, espliciti o sotterranei, dalle forze del centralismo sia in Italia che in Europa.

La Repubblica Italiana e l’Unione Europea, come dimostrato una volta di più dall’uso del mandato di cattura europeo come armapoliticaimpropria contro gli esuli catalani, sono percorse da pulsioni autoritarie e centraliste, ma la nostra ammirazione per il percorso deiCatalani non deve fermarsi alla valutazione dei risultati da loro ottenuti, tralasciando l’analisi del metodo seguito per ottenerli.

È necessario capire le fasi del percorso, composto di dialogo, unità di intenti, piccole e grandi strategie e che ha portato la Catalogna a sfiorare il Sogno indipendentista.

Lo loro capacità di crescere, rinnovarsi, fare rete con le forze civiche, ambientaliste, territoriali e locali, spiega molti dei loro risultati.

Alla luce di questo oggi,anchein questa assemblea si possono gettare le basi per un nuovo percorso, che vada verso la maturità dell’autodeterminismo sardo,il qualedeve passare necessariamente dalla celebrazione delle altrui vittorie alla programmazione delle proprie,che sianovittorie a breve, a media, o a lunga scadenza.

La pluralità delle forze che aspirano all’autogoverno della Sardegna è una ricchezza che va incanalata nella capacità di fare squadra, rammentando che il nostro unico avversario storico è il centralismo.

Infine l’auspicio è che il mondo autodeterminista sardo volga lo sguardo anche a quei territori della penisola italiana che soffrono degli stessi mali della nostra terra, che aspirano a forme più o menoavanzatedi autogoverno, che come noi detengono un patrimonio culturale e linguistico oramai a rischio.

Non è da sottovalutareche un lavoro politico comune, tra forze delle diverse nazioni e territori,ci consentirebbe di esercitare maggiori pressioni sulla Repubblica Italiana,anche per una riscrittura della Costituzione in terminipiù avanzati nella direzione dell’autogoverno dei suoi popoli e territori.

Lo statuto della nostra regione è oramai obsoleto,dopo esser stato in gran parte tradito,mentre lo stato italiano sta riguadagnando terrenoin ogni materia.

Sono convinta che sia necessario ristabilire i termini dei rapporti fra stato e regione e sono altresì convinta che non si possa aspirare all’indipendenza se non si è capaci di praticare l’autonomia.

Con l’augurio di un proficuo lavoro vi saluto e vi abbraccio.

Silvia Lidia Fancello

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Friuli paese antico e nuovo d'Europa

  • Autore: Clape di culture Patrie dal Friûl - 17 marzo 2023

La storia del Friuli è stata condizionata dalla sua posizione, all’intersezione tra il punto più settentrionale del Mediterraneo e la porta d’ingresso da Oriente alla penisola italiana. In corrispondenza di tale crocevia sono fiorite le tre grandi città portuali che hanno segnato la storia del Friuli: Aquileia, Trieste e la vicina Venezia.

La formazione del Friuli come entità storico-politico-culturale si può far risalire all’epoca longobarda (sec. VI-VIII). A Occidente il confine del Friuli lungo la valle del Piave e il corso del Livenza si è stabilizzato da secoli, mentre ad Oriente vi sono sempre state più incertezze, a causa della non coincidenza tra confini geografici, etnici, socio-economici e politico-militari.

Sulla formazione della lingua friulanavi sono teorie diverse. Secondo quella più tradizionale, essa sarebbe il risultato dell’influenza del sostrato celtico sul latino qui portato dai coloni romani, e quindi avrebbe oltre duemila anni; mentre, secondo altre, essa si sarebbe formata mille anni più tardi, nel contesto di relativo isolamento dal resto d’Italia della realtà politica autonoma del Principato patriarcale di Aquileia.

L’identità e le istituzioni friulano sopravvissero in parte anche sotto la dominazione veneziana, iniziata nel 1420. La grandissima maggioranza della popolazione ha continuato a il friulano, ed esistono anche fin dal XIV secolo documenti letterari scritti in tale lingua, anche se, come è avvenuto per molte altre nazioni, è solo nell’Ottocento che si avvia una robusta tradizione letteraria e la lingua diviene la base principale dell’identità territoriale.

Dopo le tragedie delle guerre mondiali e del regime fascista, nella nuova Repubblica si avviano i movimenti per il riconoscimento dei Friulani come comunità con pieno diritto all’autonomia politico-amministrativa e alla tutela della propria lingua.

Quest’istanza è divenuta più impellente a partire dagli anni ’70 e ha trovato una debole accoglienza da parte delle istituzioni solo alla fine dello scorso secolo.

La lingua è certamente uno dei fondamenti dell’identità friulana, ma si deve anche ribadire che per secoli il senso di appartenenza al Friuli ha avuto un carattere piuttosto politico-territoriale che linguistico. L’identità collettiva è un fenomeno complesso, multidimensionale. Accanto alla lingua, al territorio, all’organizzazione politica, giocano anche fattori più latamente culturali: costumi, riti, tradizioni, senso della storia e del destino comune, coscienza e volontà.

È ancora vivo, e prevalente in certi ambienti, un ‘idealtipo’ di friulano elaborato nel corso dell’Ottocento, che ha avuto nell’ ‘ideologia’ della Società Filologica Friulana la sua codificazione: il tipo (o stereotipo) del friulano «salt, onest, lavoradôr», essenzialmente modellato sulla figura archetipa del felix agricola, del ‘buon contadino’, con in più un’enfasi sul ruolo di queste terre di bastione della civiltà romana contro il mondo tedesco e slavo che preme dai confini.

Dall’ampia produzione letteraria, ideologica e saggistica sul carattere dei Friulani, fiorita in quest’ultimo secolo, ad opera sia dei Friulani stessi che di osservatori esterni, sembra di poter inferire un modello a cinque dimensioni. Il popolo friulano si caratterizzerebbe quindi per essere:

1. un popolo contadino, e quindi attaccato alla terra, vicino alla natura; organizzato in salde strutture familiari e in piccole comunità di paese; laborioso, ma anche dotato di capacità imprenditoriali; tradizionalista e fedele alla parola data;

2. un popolo cristiano, e quindi credente, inserito nella grande tradizione cattolica, dotato delle virtù della semplicità, dell’umiltà, dell’austerità, della capacità di sopportare con pazienza e fermezza le prove della vita;

3. un popolo nordico, quindi forte, grave, lento, taciturno, disciplinato, con senso dell’organizzazione e della collettività, ma con un sottofondo di tristezza esistenziale che trova conforto, oltre che nella laboriosità, anche nel vino, ed espressione nel canto corale;

4. un popolo di frontiera, collocato in una posizione esposta a rischi, temprato da una lunghissima storia di invasioni, saccheggi e battaglie; ma anche con la possibilità di aprirsi e relazionarsi positivamente con i vicini di altre culture, di mescolarsi con essi, di accoglierli ed esserne accolto;

5. un popolo migrante, perché nella modernità lo squilibrio tra popolazione e risorse costringe una quota di persone ad allontanarsi dalla patria, per cercare lavoro e sopravvivenza in altri paesi.

Nel dolore della partenza si rafforza l’amore, e nei disagi della lontananza si consolida un’immagine idealizzata del proprio paese. Nelle comunità di arrivo si ricreano ifogolârs e si mantengono la lingua e le tradizioni.

Tuttavia è da sottolineare che questo modello riflette, prevalentemente, una realtà storico-sociale abbastanza circoscritta: quella del Friuli grosso modo tra il 1870 e il 1970.

Ben poco possiamo dire della realtà più antica, medievale, perché la documentazione storico-archeologica sulla vita del popolo minuto è scarsissima, quasi inesistente. Le masse contadine sono ‘senza storia’, per definizione.

L’immagine dei Friulani che invece ci viene comunicata dalla documentazione storica dell’Evo moderno (secc. XV-XIX) è invece abbastanza diversa da quella tardo ottocentesca: il popolo friulano (cioè, in grandissima parte, i contadini) ci viene descritto spesso come riottoso, violento, neghittoso, indisciplinato. È certo l’immagine che ne hanno i padroni e i tutori dell’ordine, tendenti a enfatizzare questi aspetti negativi (lo stereotipo del villain, cioè del ‘cattivo’) più che quelli di segno opposto. Ma vi sono anche molte prove inoppugnabili di questo lato del carattere friulano di qualche secolo fa: storie di liti, banditismo, delitti, tumulti e insurrezioni. Per tutte, basti menzionare la «crudel zobia grassa» del 1511, la più violenta, prolungata ed estesa rivolta contadina dell’Italia rinascimentale.

Ovviamente queste speculazioni identitarie riflettono ormai assai poco il Friuli degli ultimi decenni, quello del dopo terremoto del 1976: un territorio altamente sviluppato, ricco, secolarizzato e mediatizzato. Un Friuli dove le masse di contadini non esistono più, sostituite da un 5% di moderni imprenditori agricoli; dove le campagne sono cosparse di insediamenti industriali; dove la maggioranza degli attivi è impiegata nel terziario, più o meno avanzato; dove resta l’emigrazione dei giovani laureati e dove è in corso l’immigrazione di gente proveniente da una settantina di paesi di tutto il mondo.

L’autonomismo in Friuli presenta caratteristiche originali, rispetto ad altri territori che erano, prima dell’unificazione, veri e propri stati, o almeno unità amministrative separate. Il problema friulano è stato quello di lottare per vedersi riconoscere una entità istituzionale e rappresentativa propria, senza farsi diluire in realtà amministrative o istituzionali eterogenee, ove comunque i centri di decisione erano e sono collocati all’esterno della realtà friulana, con la conseguenza che il proprio futuro è stato costantemente messo in discussione o comunque compromesso da logiche di potere politico, economico e culturale esterne e spesso contrapposte agli interessi friulani.

Mentre altrove, come in Trentino, in Val d’Aosta, in Alto Adige, in Catalogna, in Baviera, le realtà istituzionali sono state, da un certo punto in poi, saldamente controllate dalle rispettive comunità, da secoli il Friuli è stato inserito in ambiti territoriali eterogenei dove comunque i centri di decisione erano collocati al suo esterno: a Venezia per secoli, poi nell’era degli stati moderni nelle rispettive capitali, infine nella nuova Repubblica in una regione dotata sì di autonomia speciale ma il cui baricentro politico è Trieste.

L’autonomismo friulano ha dovuto pertanto muoversi verso la ricostruzione di una realtà istituzionale friulana, dotata di strumenti funzionali alla sua sopravvivenza come patrie.

Certamente sono importanti le azioni dirette ad elevare i gradi di autonomia della Regione Friuli Venezia Giulia, sorta ad opera dell’impegno delle rappresentanze parlamentari del Friuli in seno alla Costituente, che poi è stato stravolto dall’esigenza di attribuire un ruolo all’allora Territorio libero di Trieste, ma ancora più importanti sono le iniziative e le politiche dirette alla crescita autonoma del Friuli come entità dalle caratteristiche originali.

Il percorso cui l’autonomismo friulano ha dato contributi importanti passa attraverso numerose tappe di cui tre sono fondamentali: la costituzione della Università di Udine come autonomo centro di formazione e di ricerca, risultato di un lungo processo storico condotto avanti con tenacia dalla comunità e dalle istituzioni friulane; il riconoscimento della lingua friulana da parte dello stato italiano con la legge 482/1999, con il quale il friulano è passato da uno stato indefinito di parlata locale, il cui carattere di lingua era riconosciuto solo a livello scientifico, al rango di lingua degna di forme importanti di sostegno e di tutela, alla pari delle comunità linguistiche che hanno alle loro spalle uno stato sovrano (la tedesca, la francese, la slovena, l’albanese, la greca); infine la costituzione della Comunità delle Province Friulane, a cura delle Province di Pordenone e di Udine, che potrebbe trasformarsi in un potente strumento di crescita della comunità friulana.

Questi risultati sono il frutto di un lungo lavoro di animazione e di impegno politico portato avanti da personaggi importanti che hanno dato vita a organizzazioni e movimenti politici di notevole peso.

Si pensi alle prime iniziative lanciate da Achille Tellini negli anni Venti, alla costituzione nel secondo dopoguerra dell’Associazione per l’Autonomia Friulana di Tiziano Tessitori, al Movimento Popolare Friulano di Gianfranco d’Aronco (la cui costituzione in partito avrebbe potuto cambiare completamente il panorama politico del Friuli), al Movimento Friuli di Fausto Schiavi e di don Francesco Placereani, al Comitato per l’Università Friulana di Tarcisio Petracco, alla Lega Friuli dei primi anni. E questo elenco non è certamente esaustivo.

Da una di queste iniziative, nota come “I laboratori dell'autonomia”, che ha visto l'adesione di tanti sindaci, persone del mondo della cultura e della vita sociale friulana, è iniziato alla fine dello scorso decennio un processo di riappropriazione in termini contemporanei della necessità dell’autogoverno.

L’esito dei laboratori è stata la nascita del “Patto per l'autonomia” un partito territoriale che ha adottato un motto antico, quello pronunciato da Giuseppe Bugatto, deputato friulano al Parlamento di Vienna, il 25 ottobre 1918:

CHE NISSUN DISPONI DI NÔ, SENSA DI NÔ

(CHE NESSUNO DISPONGA DI NOI SENZA DI NOI)

Parole antiche, ma che il Patto ha fatto vivere in una organizzazione moderna, plurale, inclusiva, attenta alle differenze territoriali e culturali di quel microcosmo che è la regione Friuli – Venezia Giulia. Basti pensare che nel Patto sono in uso ben quattro lingue:

Patto per l'Autonomia (italiano)

Pat pe Autonomie (friulano)

Pakt Za Avtonomijo (sloveno)

Pakt für die Autonomie (tedesco delle comunità di Sauris, Timau e Val Canale, da Pontebba a Tarvisi)

Il Patto per l’Autonomia, che si era costituito come movimento politico pochi mesi prima, alle elezioni regionali del 2018 ha ottenuto il 4,09% dei consensi, corrispondenti a 23.696 voti, eleggendo come consiglieri regionali Massimo Moretuzzo e Giampaolo Bidoli.

Il resto è nella cronaca politica dell’ultimo lustro. Il friulano autonomista, civico e ambientalista Moretuzzo (classe 1976, un figlio del Friuli del dopo terremoto), dopo cinque anni di impegno come capogruppo nel parlamento regionale, è oggi candidato presidente, con il sostegno di gran parte del centrosinistra, alle elezioni regionali previste per il 2-3 aprile 2023. Il Patto per l’Autonomia, inoltre, è alla guida, con proprio personale politico esperto, della rete interterritoriale di Autonomie e Ambiente ed è rappresentato nel bureau della famiglia politica europea degli autonomisti e dei territorialisti, la Alleanza Libera Europea (ALE, meglio nota come European Free Alliance, EFA).

Le persone impegnate nel Patto a livello territoriale, statale ed europeo continuano a lavorare politicamente per assicurare un futuro al Friuli, perché sia uno dei paesi nuovi d’Europa e del mondo, in questo XXI secolo.

Udine, 17 marzo 2023

a cura della Clape di culture Patrie dal Friûl (associazione culturale Patria del Friuli) - https://www.lapatriedalfriul.org/

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Hommage à Denis de Rougemont

  • Autore: A cura di Lorenzo Luparia (Nouvelle Tendance Vallée d'Aoste pour le fédéralisme intégral) - Aosta, 3 maggio 2023

 

Hommage à Denis de Rougemont -prophète du liberté, confédéralisme, écologie, paix

(Omaggio a Denis de Rougemont - profeta di libertà, confederalismo, ecologia, pace)

Introduzione

La Francia, pur essendo la patria di Tocqueville e di Proudhon, non è certo stata un terreno fertile per il confederalismo e le autonomie. Eppure anche nell’ “esagono”, anche e forse soprattutto per via del magnetico cosmopolitismo di Parigi, fra le due tragiche guerre mondiali si crea un vivace milieu in cui si discutono principi forti e idee radicali per abolire il "désordre établi" dal militarismo, dall’industrialismo, dalle crisi del capitalismo, dal colonialismo e dall’autoritarismo. Si getta il cuore oltre il terribile presente, per immaginare un futuro in cui sia restituito il giusto riconoscimento alla persona umana libera, nel rispetto delle diversità, contro le dittature di destra e di sinistra, contro "l'Etat-monstre", contro il materialismo. Questi imperativi spirituali spingono verso riflessioni politiche anticentraliste e post-stataliste, per una vita sia sociale che politica organizzata secondo principi di sussidiarietà in comunità non gerarchizzate ma confederate.

Una serie di figure significative partecipa a questa tensione personalista, comunitaria, confederalista, ma anche libertaria, antimilitarista, antitotalitaria: Alexandre Marc, profugo fuggito da Odessa, il cui nome alla nascita era Alexandre Lipiansky; Arnaud Dandieu e Robert Aron, di cultura laica, radicale e proudoniana; Daniel-Rops e Paul Flamand, cattolici; Jean Jardin, maurassiano; Pierre Prévost, operaio anarchico; Claude Chevalley, uno degli scienziati matematici del gruppo Bourbaki; Julien Benda, ebreo assimilato e cosmopolita (che resterà però a lungo illuso dalle suggestioni del comunismo reale); Henri Brugmans, federalista olandese; Emmanuel Mounier e Jacques Maritain, figure di riferimento del personalismo comunitario; Albert Camus, il ribelle antitotalitario, che non imparò il federalismo dai libri, ma dai suoi incontri con Robert-Édouard Charlier, Ignazio Silone, Nicola Chiaromonte.

Queste persone promuovono cenacoli ed iniziative culturali, spesso effimere. In una di esse, l'Ordre Nouveau, convivono il vulcanico neocattolico Alexandre Marc, l’ebreo Robert Aron, il protestante svizzero Denis de Rougemont. La loro collaborazione produce un pensiero che resiste alla crisi politica europea attraverso soluzioni distinte sia dall’ideologia liberale classica sia dall’ideologia comunista. Ordre nouveau annovera tra i suoi membri quelli che saranno i fondatori del movimento federalista per una Europa e per un mondo uniti, contro la minaccia di una terza guerra mondiale, l’antigenesi atomica che porrebbe fine all’umanità.

Denis de Rougemont

Denis de Rougemont (1906 – 1985), anche in quanto filosofo e saggista di lingua francese ma proveniente da un paese concretamente confederale come la Svizzera, dalla cui vicinanza sono influenzati gli autori della Carta di Chivasso, è forse quello che più costantemente, nel secondo dopoguerra, si spenderà per un federalismo integrale come unica alternativa per salvare le autonomie personali e comunitarie nella modernità. Denis de Rougemont, nella Politique de la Personne, definisce i federalisti personalisti “anticapitalisti dichiarati, ma senza adottare la collettivizzazione astratta voluta dai soviet; antinazionalisti e tuttavia patrioti; federalisti sul piano politico europeo e personalisti sul piano morale”. Federalismo e personalismo ritengono che le regole del gioco politico classico siano truccate dal “fatalismo” della destra e dal “volontarismo” della sinistra, entrambe compromesse in stati e politiche invecchiate e arretrate rispetto ai bisogni delle persone e delle comunità.

Per maggiori dettagli sulla straordinaria avventura di vita, le opere, gli impegni personali, professionali, civili e politici di Denis de Rougemont, si rinvia ai collegamenti di approfondimento. Qui ci limitiamo a ricordare qualche spunto che ne rivela la capacità di essere un anticipatore di tematiche decentraliste e ambientaliste più attuali che mai.

L’odierna società è dominata da un “Pensiero Unico”, le cui radici affondano nell’applicazione di una ideologia neoliberista che, applicata all’intero pianeta e a ogni bene umano, finisce per essere mostruosa. Ha provocato la mercificazione e l’asservimento dell’essere umano, nonché l’oblio della dignità della “persona” e delle comunità in cui essa si esprime. La persona, invece, non è solo un “individuo” (dal latino individuus, calco del greco ἄτομος cioè atomo). La persona esiste piuttosto nelle sue relazioni e su un territorio in cui, assieme agli altri, si assume responsabilità.

Contro il “désordre” portato dalla mercificazione di tutto, si staglia la figura del federalista integrale dello svizzero Denis De Rougemont, fautore di una confederazione solidale di popoli, regioni, territori. Ben diversa e anzi da sempre opposta al progetto di “Unione Europea degli stati” sostenuto dalle elite tecno-finanziarie globali. Un regime, quello dei vecchi stati europei e della loro tecnocratica unione, che è sempre troppo alto e lontano per riuscire a prendersi cura del “benessere” e delle aspettative dei suoi cittadini (più che altro le attuali strutture politiche dei centralismi nazionali e del neocentralismo europeo sembrano vedere solo uno sterile e miope “ben-avere”).

Leggere, approfondire, studiare Denis De Rougemont ancora oggi è importantissimo, per riscoprire una interiorità oltre che le potenzialità presenti in ciascuno di noi e nelle nostre comunità, che ci permetteranno di riappropriarci della nostra vita e di influire positivamente sull’avvenire delle generazioni future.

Come scriveva Albert Camus, il nostro compito è essere responsabili e vivere sino in fondo la propria “assurda vita” ed evitare di soccombere a questa tetra sedicente “società civile”, nella quale gli esseri umani non sono altro che atomi distanti tra loro.

Denis De Rougemont, filosofo, sociologo, scrittore, in tutta la sua vita sino alla morte si adoperò per la riscoperta della “persona”, opponendosi ai “Terribles Semplificateurs” che elevano a scopo ultimo il sistema politico degli stati e delle tecnocrazie internazionali, riducendo la creatura umana a mezzo.

Riportiamo l’importante e toccante dialogo tra Denis De Rougemont e Alexandre Marc, avvenuto tre giorni prima della morte di Denis:

Denis De Rougemont: “Non abbiamo ancora fatto grandi cose. Mi ascolti, Alexandre? Non abbiamo ancora fatto nulla. Bisogna ricominciare tutto… e poi andare molto più lontano… cercare l’efficacia, che ci è mancata fino qui. Stai ascoltando?…

E Alexandre Marc risponde: “Benché troppo anziano ora per ricominciare tutto, e cosciente del declino inesorabile della mia energia e della mia efficacia, ti prometto, Denis, che farò del mio meglio per, almeno, sforzarmi di andare un po’ più lontano. Un piccolo passo modesto. Un passo esitante. Un passo da vecchio uomo. Ma abbozzato, tentato, intrapreso, nella buona direzione. Quella da cui ci siamo lasciati volentieri trasportare. E che ci ha spinto ad avviare il passo. Sì, ci ha illuminato, ispirato, e parzialmente guidato. Quella, per dirla tutta, che noi abbiamo voluto. …Verso una luce che non si spegne mai!”.

Alcuni estratti dalla lettera agli Europei

Riportiamo, senza pretese filologiche o antologiche, alcuni brevi estratti della pubblicazione “LETTERA APERTA AGLI EUROPEI” (1970), tradotti in italiano, riguardanti la “visione” di una nuova Europa dei popoli e delle regioni, sostenuta dal paradosso della “persona” eroicamente solitaria ma testardamente solidale.

Europei, Europei!

Abbiamo molto da fare insieme, e senza indugio.

Mi hanno detto che non esisti Europa!

Mi dicono che in Europa ci sono solo francesi, inglesi, tedeschi, svizzeri, albanesi, ecc., e che gli "europei" sono solo una fantasia.

In quanto tale, non esistono “svizzeri”, ma solo cittadini di ventidue stati sovrani chiamati “cantoni”.

Non ci sono francesi, ma bretoni, baschi, occitani, alsaziani, nizzardi, valdostani, piemontesi, borbonesi, toscani, bernesi, savoiardi, lorenesi, corsi e molti altri.

La Francia, la Svizzera e le altre nazioni non sono affatto fantasie, ma realtà ben segnate sulle carte geografiche e delimitate da cordoni doganali.

Tuttavia, sono più transitorie di Bretagna, Castiglia, Scozia o Berna, che certamente sopravviveranno loro.

Il problema si riduce a questo:

– o siete francesi prima e per sempre, o cecoslovacchi, o svizzeri, e credete di dover rifiutare l'unione dell'Europa per questo: ma un giorno scoprirete – o i vostri figli – che non siete più veramente francesi, cecoslovacchi, o svizzeri, che siete solo per titolo onorifico, per cortesia o per semplice routine amministrativa sopravvivendo alle condizioni di fatto, guarda caso, perché sarete invece “americani” o “sovietici” per obbligata fedeltà, economica, sociale o ideologica;

– oppure scegli l'Unione dell'Europa, e trovi l'unica forza capace di salvaguardare il tuo essere nazionale e regionale, i tuoi modi di essere diverso, il tuo diritto a rimanere te stesso.

In altre parole: se non esistete come europei, non esisterete più, o non esisterete a lungo, come francesi, cecoslovacchi o svizzeri.

Sarete colonizzati uno dopo l'altro, e impercettibilmente distorti dal dollaro o dai vostri partiti comunisti, come lo siete stati, non molto tempo fa, dal nazionalsocialismo.

Non esisterai più, per non aver riconosciuto che spetta a te esistere - visto che, in fondo, ci siete già, ci siete tutti da secoli, e si tratta solo di riconoscerlo! Coloro dunque che dicono che non esisti avranno ragione finché manterranno le divisioni. Perché esisterete solo Uniti!.

Si può fare l'Europa?

E come?

L'unione dell'Europa si può fondare sull'unità culturale che forma e che l'ha formata per due o tre millenni.

Vedo che questa unità è paragonabile a quella di un corpo organizzato: è fatta di diversità e tensioni, non è affatto omogenea/omologata.

Vedo che la traduzione di questi dati fondamentali in termini politici di istituzioni non può che essere il “Federalismo”, un metodo di “Unione delle diversità”, radicalmente contrario al metodo di unità attraverso l'uniformità che fu quello di Luigi XIV, dei giacobini, di Napoleone e dei nostri stati totalitari di tutti i colori.

Vedo che la formula sacra, seppur moderna, dello Stato-nazione che pretende di essere assolutamente sovrana (i suoi capi hanno il diritto di far massacrare milioni di uomini e donne in guerre che sono sempre "giuste" per definizione, delle due parti), vedo che questo Stato-Nazione, che conserva nella mente di tutti i nostri uomini di governo l'invincibile realtà di un riflesso condizionato dalla Scuola, dalla Stampa e dall'Esercito, costituisce il dogma centrale di una religione che è radicalmente e per sempre incompatibile con ogni soluzione federalista, cioè con ogni cura al male mortale che essa procura.

È lo stato-nazione che ha creato i tragici problemi dell'Europa – ed è lo stato-nazione che vieta di risolverli.

Fare Europa presuppone quindi il disfacimento dello Stato-nazione a vantaggio delle REGIONI da un lato, e della loro FEDERAZIONE dall'altro, queste due realtà complementari che hanno come fine non il potere collettivo, ma la massima libertà degli individui.

Il pericolo bianco

Di fronte al prevedibile declino o metamorfosi del pericolo rosso, camuffato dai russi da pacifica convivenza - un nome che avrebbe fatto rabbrividire Lenin! — si parla ancora di un pericolo giallo, in attesa del pericolo nero. Ci credo poco. La nostra eclissi non è niente che la nostra cecità nei confronti dei nostri poteri e della nostra vocazione. Agli occhi del mondo esiste un solo grave pericolo: “IL PERICOLO BIANCO”.

La civiltà europea, divenuta globale, è infatti minacciata solo dalle malattie che essa stessa ha prodotto e propagato.

È nelle sue fonti, è al centro della sua vitalità creatrice, è in Europa, che questo pericolo va scongiurato.

Perché ciò che ci minaccia dall'esterno è anche ciò che ci insidia all'interno.

Ciò che i popoli d'oltremare ci oppongono è ciò che noi stessi opponiamo alla nostra vocazione universalista: nominerò il nazionalismo e la superstizione materialista.

Potere o libertà

Queste ricette di saggezza rimarranno nulle fintanto che la “buona volontà europea” mescolerà dichiarazioni inneggianti all'unità con professioni di fede nazionaliste.

Tra l'unione dell'Europa e gli stati-nazione sacri, tra uno dei bisogni umani più concreti e il culto prolungato di un mito, bisogna scegliere.

Per la prima volta nella storia, l'uomo si vede oggi nella condizione di scegliere liberamente il proprio futuro.

Fino ad ora non ci sono state scelte economiche o anche politiche a lungo deliberate, concertate a lungo termine: bisognava lottare per sopravvivere.

Oggi che il necessario è assicurato, lottiamo per il controllo di zone di influenza più ideologiche che commerciali e lavoriamo per il profitto, che in fondo è superfluo.

Ma quando questa scelta del nostro futuro è libera, siamo costretti a farlo, a nostro rischio e pericolo!

Qui siamo costretti a chiederci cosa ci aspettiamo dalla nostra vita e dalla vita in società, cosa vogliamo veramente, principalmente, e costretti a fare progetti di conseguenza.

Vogliamo, ad esempio, elevare a tutti i costi il nostro “tenore di vita” quantitativamente – o vogliamo piuttosto salvaguardare un certo “modo di vivere”, qualitativamente?

Vogliamo contribuire a tutti i costi all'aumento indefinito del PNL (prodotto nazionale lordo) - o piuttosto ricreare un habitat dignitoso, una comunità viva?

E quale prezzo siamo disposti a pagare per questo?

Il prezzo di certe libertà o il prezzo di un nuovo aumento del comfort?

Questi dilemmi si pongono oggi a tutti i popoli avanzati rispetto all'industria e alla tecnologia.

E li costringono a porre domande difficili, persino strazianti, sul senso stesso della vita...

Più specificamente, in Europa, dobbiamo decidere se la nostra unione mirerà al “potere collettivo”o “alla libertà individuale”.

Una regola d'oro del federalismo

Parlando della progressiva costituzione di strutture federali in Europa, Louis Armand (già partigiano francese, brillante ingegnere ferroviario e primo presidente dell’Euratom, ndr) ha recentemente formulato una regola d'oro che trova qui la sua maggiore applicazione:

Sviluppiamo insieme ciò che è nuovo. Lasciamo da parte i retaggi del passato la cui unificazione richiederebbe troppo tempo, richiederebbe troppe energie e solleverebbe troppe opposizioni.

Avevo appena scritto dalla mia parte:

L'unione, per due Stati-nazione, non è mai altro che un ripiego, anche un espediente disperato (come ad esempio l'unione di Gran Bretagna e Francia proposta da Churchill nel giugno 1940), in altre parole: non è mai altro che una dolorosa concessione alla necessità, quando ci si sente troppo deboli o per sussistere da soli, o per dominare e assorbire il prossimo.

Se vogliamo unire l'Europa, dobbiamo partire da qualcosa di diverso dai suoi fattori di divisione, dobbiamo costruire su qualcosa di diverso dagli ostacoli all'unione; operare su un altro piano rispetto a quello, appunto, dove il problema si rivela insolubile.

Dobbiamo basarci su ciò che è destinato a diventare “domani” la vera realtà della nostra società, e con questo designerò un'unità di tipo nuovo, più grande e complessa della città antica, ma più densa, meglio strutturata e capace di offrire un ambiente di partecipazione civica migliore della nazione, come ci ha lasciato in eredità il secolo scorso: LA REGIONE.

Solitario e solidale

Posto così il nostro modello di pensiero federalista a chiave della storia europea, resta da individuare i principali ambiti della realtà moderna, dove ritroviamo le strutture tipiche di un problema federalista.

Alla base della nostra analisi poniamo una concezione dell'uomo analoga al modello bipolare posto dal Concilio di Calcedonia. La persona umana, concetto desunto dai dogmi relativi alle tre Persone divine, e specialmente alla seconda, ci servirà da modulo. La persona umana è l'uomo considerato nella sua duplice realtà di individuo distinto e di cittadino impegnato nella società. Dotato di libertà ma di responsabilità, entrambi solitari e solidali (secondo la parola di Victor Hugo ripresa da Camus), distinto dal gregge da una vocazione il cui esercizio lo collega alla comunità, quest'uomo si costituisce nella dialettica degli opposti, e questo carattere sarà trasmesso a tutti i gruppi che formerà con altri uomini, suoi simili.

Questi gruppi devono essere a loro volta autonomi e uniti: anche per loro l'uno non andrà senza l'altro, molto meglio: l'uno - la solidarietà - sarà la garanzia dell'altro - l'autonomia.

Note finali

Per chi volesse approfondire l’opera e la figura di Denis De Rougemont:

- per iniziare https://it.wikipedia.org/wiki/Denis_de_Rougemont

- il sito a lui dedicato dall’Università di Ginevra https://www.unige.ch/rougemont/

- il testo della lettera agli Europei https://www.unige.ch/rougemont/livres/ddr1970loe

Un ultimo paio di citazioni memorabili di Denis de Rougemont, tratte da «La Suisse, ou l’histoire d’un peuple heureux» (1970):

 

[Citant Victor Hugo en conclusion:]
’’Dans l’histoire des peuples,
la Suisse aura le dernier mot,
encore faut-il qu’elle le dise
’’

« Certes le fédéralisme est le contraire d’un système.
Ce n’est pas une structure abstraite et géométrique,
ce n’est pas un poncif à transporter.
Mais il ne va pas sans principes,
et ceux-ci m’apparaissent susceptibles d’être appliqués
à l’échelle de l’Europe, mutatis mutandis bien entendu:
c’est précisément la méthode du fédéralisme authentique.
»

* * *

A cura di LorenzoLuparia
(Nouvelle Tendance Vallée d'Aoste pour le fédéralisme intégral)

Aosta, 3 maggio 2023

* * *

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L'ambientalismo che è qui per farci vivere

  • Autore: Giannozzo Pucci, Edward Goldsmith e altri - Firenze, 2 agosto 2023 (Earth Overshoot Day)

Il Forum 2043,in occasione della terribile ricorrenza del 2 agosto, l'Earth Overshoot Day,ospitala recensione di “Il clima cambia”,il primo fascicolo italiano della prestigiosa rivista “Ecologist”. Fu pubblicato nel 2004 dalla Libreria Editrice Fiorentina, grazie all’impegno di Giannozzo Pucci, lo storico leader verde fiorentino. E’ stato ristampato quest’estate del 2023, integralmente. Il fascicolo contiene interventi dello stesso Giannozzo Pucci e diEdward Goldsmith,di cui condivideremo qui alcuni estratti, oltre a quelli diFred Pearce, George Marshall, Bill McKibben, Peter Bunyard, Luca Mercalli, Bruno Petriccione, Giampiero Maracchi, Giovanni Menduni, Franco Colombo, Marco Gustin, Maurizio Pallante, Mario Palazzetti, Terence Ward, Craig Dreman, Mycle Schneider e altri.

La ripubblicazione di articoli risalenti a vent’anni orsono non èstatauna operazione nostalgia. E’ il riconoscimento della lungimiranza del lavoro di Ecologist, oltrechè dell’importanza e dell’attualità del tema del cambiamento climatico, che è profondamente e drammaticamenteintrecciatocon la nostra capacità di porre fine, al più presto, alla distruzione della sottile ecosfera abitabile del pianeta, nell’interesse di tutti i viventi e delle generazioni future.

Tra gli articoli presenti in questa ristampa e ancora attuali, troviamo: “La visione dell’Ecologist”;“Il rifiuto e la psicologia dell’apatia climatica”; “Quanto conta l’Amazzonia nel clima del pianeta”; “Profughi ambientali”; “Gli ultimi 10.000 anni: dai ghiacciai ai mandorli”; “Segnali e conseguenze nel territorio toscano”; “Nucleare ed effetto serra”; “Combattere il riscaldamento del globo casa per casa”.

Prima degli estratti dagli scritti di Pucci e Goldsmith, dobbiamo fornire alcuni caveat all’attivista civico, ambientalista, territorialista che frequenta il Forum 2043 e intende risintonizzarsi conla Carta di Chivasso e con80 anni di storia delle lotte per le autonomie personali, sociali, territoriali.

Primo: quello sul clima e sulla sua alterazione anche a causa della nostra troppo grande e troppo pesante impronta sul pianeta (nostra di noioltre sette miliardi di esseri umani e della nostra civiltà tecnologica globale) èun dibattito scientifico difficile e dannatamente serio. Dobbiamo mantenerci ben distinti e distanti sia dal negazionismo dei ciarlatani che non vogliono cambiare nulla degli attuali assetti economici e sociali, sia dal dogmatismo semplicistico e conformista di coloro che credono che esistano già soluzioni e ricette, ovviamente uguali per tutti e dappertutto, che non resti quindi altro da discutere, ma solo da obbedire a ciò che ci viene imposto con toni e modalità emergenziali (magari proprio da multinazionali e poteri forti, che sono ovviamente capaci di condizionare pesantemente la vita politica e le comunicazioni di massa).Purtroppo no, non esistono ancora soluzioni definitive alla crisi ambientale e ai rischi dell’innalzamento, anche lieve, delle temperature medie terrestri. Ogni territorio, ogni comunità locale, ogni leader locale con responsabilità di governo, tutti si devono impegnare per individuare ed adottare quanto prima, misureoriginali e localidi riduzione del danno che stiamo facendo all’ambiente, di mitigazione delle conseguenze più drammatiche della situazione, di adattamento a ciò che, inevitabilmente, anche se smettessimo oggi d’inquinare, è già cambiato.No, non ci salveremo comprando tutti automobili elettriche, per essere brutali. No, il trasporto aereo non può continuare così. No, i trasporti marittimi – crociere comprese – non possono andare avanti come oggi.

Secondo: noi attivisti civici, ambientalisti, territorialisti, siamo ben coscienti deiproblemi gestionali e comunicativi dell’IPCC (https://www.ipcc.ch/, Intergovernmental Panel on Climate Change). E’ un organismo intergovernativo e nessuno, meglio di noi autonomisti e decentralisti, conoscei limiti intrinseci diquesto tipo di tecnocrazie internazionali. Siamo anchebencoscienti delle critiche che si fanno, da molte parti, alle periodiche conferenze internazionali per la protezione dell’ambiente (la prossima sarà la COP 28, negli Emirati, https://www.cop28.com/en/), che spesso appaiono grandi circhi mediatici. Ci sono anche delle discussioni scientifiche, come quelle che vengono dagli scienziati cosiddetti “anticatastrofisti”: Alberto Crescenti, Franco Battaglia, Mario Giaccio, Enrico Miccadei, Giuliano Panza, Alberto Prestininzi, Franco Prodi, Nicola Scafetta (il loro appello può essere letto qui).Una delle loro critiche si fondasull’interpretazione di fatti cheproprio qui nei territori della Repubblica italianasonostoricamente e scientificamente ben conosciuti, comeil “periodo caldo medioevale” (Optimum climatico medioevale) fra il 1000 e il 1300, in cui sarebbe stato caldo quanto e più di oggi. Se l’alternanza, non influenzata da attività umane inquinanti. di periodi freddi e caldi è un fatto, sia chiaro chenessuno dei citati scienziati “scettici” propone di lasciare che la nostra economia globale vada avanti come oggi!Avremo avuto caldo anche nel Medioevo, ma a quel tempo sul pianeta viveva mezzo miliardo scarso di persone, senza concentrazioni insostenibili di ricchezza e potere, senza la capacità distruttiva dellaguerra e dell’oppressionepolitica moderne, senzaarsenali capaci di distruggere il mondo decine di volte,senzaun’economiaindustrialedi rapina e distruzione di risorse non rinnovabili,senzauna cementificazione e una urbanizzazioneselvagge, senzaun ritmo di estinzioni di specie viventi che fa scrivere gli studiosi di “sesta estinzione di massa” nella storia della Terra,senzal’attuale terrificanteinvasione di plastiche e altre sostanze non biodegradabili,che riducono il pianeta a una discarica della nostra follia.Ogni paragonetra le sofferenze che gli esseri umani provocano e soffrono oggi e ogni altro periodo storico pre-industriale, sarebbe semplicemente fallace, ai limiti della dissonanza cognitiva. Quindi, come gli stessi scienziati scettici sostengono, ci resta il dovere di smettere di distruggere la nostra Terra e di porre in atto tutti i cambiamenti necessari al fine di poter lasciare alle generazioni future un pianeta abitabile.

Terzo:i media vanno a caccia di clic, cercano pubblico con narrazioni apocalittiche, alimentano – su ordine dei potenti della Terra – opposte tifoserie in modo che i cittadini si dividano invece che unirsi per cambiare le cose,oppure siano ridotti alla sudditanza a provvedimenti emergenziali, come sempre accade nel centralismo autoritario.Non partecipiamo,quindi, al gioco di chi grida più forte “La fine è vicina”,alimentando ecoansie, estremismi, atteggiamenti millenaristici.Invitiamo,soprattutto i giovani, a esercitare il loro senso critico e a prepararsi a essere dei buoni amministratori locali e attivisti politici, invece che accontentarsi di scioperi salta scuola, raduni lacrimosi, prediche generiche, gesti simbolici (speriamo non più vandalici). La crisi ambientale che stiamo vivendo non può essere risolta con facili moralismi, con il coinvolgimento emotivo, con il pressappochismo, con le operazioni di maquillage o di marketing (spesso abilmente orchestratee quasi mai disinteressate). Occorronoinvece studio, lavoro, impegno politico ed elettorale, coraggio e audacia, capacità e volontà di candidarsi alle elezioni (le poche ancora parzialmente democratiche che qua e là ci sono), ben sapendo che in mille si deve provare e che ben pochi poi saranno eletti e, ancora più difficile, eletti capaci di cambiare le cose.

Quarto (e ultimo per ora):se le ipotesi sui cicli di attività solareanalizzati e spiegati da Valentina Zharkovarisultassero verificati, il mondo potrebbe conoscere una svolta verso il freddo particolarmente severa all’incirca nelperiodo 2030-2050(qui una riflessione divulgativa ma ben scritta sull’ipotesi).Nessuno strumentalizzi questa ipotesi per frenare sulla necessariafine della schiavitù dal fossile o dal fissile. Perché se il caldo fa paura alle nostre città inabitabili e alla nostra agricoltura viziata dalla chimica, nessuno creda che un periodo più frescosi rivelerà menodrammatico.La situazione è già compromessa e dobbiamo rendere la vita umana più sostenibile e più giusta, senza se e senza ma,qui e ora.Una casa ben costruita è più vivibile sia che arrivino eccessi di caldo che di freddo. Una campagna ben coltivata e saggiamente diversificata può produrre cibo buono in ogni stagione.Nella migliore delle ipotesi, speriamo che abbia ragione lo scienziato bolognese Teodoro Georgiadis, che ha sostenuto che un eventuale raffreddamento a metà del XXI secolo, non comporterebbe meno sofferenze, ma forse ci darebbe più tempo per porre fine all’attuale civiltà distruttiva che, letteralmente, “ci fa mangiare petrolio”,come ci disse autorevolmente Luca Pardi,alla II assemblea generale di Autonomie e Ambiente.

Verso un pensiero laico eppure religioso e comunque fraterno
(di Giannozzo Pucci)

L’Ecologist, pur essendo laico, crede nella libertà per tutti di professare apertamente la propria fede nella comune identità di appartenenti e custodi della Terra. Questa appartenenza, davanti alla crisi ecologica in atto, può anche ispirare il superamento dei conflitti religiosi con una sfida etica alla fraternità e alla venerazione della terra. Mai l’umanità è rimasta ferma, il bisogno di tornare alla purezza originale ci ha sempre tenuti in movimento, ma un miglioramento delle condizioni di vita nel rispetto della creazione è altra cosa da un progresso sostitutivo di ogni natura e fede che ha prodotto miseria da una parte e degrado per ingiusta ricchezza dall’altra.

L’Italia, negli anni 1950 e ‘60, poteva prendere un’altra strada rispetto a quella del consumismo e dello spreco che adesso la caratterizza e che ha devastato l’unità delle famiglie, la salute pubblica, le campagne, le città, i mestieri tradizionali di custodia della Terra e di trasformazione dei suoi prodotti. Ma oggi, se saprà cambiare strada prima di altri, impegnandosi in quella autonomia alimentare ed energetica che è stata tabù per così tanto tempo, potrà svolgere il suo specifico compito storico di mediatrice fra i popoli.

Un’economia che distrugge la natura e produce miseria non ha nulla a che vedere con la civiltà, anche se viaggia in auto sportive e aerei supersonici, ma è pura barbarie.

L’uomo moderno, anche con l’automobile, continua ad avere due gambe come l’uomo di sempre e in questo mai cambierà; l’invito a riconsiderare il passato ha lo scopo di migliorare la civiltà, rifondandola su realtà umane perenni che riducano le ingiustizie e facciano emergere un compito storico degno dei sacrifici di questa e delle prossime generazioni. Tale compito consiste nel trasformare la società occidentale da cancro della terra a custode della moltiplicazione delle forme di vita.

Questo compito straordinario, eticamente radicato, è parte non secondaria di ogni religiosità. L’incoerenza italiana tra proclami ecologici e pratiche di vita devastanti è una regressione spirituale e civile che può e deve essere superata.

Certo questo primo libro (il fascicolo italiano dell’Ecologist del 2004, ripubblicato nel 2023, ndr) contiene molte profezie di sventura, del resto non fu la profezia di sventura di Giona a convertire la città di Ninive?

Come nutrire il mondo, anche se non farà più caldo
(di Edward Goldsmith)

(…) Gli agricoltori stanno perdendo la battaglia (per colpa della chimica industriale, ndr), gli organismi dannosi sopravvivono all’assalto chimico, gli agricoltori no. Un numero sempre crescente di loro abbandona la terra e la situazione in futuro peggiorerà molto. Oggi assistiamo all’introduzione forzata di colture geneticamente modificate da parte delle organizzazioni internazionali colluse con i governi nazionali, resa possibile dall’influenza sempre più forte delle multinazionali biotecnologiche. Le colture geneticamente modificate, diversamente da quanto ci viene detto, non aumentano i raccolti. Per di più hanno bisogno di maggiori investimenti, compresi più acqua e più diserbanti, il cui consumo avrebbero dovuto ridurre notevolmente (…).

Un altro motivo per cui la moderna agricoltura industriale ha fatto il suo tempo, anche senza il problema del cambiamento climatico, è la sua eccessiva vulnerabilità e dipendenza dall’aumento dei prezzi del petrolio, e ancor più dai periodi di carenza di questo combustibile (...).

Questo non succede con le varietà tradizionali, alcune delle quali sono così produttive che, in alcune parti dell’India, i coltivatori stanno ritornando ad usarle (…).

In ogni caso, non c’è nulla di meno sostenibile dell’agricoltura industriale irrigua. La quantità d’acqua usata per l’irrigazione raddoppia ogni 20 anni e attualmente assorbe quasi il 70% di tutta l’acqua utilizzata nel mondo, una situazione che non può andare avanti ancora molto, che ci sia o meno il cambiamento climatico. Quasi senza eccezione, l’agricoltura industriale, specialmente nelle aree tropicali, provoca subsidenza e salinizzazione dei terreni (…).

Quali caratteristiche deve avere un sistema agricolo che risponda ai nostri bisogni? Innanzitutto, deve essere altamente locale. Il cibo, invece di essere prodotto per l’esportazione, come i contadini sono costretti a fare dal Fondo Monetario Internazionale e ora dalla World Trade Organisation (Organizzazione mondiale del commercio), deve innanzitutto rispondere ai bisogni locali.

Un primo motivo è che i trasporti in generale assorbono un ottavo dei consumi mondiali di petrolio e gran parte di questi è costituito dal trasporto di alimenti (umani e animali, ndr) (…).

La localizzazione del cibo è necessaria anche senza il problema del cambiamento climatico perché è soltanto producendo cibo localmente che i poveri, in particolare nel Terzo mondo, possono avervi accesso. Infatti, una delle maggiori cause di malnutrizione e di fame nei paesi poveri è la mancanza di terra per la produzione di cibo per uso locale. Tra il 50% e l’80% di terreno agricolo nei paesi del Terzo mondo produce per l’esportazione (…).

In un sistema agricolo locale, in gran parte autosufficiente, costituito soprattutto di piccole aziende agricole, vengono usate molte colture diverse e molte varietà di piante in ciascuna coltura come hanno sempre fatto gli agricoltori tradizionali (…).

Come scrive James Scott, un’autorità nel campo dell’agricoltura contadina, “la tradizione locale di usare un’ampia varietà di sementi, tecniche e periodi di semina è stata formata in secoli di tentativi per arrivare a produrre i raccolti più stabili e affidabili possibile in date circostanze”. Di solito, un coltivatore cerca di evitare l’errore “che lo potrebbe rovinare, piuttosto che tentare una caccia grossa ma rischiosa”, e questo in gran parte lo ottiene coltivando molte colture diverse e varietà di piante scelte con cura, la cui combinazione esatta egli è in grado di adattare, quando necessario, ad eventuali modifiche ambientali.

Dato che, col cambiamento climatico, nessuno sa prima quali colture e varietà saranno in grado di sopravvivere alle ondate di calore, alle inondazioni, ai periodi di siccità e all’invasione di insetti esotici, è più importante che mai che gli agricoltori siano in grado di coltivare un’ampia e ben scelta varietà di colture tradizionali (...).

Ogni scelta che aiuta a rendere i nostri metodi agricoli più simili a quelli naturali usati dagli agricoltori tradizionale è un moltiplicatore di soluzioni. Potrebbe valer la pena considerare tutta la serie di problemi nati con l’uso dei fertilizzanti artificiali. Sostituendoli, come suggerito prima, con quelli naturali, potremmo risolvere un gran numero di problemi importanti, ben oltre il fatto di ridurre drasticamente il contributo delle attività agricole alla destabilizzazione del clima mondiale (…).

...il fertilizzante non aumenta il peso a secco, ma semplicemente aggiunge più acqua al raccolto. Di conseguenza, l’uso di fertilizzanti artificiali rende le piante molto più vulnerabili a infestazioni di funghi e ne incrementa le perdite dopo il raccolto. Per evitare questo, vengono regolarmente utilizzati pesticidi ancor più velenosi durante l’immagazzinamento.

Questi studi indicano che i tanto esaltati benefici offerti dall’uso dei fertilizzanti chimici e diserbanti sono in gran parte illusori. Il che non sorprende visto che queste sostanze chimiche non sono state diffuse per fornire alla gente cibo a basso costo, abbondante e sano. Furono inizialmente ideate come esplosivi (TNT)… (…).

 2023 2004 ristampa Ecologist il clima cambia 180 456

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Firenze, 2 agosto 2023
Earth Overshoot Day
Il giorno di ogni anno in cui s’inizia a vivere a spese delle generazioni future

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La società dei piccoli per le piccole società

Un invito di OraToscana, in collaborazione con la segreteria interterritoriale e la presidenza, a tutti i dirigenti delle forze sorelle, agli associati, agli associandi, ai partecipanti ai lavori del Forum 2043, ai membri dei gruppi di lavoro - quello per le elezioni europee e quello per la Sanità Pubblica e Prossima:

Vigilia di San Francesco, martedì 3 ottobre 2023, ore 21

OraToscana, in occasione del suo II anniversario (la rete civica fu fondata il 4 ottobre 2021), in collaborazione con il Patto Autonomie e Ambiente, organizza un amichevole momento di condivisione online sul tema

La società dei piccoliper le piccole società

Ascoltiamoci gli uni con gli altri, la sera di vigilia della festa di San Francesco d'Assisi, con libertà e spontaneità, dandoci la possibilità di far risuonare ciò che ci sta a cuore e ciò che stiamo organizzando per riprenderci il posto che ci spetta nel futuro di questo stato italiano e dell'Unione Europea, per la Repubblica delle Autonomie personali, sociali, territoriali, per l'Europa dei Popoli, per la pace e per l'integrità del creato, fedeli alla Carta di Chivasso.

Noi non siamosolodalla parte dei piccoli, noi siamo i piccoli:
bambini, anziani, malati, diversamente abili, persone e famiglie diverse, libere e responsabili; piccole imprese, piccoli commercianti, artigiani di bottega, coltivatori diretti; abitanti di piccoli comuni e paesini; membri di minoranze e piccoli popoli; orgogliosi cittadini di piccole patrie e matrie. Abbiamo formato una società di realtà politiche territoriali, non importa quanto piccole, per il buongoverno e per l’autogoverno delle nostre piccole società, per il bene comune qui e ora, ma soprattutto per lasciare i nostri paesi e la Madreterra abitabili per le generazioni future.

Il link all'adunanza online sarà distribuito attraverso il canale Telegram del Forum, i gruppi di lavoro, le stanze Whatsapp di collegamento.

Per maggiori informazioni:

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Le parole vive di Chivasso

Salvate nelle vostre agende l'invito a questo seminario pubblico, promosso dal Forum 2043, per sabato 11 marzo 2023, dalle ore 16 (attenzione, l'orario d'inizio è stato aggiornato):

PAROLE VIVE
PER LE AUTONOMIE E L'AMBIENTE

Lettura pubblica della Carta di Chivasso e testimonianze su ciò che essa tramanda ancora oggi di essenziale a chi vuole difendere l’acqua, la terra, la salute, le autonomie personali, sociali, territoriali, per le nostre comunità locali e per le generazioni future

Sarà con noi Massimo Moretuzzo (Patto per l’Autonomia Friuli – Venezia Giulia), insieme con attivisti e intellettuali del civismo, dell'ambientalismo, dell'autonomismo impegnati in ogni territorio per la Repubblica delle Autonomie.

Prenotazioni d’intervento sul canale Telegram del Forum 2043: https://t.me/Forum2043

Per restare aggiornati sull'evento:

https://www.facebook.com/events/502898198487883/

Informazioni: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

Con questa iniziativa, avviamo un percorso che ci accompagnerà tutto questo anno 2023, che è l'anno dell'80° anniversario della Carta di Chivasso del 19 dicembre 1943. Per arrivare preparati all'evento, segnaliamo alcuni video realizzati tre anni fa dalla webtivù della forza sorella Union Valdôtaine in occasione del 77° anniversario della Carta di Chivasso:

 

 

 

Lettura pubblica integrale delle PAROLE VIVE della Carta di Chivasso - Seminario online

  • Autore: Gruppo di studio interterritoriale Forum 2043 - 11 marzo 2023
Ciò che i rappresentanti di queste valli hanno affermato,
vale per tutte le regioni italiane,
per i piccoli popoli che formano quel tutto
che è il popolo italiano
(Émile Chanoux, Federalismo e autonomie,
in P. MOMIGLIANO LEVI (a cura di), Écrits, Institut Historique de la Résistance en Vallée d'Aoste,
Aosta, 1994, p. 399, p. 422)

I contenuti del nostro seminario online dedicato alle parole vive della Carta di Chivasso, tenutosi ieri sabato 11 marzo 2023, sono pubblici e disponibili attraverso il prezioso archivio politico di Radio Radicale:

https://www.radioradicale.it/scheda/693128/parole-vive-per-le-autonomie-e-lambiente

Per un approfondimento delle conclusioni politico-culturali e una sinossi completa degli interventi:

https://www.autonomieeambiente.eu/news/117-parole-vive-per-le-autonomie-e-l-ambiente

Attraverso il nostro canale YouTube diffondiamo l'estratto della lettura pubblica integrale della Carta di Chivasso:

https://www.youtube.com/watch?v=wSLSjx0PJ0c

 

La Carta di Chivasso, dopo ottant'anni dal 19 dicembre 1943, ci definisce, ci unisce, ci aiuta a tramandare i nostri valori, ci sostiene nel nostro impegno per la Repubblica delle Autonomie personali, sociali, ambientali.

Aiutateci a diffonderla e a farla conoscere, attraverso le reti sociali:

https://twitter.com/rete_aea/status/1634869894306058240?s=20

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Oltre il 7% in Friuli-Venezia Giulia

Quella di Massimo Moretuzzo, del Patto per l'Autonomia, con il sostegno di gran parte del centrosinistra, era una proposta di nuovo governo autonomista. I cittadini del Friuli-Venezia Giulia che sono andati a votare, purtroppo sempre meno, hanno preferito confermare l'uscente Massimiliano Fedriga e la sua lista di indipendenti, sostenuta dal centrodestra. I risultati sono questi e vanno accettati, oltre che approfonditi e meditati. Come sempre, gli attivisti, i candidati, i capi della campagna troveranno di che rammaricarsi e migliorarsi.

Massimo Moretuzzo, insieme ad altri quattro consiglieri nuovi eletti del Patto per l'Autonomia più, salvo sorprese nei riconteggi ufficiali, il consigliere della forza sorella Slovenska Skupnost, si preparano quindi a rappresentare una opposizione autonomista, civica, ambientalista, riformista e democratica nel prossimo quinquennio.

Il nostro mondo autonomista e territorialista è sempre molto aperto al dialogo e alla collaborazione politica con tutti, quando ci sono, come oggi, emergenze sociali e ambientali drammatiche. Erano anni che non stabilivamo una collaborazione con forze di centrosinistra, ma si era creata una opportunità, attraverso il sostegno spontaneo alla candidatura di Massimo Moretuzzo, da parte delle opposizioni della passata legislatura nella regione autonoma.

Per il Patto per l'Autonomia, per la forza sorella Slovenska Skupnost, ottenuto il supporto civico e ambientalista di Adesso Trieste e di altre figure indipendenti dai diversi territori, è stata una sfida difficilissima, ma infine vinta.

Non siamo capipopolo, non siamo populisti, non siamo giustizialisti, non abbiamo né soldi né potere. Non ci aspettiamo ondate di voti di protesta come quelle che hanno raggiunto i vari aspiranti "sindaci d'Italia" e "capi politici" nell'ultimo decennio.

Siamo una parte, piccola forse, ma essenziale nella storia e soprattutto per il futuro della Repubblica delle Autonomie e di una nuova confederazione europea. Stiamo raccogliendo forze sufficienti, nei territori dello stato italiano, perché la Repubblica e l'Unione Europea non sbandino verso forme di centralismo autoritario (non accetteremo mai, in nessuna forma, il presidenzialismo italiano o europeo, ricordiamolo).

Moderati nei toni, riformisti per cultura, audaci negli obiettivi sociali, daremo fino in fondo il nostro contributo per fermare l'impoverimento delle persone e delle comunità, per la salute, per i beni comuni, per una transizione ambientale fatta democraticamente e inclusivamente dal basso, per frenare le storture della globalizzazione, per la pace, per tutte le autonomie personali, sociali, territoriali nel mondo.

Nelle elezioni regionali del Friuli-Venezia Giulia abbiamo raccolto più consenso e più seggi di cinque anni fa, superando il 7% e sfiorando i 30.000 voti (sommando i risultati delle nostre due forze sorelle: il Patto per l'Autonomia e la Slovenska Skupnost).

Nelle elezioni comunali di Udine, il prof. Alberto Felice De Toni, candidato civico indipendente con l'appoggio del Patto per l'Autonomia, va al ballottaggio e la sua lista civica De Toni Sindaco supera il 12%.

Grazie a coloro che si sono impegnati, perché un risultato c'è e da questa piccola luce che si è accesa a Nordest possiamo proseguire per obiettivi ancora più ambiziosi.

--- dalla segreteria di Autonomie e Ambiente - Udine - Firenze - Palermo - 4 aprile 2023

Segnaliamo a chi può approfondire i cinguettii di Twitter con cui Autonomie e Ambiente ha seguito lo scrutinio:

https://twitter.com/rete_aea/status/1641708940923641856?s=20

https://twitter.com/rete_aea/status/1642896112137773062?s=20

https://twitter.com/rete_aea/status/1642898144877850626?s=20

https://twitter.com/rete_aea/status/1642919533244555264?s=20

https://twitter.com/rete_aea/status/1643217211518066689?s=20

 

Parole vive per le autonomie e l'ambiente - Tutti gli interventi e le conclusioni politiche

Sabato 11 marzo 2023 si è tenuto il seminario online organizzato dal Forum 2043, in collaborazione con Autonomie e Ambiente, sul tema "Parole vive per le autonomie e l'ambiente - Rilettura integrale della Carta di Chivasso". Siamo già entrati nell'ottantesimo anno da quando la Carta fu scritta, nel 1943, eppure le parole di Chivasso sono vive, giovani, profumano di primavera per la democrazia, le autonomie, l'ambiente, la pace,  la libertà. Sono ancora essenziali per coloro che credono nella Repubblica delle Autonomie, nell'Europa dei popoli, in un mondo liberato da autoritarismi, colonialismi e militarismi.

Com'era nelle intenzioni degli organizzatori, il seminario ha rafforzato tutti i movimenti civici, ambientalisti, storicamente autonomisti, modernamente decentralisti, che hanno partecipato. Essi hanno il compito di portare avanti la visione del partigiano e martire Émile Chanoux e promuovere gli ideali di autogoverno dei territori, sussidiarietà verticale e orizzontale, autonomie personali, sociali e territoriali, che sono incisi nella Costituzione italiana, grazie all’impegno di padri costituenti come Giulio Bordon, Piero Calamandrei, Tristano Codignola, Andrea Finocchiaro Aprile, Emilio Lussu, Aldo Spallicci, Tiziano Tessitori.

Le due sessioni, di un'ora ciascuna circa, sono state registrate e sono disponibili attraverso l'archivio politico multimediale di Radio Radicale:

https://www.radioradicale.it/scheda/693128/parole-vive-per-le-autonomie-e-lambiente

Sul canale YouTube di Autonomie e Ambiente è stata pubblicata, in estratto, la lettura pubblica integrale della Carta di Chivasso.

Come ha sintetizzato Roberto Visentin (presidenza Autonomie e Ambiente, AeA) nelle sue conclusioni, la Carta di Chivasso è ciò che ci unisce e ci definisce. I suoi valori ci sostengono e ci consentono di essere come acqua nel deserto della politica di questa incompiuta "Repubblica delle Autonomie". Le nostre sconfitte sono lezioni. Le nostre differenze sono attrezzi per affrontare e realizzare davvero, territorio per territorio, il grande cambiamento ambientale che ci aspetta.

Hanno partecipato, fra gli altri, Massimo Moretuzzo (nella foto), candidato alla presidenza del Friuli - Venezia Giulia alle elezioni dei prossimi 2-3 aprile 2023, esponente autonomista, civico, ambientalista del Patto per l'Autonomia, sostenuto da gran parte del centrosinistra. E' intervenuto anche Erik Lavevaz, già presidente della Valle d'Aosta, ed esponente dell'Union Valdôtaine, fortemente impegnato nel profondo rinnovamento in corso all'interno dello storico Mouvement e per la ricomposizione delle posizioni autonomiste, che devono riunirsi contro l'eterno ritorno del centralismo.

La rete di Autonomie e Ambiente (AeA) è una larga e inclusiva sorellanza di forze e gruppi politici territoriali attivi nelle varie regioni e province autonome della Repubblica Italiana. Con la collaborazione della famiglia politica europea degli autonomisti, l'Alleanza Libera Europea (ALE - European Free Alliance, EFA), si sta organizzando per la partecipazione alle elezioni europee del 2024.

Di seguito la sinossi completa dell'evento:

2022 07 06 repubblica delle autonomie ancora diversificata FORUM 2043 piccola

Sabato 11 marzo 2023 ore 16-18

Seminario pubblico

PAROLE VIVE

PER LE AUTONOMIE
E L'AMBIENTE

Evento organizzato dal Forum 2043
in collaborazione con Autonomie e Ambiente

Interventi

Parte prima ore 16-17

Mauro Vaiani (OraToscana – segreteria di Autonomie e Ambiente – coordinamento Forum 2043) - Apertura lavori

Eliana Esposito (Siciliani Liberi) – Canto dell’autogoverno

Mauro Vaiani – Introduzione

Sara Borchi e Stefano Fiaschi – Lettura integrale della Carta di Chivasso

Massimo Moretuzzo (Patto per l’Autonomia Friuli-Venezia Giulia)

Erik Lavevaz (Union Valdôtaine – già presidente della Valle d’Aosta)

Silvia Fancello "Lidia" (rappresentante EFA-ALE e referente AeA in Sardegna)

Alfonso Nobile, "Alessandro" (Siciliani Liberi)

Andrea Acquarone (autonomista ligure e animatore di "Che l'inse!")

Claudia Zuncheddu (Sardigna Libera, attivista per l'autogoverno e per la salute in Sardegna)

Parte seconda ore 17-18.00

Samuele Albonetti (Rumâgna Unida, già coordinatore del Movimento per l’Autonomia della Romagna)

Maria Luisa Stroppiana (Assemblada Occitana - Valadas)

Gino Giammarino (editore e attivista per l'autogoverno di Napoli e del Sud, Forum 2043)

Walter Pruner (autonomista trentino)

Silvia Fancello "Lidia" (rappresentante EFA-ALE e referente AeA in Sardegna)

Giovanna Casagrande (Sardegna Possibile)

Alfonso Nobile, "Alessandro" (Siciliani Liberi)

Milian Racca (Liberi Elettori Piemonte)

Roberto Visentin (vicepresidente europeo EFA-ALE, presidente AeA) – Conclusioni politiche

Mauro Vaiani – Saluti finali

A conclusione dell'evento si è lanciato un appello per le donne, la vita, la libertà di tutti, e per la pace, dappertutto, con l’ascolto della canzone Baraye di Shervin Hajipour nella versione remix di DJ Siavash (fonti: https://youtu.be/I0bEMX6Avp0 - https://djsia.com/)

Hanno mandato un messaggio perché non sono potute intervenire le persone amiche:

Alfredo Gatta (Pro Lombardia, vicepresidente di AeA)

Lucia Chessa (RossoMori - Sardegna)

Luana Farina Martinelli (Caminera Noa)

* * *

Per seguire gli sviluppi dell'evento è indispensabile iscriversi al canale Telegram del Forum 2043: https://t.me/Forum2043

Si ringrazia per la collaborazione tecnica e creativa: Renzo Giannini - Il Lampone - https://www.youtube.com/lorenxman

Informazioni: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

Per la dignità del consigliere comunale

  • Autore: A cura di OraToscana - lunedì dell'Angelo, 10 aprile 2023

Un appello da OraToscana nel Forum 2043 per tutti i consiglieri comunali della Repubblica

Prato – Santa Luce – San Vincenzo – Siena – Vecchiano, lunedì dell’Angelo, 10 aprile 2023

Introduzione

Alle persone che vengono elette nei consigli di ogni comune vorremmo che fossero restituiti dignità e poteri, necessari non a loro ma alle comunità locali, nell’interesse di molti oggi e delle generazioni future, per migliorare concretamente le cose.

Chi conosce la storia delle gloriose istituzioni comunali, sa bene che nulla garantisce nel tempo una saggia amministrazione quanto la conoscenza reciproca, l’intimità vorremmo dire, la condivisione dello stesso destino fra governanti e governati, esattamente quella che è possibile, appunto, in un comune.

Coloro che possono ascoltare questo appello, discuterlo, migliorarlo, farlo proprio, diventarne attivisti e promotori, militanti solidali fra di loro fino al punto da trasformarsi in un movimento interterritoriale capace d’imporre le riforme necessarie, sono primariamente coloro che consiglieri comunali lo sono, lo sono stati, abbiano tentato di diventarlo, o almeno siano stati vicini a una persona investita di questo gravoso e, oggi, ingrato incarico.

logo Autonomie e Ambiente AeA OraToscana

Proposte

  1. Il consigliere comunale deve godere di permessi dal lavoro durante il suo mandato (e di un sostegno al suo reinserimento lavorativo al termine dello stesso); di un compenso adeguato all’entità del suo impegno; di una tutela previdenziale e assicurativa; di un ufficio da cui condurre la sua attività istituzionale, oltre che portare avanti le proprie convinzioni e battaglie politiche.
  2. Ogni consiglio comunale è in grado di decidere da sé, considerando le risorse e le dimensioni del suo territorio, di quanti consiglieri debba essere composto.
  3. Solo il consigliere comunale eletto deve essere impiegato a tempo pieno nell’amministrazione (come assessore o in altri incarichi).
  4. Ogni consiglio comunale è in grado di decidere in autonomia quanti dei suoi membri debbano essere amministratori a tempo pieno e garantire loro un compenso adeguato.
  5. Ferma restando la centralità ordinamentale della figura del primo cittadino, ai consigli comunali deve essere consentito adottare una forma di governo direttoriale (collegiale, quindi con consigli che siano anche giunte), specie nelle comunità più piccole.
  6. Come raccomanda da ottant’anni la Carta di Chivasso, si dovrebbe essere elettori o eleggibili solo dopo un certo periodo che si è residenti e contribuenti del proprio comune, lasciando allo statuto comunale di determinare la lunghezza di tale periodo.
  7. Premesso che l’unico modo per imparare davvero a fare il consigliere comunale è quello di farlo, chi si candida al consiglio comunale dovrebbe aver dimostrato conoscenza delle lingue locali, parlate e scritte, ed avere - almeno - la formazione e la buona condotta richieste al giudice popolare.
  8. Per quanto le persone siano (giustamente) diffidenti nel dare il potere a chi non ha un mestiere o una istruzione, si deve prendere atto che nella vita politica sono indispensabili esperienza, competenza e anzianità: per qualcuno la politica può diventare una professione, non solo una vocazione, e di questo ogni comunità dovrebbe tenere conto nel decidere i pur necessari limiti ai mandati (consecutivi o non consecutivi).
  9. La carica di consigliere comunale dovrebbe essere incompatibile con ogni altra e sarebbe opportuno che nessuno potesse essere eletto o nominato in istituzioni superiori senza prima essere stato eletto consigliere comunale.
  10. L’espressione di candidature al consiglio comunale dovrebbe essere resa possibile a tutti coloro che ne abbiano i requisiti, con il minimo di formalità, eventualmente stabilendo un numero minimo di concittadini che la supportino.
  11. La campagna elettorale comunale dovrebbe essere organizzata e pagata dall’amministrazione, assicurando a tutti le stesse opportunità e gli stessi spazi, imponendo divieti, o almeno limiti e controlli rigorosi, alla spesa privata o di parte.
  12. La scelta dei consiglieri comunali deve essere fino in fondo nelle mani dei cittadini, quindi ogni elettore dovrebbe, obbligatoriamente, votare non più solo un simbolo o uno schieramento, ma prima di tutto una persona (massimo due, di genere diverso), fra i candidati della sua circoscrizione, trovandone i nomi già sulla scheda.
  13. I comuni devono potersi aggregare in libere associazioni intercomunali, in modo tale da garantire l’esercizio di funzioni associate, secondo principi di sussidiarietà; è opportuno che gli organi di tali associazioni di comuni siano eletti dai consiglieri comunali stessi.
  14. In tutti i casi in cui il comune, per dimensione demografica o per estensione geografica, sia composto di più comunità distinte (municipi, quartieri, frazioni, altro), si lasci alle popolazioni locali la possibilità di trasformarlo in una unione di comunità.
  15. Si deve riprendere, con ritrovato entusiasmo per l’autogoverno comunale e territoriale, l’abolizione delle prefetture e di ogni altra istituzione intermedia fra le regioni (o le province autonome) e le libere associazioni o unioni di comuni.
  16. Al comune, singolarmente o in associazione con altri del territorio, deve tornare il potere di cambiare concretamente le cose, secondo Costituzione, ponendo fine alla paralisi provocata dalla metastasi normativa regionale, statale, europea.

Note

A coloro che si preoccupano delle risorse, ricordiamo che siamo impegnati per la territorializzazione delle imposte, perché esse restino sui territori e perché ci siano fondi di perequazione. I comuni, peraltro, non devono vivere di soli Euro: possono e quindi dovrebbero essere create monete locali complementari, per creare uno scambio di beni e servizi all’interno della comunità o dei territori: l’autonomia energetica con fondi rinnovabili; la produzione sostenibile di cibo lobale; asili e scuole a cui i bambini possano andare a piedi; ambulatori medici di vicinato; riuso del patrimonio abitativo esistente e affitti equi; servizi pubblici locali, fondati sul lavoro cooperativo locale, staccati dal mercato dove tutto si misura in Euro.

Guardiamo con ammirazione a tante iniziative che puntano a restituire risorse alle nostre democrazie locali, come, in ultimo, la campagna "Riprendiamoci il Comune", ma a tanti amministratori, consiglieri, attivisti, gruppi, comitati, noi chiediamo di fare, insieme, qualcosa di molto più radicale: una lunga marcia per decentrare il potere, distribuire le risorse oggi centralizzate, delegificare, restituire dignità e poteri a ciascun comune e ai territori.

Le autorità comunitarie europee e lo stato (e, di riflesso, le regioni e le province autonome) devono finirla di alimentare la metastasi legislativa, che sta paralizzando senza assicurare protezione. Devono, per essere ancora più nitidi, smettere di legiferare sovrapponendosi sulle stesse materie, in plateale disprezzo al principio della sussidiarietà. Devono trattenersi dall’emanare “grida” per tutti i comuni, imponendo le stesse regole a municipi come Santa Luce, San Vincenzo, Vecchiano, Siena, Livorno, Prato, Firenze, come se fossero uguali.

Nel nostro mondo civico, ambientalista, autonomista, confederalista, siamo ostili ai leaderismi, ai presidenzialismi (anche quelli dei presidenti-governatori regionali e dei sindaci-podestà), alle tifoserie mediatiche, all’antipolitica, al populismo, al giustizialismo, all’antistatalismo tardoliberista, a irragionevoli proibizionismi, che riempiono il dibattito pubblico riducendolo a un fatuo chiacchiericcio mediatico, conducendo la Repubblica delle Autonomie alla rovina.

A noi pare evidente che i consiglieri comunali eletti devono urgentemente riprendersi dignità e poteri, perché essi possano davvero fare la differenza, essendo vicini alle persone, alle comunità, al territorio. Poteri e ovviamente doveri, perché eleggendo consiglieri comunali come accade ora, persone senza radici, senza cultura, senza consenso, senza responsabilità, stiamo sprofondando nella palude del ciarlatanismo politico.

Ai comuni è stato imposto, dal 1992 a oggi, di abbandonare beni comuni, di chiudere servizi pubblici universali, di rinunciare a svolgere funzioni economiche, sociali, ambientali, di lasciare potere a opache tecnocrazie (pubbliche ma sempre più spesso private). Ai politici dei comuni è stato imposto di lasciare potere a “tecnici”, che sono diventati un opaco mandarinato, a cui nessuno può chiedere mai di rendere conto. Questo svuotamento dei comuni e questa cancellazione della politica, però, tanto più moltiplica aziende esternalizzate, enti funzionali, agenzie, commissariati, sovrintendenze, autorità, garanti, agende, progetti, conferenze, piani, pubblicazioni, raccomandazioni, circolari, tanto meno protegge concretamente le persone, le comunità, i territori.

Qualcuno ricorderà il 1981 non solo per una sciagurata scelta di privatizzazione dei debiti pubblici, ma anche per un importante documento dei vescovi cattolici italiani sulle prospettive del paese. Da allora, dobbiamo ammetterlo con franchezza, ogni tentativo di fermare il declino agendo sul potere centrale italiano (o europeo) è sostanzialmente fallito. La Repubblica, schiacciata da troppe leggi ma senza più legge, sta letteralmente sprecando la vita di decine di migliaia di funzionari pubblici, spesso qualificati lavoratori del diritto e della conoscenza, ma ormai persone perse, che ricevono stipendi, magari importanti, ma il cui lavoro nelle burocrazie del centralismo è totalmente inutile se non controproducente per le comunità e per i territori.

Siamo debitori, per questo appello, ai costituenti che hanno voluto sancire i principi di “sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza” (art. 118 della Costituzione); a coloro che ispirarono, scrissero, attuarono la rivoluzionaria, per i tempi, legge 142 del 1990 (onoriamo il ricordo di persone come Fiorenzo Narducci e Alfredo Gracili); ai fondatori delle liste verdi storiche (in particolare l’avventuara umana, politica e amministrativa di Giannozzo Pucci); alle tradizioni politiche della Firenze che è stata la città di Giorgio La Pira e dalla sua “giunta parallela”, composta da Mario Fabiani, Tristano Codignola, Romano Bilenchi; ai pionieri della rivoluzione paesana e rionale; alle tante realtà civiche che sono riuscite a vincere la guida del proprio comune, con le proprie forze, senza l’aiuto di alcun partito o di alcun potentato (o che ci stanno provando, come il Polo Civico di FabioPacciani nella Siena di questa primavera 2023); a coloro che, come i socialisti di Vecchiano, custodiscono le migliori tradizioni della politica dei partiti popolari della Repubblica delle Autonomie; a coloro che contribuiscono al Forum 2043 e che si stanno impegnando per costruire un grande movimento interterritoriale per le autonomie e l’ambiente.

Un caveat conclusivo

Siamo in una situazione grave: stiamo invecchiando, impoverendoci, spopolandoci nei nostri territori periferici rispetto alla globalizzazione; siamo minacciati dalla nostra stessa civiltà industriale che distrugge l’ambiente e disumanizza la vita; in poche mani sono concentrati strumenti di digitalizzazione e virtualizzazione talmente potenti da cancellare la stessa realtà, sostituendola con un sinistro conformismo planetario, un orwelliano appiattimento culturale e spirituale; le elite della finanza globale concentrano ricchezze immense e praticano un capitalismo predittivo che ci telecomanda nei nostri consumi e, in una prospettiva paurosa, nei nostri stessi pensieri e desideri; pochi poteri politici praticano la sorveglianza universale, con una pervasività mai vista prima nella storia; i loro apparati militari-industriali ci ordinano di amare gli oppressori e odiare gli oppressi, rendendo accettabili ai nostri occhi le loro guerre infinite. Non c’è più tempo da perdere: è il momento di una riscossa popolare.

Non possono farla gli ultimi, i troppo anziani, i malati, gli oppressi, i rifugiati, gli sradicati, i diseredati della Terra. Nemmeno la faranno coloro che sono integrati nella mentalità dominante, né, d’altra parte, coloro che sono stati abbagliati da prospettive settarie, cospirazioniste, apocalittiche. Come scrive Mauro Vaiani nel suo Cosmonauta Francesco, la rivoluzione la devono fare i penultimi: le persone che ancora hanno una cultura, una memoria, un’identità, un lavoro, una loro proprietà o un’attività economica privata, una capacità di comprendere in modo critico la parola scritta, una minima connessione alle reti sociali globali contemporanee, una capacità “donmilianiana” di avanzare i propri dubbi con parole chiare e appropriate, una spiritualità se non una fede. Persone che sanno distinguere se una cosa funziona meglio in Svizzera piuttosto che in Cina o negli Stati Uniti, a San Marino piuttosto che a Bruxelles, con un’anima libertaria e una cultura riformista, ma ancorate a una etica della responsabilità, piuttosto che della fanatica convinzione.

Sorgano quindi cavalieri di civismo, ambientalismo, autonomismo del XXI secolo, in difesa dei molti, contro i pochi, perché la vita resti umana e il pianeta abitabile: una nuova generazione di leader locali, a chilometro zero, capaci di generosità e sacrificio, disposti a concorrere alle loro elezioni locali e determinati a vincere.

* * *

Per aderire a questo appello e trasformarlo insieme in azione politica, elettorale, legislativa:

Se - e solo se - siete in grado di impegnarvi con una lista civica nel vostro comune in Toscana e volete essere parte della rete di OraToscana:

Per partecipare, con Autonomie e Ambiente, alla costruzione del movimento per l’autogoverno dei territori del XXI secolo:

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Per un maturo e capillare civismo al servizio dei territori

Udine-Firenze-Napoli, 16 maggio 2023

Nota per la stampa

Un maturo civismo ambientalista e territorialista
cresce in ogni regione della Repubblica

Autonomie e Ambiente, rete italiana di forze politiche territoriali guidata dal Patto per l’Autonomia del Friuli-Venezia Giulia, si congratula con le moltissime forze civiche, attente ai problemi ambientali e sociali, che stanno crescendo in tutti i territori della Repubblica, dal Salento al Bellunese, dalla Toscana al Molise.

Si moltiplicano casi di movimenti civici locali di qualità, oltre che di successo, sia quando competono da soli, sia quando si alleano con i rappresentanti locali dei partiti. Praticamente in tutti i ballottaggi, le persone e le liste indipendenti dalle piramidi politiche romane o milanesi, saranno decisive.

I cittadini hanno storie e valori di sinistra, centro o destra, ma non esistono soluzioni di “centrosinistra” o “centrodestra” valide per tutti i territori e per tutte le emergenze di questo inizio secolo. La polarizzazione, così come semplificata sui media, è solo propaganda d’ignoranza e cristallizzazione di pregiudizi.

Sempre più cittadini trovano semplicemente inaccettabile la concentrazione di potere nelle mani di pochi capi di partiti e partitini “nazionali” e non vogliono più votare candidati paracadutati dall’alto e da altrove, o scegliere tra figure e slogan trasmessi dalle televisioni nazionali. E’ un importante risveglio, che potrebbe anche porre rimedio al crollo della partecipazione al voto.

Questo è anche, a nostro parere, un segnale importante in vista della resistenza che in tutti i territori si sta alzando contro le proposte di elezione diretta – quindi mediatica - di un capo per l’intera repubblica (presidente, premier, sindaco o podestà d’Italia che sia). La Repubblica delle autonomie personali, sociali, territoriali, intende resistere alla deriva centralista e autoritaria.

Per sostenere questa primavera di senso civico, ambientalismo, autonomia politica, Autonomie e Ambiente promuove un serio e inclusivo confederalismo dal basso, radicato nella storia della Repubblica delle Autonomie voluta dai padri costituenti (e che san ben distinguere le persone e le esperienze serie dai ciarlatani e dai riciclati).

Da subito promuoveremo alcune riforme delle leggi elettorali per i comuni della Repubblica, che vadano incontro a questa crescente esigenza di serietà, autonomia, responsabilità (come quelle raccolte nella recente riflessione di OraToscana sul nostro Forum 2043, realtà di studio e ricerca politica per le autonomie).

In particolare appoggeremo norme che impediscano liste civetta formate all’ultimo momento da candidati non residenti (il cui unico interesse è piantare bandierine di partito). Per i piccoli comuni promuoveremo la possibilità di sperimentare forme di governo più snelle e più collegiali. Solleciteremo anche una riflessione critica sulla figura del sindaco, che concentra nelle proprie mani un potere eccessivo.

Autonomie e Ambiente è e sarà sempre di più un patto interterritoriale di civismoe ambientalismo, oltre che di autonomismo, impegnato per una democrazia, locale ed europea, più robusta e più rispettosa delle diversità e delle biodiversità.

Dalla Presidenza di Autonomie e Ambiente

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Pisa, l'aeroporto che la Toscana ha già

OraToscana, la rete di civismo, ambientalismo, autonomismo, che fa parte della nostra sorellanza Autonomie e Ambiente, ha diffuso una nota sul futuro prossimo degli aeroporti toscani.

La rilanciamo perché alcune delle considerazioni di OraToscana sono valide per tutti i territori. Confermano il nostro comune impegno, come sorellanza di territorialisti, contro le grandi opere inutili, per la salvaguardia dei beni comuni, perché si accetti serenamente, con moderazione, pragmatismo ed equità, la sfida della fuoriuscita dal fossile e dal fissile.

Scrive OraToscana che non possiamo conoscere, oggi, come la transizione ecologia investirà il trasporto aereo: nuovi aeromezzi più piccoli (più lenti ma anche più silenziosi, magari), nuovi biocarburanti, introduzione di soluzioni elettriche o a idrogeno? Non lo sappiamo ma certamente nulla sarà più come prima.

Nel frattempo la Toscana ha un bene comune prezioso: l'aeroporto intercontinentale "Galileo Galilei" di Pisa, capace di funzionare tutto l'anno grazie alla mitezza del tempo, con diverse rotte di avvicinamento dal mare che ne riducono l'impatto per gli abitanti delle vicinanze, circondato da ampi spazi verdi. Pisa ha anche un altro incredibile valore aggiunto: è interamente circondata da un anello ferroviario, che con investimenti contenuti lo renderebbe raggiungibile da ogni parte della Toscana in modo sostenibile.

Spiace, quindi, prendere atto che da decenni va avanti una incomprensibile "novella dello stento" sulla costruzione di un nuovo aeroporto a Peretola, alle porte di Firenze. Come si vede dall'immagine (risalente al 2019) pubblicata a corredo di questo intervento, il "master plan" della nuova pista comporterebbe un investimento enorme e stravolgerebbe la vita della grande piana di Firenze-Prato-Pistoia, la quale è già, peraltro, la più cementificata e inquinata della Toscana. Già oggi la vita di almeno 800.000 residenti della Piana toscana è difficile, insieme con quella di altre centinaia di migliaia di Toscani che vi si recano ogni giorno per lavoro. Se venissero aperti i cantieri di questa opera faraonica, si rovinerebbe definitivamente l'abitabilità di questo territorio per generazioni.

Insistere per un nuovo aeroporto a Firenze è assurdo. Assorbirebbe enormi risorse pubbliche. Comporterebbe il declino di Pisa e l'abbondono di altri piccoli aeroporti che pure in Toscana sono utili, per raggiungere, con un traffico di servizio e non solo turistico, territori come l'Elba.

Gli attuali amministratori della Toscana, come il presidente Eugenio Giani e il sindaco metropolitano di Firenze, Dario Nardella, ma anche esponenti importanti ai vertici della politica italiana, come Matteo Renzi e Matteo Salvini, che continuano a propagandare l'idea di un nuovo aeroporto a Firenze, stanno dimostrando grande limitatezza di vedute.

Il "campanilismo", a ben guardare, non c'entra nulla. Nessun fiorentino, a proprie spese, si avventurerebbe nell'apertura di un cantiere così disastroso. E' solo un centralismo prepotente, ignorante e conformista (e in definitiva autoritario), che può concentrare e sperperare, a spese delle generazioni future, risorse per costruire opere faraoniche inutili, come abbiamo già scritto rispetto a cose ancora più disastrose come il famigerato ponte di Messina

L'intervento rilancia anche, integralmente, il testo di una mozione della lista civica, ambientalista, autonomista "Un Cuore per Vecchiano", presentata dal consigliere comunale dott. Vincenzo Carnì, per ribadire la storica centralità dell'aeroporto intercontinentale di Pisa per la Toscana.

Per approfondire: https://diversotoscana.blogspot.com/2023/02/pisa-e-lunico-aeroporto-strategico.html

 

 

Ringraziamento a Il Nuovo Trentino

Come ha scritto Walter Pruner, nei suoi dieci mesi di presenza nelle edicole, "Il Nuovo Trentino", liberamente e con coraggio guidato in questi mesi dall’ ottimo Paolo Mantovan, ha arricchito il quadro della comunicazione locale e territoriale, fuori da logiche compromissorie e di subalternità ai poteri forti.

Il quotidiano nato lo scorso ottobre dalle ceneri de “Il Trentino” (che era stato chiuso nel gennaio 2021) uscirà per l'ultima volta nelle edicole il prossimo 13 agosto 2023. L'editore SIE ha annunciato che i giornalisti saranno ricollocati all'interno del sito web, che continuerà le pubblicazioni e anzi sarà potenziato. Ce lo auguriamo di tutto cuore, perché anche in rete c'è assoluto bisogno di testate d'informazione locale e territoriale di qualità.

Dal nostro patto per le autonomie, l'ambiente, l'Europa, la pace, esprimiamo sincera solidarietà e l'augurio che questa voce amica delle autonomie personali, sociali, territoriali non si spenga.

Siamo grati a "Il Nuovo Trentino" per aver ospitato i nostri principali leader e attivisti, anticipando e lanciando a un pubblico molto più vasto alcuni degli interventi che hanno poi arricchito il nostro Forum 2043.

Auguriamo al direttore Mantovan, ai giornalisti, a tutti i lavoratori e collaboratori, ogni bene per il proseguo.

(a cura della segreteria interterritoriale - 6 agosto 2023)

Qui una selezione degli autori e degli scritti che abbiamo avuto l'onore di condividere con "Il Nuovo Trentino":

Autonomisti in rinnovamento, unico argine al centralismo

Erik Lavévaz, Union Valdôtaine (già presidente della Valle d'Aosta) - Aosta-Trento, 12 aprile 2023

Imparare a essere autocritici dal Friuli al Trentino e oltre

Roberto Visentin, presidente di Autonomie e Ambiente - Udine-Trento, Pasqua, 9 aprile 2023

Per autonomie che facciano crescere altre autonomie

Geremia Gios, autonomista trentino - 13 marzo 2023

Dibattito sulle autonomie ospitato da Il Nuovo Trentino

Mauro Vaiani, Claudia Zuncheddu, Ciro Lomonte, Roberto Visentin - 28 febbraio / 3 marzo 2023

La più forte Autonomia potrebbe anche autodistruggersi?

Walter Pruner, autonomista trentino - Trentino, 29 novembre 2022

 

 

 

 

Seminario sulle parole vive di Chivasso

Seminario online

PAROLE VIVE PER LE AUTONOMIE E L'AMBIENTE

Sabato 11 marzo 2023, ore 16
(conclusione lavori prevista per le ore 18 circa)

Promosso dal Forum 2043
in collaborazione con la presidenza di Autonomie e Ambiente (AeA)

Piattaforma: https://zoom.us/j/97267541503?pwd=KytzRmNzcngzeDIxUnpVNW1mdnE5Zz09

Presentazione

Crediamo in una primavera politica animata da valori civici, ambientalisti, autonomisti. Al deserto di idee e progetti, alle regole elettorali antidemocratiche, alla mancanza di dibattito civile su una stampa libera e pluralista, reagiamo rivendicando il nostro posto e assumendoci le nostre responsabilità in Italia e in Europa. I nostri movimenti, gruppi, intellettuali, attivisti territoriali sono ancorati ai principi della Carta di Chivasso del 1943, di cui quest'anno celebreremo l'ottantesimo anniversario.

Le parole di Chivasso sono vive, qui e ora, per noi che crediamo nella Repubblica delle Autonomie, nell'Europa dei popoli, in un mondo liberato da autoritarismi, colonialismi e militarismi.

Il nostro compito è portare avanti la visione del partigiano e martire Émile Chanoux e promuovere gli ideali di autogoverno dei territori, sussidiarietà verticale e orizzontale, autonomie personali, sociali e territoriali, che sono incisi nella Costituzione italiana, grazie all’impegno di padri costituenti come Giulio Bordon, Piero Calamandrei, Tristano Codignola, Andrea Finocchiaro Aprile, Emilio Lussu, Aldo Spallicci, Tiziano Tessitori.

Ciò che la nostra storia di lotte per l'autogoverno ci tramanda è essenziale per chi vuole difendere l’acqua, la terra, la salute, le autonomie, le nostre comunità ed economie locali, i doveri dei contemporanei e i diritti delle generazioni future.

I nostri pensieri devono essere lucidi, le nostre azioni risolute, oggi più di sempre, contro i cialtroneschi avventurieri di un falso autonomismo "differenziato" che in realtà tradiscono da venticinque anni le autonomie esistenti e vogliono condurci verso il disastro del presidenzialismo, come se l'Italia non fosse già uno stato sufficientemente centralista e autoritario, dove chi è temporaneamente al potere crede ancora, ottant'anni dopo, in "Roma doma".

Programma

  • Lettura pubblica della Carta di Chivasso (le voci sono di Sara Borchi e Stefano Fiaschi)
  • Massimo Moretuzzo (Patto per l'Autonomia Friuli - Venezia Giulia)
  • Mauro Vaiani (OraToscana, segreteria di AeA, coordinamento del Forum 2043)
  • Silvia Fancello, "Lidia" (rappresentante EFA-ALE e referente AeA in Sardegna)
  • Alfonso Nobile, "Alessandro" (Siciliani Liberi, vicepresidente di AeA)
  • Claudia Zuncheddu (Sardigna Libera, attivista per l'autogoverno e per la salute in Sardegna, Forum 2043)
  • Andrea Acquarone (autonomista ligure e animatore di "Che l'inse!")
  • Samuele Albonetti (Rumâgna Unida, già coordinatore del MAR)
  • Gino Giammarino (editore e attivista per l'autogoverno a Napoli e nel Sud, Forum 2043)
  • Alfredo Gatta (Pro Lombardia, vicepresidente di AeA)
  • Maria Luisa Stroppiana (Assemblada Occitana - Valadas)
  • Milian Racca (Liberi Elettori Piemonte)
  • Walter Pruner (autonomista trentino)
  • Erik Lavevaz (Union Valdôtaine)
  • Roberto Visentin (Patto per l'Autonomia Friuli - Venezia Giulia, vicepresidente EFA-ALE, presidente AeA)

 

Per accedere all'evento è indispensabile iscriversi al canale Telegram del Forum 2043: https://t.me/Forum2043

Collaborazione tecnica: Renzo Giannini - Il Lampone - https://www.youtube.com/lorenxman

 Collegamento sulla rete sociale:

https://www.facebook.com/events/502898198487883/

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Senza paura verso nuove autonomie

“Chi ha paura delle autonomie? Oltre il dibattito sull’autonomia differenziata” è il titolo dell’incontro promosso dal Gruppo Consiliare del Patto per l’Autonomia-Civica F-VG, che si è tenuto mercoledì 5 luglio 2023, nella Sala Pasolini della sede della Regione Friuli-Venezia Giulia a Udine.
L'incontro è stato introdotto e moderato da Elia Mioni del Patto per l’Autonomia.
E' intervenuto Marco Boato, già parlamentare e componente della Commissione Affari costituzionali per diverse legislature, che ha fatto un significativo riassunto della storia di decenni di fallimento delle riforme costituzionali, ammonendo che uno dei motivi di questo fallimento è lo scontro, ancora irrisolto in questa Repubblica, fra centralisti e coloro che ispirano a forme più avanzate di autonomie personali, sociali, territoriali.
Da remoto è intervenuto Danilo Lampis, portavoce di “Sardegna chiama Sardegna” (una iniziativa civica, ambientalista, per nuove forme di autogoverno, recentemente promossa da una rete di giovani dell'isola). Lampis ha ribadito che gli attuali progetti di autonomia differenziata sono, oltre che impraticabili, tesi a cristallizzare rapporti di dipendenza e le disparità derivanti da una lunga storia di colonialismo interno. Ha tuttavia invitato a un rilancio, in Italia e in Europa, un contrattacco di coloro che aspirano ad autogovernarsi, nella solidarietà fra territori, contro i riflessi centralisti e autoritari.
E' intervenuta Elena Ostanel, consigliera regionale del Veneto con la lista “Il Veneto che Vogliamo”, che ha espresso le preoccupazioni del mondo civico per il centralismo non solo statale, ma anche regionale.
Infine, Massimo Moretuzzo, capogruppo del Patto per l’Autonomia-Civica F-VG nel consiglio regionale di Trieste, ha invitato ad accettare le sfide dell'autonomia, un'autonomia diffusa e capillare, che riguardi tutte le comunità. Una autonomia che può consentire a tutti e ovunque di sperimentare e realizzare soluzioni più avanzate di quelle che ci stanno riservando al momento i centri del potere statale ed europeo.
L'autonomia differenziata di Calderoli e della Lega, essendo un imbroglio politico ed essendo minata da pesanti contraddizioni interne, fallirà. E' tempo che civismo, ambientalismo, autonomismo, movimenti per l'autodeterminazione, si preparino, dialogando e collaborando, a un rilancio, innovativo e coraggioso, per una cultura e buone pratiche di autogoverno, di respiro europeo.

Solidarietà a Monza e alla Brianza

Esprimiamo solidarietà al territorio di Monza e Brianza, che è stato colpito da un maltempo eccezionale. Ormai anche nella zona temperata in cui sono posti i territori della penisola italiana si assiste al moltiplicarsi di eventi estremi. Non è solo l'aumento delle temperature medie che preoccupa, aumento a cui secondo gran parte della comunità scientifica contribuisce l'enorme inquinamento prodotto dagli esseri umani. Preoccupa ancora di più che nell'atmosfera si accumuli un'energia capace di scatenare eventi a cui, alle nostre latitudini, non siamo preparati.

Monza e la Brianza hanno conosciuto, fra molti altri danni, lo sterminio di alberi adulti, spesso anche sani. La caduta degli alberi nei parchi pubblici e nei giardini privati è emblematica della necessità di cambiare, al più presto, il nostro atteggiamento nei confronti dei nostri territori. Nella storia non siamo mai stati così tanti, non abbiamo mai cementificato così tanto. Senza gli alberi, città e paesi, zone industriali e commerciali, diventano invivibili. Senza il verde, la vita è insopportabile, soprattutto per gli anziani, che sono ormai la maggioranza della nostra popolazione, oltre che per i bambini, per tutte le persone più fragili, per gli animali domestici.

Deve cambiare profondamente l'amministrazione del territorio, paese per paese, comune per comune, sia nelle zone urbane che nelle zone ancora rurali. Segnaliamo, fra le tante, la riflessione di un agronomo che ha lavorato per il verde a Monza, intervistato il 27 luglio 2023 da Il Cittadino di Monza e Brianza, Ambrogio Cantù, che propone spunti interessanti e, soprattutto, lancia un allarme sulla mancanza di custodi competenti del verde pubblico e privato, che invece dovrebbero essere presenti in tutte le comunità e territori.

La foto del post è tratta da un video del "Contadino Nick", un coraggioso e brillante giovane di Desio, agricoltore per passione, che purtroppo ha sofferto anche nel suo campo la caduta di alberi che erano forti e sani.

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A cura della segreteria interterritoriale di Autonomie e Ambiente - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. - Desio, 28 luglio 2023

 

Solidarietà alla Romagna

Riceviamo e volentieri diffondiamo questo comunicato degli autonomisti romagnoli che si stanno attivando attraverso Rumâgna Unida (da Faenza, 6 maggio 2023):

ANNO 2023: ALLUVIONE IN ROMAGNA

Romagna, 6 maggio 2023

Esprimiamo enorme dolore per quanto accaduto in Romagna nei giorni scorsi; condoglianze ai famigliari dei deceduti e solidarietà a chi è stato colpito da alluvioni e frane che hanno coinvolto abitazioni ed attività. L’augurio sincero è che quanto prima si possa tornare ad una situazione di normalità.

Ora non è il momento delle polemiche e nemmeno delle passerelle dei politici di turno. Ora è il momento di rimboccarsi le maniche e spalare il fango. Verrà in seguito anche il tempo di analizzare in profondità cause ed eventuali responsabilità.

Sebbene non si ricordino fenomeni simili in area romagnola da tempo, già oggi possiamo affermare che è sbagliato considerare tali eventi come “eccezionali”. Si rischia la sottovalutazione, che evidentemente c’è stata.

Le criticità idrauliche del Lamone e di altri corsi e canali, sono lì da sempre! Inoltre sappiamo da anni che il cambiamento climatico in atto ci pone di fronte a nuove sfide e ci deve portare ad adottare misure di prevenzione più efficaci. Le domande che ci poniamo a che porremo alle istituzioni competenti in materia sono numerose. Vi erano risorse stanziate per le opere di prevenzione e di manutenzione dei corsi d’acqua? Tali risorse erano adeguate? Correttamente ripartite? Utilizzate pienamente? Che ruolo ha giocato la attuale amministrazione regionale? Se emergeranno responsabilità, esse dovranno avere conseguenze.

Nel ringraziare vigili del fuoco, protezione civile e tutti coloro che si stanno adoperando per il ritorno alla normalità, auspichiamo un reale rapido ristoro economico, al di là degli annunci roboanti di queste ore, da parte degli organismi regionali e statali competenti.

Infine, siamo fermamente convinti che il governo del territorio debba essere locale. Chi è del posto meglio conosce le proprie specificità. Con adeguate e proporzionate risorse, pur sapendo che non si potranno del tutto evitare certi eventi, ci si potrà però difendere meglio. Certamente meglio di quanto mostrato in questi primi giorni di maggio 2023 quando è venuta a galla l'impreparazione, su diversi fronti della gestione idraulica, di quella regione troppo grande e troppo composita, formata da Romagna e province emiliane, che qualcuno dei suoi responsabili insiste nel definire esemplare... Mentre, a nostro parere, fuori da Bologna e a Est del fiume Sillaro, essa è uno strumento di governo inadeguato.

Un gruppo di autonomisti romagnoli di Rumâgna Unida

 

 

Un'alleanza per salvare Palermo

Riceviamo dalla Segreteria del Movimento Siciliani Liberi e volentieri rilanciamo:

UN'ALLEANZA PER SALVARE PALERMO

Domenica 21 novembre 2021 si è svolto un incontro, l'ennesimo, in vista delle prossime elezioni amministrative di Palermo a Palazzo Varvaro Pantelleria.

È da circa un anno che l'arch. Ciro Lomonte, il segretario di Siciliani Liberi, partecipa a incontri con varie realtà di Palermo e dialoga, nel segno del civismo, con associazioni di cittadini, gruppi di volontariato, in vista dell'appuntamento di giugno 2022 per il rinnovo dell'amministrazione della città.

La riunione di domenica è stata aperta dall'appello del segretario a ragionare sul metodo, più che sui programmi. La coalizione cui si prova a dare vita vuole essere un'alternativa seria ai partiti italiani.

Il dibattito è stato animato da Giuseppe Vizzolo, Marcello Muratore e Pippo Catalano (Forza Palermo); Fabio Alfano, Liboria Ribaudo, Rita Barbera, Gaspare Citarrella (Bene Collettivo - Progetta Palermo); Nadia Spallitta, candidata sindaco nel 2017; Danilo Lannino, Francesco Raffa (Rigeneriamo Palermo); Claudio Fogazza; Giulia Argiroffi, attuale consigliere; Giovanni Moncada, presidente Associazione Comitati Civici; Marco Lo Dico, vicesegretario Siciliani Liberi. Erano presenti fra gli altri Giacomo Pillitteri, Filippo Occhipinti (ex consigliere comunale), Fabrizio Romeo. Hanno inviato dei messaggi, in quanto stavolta non potevano essere presenti, Daniele Pirrello (Sicilia, Futuro e Rinascita) e Alessandro Fontanini (Palermo merita di più).

Si punta a creare un comitato che coordini la coalizione, con le tre donne più rappresentative: Nadia Spallitta (vicepresidente del consiglio comunale nel periodo 2012-2017), Giulia Argiroffi (nota per la sua opposizione sempre ben argomentata in consiglio comunale), Rita Barbera (direttrice di carceri, fra cui il Pagliarelli). Questo comitato terrà le fila, in attesa di scegliere una o un candidato sindaco di comune accordo, con un programma di rinascita di Palermo condiviso da tutte le realtà dell'alleanza.

Per seguire questo cammino di autogoverno politico e amministrativo di Palermo:

https://www.sicilianiliberi.org/2021/11/21/unalleanza-per-salvare-palermo/

Una pietra sopra il ponte di Messina

 Un breve ma fulminante intervento contro il ponte sullo Stretto di Messina del professore Massimo Costa, mentore del movimento politico Siciliani Liberi, in campagna elettorale per le regionali siciliane del 25 settembre 2022, come candidato vicepresidente a fianco di Eliana Esposito, candidata presidente dei Siciliani Liberi. Parlare del ponte è il diversivo di tutti i politici che non sanno più cosa dire al popolo siciliano, un vero e proprio strumento di distrazione di massa.

Il ponte è un progetto faraonico, dai costi improponibili, contrario a ogni prospettiva di transizione ambientale. E' irrealizzabile ma se anche lo fosse sarebbe da respingere come progetto colonialista e centralista, che renderebbe la Sicilia ancora più periferica e marginale, un'area da cui continuare a estrarre risorse e da cui far emigrare manodopera per lo sviluppo delle capitali economiche italiane.
Autonomie e Ambiente diffonde questo conciso e duro intervento del professore Massimo Costa, perché il no a questa opera faraonica è un tema largamente condiviso nella nostra rete e già trattato sul nostro sito con un intervento dell'arch. Ciro Lomonte, segretario politico dei Siciliani Liberi.

Fermare la follia del ponte di Messina non è solo un dovere dei Siciliani Liberi e di Eliana Esposito, l'unica candidata presidente che si oppone (gli altri cinque - tutti subalterni al sistema politico centralista e privi di cultura dell'autogoverno - hanno già detto sì).

E' una scelta che necessariamente riguarda e coinvolge tutti i movimenti civici, ambientalisti, autonomisti, decentralisti d'Italia e d'Europa.